Il c.d. mutuo solutorio davanti alle Sezioni Unite

26 Novembre 2024

La Cassazione, con ordinanza interlocutoria, chiede l’assegnazione alle Sezioni Unite di una dibattuta questione in materia di mutuo solutorio.

Massima

Occorre disporre la trasmissione degli atti alla Prima Presidente, affinché possa valutare l'opportunità di assegnare la causa alle Sezioni Unite, per la soluzione del seguente contrasto giurisprudenziale: se sia corretto ritenere che il ripianamento delle precedenti passività eseguito dalla banca autonomamente e immediatamente con operazione di giroconto soddisfi il requisito della disponibilità giuridica della somma a favore del mutuatario, per cui il ripianamento delle passività abbia costituito una modalità di impiego dell'importo mutuato entrato nella disponibilità del mutuatario; in caso di risposta positiva, se in tale ipotesi il contratto di mutuo possa costituire anche titolo esecutivo.

Il caso

La vicenda trae origine dal ricorso monitorio, con il quale un istituto di credito chiedeva il pagamento del saldo negativo di un conto corrente assistito da ipoteca. Emesso il decreto ingiuntivo richiesto, proponevano opposizione il mutuatario ed il garante, denunziando il comportamento illegittimo della banca che, nel corso del tempo, aveva concesso ben cinque mutui (il primo ipotecario nel 1990, il secondo ipotecario nel 1995, due nel 1998, dei quali uno chirografario e l'altro ipotecario, e l'ultimo nel 2000) sempre regolati su conti correnti ipotecari, erogando solo apparentemente le somme, considerato che le stesse non erano mai uscite dalle casse dell'asserita mutuante, ma erano state utilizzate per pagare il debito già maturato, per capitale ed interessi, derivante da precedenti mutui ed aperture di credito.

Accolta parzialmente l'opposizione, in sede di gravame l'appello interposto dagli originari opponenti veniva integralmente respinto. In particolare, l'asserita nullità del contratto di mutuo era ritenuta infondata, poiché non era stato contestato che le somme mutuate erano state accreditate (e, dunque, consegnate) sul conto corrente, accredito che equivale alla consegna prevista dall'art. 1813 c.c.; l'utilizzo, da parte del mutuatario, della somma per estinguere precedenti passività non escludeva l'avvenuta consegna e, anzi, dimostrava l'esistenza di una causa concreta del negozio; il mutuo fondiario non costituiva un mutuo di scopo perché nessuna disposizione imponeva una specifica destinazione del finanziamento e i precedenti debiti estinti avevano la medesima garanzia ipotecaria, non ricorrendo neppure l'ipotesi di frode ai creditori e di revocabilità dell'atto.

Proposto ricorso per cassazione, la Corte ha, con l'ordinanza in commento, rimesso gli atti al Primo Presidente al fine di valutare l'assegnazione della controversia alle sezioni unite (come poi effettivamente avvenuto) al fine di sottoporre il seguente quesito: “se sia corretto ritenere che il ripianamento delle precedenti passività, eseguito dalla banca autonomamente e immediatamente con operazione di giroconto, soddisfi il requisito della disponibilità giuridica della somma a favore del mutuatario, per cui il ripianamento delle passività abbia costituito una modalità di impiego dell'importo mutuato entrato nella disponibilità del mutuatario; in caso di risposta positiva, se in tale ipotesi il contratto di mutuo possa costituire anche titolo esecutivo”.

La questione

Il cd. mutuo solutorio rientra nell'ambito delle operazioni finalizzate alla garanzia dei crediti pregressi. Nella prativa, infatti, tale tipologia di contratto ricorre quando una banca o un istituto di credito concedono un prestito garantito, con il quale il mutuatario provvede all'estinzione di una precedente esposizione debitoria nei confronti del medesimo istituto mutuante ovvero di terzi. Solitamente, i mutui solutori vengono stipulati per garantire posizioni debitorie pregresse non sufficientemente garantite. La concessione della somma viene accompagnata da forme di garanzie quali, ad esempio, l'ipoteca sui beni immobili di proprietà del debitore (Mongiello, 2) e, in molti casi, anche da una rimodulazione di alcune clausole accessorie. 

