Ammortamento francese: considerazioni matematico-finanziarie post Sezioni Unite n. 15130/2024
Gennaro Olivieri
13 Novembre 2024
Il contributo dimostra come la Matematica Finanziaria (intesa come insieme di modelli matematici utili a spiegare e interpretare i fenomeni finanziari reali) risponda perfettamente ai quesiti su cui si è espressa la Corte di Cassazione sull’Ammortamento francese, riconoscendo la giusta importanza alla Teoria generale della Matematica Finanziaria, troppo spesso accantonata a discapito di disamine riguardanti solo il profilo dei calcoli (Computisteria).
Premessa
Recentemente, le Sezioni Unite si sono espresse, con la sentenza Cass. civ., sez. un., 29 maggio 2024, n. 15130, su alcune questioni inerenti all'ammortamento di mutui (Prestiti) detto "alla francese".
Tale sentenza è particolarmente interessante, anche dal punto di vista matematico-finanziario. In questo contributo si vogliono esaminarne alcuni suoi aspetti (sempre matematico-finanziari).
A partire dalla sentenza “Mastronardi” emessa dalla sezione di Rutigliano del Tribunale di Bari (Trib. Bari, 29 ottobre 2008, n. 113) si sono scatenate/i una miriade di sentenze e articoli sull'argomento spesso contrastanti tra di loro. Sono talmente tante/tanti che se ne potrebbe fare un'analisi statistica con un algoritmo di Intelligenza Artificiale!
Vale la pena, prima di affrontare il tema del presente contributo, fare alcune considerazioni preliminari.
Computisteria e Matematica Finanziaria
Si deve distinguere la Computisteria (disciplina che insegna a fare i calcoli economico-finanziari) dalla Matematica Finanziaria (disciplina scientifica che cerca di spiegare i fenomeni finanziari effettivi e possibili).
Ebbene, molte delle considerazioni tecniche che sono state espresse in questi anni sull’argomento si sono basate sui calcoli (Computisteria) che si fanno o che si potrebbero fare o che andrebbero fatti, desumendo dai calcoli una qualche “Teoria Matematico-Finanziaria”.
Il metodo corretto, invece, è studiare la Teoria e derivare da essa i calcoli giusti da fare e le loro implicazioni.
Abbiamo parlato di Teoria da studiare in quanto essa, definita e completa da circa 150 anni, è stata applicata, nei calcoli effettivi della pratica operativa, senza esitazioni di sorta fino al 2008 (sentenza "Mastronardi") ed è diffusa e utilizzata in tutto il mondo, convivendo perfettamente con varie legislazioni che prevedono anche l’Anatocismo. Ancora oggi, nel nostro Paese è ancora il modo con cui si effettuano operazioni di mutuo, salvo a porre in essere un nutrito contenzioso.
Si ricapitolano ora alcuni punti della “Teoria” sull’argomento.
La restituzione di un prestito: aspetti generali
La restituzione di un prestito viene effettuata con pagamenti che devono comprendere:
la restituzione della somma ricevuta in prestito;
la remunerazione per l’utilizzo della somma ricevuta in prestito.
E, quindi, la restituzione del prestito può essere concettualmente (anche se purtroppo non concretamente, per mancanza di offerta da parte degli enti finanziari) determinata fissando:
gli importi che periodicamente vengono chiesti (dal mutuante) oppure offerti (dal mutuatario), c.d. rate (caso particolare: rate costanti – Ammortamento Francese);
oppure la modalità (importo e frequenza) di rimborso del capitale preso in prestito, c.d. quote capitali (caso particolare: quote capitali costanti – Ammortamento Italiano).
Come casi estremi di questo schema generale si può avere:
nel caso i., tutte le rate uguali a zero salvo l’ultima (Restituzione di capitale e interessi in una unica soluzione alla scadenza);
nel caso ii., tutte le quote capitali uguali a zero salvo l’ultima (Restituzione del capitale prestato alla scadenza e pagamento periodico degli interessi).
Cass. civ., sez. un., 29 maggio 2024, n. 15130 chiarisce a pag. 20 che il pagamento degli interessi «è coerente con la onerosità del mutuo di denaro nel quale l’interesse è il corrispettivo della disponibilità per un certo periodo di tempo della somma mutuata o, più precisamente, della parte non ancora rimborsata e cioè del Debito residuo».
