Riparto delle spese di riscaldamento in caso di adozione di sistemi di contabilizzazione del calore
30 Ottobre 2024
Massima In tema di condominio negli edifici, le spese del riscaldamento centralizzato, ove sia stato adottato un sistema di contabilizzazione del calore, devono essere ripartite in base al consumo effettivamente registrato, risultando illegittima una loro suddivisione (ancorché parziale) in base ai valori millesimali delle singole unità immobiliari, atteso che tale criterio di riparto delle spese è possibile solo in assenza di sistemi di misurazione del calore erogato valevoli a ripartirle in base all'uso. Il caso La causa - giunta, per ben due volte, all'esame del Supremo Collegio - traeva origine da un'impugnativa di una delibera condominiale (adottata nel lontano 1998!), con cui si era deciso di provvedere all'installazione di specifici dispositivi di contabilizzazione di calore nonché di ripartire secondo la tabella millesimale il 20% del costo di gestione ed il rimanente 80% secondo i consumi effettivi scaturenti dalle letture dei contatori. A sostegno della formulata impugnazione, il condomino impugnante aveva dedotto, in primo luogo, che tale delibera incideva su beni di proprietà individuale, in quanto riguardava la parte dell'impianto di riscaldamento che si diramava sino alle unità immobiliare di cui erano titolari i singoli condomini e, in secondo luogo, che il sistema di contabilizzazione come prescelto apparivatecnicamente inadeguato al fine di preservare l'integrità del diritto di essi condomini relativo all'utilizzo dei beni individuali, quali i radiatori installati nell'abitazione ed il relativo impianto autonomo che, al pari di quello centralizzato di riscaldamento ma senza interferire con esso, li alimentava. L'adìto Tribunale, nella costituzione del convenuto Condominio, rigettava la domanda. Decidendo sull'appello formulato dall'attore soccombente, cui resisteva il Condominio appellato, la Corte d'appello riformava la decisione di primo grado, annullando l'impugnata delibera. Quest'ultima decisione veniva fatta oggetto di un primo ricorso per cassazione dall'appellato Condominio, per cui la Suprema Corte cassava la suddetta sentenza di appello in relazione ai motivi accolti e rinviava alla Corte d'appello, in diversa composizione, per un nuovo esame. Con l'adottata sentenza, la Corte di legittimità osservava - per quel che qui ancora rileva - che la sentenza di appello, pur avendo fatto riferimento all'esistenza di dispositivi tecnicamente più adeguati o di semplici accorgimenti ed interventi idonei ad impedire la sovrapposizione dei consumi, ai quali aveva fatto riferimento CTU, non aveva accertato (e il giudice di rinvio avrebbe dovuto provvedervi): 1) se la possibilità di soluzioni tecniche alternative a quelle adottate comportava un maggior costo rispetto a quello che il Condominio avrebbe sopportato in assenza dell'impianto autonomo realizzato dai condomini, dovendo - in caso di esito affermativo di tale indagine - il relativo onere essere posto a carico di quei condomini che, con il loro operato, avessero determinato un aggravio di spesa per gli altri, i quali evidentemente non ricevevano alcuna utilità da detto impianto, che era destinato a soddisfare esigenze soggettive degli originari attori; 2) oppure, se si sarebbero potuti evitare gli inconvenienti lamentati dal condomino controricorrente previa l'adozione di soluzioni tecniche ugualmente idonee a realizzare le finalità perseguite dal Condominio senza alcun aggravio di spesa. Riassunto il giudizio dal condomino originariamente impugnante e nella costituzione del Condominio, la Corte d'Appello, decidendo in sede di rinvio, rigettava il gravame ed accoglieva parzialmente le formulate domande di ripetizione di indebito, condannando, di conseguenza, il riassumente alla restituzione, in favore della controparte, della somma complessiva di € 9.414,11, regolando, poi, globalmente le spese processuali. Il giudice di rinvio, circoscritto il dictum indicato