L'ordinanza interlocutoria, pur non prendendo specificatamente parte per l'uno o l'altro orientamento, dà specifico conto dei diversi indirizzi giurisprudenziali maturati in ordine alla validità o meno del c.d. mutuo solutorio.

In particolare, secondo un orientamento che ha trovato cristallizzazione in alcune decisioni della giurisprudenza di legittimità tra il 2019 ed il 2021, l'utilizzo di somme da parte di un istituto di credito per ripianare la pregressa esposizione debitoria del correntista, con contestuale costituzione in favore della banca di una garanzia reale, costituisce un'operazione meramente contabile in dare ed avere sul conto corrente, non inquadrabile nel mutuo ipotecario, il quale presuppone sempre l'avvenuta consegna del denaro dal mutuante al mutuatario; tale operazione determina di regola gli effetti del pactum de non petendo ad tempus, restando modificato soltanto il termine per l'adempimento, senza alcuna novazione dell'originaria obbligazione del correntista (Cass., 25 gennaio 2021, n. 1517; Cass., 5 agosto 2019, n. 20896).

In tale prospettiva, dunque, la struttura contrattuale del mutuo implica la consegna delle somme di denaro che ne costituiscono oggetto, che, pur potendosi realizzare anche con forme assai rarefatte, deve comunque realizzare il passaggio del denaro dal mutuante al mutuatario, attraverso il transito dal patrimonio dell'uno al patrimonio dell'altro, comportandone il conseguente passaggio di proprietà (art. 1814 c.c.), con la connessa, acquisita loro disponibilità ex art. 832 c.c. da parte di quest'ultimo. Senza il compimento di un simile passaggio, non potrebbe neppure ipotizzarsi la sussistenza dell'obbligo di restituzione, che la parte finale della disposizione dell'art. 1813 c.c. pone in capo al mutuatario.

Tali spostamenti di denaro, trasferimenti patrimoniali e consegne, invece, non si realizzano nel c.d. mutuo solutorio, in cui il "ripianamento" di un debito a mezzo di nuovo "credito" - che la banca già creditrice realizzi mediante accredito della somma su un conto corrente gravato di debito a carico del cliente - viene propriamente a sostanziare un'operazione di natura meramente contabile, attraverso una coppia di poste nel conto corrente - una in "dare", l'altra in "avere" - volta a dare corpo ed espressione a una simile dimensione. Escluso, dunque, ogni tratto di erogazione di somme a credito, l'operazione in discorso si mostra come una fattispecie di mero differimento del tempo di esecuzione della prestazione dovuta, venendo in realtà a concretizzare la figura del pactum de non petendo ad tempus, inidoneo tuttavia a comportare una novazione del rapporto, configurandosi, invece, come semplice "modificazione accessoria dell'obbligazione". Ancora conseguentemente, tale accordo (il pactum de non petendo ad tempus) non costituisce titolo esecutivo ed è inidoneo a supportare - da solo - una domanda di ammissione al passivo che abbia ad oggetto la restituzione di somme di danaro.

A fronte di tale orientamento, si contrappone il tradizionale indirizzo maggioritario, che, sulla base di lontani precedenti (Cass., 12 ottobre 1992, n. 11116) poi ripresi dopo la “stagione” 2019-2021 (cfr., per tutte, Cass., 25 luglio 2022, n. 23149), ritiene valido il c.d. mutuo solutorio, in quanto non contrario né alla legge, né all'ordine pubblico. Alla base di un simile indirizzo, vi è la constatazione che il perfezionamento del contratto di mutuo, con la consequenziale nascita dell'obbligo di restituzione a carico del mutuatario, si verifica nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non consegnata materialmente, sia posta nella disponibilità del mutuatario medesimo, non rilevando, a detto fine, che sia previsto l'obbligo di utilizzare quella somma a estinzione di altra posizione debitoria verso il mutuante (così, già, Cass., 8 marzo 1999, n. 1945). Il mutuo solutorio, quindi, non può essere qualificato come una mera dilazione del termine di pagamento del debito preesistente oppure quale pactum de non petendo in ragione della pretesa mancanza di un effettivo spostamento di denaro, poiché l'accredito in conto corrente delle somme erogate è sufficiente ad integrare la datio rei giuridica propria del mutuo e l'impiego delle stesse per l'estinzione del debito già esistente purga il patrimonio del mutuatario di una posta negativa.