La maturazione matematica degli interessi
Cass. civ., sez. un., 29 maggio 2024, n. 15130 a pag. 19 richiama l'art 821, comma 3 c.c. che prevede che gli interessi «maturano giorno per giorno in ragione della durata del diritto» del creditore per il godimento del capitale di cui beneficia il debitore.
Dal punto di vista matematico-finanziario, ciò vuol dire che si interrompe un rapporto (al di là di altre questioni e oneri, specie di tipo contrattuali/giuridiche), quindi si ha diritto (si ha l'obbligo) di riscuotere (di pagare) l'interesse maturato fino alla fine del giorno precedente al giorno dell'interruzione.
Se si riflette su questa dizione «giorno per giorno» è facile capire che si poteva dire “anno per anno” oppure “trimestre per trimestre” ma anche “ora per ora” e perché no, “minuto per minuto”, “secondo per secondo” e così via. Per cui il fenomeno della maturazione degli interessi è quindi, necessariamente, un fenomeno continuo (anche in senso matematico, oltre che economico). Si pensi all'acqua che esce da una fontana e va in una vasca: è evidente che la vasca si riempie in modo continuo, ma usualmente si parla di un aumento di un certo numero di litri l'ora, litri al minuto, ecc.
Anche matematicamente per “fare i calcoli” più facilmente, invece che in modo continuo, il fenomeno viene “discretizzato” (ossia facendo i calcoli anno per anno, mese per mese, giorno per giorno, ecc.) in modo da fare le “somme” invece che gli “integrali”. A patto che il pagamento periodico “discretizzato” sia equivalente in senso finanziario (il debitore non deve pagare di più e il creditore non deve incassare di meno) al fenomeno continuo.
L'art. 821 c.c. ha semplicemente fissato la “discretizzazione” minima (quella giornaliera).
Si tenga anche presente che con i tassi di interesse annuali usualmente utilizzati nella pratica finanziaria la differenza numerica tra una maturazione “continua” e una maturazione “giornaliera” è veramente piccolissima.
D'altro canto, nei mercati finanziari (dove sono comuni gli investimenti/finanziamenti overnight e quindi “orari”) è ormai d'uso comune usare il tasso istantaneo di interesse legato - cioè, finanziariamente equivalente al tasso annuo di interesse, parametro usualmente utilizzato nelle operazioni finanziarie - con una semplice formula matematica.
Il modo, però, con cui matura l'interesse in ogni istante sulla somma disponibile in quell'istante può esserediverso, quindi, deve essere espresso da una funzione, che fornisca un valore per ogni istante che si considera.
Ebbene, è facile trovare in un qualsiasi manuale di Matematica Finanziaria la precisazione secondo cui:
nella Capitalizzazione composta la funzione che esprime questo andamento è una funzione costante (stesso valore numerico in ogni istante),
nella Capitalizzazione semplice è una funzione decrescente (iperbolica, funzione reciproca di una funzione lineare crescente),
nella Capitalizzazione commerciale (quella che si usa, nella pratica, per lo sconto di cambiali) è una funzione crescente (iperbolica, funzione reciproca di una funzione lineare decrescente).
Con questa impostazione risulta evidente che il calcolo dell'interesse viene effettuato, come detto sopra, sulla somma disponibile (capitale più interessi già maturati) all'istante precedente e che, quindi, contiene interessi. Cambia la funzione con cui questo calcolo viene effettuato e risulta evidente che, con una funzione decrescente (in ogni istante un valore più piccolo di quello precedente), il valore finale risulta inferiore a quello calcolato con una funzione costante o crescente.
In ogni fenomeno che cresce a partire da un valore iniziale, la sua crescita oraria (supponendo, appunto un controllo orario), può essere:
espressa dalla percentuale di crescita oraria sul valore inziale (ad es. in ogni ora cresce del 10% del valore iniziale). Sapendo quante ore sono passate si ha il valore raggiunto,
calcolata usando una funzione che dia il valore della crescita nell'ultima ora partendo dal valore raggiunto alla fine dell'ora precedente. Anche in questo caso, sia pure in un modo più complicato, sapendo quante ore sono passate si ha il valore raggiunto (ovviamente uguale al valore calcolato con l'altro metodo).