nella predetta sentenza di cassazione in relazione alle censure accolte del relativo ricorso, riteneva che l'oggetto residuo del giudizio era rimasto limitato ad accertare se fosse a carico del Condominio o dei condomini opponenti “l'eventuale maggior costo di quelle opere di adeguamento del sistema approvato dal Condominio che si rendessero necessarie per la preesistenza dell'impianto autonomo realizzato dall'attore”. Rilevava la Corte di rinvio che, sulla base delle risultanze della CTU, era rimasto confermato che, nell'immobile del condomino attore, non si era mai verificata una sovrapposizione di consumi di calore e di relative spese, né si era rilevato alcun concreto motivo di individuare eventuali soluzioni tecniche a tal fine ostativ e per ricercare e proporre soluzioni tecniche alternative a quella adottata dal Condominio. Aggiungeva la stessa Corte che, in ogni caso, il CTU, per completezza di indagine, non si era sottratto al compito di svolgere, comunque, tale accertamento, individuando due tipologie di soluzioni tecniche alternative a quella per la quale il Condominio aveva in concreto optato per la contabilizzazione del calore, ma senza valutare - in accordo con le parti, in virtù della mancanza di attualità della questione - il costo delle relative opere e su chi dovesse farsene carico. Il condomino, complessivamente soccombente, proponeva quindi un ulteriore ricorso per cassazione. La questione Si trattava di risolvere, perché rimasta ancora impregiudicata, la questione relativa al quantum della contribuzione alle spese generali di funzionamento dell'impianto di riscaldamento generale da parte dei condomini da esso distaccatisi, atteso che, in effetti, la sentenza di rinvio, da ultimo impugnata, aveva dato per accertato che fosse da ritenersi ormai incontroversa anche la circostanza dell'addebito di una quota delle spese fisse di gestione dell'impianto di riscaldamento centralizzato pure a carico dei condomini - come l'odierno ricorrente – che si erano precedentemente distaccati da detto impianto, installando un impianto autonomo, mentre, invece, si sarebbe dovuta ancora considerare pendente la correlata questione in ordine all'individuazione della legittimità della percentuale (sia pure computata nella ridotta percentuale del 20%) di contribuzione dei condomini distaccatisi a dette spese fisse. Le soluzioni giuridiche I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto meritevoli di accoglimento le doglianze del ricorrente. Invero, premessa l'assenza della formazione di un giudicato conseguente alla richiamata prima sentenza della Cassazione sul criterio di ripartizione dei consumi, l'imputazione forfettaria - confermata nella sentenza di rinvio - del 20% dei consumi in capo a tutti i condomini, ivi inclusi quelli distaccatisi, è incorsa nelle denunciate violazioni di legge. Già l'art. 26, comma 5, della l. n. 10/1991 discorre di “… innovazioni relative all'adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore e per il conseguente riparto degli oneri di riscaldamento in base al consumo effettivamente registrato …”, e da ciò consegue che le relative spese sono da rapportare al consumo effettivamente registrato, e giammai a costi forfettari. Peraltro - aggiungono gli ermellini - trattasi di un criterio di base che trova conforto anche nell'art. 1118, comma 4 c.c., nel testo successivo alla novella della l. n. 220/2012, e nell'art. 9, comma 5, d.lgs. 102/2014. In particolare, il vigente art. 1118, comma 4, c.c. - che ha recepito gli orientamenti giurisprudenziali già sviluppatisi al riguardo e, quindi, applicabili anche al tempo dell'impugnazione della delibera condominiale di cui si discuteva (lo si ripete, di 26 anni fa!) - impone al condomino distaccato di “concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell'impianto e per la sua conservazione e messa a norma”. Dunque, alcuna liquidazione forfettaria preventiva è prevista (e, dunque, può considerarsi legittima), ma è necessario un conteggio delle spese