In questa prospettiva, si afferma, da un lato, che il ripianamento delle passività costituisce una delle possibili modalità di impiego della somma mutuata che non incide sulla nullità del contratto (Cass., 30 novembre 2021, n. 37654) e, dall'altro, che il ricorso al credito come mezzo di ristrutturazione del debito è previsto dalla stessa normativa vigente (all'epoca, gli artt. 182-bis e 182-quater l.fall. Sul punto, anche, Cass., 22 febbraio 2021, n. 4694). Più in generale, secondo tale orientamento, il negozio lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non può considerarsi di per sé illecito dal momento che, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, l'ordinamento appresta rimedi speciali e la sanzione dell'inefficacia (sul punto, Cass., 31 ottobre 2014, n. 23158; Cass., 11 ottobre 2013, n. 23158; Cass., 4 ottobre 2010, n. 20576). D'altra parte, la violazione di una norma imperativa non dà luogo necessariamente alla nullità del contratto (Cass., 22 gennaio 2021, n. 4694).

Si afferma, poi, che lo scopo del finanziamento non entra nella causa del contratto, che è data dall'immediata disponibilità di denaro a fronte della concessione di garanzia ipotecaria immobiliare o della modificazione di altre condizioni contrattuali, con restituzione della somme oltre il breve termine, laddove, invece, nel mutuo di scopo, legale o convenzionale, la destinazione delle somme mutuate è parte inscindibile del regolamento di interessi e l'impegno assunto dal mutuatario ha rilevanza corrispettiva nell'attribuzione della somma, quindi rilievo causale nell'economia del contratto (Cass., 12 settembre 2014, n. 19282).

Osservazioni

Così sinteticamente riportati i due orientamenti che si contrappongono in ordine alla validità del c.d. mutuo solutorio, l'orientamento tradizionale sembra maggiormente convincente.

In effetti, come pure è stato efficacemente sottolineato nella giurisprudenza (cfr., Cass., 25 luglio 2022, n. 23149, cit., in motivazione), il contrario indirizzo si fonda su un (unico) assunto, riassumibile nell'affermazione che il mutuo solutorio costituisce un pactum de non petendo, perché in esso non vi è un reale spostamento di denaro dal patrimonio del mutuante a quello del mutuatario.

Ma è proprio questo fondamento che viene a vacillare se si osserva più da vicino l'operazione contrattuale in esame.

Ed infatti, la traditio non deve essere necessariamente fisica, ma può essere anche soltanto giuridica, con la conseguenza che, al fine della sua realizzazione, l'accredito sul conto corrente del mutuatario realizza di per sé la condizione necessaria e sufficiente (sulla datio rei giuridica, Cass., 30 novembre 2021, n. 37654; Cass., 8 marzo 1999, n. 1945). Sotto altro profilo, componendosi il patrimonio di ogni soggetto di beni materiali, beni immateriali e crediti, chi usa il denaro ricevuto in mutuo per estinguere un debito verso il mutuante purga il proprio patrimonio di una posta negativa. In questa prospettiva, se muta la consistenza del patrimonio del mutuatario, appare evidente che uno «spostamento di denaro» deve essersi necessariamente verificato.