Risulta evidente che, dando i due procedimenti lo stesso valore, essi siano, ai fini della spiegazione del fenomeno, equivalenti. È solo un problema di procedimento di calcolo. Il primo non tiene conto, nel calcolo, della crescita già avvenuta, il secondo sì.
Se si riporta quanto appena esposto al caso del calcolo del montante, è evidente che, se la maturazione avviene giorno per giorno (approssimazione usata dal codice civile invece che la maturazione istantanea), allora c'è un modo di calcolare la crescita, in ogni giorno, sulla scorta del valore raggiunto alla fine del giorno precedente e quindi comprendente l'interesse già maturato.
Affermare quindi che c'è un modo di calcolare il montante senza tenere conto degli interessi già maturati è vero solo da un punto di vista computistico che non esamina, però, il fenomeno dal punto di vista complessivo.
Non è il metodo di calcolo che determina se c'è interesse su interesse già maturato, ma il fenomeno in sé. Nel fenomeno del montante, in ogni caso, essendo un fenomeno non decrescente, c'è e si può calcolare l'interesse su interesse già maturato.
Regimi finanziari e prevalenza della Capitalizzazione composta
Come è stato già detto sopra, quello che conta è il modo con cui il calcolo dell’interesse viene effettuato. Ed è questo modo che genera i regimi di capitalizzazione.
Nella pratica si sono affermati, per le operazioni finanziarie correnti, i tre regimi (Capitalizzazione composta, Capitalizzazione semplice e Capitalizzazione commerciale) sopra richiamati, ma nulla impedisce che in qualche caso si possa utilizzare, per una qualche esigenza particolare e per singole operazioni, una funzione diversa rispetto ai tre regimi usuali. Per esempio, con un diverso modo di crescenza o decrescenza.
Ma - come è noto da sempre agli studiosi di Matematica Finanziaria e non solo - nel caso in cui il mercato ritenesse conveniente il valore calcolato in Capitalizzazione composta, il mercato stesso cambierebbe immediatamente i parametri (ad es. i tassi di interesse) di modo che, anche se fosse, per assurdo, obbligatorio per legge usare, ad esempio la Capitalizzazione semplice, il valore finale risulterebbe uguale a quello ritenuto conveniente.
Anche per quest'ultima considerazione, la Teoria Economica ipotizza la Capitalizzazione composta per spiegare il comportamento degli agenti economici. Ciò comporta anche l’ipotesi che appena si abbia una qualsiasi somma a disposizione, questa debba essere istantaneamente reinvestita. Analogamente nei prestiti, appena si ha una somma a disposizione, questa deve essere utilizzata, immediatamente, per ridurre il debito.
Nei mercati finanziari dove è in uso, come sopra accennato, solo nella Capitalizzazione composta (senza che nessuno invochi l’Anatocismo) tutti i calcoli e tutte le equivalenze tra importi disponibili in epoche diverse vengono eseguiti con il tasso istantaneo costante.
La costanza del tasso istantaneo - e, quindi, la Capitalizzazione composta - permette di porre le equivalenze in qualsiasi istante e quindi non porta a risultati diversi a seconda dell’stante nel quale si vuole stabilire l’equivalenza finanziaria e, quindi, non porta a contenziosi.
È questa importantissima proprietà, che si concretizza in una chiarezza e parità di diritti e doveri delle due parti di un prestito (mutuatario e mutuante), che ha suggerito, a livello nazionale e internazionale, che il “costo” di un prestito venga espresso con una formula che utilizza, nelle equivalenze, la Capitalizzazione composta (TAE - nel caso non ci siano spese accessorie -/TAEG-ISC - nel caso ci siano).
Quindi, molto opportunamente, Cass. civ., sez. un., 29 maggio 2024, n. 15130 a pag. 17, riporta una parte del dispositivo della sentenza Cass. civ., sez. trib., 2 ottobre 2023, n. 27823 nel quale si afferma «la Capitalizzazione composta è quindi, nel caso di specie, del tutto eterogenea rispetto all’anatocismo ed è solo un modo per calcolare la somma dovuta da una parte e dall’altra in esecuzione del contratto concluso tra loro; è, in altre parole, una forma di quantificazione di una prestazione o una modalità di espressione del tasso di interesse applicabile a un capitale dato».