effettive per tali causali. Osservazioni La soluzione accolta dai magistrati del Palazzacci, adottando il criterio di specie correlato all'effettivo consumo individuale - si rivela, peraltro, in linea anche alla regola generale dell'art. 1123 c.c. (rimasto, invece, immutato anche a seguito dell'entrata in vigore della l. n. 220/2012), che non individua, di certo, criteri forfettari, ma di contribuzione pur sempre correlata “al valore della proprietà di ciascuno” (comma 1), “all'uso che ciascuno che può farne” (comma 2) ed alla concreta “utilità” (comma 3). In questa ottica, a livello di legislazione speciale ma anche generale, si era affermato che una ripartizione forfettaria fissa, in ragione del 20%, potrebbe ritenersi legittima solo se adottata dall'unanimità dei condomini oppure prevista da un regolamento condominiale contrattuale (Cass. civ., sez. VI/II, 18 maggio 2017, n. 12580; Cass. civ., sez. II, 29 settembre 2011, n. 19893), mentre, diversamente, era da qualificare illegittima (v., altresì, Cass. civ., sez. II, 2 novembre 2018, n. 28051; Cass. civ., sez. II, 12 maggio 2017, n. 11970). Al riguardo, può richiamarsi il recente precedente dello stesso Supremo Collegio (Cass. civ., sez. II, 4 novembre 2019, n. 28282), il quale ha chiarito che le spese del riscaldamento centralizzato di un edificio in condominio, ove sia stato adottato un sistema di contabilizzazione del calore, vanno ripartite in base al consumo effettivamente registrato, risultando perciò illegittima una suddivisione di tali oneri - sia pure solamente parziale - alla stregua dei valori millesimali delle singole unità immobiliari, stante che la ripartizione delle spese del riscaldamento centralizzato in misura proporzionale ai millesimi di proprietà è possibile solo in assenza di sistemi di misurazione del calore erogato che consentono di ripartirle in base all'uso (v., in senso conforme, Cass. civ., sez. II, 7 novembre 2016, n. 22573; Cass. civ., sez. II, 4 agosto 2017, n. 19651). Vale, dunque, richiamare il disposto dell'art. 26, commi 5 e 6, l. 9 gennaio 1991, n. 10, il quale, dopo le modifiche apportate dalla l. n. 220/2012, prevede che, “per le innovazioni relative all'adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore e per il conseguente riparto degli oneri di riscaldamento in base al consumo effettivamente registrato, l'assemblea di condominio delibera con le maggioranze previste dal secondo comma dell'art. 1120 c.c.”, aggiungendo che “gli impianti di riscaldamento al servizio di edifici di nuova costruzione, la cui concessione edilizia, sia rilasciata dopo la data di entrata in vigore della presente legge, devono essere progettati e realizzati in modo tale da consentire l'adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore per ogni singola unità immobiliare”. Successivamente, l'art. 9, comma 5, del d.lgs. 4 luglio 2014, n. 102, ha previsto - al fine di per favorire il contenimento dei consumi energetici attraverso la contabilizzazione dei consumi individuali e la suddivisione delle spese in base ai consumi effettivi di ciascun centro di consumo individuale - l'obbligo per le imprese di fornitura dell'installazione di contatori individuali, o di sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore individuali per misurare il consumo di calore in corrispondenza a ciascun radiatore posto all'interno delle unità immobiliari; si precisa, poi, che, quando i condomini sono alimentati dal teleriscaldamento o teleraffreddamento o da sistemi comuni di riscaldamento o raffreddamento, per la corretta suddivisione delle spese connesse al consumo di calore per il riscaldamento degli appartamenti e delle aree comuni e all'uso di acqua calda per il fabbisogno domestico, se prodotta in modo centralizzato, l'importo complessivo deve essere suddiviso in relazione agli effettivi prelievi volontari di energia termica utile ed ai costi generali per la manutenzione dell'impianto; si sancisce, inoltre, che il condominio, il quale non ripartisca le spese in conformità alla