Furto di energia elettrica: la natura “valutativa” dell’aggravante del pubblico servizio richiede la sua verifica giudiziale

15 Novembre 2024

E la sua rituale contestazione.

Massima

In tema di furto di energia elettrica, la circostanza aggravante di cui all'art. 625, comma 1, n. 7, c.p. configurata dall'essere i beni oggetto di sottrazione destinati a pubblico servizio che rende il reato perseguibile d'ufficio ai sensi dell'art. 624, comma 3, c.p., come sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 150/2022, ha natura valutativa poiché impone una verifica di ordine giuridico sulla natura della res, sulla sua specifica destinazione e sul concetto di pubblico servizio, la cui nozione non esclude che essa possa considerarsi legittimamente contestata in fatto e ritenuta in sentenza qualora il capo di imputazione, anche in esito a contestazione suppletiva ad opera del pubblico ministero, contenga tutti gli elementi descrittivi e qualificativi che rendano pienamente esercitabili i diritti di difesa dell'imputato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto adeguatamente contestata l'aggravante in questione, in esito a contestazione suppletiva del P.M., riguardo a condotta di furto posta in essere mediante allaccio abusivo diretto alla rete di distribuzione dell'ente gestore, nel rilievo che essa garantisce l'erogazione di un “servizio” destinato a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare un'esigenza di rilevanza “pubblica”).

Il caso

Il tribunale monocratico di Catania dichiarava non doversi procedere per difetto di querela nei confronti di un imputato del delitto di furto aggravato di cui agli artt. 624 e 625, comma 1, nn. 2) e 7), c.p.

La contestazione riguardava la sottrazione di energia elettrica di cui il prevenuto – in tesi d'accusa – si era impossessato mediante allaccio diretto abusivo alla rete di distribuzione dell'ente erogatore.

L'aggravante della consumazione del furto su di un bene destinato a pubblico servizio o a pubblica utilità – che rende tutt'ora procedibile d'ufficio il delitto di furto – era stata contestata in udienza, mediante modifica dell'originaria imputazione ex art. 517 c.p.p. ma il tribunale aveva giudicato tardiva la contestazione suppletiva in quanto intervenuta in un momento successivo al maturare dell'improcedibilità del reato per lo spirare del termine (rinnovato: v. art. 85, comma 1, d.lgs. n. 150/2022) per la proposizione della querela (tre mesi dal 30 dicembre 2022: data di entrata in vigore della riforma Cartabia).

Avverso la suddetta sentenza, di cui chiedeva l'annullamento, proponeva ricorso immediato per cassazione il locale P.M., deducendo inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 516 ss. c.p.p., in considerazione del potere del pubblico ministero, sancito dall'art. 517 c.p.p., di procedere alla contestazione suppletiva, senza alcuna preclusione o limite temporale, apparendo dunque inconferente la scadenza, nella specie, del termine (rinnovato) per la proposizione della querela.

La Suprema corte, ritenendo adeguata la contestazione dell'aggravante in esame, idonea a rendere il reato perseguibile d'ufficio, ha accolto il ricorso della procura e annullato la sentenza impugnata con rinvio per il relativo giudizio.

La questione

La questione esaminata dalla sentenza annotata – che riattualizza un contrasto sincronico in seno alla giurisprudenza di legittimità sorto all'indomani dell'entrata in vigore della riforma Cartabia – riguarda il corretto esercizio del potere di contestazione (suppletiva), da parte del pubblico ministero (d'udienza), della circostanza aggravante della destinazione del bene a pubblico servizio di cui all'art. 625, comma 1, n. 7, c.p. che rende perseguibile d'ufficio il reato di furto ai sensi dell'art. 624, comma 3, c.p., come sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 150/2022.

Il dubbio trae origine dalla natura della circostanza de qua: se, infatti, la si considera auto-evidente, essa può ritenersi (implicitamente) contestata in fatto senza la necessità di una espressa formulazione nell'editto accusatorio (in questo senso: Cass. pen., sez. V, n. 2505/2023; Cass. pen., sez. IV, n. 49529/2023); se, invece, ha natura valutativa, non può prescindersi dalla sua esplicita contestazione e dalla verifica giudiziale di ordine giuridico sulla specifica destinazione della res (nella specie, il bene-energia elettrica) e sul concetto di pubblico servizio.

In quest'ultimo caso, si pone l'ulteriore problema, anch'esso peraltro frutto di oscillazioni giurisprudenziali: se nell'imputazione non è esposta la fattispecie aggravatrice in tutti i suoi elementi costitutivi, il P.M. (d'udienza) può procedere sempre alla modifica dell'imputazione mediante la contestazione in udienza dell'aggravante? Oppure il potere incontra delle preclusioni temporali nel caso dei reati divenuti perseguibili a querela per effetto delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 150/2022?

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione, con la sentenza in commento, ha inteso (ri)affermare il principio della natura valutativa della circostanza aggravante della destinazione del bene a un pubblico servizio senza escludere la possibilità di ritenerla (legittimamente) contestata in fatto, anche in esito a contestazione suppletiva (come avvenuto nella specie), in presenza di determinati presupposti.