Questa è un’affermazione sacrosanta che dovrebbe essere accettata senza nessun pregiudizio e in ogni contesto finanziario (prestiti, investimenti, ecc.).
TAE e TAN
Si riprenda ora il fenomeno che si sta analizzando (pagamento del debito tutto alla scadenza) con pagamento periodico degli interessi e no, alla luce di quanto appena detto, l’interesse pagato periodicamente deve essere finanziariamente equivalente al pagamento in una unica soluzione alla scadenza in modo che si abbia lo stesso, nelle due modalità, TAE (ricavo unitario per unità di tempo per il mutuante, costo unitario per unità di tempo per il mutuatario).
La somma unica (capitale e interessi) “equivalente” al pagamento periodico di un interesse è, da quanto finora detto, il montante della somma prestata in Capitalizzazione Composta allo stesso tasso di interesse (TAE) utilizzato per calcolare gli interessi da pagare o riscuotere ad ogni scadenza periodica decisa.
Ovviamente, se la frequenza è annuale si usa il TAE ma, se la frequenza dei pagamenti è diversa da quella annuale, si usa il tasso relativo alla cadenza considerata (biennale, triennale, oppure mensile, giornaliero, orario, ecc.) finanziariamente equivalente al TAE (supponendo di dividere l’anno in quattro parti il tasso equivalente si chiama trimestrale, se si divide l’anno in dodici parti, il tasso equivalente si chiama mensile, se si divide l’anno in mezza parte il tasso si dice biennale, ecc.).
Il TAN è semplicemente quattro volte il tasso trimestrale, dodici volte il tasso mensile e mezza volta il tasso biennale.
Per inciso, il tasso istantaneo di cui si è parlato sopra è proprio un TAN con frequenza istantanea.
Infine, per le due modalità “estreme” (paragrafo 3, punto i. e punto ii.), vale la pena riflettere che, alla luce di quanto detto sopra, la somma totale esborsata o incassata (a seconda del punto di vista del mutuante e del mutuatario) nei due casi è diversa perché è diverso pagare o riscuotere gli interessi un po’ alla volta, togliendosi risorse economiche dal punto di vista del mutuatario e avendole a disposizione per altri investimenti dal punto di vista del mutuante, piuttosto che pagarli e riceverli tutti alla fine. Quello che deve essere uguale è il TAE.
Analisi economico-finanziaria del rimborso a scadenza (capitale e interesse)
Si esamini ora la modalità del rimborso di un prestito tutto alla scadenza (capitale più interessi maturati per tutto il periodo).
È evidente che, se le due parti (mutuante e mutuatario) sono aziende (e il mutuante sicuramente, nella maggioranza dei casi, lo è) e
poiché gli interessi (remunerazione/costo) hanno natura economica (arricchiscono o depauperano il patrimonio), mentre
il rimborso del prestito ha, invece, natura patrimoniale (non arricchisce o depaupera il patrimonio ma ne cambia la composizione),
per esigenze di natura contabile, fiscale e giuridica è necessario distinguere annualmente (perché i bilanci si fanno annualmente e le tasse e le imposte si pagano anche annualmente) qual è la parte economica e qual è la parte patrimoniale che viene movimentata, anche nel caso in cui non ci sia alcun movimento di flusso di capitale, com’è il caso del rimborso unico a scadenza che si sta esaminando.
Questa esigenza di natura contabile e fiscale non è solo formale, è anche sostanziale.
Infatti, un Bilancio redatto secondo regole che permettano di esaminare l’andamento del capitale investito dagli azionisti deve aver registrato, nello stesso anno, i costi correlati ai corrispondenti ricavi e viceversa.
Se, prendendo a prestito del denaro, lo si è investito in un’attività fruttuosa, che rende ogni anno una certa quantità economica che, necessariamente, deve essere considerata nel conto economico, allora si deve, conseguentemente, considerare nel conto economico il costo da sostenere per la disponibilità della somma investita, ancorché l’esborso effettivo in termini di flusso di capitale avvenga in un periodo successivo.
Appurato quanto appena detto, risulta evidente che, anche nel caso di un rimborso unico (capitale e interessi) a scadenza, si debba procedere ad una sua ripartizione (ammortamento) in anni (o in esercizi come si dice con termine contabile/fiscale).