disposizione appena indicata, è sottoposto dall'art. 16, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 102/2014 ad una sanzione amministrativa (i commi 9 e 10 del d.P.R. 2 aprile 2009, n. 59 descrivono, infine, le apparecchiature occorrenti a permettere la contabilizzazione e la termoregolazione del calore, rinviano per le relative caratteristiche e modalità alle vigenti norme e linee guida UNI. In quest'ordine di concetti, la magistratura di vertice ha ripetutamente affermato - e la pronuncia in commenta ne offre continuità giuridica - che le spese del riscaldamento centralizzato possono essere validamente ripartite in base al valore millesimale delle singole unità immobiliari servite solo ove manchino sistemi di misurazione del calore erogato in favore di ciascuna di esse, che ne consentano il riparto in proporzione all'uso. In precedenza, si riteneva legittimo, invece, il criterio di ripartizione delle spese del riscaldamento centralizzato che assumesse a parametro la superficie radiante (conseguentemente, la delibera che adottasse il diverso criterio del riparto della spesa in proporzione alla cubatura, senza che ciò sia reso necessario da peculiari caratteristiche dell'edificio o dell'impianto, lederebbe il diritto del condomino dissenziente all'intangibilità della posizione soggettiva in ordine alle cose e ai servizi comuni: Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1995, n. 946; Cass. civ., sez. II, 8 maggio 1974, n. 1300). La suddivisione della spesa per il funzionamento e la manutenzione dell'impianto di riscaldamento centrale in ragione della superficie radiante complessiva di ogni singolo appartamento concreterebbe, del resto, nient'altro che un'attuazione del criterio generale dettato dall'art. 1123, comma 2, c.c., tenendosi conto, attraverso il diverso numero di radiatori, delle diverse condizioni obiettive dei singoli appartamenti, come, ad esempio, esposizione dei locali, dimensione dei medesimi, altezza del piano, ecc. (così già Cass. 17 maggio 1960, n. 1216). In quanto partecipazione ad una spesa per un servizio comune destinato ad esser fruito in misura diversa dai singoli condomini, essa va comunque calcolata in proporzione all'utilizzazione del servizio, e non ai millesimi - come invece potrebbe consentirsi soltanto allorché sia impossibile accertarne l'effettiva utilità per ciascun condomino - al fine di evitare un indebito arricchimento rispettivamente a favore ed a discapito dei singoli condomini (Cass. civ., sez. II,17 settembre 1998, n. 9263) Il criterio della ripartizione delle spese di riscaldamento in base ai millesimi, in base alla superficie riscaldata o in base alla cubatura potrebbe stimarsi equivalente unicamente riguardo ad appartamenti di uguale superficie ed uguale cubatura, in relazione ai quali, nella determinazione dei millesimi, non si sia neppure tenuto conto dei correttivi legati al livello di piano o all'esposizione. Resta inteso che non possa giustificare un esonero del condomino dal contributo la circostanza che l'impianto di riscaldamento non eroghi calore sufficiente, neanche con riferimento alle spese di esercizio, perché si esclude che sussista un rapporto sinallagmatico tra obblighi di contribuzione ex art. 1123 c.c. e fruizione del servizio (Cass. civ., se. II, 15 dicembre 1993, n. 12420; Cass. civ., sez. II, 26 novembre 1996, n. 10492; contra, inizialmente, Cass. civ., sez. II, 12 luglio 1972, n. 2342). Il singolo partecipante può, tuttavia, sempre domandare al condominio di risarcirgli il dannoderivante dalla colpevole omessa riparazione o dal mancato adeguamento dell'impianto di riscaldamento difettoso, in relazione sia ai contributi inutilmente pagati, sia alle spese sostenute per rimediare alla carente erogazione del servizio centralizzato (Cass. civ., sez. II, 31 maggio 2006, n. 12956; Cass. civ., sez. II, 28 agosto 2002, n. 12596). Si è reputata, peraltro, valida la disposizione contenuta nel regolamento di condominio che prevedesse un obbligo di contribuzione alle