Ancora, se si ha riguardo al concreto atteggiarsi dell'operazione, proprio la pattuizione che assegna al mutuante l'incarico di utilizzare la somma mutuata per ripianare pregresse perdite consente di affermare che sia stato il mutuatario a disporre (attraverso il conferimento di quell'incarico) delle somme medesime.  D'altra parte, come è stato efficacemente affermato in dottrina, la traditio della somma deve essere causalmente distinta rispetto al reimpiego della stessa per ripianare l'esposizione debitoria in essere con il mutuante (Errigo, 2333). L'utilizzo della somma, infatti, non attiene al momento genetico del contratto di mutuo e non ne caratterizza la causa, ma, quale elemento logicamente successivo, si pone nella fase esecutiva di esso. Mentre il contratto di mutuo è da intendersi concluso con il conseguimento della disponibilità giuridica della somma, a prescindere dal successivo conferimento delle somme, la destinazione di quella somma è manifestazione di un differente interesse che sorregge un atto ulteriore, autonomo sia pure collegato al primo (Errigo, ivi).

Sempre in giurisprudenza, poi, sotto altro profilo, è stato fatto notare che sostenere che il mutuo solutorio esuli dalla «natura tipologica» del contratto di mutuo, riducendosi ad una «partita contabile», è affermazione che prova troppo: in epoca di moneta elettronica, infatti, qualsiasi solutio si riduce ad una "partita contabile", come ad es., il pagamento eseguito con carta di credito, carta di debito, carta revolving o PayPal. Tutti questi atti solutori si sostanziano in una mera annotazione contabile o, al limite, in una delegatio solvendi (sul punto, Cass., 3 dicembre 2021, n. 38331, secondo la quale la progressiva dematerializzazione dei valori mobiliari e la loro sostituzione con annotazioni contabili, nonché la normativa antiriciclaggio e le altre misure tese a limitare l'uso di contante nelle transazioni commerciali, hanno accentuato l'utilizzo di strumenti alternativi al trasferimento di danaro).

D'altra parte, anche dal punto di vista pratico, l'opinione qui contrastata manifesta la sua fragilità. Infatti, nella prassi, avviene spesso che l'operazione in esame sia accompagnata non solo, o non tanto, dalla concessione di una garanzia, quale l'ipoteca, ma da ulteriori modificazioni dell'originario rapporto. In particolare, vengono spesso modificati i tassi di interessi, le modalità di restituzione della somma mutuata (non solo le scadenze finali, ma anche la periodicità), gli accessori o altre garanzie personali. In tutti questi casi, appare evidente l'eccentricità dell'operazione, complessivamente intesa, rispetto ad un mero pactum de non petendo.  

Infine, appare importante un'ultima riflessione in ordine agli abusi cui può dar luogo la ristrutturazione del debito attraverso la richiesta e l'ottenimento di un nuovo mutuo.

È certamente vero che la concessione di un mutuo c.d. solutorio può, nel singolo caso, celare un atto in frode dei creditori o un mezzo anomalo di pagamento, ma, come spesso avviene in istituti diversissimi tra loro, un conto è la qualificazione (eventualmente, anche solo astratta) dell'operazione negoziale e, quindi, il giudizio sulla validità di quest'ultima, altra cosa è l'abuso che di un istituto le parti possono mettere concretamente in pratica. Quest'ultimo profilo trova il proprio compendio rimediale non già attraverso una tutela «reale», che infici, attraverso la qualificazione in termini di nullità, il contratto, ma attraverso ulteriori strumenti garantiti dall'ordinamento, quale, nel caso in esame, ad es., la revocabilità del pagamento (in questo senso, ancorché in termini non del tutto coincidenti, in motivazione, Cass., 25 luglio 2022, n. 23149) ovvero l'inefficacia delle garanzie abusivamente concesse. Più nel dettaglio, si afferma che la stipulazione di un contratto di mutuo con la contestuale concessione d'ipoteca sui beni del mutuatario, ove non risulti destinata a procurare a quest'ultimo un'effettiva disponibilità, essendo egli già debitore in virtù di un rapporto obbligatorio non assistito da garanzia reale, è revocabile, in presenza dei relativi presupposti, in quanto diretta, per un verso, ad estinguere con mezzi anormali la precedente obbligazione e, per altro verso, a costituire una garanzia per il debito preesistente, dovendosi ravvisare il vantaggio conseguito dalla banca non già nella stipulazione del negozio in sé, ma nell'impiego dello stesso come mezzo per la ristrutturazione di un passivo almeno in parte diverso (Cass., 22 febbraio 2021, n. 4694).