Ad esempio, alla fine del primo anno/esercizio e supponendo di aver usufruito della somma per tutto l’anno (inizio prestito 1° gennaio), si deve calcolare l’interesse sul prestito iniziale (importo che va registrata nel conto economico). Questo interesse maturato ma non pagato diventa, ai fini bilancistici e fiscali, necessariamente un debito per il mutuatario e un credito per il mutuante che verrà pagato/riscosso alla scadenza del prestito stesso.
Quindi il mutuatario, non pagando nulla (rata nulla), potrà mettere tra i suoi costi di esercizio l’interesse a patto che registri anche il debito ulteriore che si è formato essendo maturato - e quindi contabilizzato - un interesse e non essendo stata esborsata alcuna somma. In modo simmetrico opererà il mutuante.
Quindi, alla fine del primo anno il debito iniziale è cresciuto degli interessi maturati il primo anno e non pagati.
In questo modo si procede per gli anni successivi e solo così l’ultima rata (l’unica positiva, le altre, come abbiamo visto, sono nulle) sarà data dall’ultimo debito alla fine del penultimo anno aumentato dell’ultimo interesse maturato e quindi coinciderà con il montante, alla scadenza, della somma iniziale in Capitalizzazione composta.
Si può anche pensare, come propugna qualcuno, di tenere distinto il debito iniziale dal debito degli interessi maturati e non pagati, ma la sostanza del fenomeno non cambia. L’interesse di ogni anno va sempre e comunque calcolato sul debito totale (che cresce anno per anno).
Questo ragionamento, in modo perfettamente simmetrico, si può svolgere per il mutuante.
Piani di ammortamento
Il fenomeno ora descritto corrisponde a quello che viene rappresentato nei c.d. Piani di rimborso o di Ammortamento.
A seconda dei casi, come sopra prospettato,
si fissa la successione degli importi che si vogliono esborsare ad ogni scadenza (rate, con la condizione, riportata anche a pag. 17 di Cass. civ., sez. un., 29 maggio 2024, n. 15130, che il flusso di rate sia finanziariamente equivalente al capitale preso o dato in prestito)
oppure
si fissa la successione dei rimborsi di capitale (quote capitali, con la condizione che la loro somma sia uguale al capitale prestato).
Si parte, quindi, dal capitale iniziale e si calcola preliminarmente, come sopra ricordato:
l'interesse maturato nel periodo appena trascorso, c.d. quota interessi
e in successione,
se si sono fissate le quote capitali, la Rata, sommando la quota capitale e la quota interessi;
se si sono fissate le rate, la Quota Capitale, sottraendo dalla rata la quota interessi.
sottraendo, poi, la quota capitale dal debito iniziale si ricava il c.d. Debito Residuo, che sarà la base per il calcolo della nuova quota interessi e del nuovo debito residuo, nel periodo successivo.
E così via. Fino alla fine del periodo di Ammortamento.
Questo schema logico è assolutamente generale e vale per ogni tipo di ammortamento che abbiamo classificato inizialmente.
Se lo si applica al rimborso unico (capitale e interesse tutto alla scadenza), è facile capire che, essendo le rate tutte uguali a zero (salvo l'ultima) e le quote interessi necessariamente positive, le corrispondenti quote capitali risultano negative e, quindi, il Debito residuo crescente fino a raggiungere, alla scadenza, il montante in capitalizzazione composta del prestito iniziale.
Qualsiasi altro modo di concepire un piano di ammortamento non corrisponde al fenomeno “naturale” sopra descritto e risulterebbe incomprensibile per gli utenti finali, oltre a comportare dubbi sul riflesso bilancistico (in termini di trasparenza) e fiscale (in termini di quantità che le due parti debbono registrare a conto economico in modo “simmetrico”).
Principio di composizione dei contratti
Come riportato nel lavoro (P. FERSINI, G. OLIVIERI, “Sull'”Anatocismo” nell'ammortamento francese”, Banche e Banchieri 2/2015) per l'Ammortamento a Rate Costanti (alla francese), ogni tipo di ammortamento di prestiti (a rate o a quote capitali comunque prefissate) può essere scisso nella somma di ammortamenti di prestiti con pagamento a scadenza di capitale e interesse (che abbiamo estesamente descritto sopra).