spese di gestione del riscaldamento svincolato dall'effettivo godimento del servizio, obbligo che i condomini possono assumere contrattualmente nell'àmbito dell'autonomia privata, nel senso evidente di disincentivare il distacco dei singoli dall'impianto centralizzato (Cass. civ., sez. II, 20 marzo 2006, n. 6158; Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2004, n. 1558; Cass. civ., sez. II, 29 settembre 2011, n. 19893). Quanto detto, in ordine all'applicazione del criterio del consumo registrato o della superficie radiante, ovvero del metodo di ripartizione di cui al comma 2 dell'art. 1123 c.c., si riferisce - ovviamente - alle sole spese per l'uso del riscaldamento, in quanto impianto suscettibile, per struttura e funzione, di godimento personale e soggettivo differenziato, il che postula l'esigenza di porre la misura di tale uso ad indice di determinazione del quantum del contributo di spesa necessaria a coprire il costo. Opposta conclusione va prescelta per la ripartizione delle spese relative alla conservazione, ovvero alla tutela dell'integrità e del valore capitale dell'impianto comune di riscaldamento, atteso che esse interessano i condomini quali proprietari del bene, e sono, pertanto, dovute dai partecipanti, sul presupposto della contitolarità del diritto reale, in proporzione della quota millesimale che esprime la misura della appartenenza (ad esempio, Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 2004, n. 1420, riconosce corretta la ripartizione delle spese di sostituzione della caldaia secondo i millesimi di proprietà). Ne discende ulteriormente che, laddove nell'edificio condominiale, vi siano locali non serviti dall'impianto di riscaldamento centralizzato, i proprietari esclusivi di tali locali, in quanto non contitolari del bene, non soggiacciono nemmeno all'obbligazione propter rem di contribuire alle spese per la conservazione dello stesso, sicché sarebbe nulla, e in quanto tale sottratta al termine di impugnazione di cui all'art. 1137 c.c., la deliberazione assembleare che addebiti le spese di riscaldamento ai condomini titolari di unità immobiliari cui non sia comune l'impianto centralizzato, trattandosi di vizio della delibera afferente i diritti individuali dei singoli e non la mera determinazione quantitativa del riparto dei contributi (Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 2013, n. 22634). Ad ogni buon conto, l'intervento “innovativo” di installazione dei sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore, regolato dal citato comma 5 dell'art. 26 della l. n. 10/1991 è, tuttavia, cosa diversa dalla delibera volta a sostituire o trasformare l'impianto centralizzato di riscaldamento, di cui al comma 2 del medesimo art. 26 (v., per tutte, Cass. civ., sez. II, 18 agosto 2005, n. 16980). Riferimenti Bordolli, Contabilizzazione e termoregolazione in condominio e nuovo criterio di ripartizione delle spese di riscaldamento, in Immob. & proprietà, 2018, 99; Scalettaris, Le modifiche al d.lgs. n. 102 del 2014 in tema di contabilizzazione del calore e termoregolazione: primi appunti, in Arch. loc. e cond., 2017, 147; Maffi, La contabilizzazione del calore, in Immob. & proprietà, 2016, 634; Scripelliti, Condominio e servizio di riscaldamento (e di refrigerazione): dal distacco dall'impianto comune alla contabilizzazione individuale dei consumi, in Giur. it., 2015, 1830; Riccio, La ripartizione delle spese a seguito della contabilizzazione introdotta dal d.lgs. 102/2014, in Amministr. immobili, 2014, fasc. 187, 44; Capponi, L'adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore con conseguente riparto degli oneri di riscaldamento in base al consumo effettivamente registrato: quali maggioranze, in Arch. loc. e cond., 2010, 122; Lazzaro - Digeronimo, Dal riscaldamento centralizzato agli impianti unifamiliari a gas alla contabilizzazione del calore, Milano, 1996; Izzo, Maggioranza condominiale per i sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore, in Rass. loc. e cond., 1995, 427. |