La Corte regolatrice ha preso le mosse dalla sentenza Sorge delle Sezioni Unite penali che, in tema di falso in atto pubblico, ha ritenuto non legittimamente contestata, sì che non può essere ritenuta in sentenza dal giudice, la fattispecie aggravata di cui all'art. 476, comma 2, c.p., qualora nel capo d'imputazione non sia esposta la natura fidefacente dell'atto, o direttamente, o mediante l'impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l'indicazione della relativa norma (Cass. pen., sez. un., n. 24906/2019): in applicazione del principio, la Cassazione, nella sua più autorevole composizione, ha escluso che la mera indicazione dell'atto, in relazione al quale la condotta di falso è contestata, sia sufficiente a tal fine in quanto l'attribuzione ad esso della qualità di documento fidefacente costituisce il risultato di una valutazione.

Accanto alle circostanze “autoevidenti”, che si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità per le quali la loro indicazione nell'imputazione è sufficiente a rendere possibile l'adeguato diritto di difesa dell'imputato, ha spiegato il massimo consesso nomofilattico che esiste altra tipologia di circostanze aggravanti – e quella della destinazione del bene a pubblico servizio rientra tra queste – aventi natura valutativa nelle quali, in luogo dei fatti materiali o in aggiunta agli stessi, la previsione normativa include particolari connotazioni qualitative o quantitative che possono essere ritenute o meno ricorrenti nei singoli casi in base ad una verifica compiuta in primo luogo dal pubblico ministero nella formulazione dell'imputazione e, di seguito, sottoposta alla verifica del giudizio. Ove il risultato di questa valutazione non sia esplicitato nell'editto accusatorio, con la precisazione della ritenuta esistenza delle connotazioni di cui sopra, «la contestazione risulterà priva di una compiuta indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale» (Cass. pen., sez. un., n. 24906/2019).

Affermata la natura valutativa dell'aggravante in esame secondo i principi della sentenza Sorge, per il dictum in commento ciò che conta è verificare se il capo di imputazione è stato formulato con riferimento a quella serie di elementi – descrittivi e qualificativi – che rendono pienamente esercitabili i diritti di difesa dell'imputato, anche in relazione alla circostanza aggravante dell'essere stato, il bene sottratto, destinato a pubblico servizio (con conseguente sua perdurante procedibilità officiosa). Tale necessità deriva – ammonisce la Corte – non solo dalla inequivoca formulazione delle plurime norme codicistiche che descrivono le modalità con le quali deve essere effettuata («in forma chiara e precisa») la contestazione del fatto e delle sue aggravanti, ma anche e soprattutto dal livello di tutela convenzionale preteso al riguardo dall'art. 6, par. 3, lett. a), Convenzione EDU, laddove individua, tra i canoni dell'equo processo, quello che l'imputato sia reso edotto della prospettazione accusatoria formulata a suo carico in tutte le sue componenti, inclusi gli elementi accessori del fatto, presupposto indefettibile per l'esercizio fondamentale del diritto di difesa.

Nella fattispecie per cui è processo la Cassazione ha ritenuto tale scopo in concreto raggiunto avendo il P.M. – in esito alla modifica dell'imputazione – fatto esplicito riferimento alla condotta del furto di energia elettrica posto in essere in danno dell'ente gestore mediante allaccio abusivo diretto alla rete di distribuzione che fornisce un “servizio” destinato a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare un'evidente e oggettiva esigenza di rilevanza “pubblica”.

Osservazioni

Con la sentenza in commento il S.C. ha inteso uniformarsi a quella giurisprudenza di legittimità formatasi all'indomani dell'entrata in vigore della riforma Cartabia in tema di furto (aggravato) di energia elettrica secondo cui ha natura “valutativa” e non “autoevidente” la circostanza aggravante dell'essere il bene, oggetto di impossessamento, destinato a pubblico servizio, la cui nozione è dunque variabile «in quanto condizionata dalle mutevoli scelte del legislatore» (così Cass. pen., sez. V, n. 14890/2024) ovvero «in quanto fondata su considerazioni in diritto non rese palesi dal mero riferimento all'oggetto sottratto» (così Cass. pen., sez. V, n. 35873/2024); di qui l'affermata necessità – oggi ribadita dai Supremi giudici – che detta circostanza sia esposta in modo esplicito nel capo di imputazione, direttamente o mediante l'impiego di formule equivalenti, ovvero mediante l'indicazione della relativa norma di cui all'art. 625, comma 1, n. 7, c.p. (ex plurimis, Cass. pen., sez. V, n. 34061/2024; Cass. pen., sez. V, n. 3741/2024; Cass. pen., sez. IV, n. 46858/2023; Cass. pen., sez. V, n. 26511/2021).