Da ciò si ricava l'evidenza della produzione di interessi su interessi (con il caveat, però di quanto riferito dalla Cass. civ., sez. un., 29 maggio 2024, n. 15130 in merito all'utilizzo della Capitalizzazione composta sopra ricordato).
Dal punto di vista computistico non c'è produzione di interessi su interessi; dal punto di vista del fenomeno reale descritto tale produzione c'è.
Nei contratti finanziari e assicurativi esiste il “Principio di composizione dei contratti” che si esplica attraverso la indifferenza economica e finanziaria (e forse anche giuridica) tra lo stipulare un contratto unico e più contratti parziali separati, purché i diritti e gli obblighi derivanti dai contratti separati, nel loro insieme, siano esattamente corrispondenti a quelli derivanti dal contratto unico in importi e scadenze.
Quello che qui è stato descritto - e che era stato dimostrato nel lavoro del 2015 citato per l'Ammortamento Francese - è esattamente l'applicazione di questo principio.
Se in ogni contratto separato c'è produzione di interessi su interessi (come abbiamo visto sopra) allora il contratto unico con le stesse prestazioni del totale dei contratti separati, ancorché computisticamente non rilevabile, contiene interessi su interessi.
Si supponga che esista la possibilità (auspicabile e non vietata) che un cliente possa scegliere la successione delle rate che potrebbe impegnarsi a pagare per rimborsare un determinato prestito, fermo restando che il TAE in base al quale viene posta l'equivalenza finanziaria tra le rate proposte e il capitale preso in prestito debba essere quello richiesto dalla Istituzione Finanziaria.
Si supponga che la prima rata sia inferiore alla corrispondente quota interessi. L'Istituzione Finanziaria, avendo maturato l'interesse nella totalità della quota interessi, deve necessariamente aumentare il Debito Residuo, alla fine del primo periodo, dell'importo della quota interessi non coperta dalla prima rata. Questo Debito Residuo (che contiene interessi maturati e non pagati) produrrà nell'anno successivo interessi su interessi.
Naturalmente l'esempio si riferisce alla prima rata ma vale per qualsiasi rata successiva che non copra per intero la quota interessi.
Vale la pena, perché questo è un punto essenziale, fare anche un esempio numerico. Chi non ha dimestichezza con i numeri può saltare questo esempio senza togliere nulla alla comprensione dell'argomento trattato.
Supponiamo che si prenda in prestito la somma di € 100.000,00 per 3 anni e che si lo debba rimborsare con Rate annue di € 36.720,86. Il TAE che si richiede è, quindi del 5% annuo.
Questo è il Piano che viene elaborato:
Le 3 rate di € 36.720,86 sono finanziariamente equivalenti (in Capitalizzazione composta secondo la definizione di TAE) ai € 100.000,00 in base al tasso del 5% annuo.
È facile capire che la prima quota interessi (la parte di interesse sulla prima delle tre rate) è pari a € 5.000,00. Chi ha preso in prestito la somma ha utilizzato per un anno € 100.000,00, il costo di tale utilizzo è del 5% l'anno, alla fine del primo anno deve quindi pagare € 100.000,00*5/100. Numericamente e computisticamente il ragionamento è perfetto.
Poiché la quota capitale risulta essere di € 31.720,86 il Debito alla fine del secondo anno sarà di € 68.279,14.
La seconda quota interessi sarà quindi pari a € 3.413,96 (68.279,14*5/100).
E così via.
Si supponga ora che la stessa Istituzione Finanziaria, invece del presto unico di € 100.000,00 da pagare con tre Rate annue di € 36.720,86, proponga tre prestiti separati:
uno di € 34.972,24 da rimborsare dopo un anno pagando € 36.720,86,
uno di € 33.306,90 da rimborsare dopo due anni pagando € 36.720,86 senza pagamenti intermedi,
uno di € 31.720,86 da rimborsare dopo tre anni pagando € 36.720,86 senza pagamenti intermedi.
È evidente che per entrambe le parti non cambia nulla, il prestito è sempre di €100.000,00 (34,972,24+33.306,90+31.720,86) e i rimborsi saranno sempre di € 36.720,86 l'anno per tre anni.
Inoltre, anche i tre prestiti separati hanno il TAE al 5%.