Conclusioni

L'ordinanza interlocutoria in commento ripropone il dibattito attorno al c.d. mutuo solutorio, che, a seguito di alcune recenti pronunzie (Cass., 9 giugno 2023, n. 16377 e, in particolare, Cass., 25 luglio 2022, n. 23149), sembrava oramai sopito. Nel precedente paragrafo si sono esposte le ragioni che fanno propendere per la soluzione, radicata nel tempo, della validità dell'operazione negoziale, con la quale le parti provvedano alla stipulazione di un nuovo mutuo con la finalità di ripianare perdite pregresse del mutuatario.

È, però, opportuna, in questa sede, una riflessione conclusiva, della quale si trova già traccia nella più volte menzionata, Cass., 25 luglio 2022, n. 23149. Come è stato efficacemente scritto, la tesi del pactum non petendo mortifica la libertà negoziale delle parti, negando loro la facoltà di stipulare accordi di ristrutturazione atipici: la novazione oggettiva o la dilazione del pagamento, infatti, sono istituti previsti dall'ordinamento, cui le parti potrebbero tranquillamente ricorrere. Se non lo fanno, e preferiscono ricorrere ad un mutuo solutorio, tale scelta costituisce un esercizio di libertà negoziale da tutelare, e non da sopprimere.

Spetterà, quindi al massimo organo nomofilattico porre fine al dibattito sul profilo solutorio del contratto di mutuo, decidendo se possa dirsi garantita la messa a disposizione della somma mutuata allorquando quest'ultima transiti soltanto per il conto corrente del mutuatario e venga immediatamente destinata al ripianamento di pregresse perdite. L'intervento, inoltre, potrà essere utile anche per aggiungere qualche tassello importante in ordine alla “natura” stessa del contratto di mutuo e, ancora più in radice, in ordine alla effettiva libertà delle parti ed i limiti entro cui le stesse possono esercitare la loro libertà negoziale.  

Guida all'approfondimento

L'ordinanza in commento è stata pubblicata su Foro it., 2024, I, 9, 2329 con nota di E. Errigo, Disponibilità giuridica delle somme ed efficacia esecutiva nel mutuo solutorio e nel mutuo condizionato.

Tra i numerosi scritti in tema di mutuo solutorio, si segnalano:

  • E. Bacciardi, Mutuo solutorio e causa concreta del contratto, in Nuova giur. civ. comm., 2020, 4, 924;
  • F. Cappai, La non facile qualificazione delle operazioni di “ripianamento” di debiti pregressi a mezzo di nuovo “credito”, in Banca, borsa, tit. cred., 2021, 6, 817;
  • G.B. Fauceglia, Note sul mutuo di scopo volontario finalizzato alla definizione di precedenti esposizioni bancarie (nota a Corte App. Bari, 11 aprile 2014), in Banca, borsa, tit. cred., 2015, 540;
  • F. Fiorucci, Ripianamento di debiti pregressi mediante l'erogazione di un nuovo credito ipotecario (nota a Cass., sez. I, 25 gennaio 2021, n. 1517), in questo portale;
  • T. Mauceri, Mutuo fondiario e violazione di norme imperative, Napoli, 2024;
  • L. Mongiello, La questione della liceità del mutuo solutorio: l'attuale contrasto nella giurisprudenza di legittimità in un percorso evolutivo dalla fine degli anni 90, in Ilcaso.it;
  • S. Pagliantini, Il mutuo fondiario solutorio e l'ambaradan delle categorie civilistiche, in Corr. giur., 2016, 7, 952;
  • R. Pezzella, Mutuo destinato a ripianare un debito pregresso: contratto autonomo o pactum de non petendo ad tempus? (nota a Cass., sez. III, 25 luglio 2022, n. 23149), in Giustiziacivile.com, 2022.

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