Tale indirizzo – che sembra ormai maggioritario – è però smentito da altro coevo filone più “largheggiante” che, sempre in tema di furto di energia elettrica, reputa legittimamente contestata in fatto e ritenuta in sentenza, senza la necessità di una specifica e espressa formulazione, la circostanza aggravante di cui all'art. 625, comma 1, n. 7, c.p.; ciò in quanto la mera circostanza che il furto abbia ad oggetto l'energia elettrica «implica ineludibilmente e senza necessità di valutazioni di sorta la ricorrenza di un pubblico servizio, sicché l'attività svolta per l'impossessamento di essa, su qualsivoglia oggetto si rivolga al fine di operare la sottrazione, integra un fatto commesso cosa destinata a pubblico servizio» (Cass. pen., sez. V, n. 2505/2024: fattispecie in cui è stata ritenuta sufficiente l'indicazione, contenuta nel capo di imputazione, del furto di energia elettrica all'Enel, società che, pur se formalmente privata, gestisce su base nazionale, anche se non in forma di monopolio, il servizio pubblico di erogazione dell'energia; Cass. pen., sez. IV, n. 48529/2024, secondo la quale è configurabile l'aggravante dell'art. 625, comma 1, n. 7, c.p. indipendentemente dal nocumento arrecato alla fornitura in favore di altri utenti, rilevando non già l'esposizione alla pubblica fede dell'energia che transita nella rete, ma la sua destinazione finale a un pubblico servizio, dal quale viene così distolta; nello stesso senso, prima del d.lgs. n. 150/2022, Cass. pen., sez. V, n. 33824/2023).

L'indirizzo oggi ribadito appare più garantista e maggiormente aderente alla giurisprudenza massimamente nomofilattica suindicata. Invero, l'“autoevidenza” dell'elemento aggravatore non può farsi discendere dal carattere più o meno incontroverso dell'inquadramento di esso da parte della giurisprudenza: se così fosse – a parte la considerazione degli sviluppi a cui è sempre aperta l'interpretazione giurisprudenziale – nella sentenza Sorge le Sezioni Unite non sarebbero pervenute a riconoscere la necessità di contestazione ad hoc in relazione ad una serie di casi riportabili alla aggravante dell'art. 476, comma 2, c.p. (come quello del verbale redatto dalla p.g., o della autentica del notaio, atti pacificamente inquadrati dalla giurisprudenza nel novero di quelli fidefacenti); necessità che, invece, il giudice nomofilattico ha ricondotto alla qualità articolata delle questioni e del percorso logico/giuridico che l'aggravante è atta ad evocare, in linea di principio, nei confronti di tutti i protagonisti della vicenda processuale, primo fra i quali l'imputato il quale, nei gradi di merito, esercita in vari momenti anche difese personali.

D'altra parte, il parametro per riconoscere l'immediata percepibilità della portata giuridica aggravatrice insita nella evocazione di un fatto (o di un atto) è la sfera delle conoscenze dell'uomo medio e cioè la possibilità per tale agente di percepire con un ragionamento semplice e diretto, la natura dell'atto o comportamento contestati come capaci di rendere il fatto in esame, esposto ad una valutazione più severa (così già Cass. pen., sez. V, n. 14890/2024, cit.)

Quanto all'altra questione su cui pure esiste un contrasto nella giurisprudenza di legittimità successiva all'entrata in vigore della riforma Cartabia – se, cioè, in tema di reati divenuti procedibili a querela dal 30 dicembre 2022, ove sia decorso il termine trimestrale previsto dalla norma transitoria di cui all'art. 85 d.lgs. n. 150/2022 senza che sia stata proposta la querela, il giudice sia tenuto, ex art. 129 c.p.p., a pronunciare immediata sentenza di improcedibilità, oppure se il P.M. possa sempre procedere alla modifica dell'imputazione ex art. 517 c.p.p. mediante contestazione di un'aggravante (quale quella in disamina) che renda il reato procedibile d'ufficio – la sentenza in commento non ha preso (esplicita) posizione, ma ha implicitamente aderito alla giurisprudenza che ammette tale possibilità, nel rilievo che il magistrato requirente è investito, anche in difetto di sopravvenienze dibattimentali rilevanti a tale fine, del potere-dovere di esercitare l'azione penale per un reato correttamente circostanziato (ex plurimis: Cass. pen., sez. V, n. 33657/2024; Cass. pen., sez. IV, n. 17455/2024; Cass. pen., sez. IV, n. 14710/2024; Cass. pen., sez. V, n. 14890/2024; Cass. pen., sez. IV, n. 15098/2024; Cass. pen., sez. F., n. 43255/2023; Cass. pen., sez. IV, n. 14700/2024; Cass. pen., sez. IV, n. 50258/2023; contra, Cass. pen., sez. IV, n. 44157/2023; Cass. pen., sez. V, n. 3741/2024; Cass. pen., sez. V, n. 13775/2024; Cass. pen., sez. V, n. 20093/2024; nel senso che tale ipotesi dia luogo addirittura ad un'ipotesi di abuso del processo da parte del P.M., v. da ultimo Cass. pen., sez. IV, n. 27181/2024).

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