Alla fine del primo anno:
la quota interessi relativa al primo prestito è pari a € 1.748,61 (34,972,24*5/100),
la quota interessi dell'anno relativa al secondo prestito è pari a € 1.665,34 (33.306,90*5/100),
la quota interessi relativa dell'anno al terzo prestito è pari a € 1.586,04 (31.720,86*5/100),
con la differenza (sostanziale) che, mentre la prima viene effettivamente pagata con il rimborso del prestito, le altre due non lo sono in quanto vanno ad inglobarsi nell'importo dovuto alla scadenza del relativo debito.
Quindi alla fine del primo anno a fronte di un pagamento di € 36.720,86 viene registrata una quota interessi di € 5.000,00 (1.748,61+1.665,34+1.586,04, la differenza di un centesimo è dovuta all'approssimazione ai centesimi).
Alla fine del secondo anno:
il primo debito (quello di € 34,972,24) è estinto e non produce, quindi, nuovi interessi
la quota interessi relativa al secondo prestito è pari a € 1.748,61 ((33.306,90+1.665,34)*5/100) che contiene evidentemente, un interesse calcolato sull'interesse maturato nell'anno precedente e non pagato,
la quota interessi relativa al terzo prestito è pari a € 1.665,34 ((31.720,86+1.586,04)*5/100) che, anche in questo caso contiene evidentemente, un interesse calcolato sull'interesse maturato nell'anno precedente e non pagato.
Quindi alla fine del secondo anno a fronte di un pagamento di € 36.720,86 viene registrata, per i due debiti restanti, una quota interessi di € 3.413,96 (1.748,61+1.665,34, anche in questo caso la differenza di un centesimo è dovuta all'approssimazione ai centesimi).
Alla fine del secondo anno si può apprezzare, senza ombra di dubbio, che l'importo di € 3.413,96 che appare come quota interessi al secondo anno nel Piano di Ammortamento del debito complessivo o come somma delle quote interessi relativi ai due debiti rimasti, contiene interessi su interessi già maturati, nella misura di € 162,57 (1.665,34+1.586,04)*5/100.
Lo stesso schema può essere utilizzato alla fine del terzo anno e con le stesse conclusioni.
In conclusione
In questo contributo si è cercato di mettere in luce, dal punto di vista matematico-finanziario, che quanto riportato al punto 13 della sentenza Cass. civ., sez. un., 29 maggio 2024, n. 15130 esaminata, non corrisponde al fenomeno reale. Computisticamente, quanto riportato è corretto, ma dal punto di vista della Matematica Finanziaria non lo è.
Il dispositivo finale della sentenza è però definitivamente corretto, anche dal punto di vista utilizzato in questo articolo, poiché la Capitalizzazione composta, come tutti i Regimi Finanziari, genera la produzione di interessi su interessi (per quanto detto al paragrafo "La maturazione matematica degli interessi") e, quindi, tale produzione risulta inevitabile.
Il dispositivo vale inoltre, per quanto detto sopra, per qualsiasi modalità di rimborso di un prestito e non solo perl’Ammortamento francese, che non è altro che un caso particolarissimo di un fenomeno di rimborso di carattere generale.
Nella realtà il costo annuo di un prestito è misurato dal TAE (indipendentemente dalla frequenza dei pagamenti, giornalieri, mensili, annuali, biennali, ecc.) che comunica in concreto che, per ogni 100 euro presi in prestito e utilizzati nell’anno, il costo di tale utilizzo è dato dal TAE stesso (espresso in forma percentuale).
Il TAN, molto utilizzato nella pratica operativa, comunica invece che, se i pagamenti sono mensili, il costo mensile dell’utilizzo del capitale preso in prestito è un dodicesimo del TAN; se i pagamenti sono trimestrali il costo trimestrale è un quarto del TAN, se i pagamenti sono biennali, il costo biennale è il doppio del TAN e così via.
Il TAE, come abbiamo già detto, è l’equivalente finanziario del TAN.
Sarebbe allora opportuno che il consumatore potesse scegliere diverse modalità di rimborso (esposte nel contributo) e, fermo restando il costo (TAE, che deriva dalle condizioni di mercato), il consumatore stesso potrebbe immediatamente comprendere la diversa cadenza di rimborso del capitale preso in prestito legata alla modalità di rimborso.
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Sommario
Analisi economico-finanziaria del rimborso a scadenza (capitale e interesse)