Extrapetita del consulente tecnico, motivazione della sentenza e principio del contraddittorio
18 Novembre 2024
Massima Una volta che le parti siano state messe nelle condizioni di interloquire, vuoi dal punto di vista tecnico nel corso della ctu, vuoi dal punto di vista più squisitamente giuridico negli snodi processuali a ciò deputati, il solo fatto che il ctu abbia svolto considerazioni tecniche esulanti dall’ambito oggettivo del quesito non integra un vizio di nullità della consulenza, restando da accertare se e in che modo il giudice si sia successivamente valso delle suddette considerazioni per giungere alla decisione. Il caso In estrema sintesi, trattasi di controversia sorta a seguito dell'incarico di progettazione per la costruzione di un opificio industriale per i danni conseguenti allo smottamento del terreno con conseguente pericolo di crollo del capannone con richiesta di risarcimento del danno. Con una prima sentenza non definitiva il Tribunale di Teramo, in adesione alle conclusioni della ctu, accertò la responsabilità di una sola delle parti e dispose la prosecuzione in giudizio per la chiamata in causa dell'appaltatrice degli scavi e per un supplemento di perizia sul quantum debeatur. Con sentenza definitiva il Tribunale condannò l'ingegnere soccombente in primo grado a corrispondere alla ricorrente una somma a titolo di risarcimento del danno, in quanto riconosciuto unico responsabile e la relativa compagnia assicuratrice a manlevare il convenuto fino al massimale di polizza. La sentenza fu impugnata dalla compagnia assicuratrice, mentre il soccombente e la committente proposero appello incidentale. In particolare, per quanto interessa ai fini della questione processuale, il soccombente, sul presupposto della nullità della ctu svolta in primo grado, per avere il consulente esorbitato dal quesito postogli, giungendo a ravvisare l'inadempimento del convenuto e il nesso causale tra lo stesso e gli eventi dannosi allegati dall'attore, chiese la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva affermato la sua responsabilità, da ascriversi, invece, alla committente e alle appaltatrici chiamate in causa e contestò la quantificazione del risarcimento, rettificata dallo stesso ctu in una somma minore. La Corte d'Appello de L'Aquila rigettò l'appello principale della compagnia assicuratrice e, quanto all'appello incidentale dell'ingegnere soccombente in primo grado, i giudici di secondo grado, pur convenendo sul fatto che il ctu avesse oltrepassato il perimetro del quesito, affermarono che in mancanza di violazioni del principio del contraddittorio, ciò non poteva determinare la nullità della consulenza che restava, quindi, liberamente valutabile nella sua interezza dal giudice. La questione Il ricorso proposto dal progettista soccombente in primo e secondo grado si fondava, in particolare, sulla nullità della sentenza per nullità della ctu ex art. 360, n. 4 c.p.c. Si deduceva che, a fronte di un quesito diretto all'accertamento della natura del terreno, il ctu avrebbe illegittimamente esteso l'ambito delle sue valutazioni al nesso eziologico tra la condotta colposa attribuita al progettista e direttore dei lavori e i danni lamentati dalla controricorrente, così violando il principio dispositivo, con conseguente nullità assoluta della ctu che avrebbe travolto la statuizione della sentenza sotto il profilo dell'an della responsabilità del progettista, sull'accertamento del nesso causale tra la condotta di questi e i danni strutturali lamentati e sulla conseguente domanda di risarcimento. Il motivo di ricorso, ritenuto infondato dalla Corte, era pertanto relativo alle conseguenze dello "sconfinamento" da parte del ctu del perimetro d'indagine rispetto al quesito postogli in termini di nullità della sentenza per nullità della ctu. Il richiamo, sia nella sentenza della Corte d'Appello che nella odierna sentenza dei giudici di legittimità, è al noto precedente delle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 1° gennaio 2022, n. 3086) secondo cui: «In materia di consulenza tecnica d'ufficio, l'accertamento di fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio, che il consulente nominato dal giudice accerti nel rispondere ai quesiti sottopostigli dal giudice, viola il principio della domanda ed il principio dispositivo ed è fonte di nullità assoluta rilevabile d'ufficio o, in difetto, di motivo di impugnazione da farsi valere ex art. 161 c.p.c.». In particolare, secondo la Corte d'Appello il ctu,nel caso di specie, pur avendo esteso le sue valutazioni oltre i limiti dei quesiti posti dal giudice, non aveva però violato il contraddittorio, perché le parti avevano potuto controdedurre sulle valutazioni espresse e sugli accertamenti eseguiti durante tutto il giudizio di primo grado e durante tutto lo svolgimento delle operazioni peritali; di conseguenza, non vi era stata alcuna violazione del contraddittorio o del principio dispositivo, unici veri limiti sostanziali all'operato del consulente tecnico d'ufficio secondo quanto affermato dalla citata Cass. civ., sez. un., 1° gennaio 2022, n. 3086. Ma la stessa Corte di legittimità, richiamando il precedente in questione, ribadisce che l'operato del ctu, che si inserisce in modo dinamico nell'ambito istruttorio del processo con funzione integrativa dell'operato del giudice, trova il suo limite nei principi su richiamati, ossia il principio dispositivo e il principio del contraddittorio. Quanto al principio dispositivo, secondo le Sezioni Unite (richiamate in parte qua dalla sentenza in commento), anche quando la consulenza da mezzo di valutazione della prova si evolva in mezzo di ricerca della prova ed in questa forma acquisisca la natura di fonte oggettiva di prova, essa non smarrisce mai il proprio radicamento nel campo della prova, perché se nella forma della consulenza c.d. "deducente" essa si esercita propriamente sul compendio probatorio, edificato dalle parti con lo scopo di offrine al giudice una lettura mediata dalla scienza del suo autore, nondimeno anche nella forma della consulenza c.d. "percipiente" il sostrato probatorio si rivela sempre indefettibile, vuoi perché è l'attività probatoria delle parti, che si mostra in qualche misura manchevole e ne giustifica l'espletamento, vuoi perché scopo di essa è colmare proprio quella lacuna ricercando la prova che le parti non sono state in grado di offrire. Valorizzando il processo come strumento diretto a garantire che l'interesse delle parti sia realizzato per il tramite di una pronuncia il più possibile “giusta”, le Sezioni Unite hanno però precisato che il ctu può acquisire fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa fatta valere in giudizio e può, all'interno dei poteri assegnatigli dall'art. 194 c.p.c., accertare liberamente i c.d. fatti secondari, dato che la giurisprudenza di legittimità, nell'esegesi della norma, ritiene che il ctu sia legittimato ad acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti demandatigli dal giudice, «sempre che si tratti di fatti accessori rientranti nell'ambito strettamente tecnico della consulenza e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse» (in termini Cass. civ., sez. II, 30 luglio 2021, n. 21926). Con riferimento alle conseguenze derivanti dall'eventuale eccedenza da parte del consulente rispetto ai poteri attribuitigli dalla legge, la sentenza in commento, sempre richiamando la nota Cass. civ., sez. un., 1° gennaio 2022, n. 3086, ricorda che queste ultime hanno richiamato la sanzione della nullità relativa, piuttosto che l'inammissibilità o l'inutilizzabilità, considerando che è di importanza cruciale che l'attività del consulente si svolga nell'assoluto rispetto del contraddittorio con le parti. Sicché, il mancato rispetto del contraddittorio tecnico provoca la lesione di un interesse delle parti che esse possono o meno far valere nei termini e nei modi previsti dall'art. 157, comma 2, c.p.c. (purché il ctu resti nell'ambito dei fatti “secondari”, perché qualora la sua extra-petizione riguardi fatti principali non dedotti dall'attore a fondamento della pretesa, la nullità dovrebbe essere assoluta e non relativa). Le soluzioni giuridiche Nel caso di specie, secondo la Corte, il ricorrente in Cassazione non ha lamentato un'indagine da parte del consulente su fatti principali non dedotti dall'attore né una violazione del contraddittorio tecnico né, tantomeno, l'acquisizione di documenti non prodotti dalle parti, ma piuttosto il fatto che il ctu abbia formulato giudizi e valutazioni critiche su alcuni profili relativi al thema decidendum non rientranti nel quesito formulato dal giudice o comunque rientranti nella sfera di valutazione del giudice stesso (come, ad esempio, il nesso di causalità tra l'inadempimento ascritto al progettista e lo smottamento del terreno su cui era stato edificato l'opificio). Ma tali considerazioni, afferma la Corte, rilevano nell'ambito dell'attività valutativa del giudice quali argomenti di prova e, quindi, sono liberamente utilizzabili nell'ambito della complessiva attività istruttoria svolta nel processo, con la conseguenza che il vero snodo cruciale è quello della motivazione della sentenza, cioè della coerenza della motivazione del giudice con cui questi acquisisca, ovvero “faccia proprie” le considerazioni, pur esorbitanti, svolte dal ctu. Secondo i giudici di legittimità, ove le parti siano state messe in grado di contraddire nell'ambito processuale a ciò deputato, il fatto che il ctu abbia effettuato valutazioni tecniche che esorbitano dal quesito ad esso posto non si verifica una nullità della consulenza, dovendosi spostare l'indagine sul se e in quale modo il giudice si sia avvalso di tali considerazioni per decidere, nell'ambito della motivazione della sentenza. Con l'ulteriore conseguenza che l'eventuale sovrapposizione delle conclusioni del giudice alle valutazioni tecniche ultronee effettuate dal c.t.u. - e comunque sottoposte al contraddittorio con le parti - implica che il vizio della consulenza tecnica non si traduca in una nullità processuale, ma venga in sostanza “assorbito” dall'operato del giudice, con la conseguenza che la sentenza, ove non affetta da vizi propri, non sia nulla per “derivazione” dalla nullità della consulenza. Osservazioni Il principio esposto nella sentenza in commento è sostanzialmente pacifico nella giurisprudenza di legittimità. Si è detto infatti che la consulenza tecnica d'ufficio è funzionale alla sola risoluzione di questioni di fatto che presuppongano cognizioni di ordine tecnico e non giuridico, sicché i consulenti tecnici non possono essere incaricati di accertamenti e valutazioni circa la qualificazione giuridica di fatti e la conformità al diritto di comportamenti né, ove una tale inammissibile valutazione sia stata comunque effettuata, di essa si deve tenere conto, a meno che non venga vagliata criticamente e sottoposta al dibattito processuale delle parti (Cass. civ., sez. lav., 22 gennaio 2016, n. 1186); si è detto, inoltre, che la consulenza tecnica è un mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito il quale, tuttavia, nell'ammettere il mezzo stesso, deve attenersi al limite ad esso intrinseco, consistente nella sua funzionalità alla risoluzione di questioni di fatto presupponenti cognizioni di ordine tecnico e non giuridico. Pertanto il giudice, qualora erroneamente affidi al consulente lo svolgimento di accertamenti e la formulazione di valutazioni giuridiche o di merito inammissibili, non può risolvere la controversia in base ad un richiamo alle conclusioni del consulente stesso, ma può condividerle soltanto ove formuli una propria autonoma motivazione basata sulla valutazione degli elementi di prova legittimamente acquisiti al processo e dia sufficiente ragione del proprio convincimento, tenendo conto delle contrarie deduzioni delle parti che siano sufficientemente specifiche (nella specie, il giudice di merito aveva fatto riferimento alle argomentazioni del consulente tecnico d'ufficio riguardo alla sussistenza dei presupposti del diritto di un dipendente delle Ferrovie dello Stato ad una superiore qualifica, concretamente consistenti nella vacanza del posto e nella proroga della validità di una graduatoria di merito degli accertamenti professionali: Cass. civ., sez. lav., 4 febbraio 1999 n. 996). In termini si possono confrontare anche: Cass. civ. sez. II, 15 gennaio 1997, n. 342; Cass. civ., sez. II, 16 dicembre 1986, n. 7557; Cass. civ., 6 marzo 1984, n. 1567; Cass. civ., 9 giugno 1983, n. 3950; Cass. civ., 18 gennaio 1983, n. 453. |