La sottrazione del cortile alla sua destinazione non comporta la perdita del requisito della condominialità

02 Dicembre 2024

La sottrazione di un'area cortilizia al comune godimento prima che venisse costituito il condominio con la compravendita degli appartamenti non esclude la successiva presunzione di condominialità del cortile quale parte comune. Difatti, in tal caso, la sottrazione dell'area non muta le caratteristiche proprie di uno spazio la cui funzione essenziale è quella di fornire aria e luce agli edifici condominiali prospicienti.

Il caso

Gli attori adivano il giudice al fine di accertare la comproprietà dell'area cortilizia adibita a parcheggio a uso pubblico a pagamento, illegittimamente gestito da una società e, quindi, l'abusiva occupazione.

Secondo il giudice di primo grado, la proprietà del cortile era da ascriversi all'ente (INPS) e che il cortile era stato adibito a parcheggio pubblico sin dal 1971 e, quindi, ben prima che fosse costituito il condominio mediante la stipula dell'atto costitutivo e la vendita delle singole unità immobiliari. La Corte territoriale, invece, accertava che l'area cortilizia costituiva parte comune dei fabbricati.

Avverso il provvedimento in commento, l'Ente pubblico proponeva ricorso per cassazione evidenziando, tra i vari motivi, che nell'interpretazione giurisprudenziale consolidata dell'art. 1117 c.c., la presunzione di condominialità posta dalla norma opera anche quando si tratti di bene che per motivi strutturali o funzionali, o per l'uso cui era stato adibito dall'originario proprietario, non risulti destinato a servizio dell'edificio condominiale.

La parte ricorrente, inoltre, evidenziava che il trasferimento delle unità immobiliari in questione in favore degli aggiudicatari succedeva ad una procedura pubblica, dalla quale non si poteva prescindere per interpretare il contratto, in quanto era attraverso di questa che si formava la volontà del soggetto pubblico.

La presunzione di condominialità

Il giudice di primo grado aveva escluso la presunzione di cui all'art. 1117 c.c. poiché l'area cortilizia era stata da decenni sottratta al comune godimento e data in locazione a terzi, sin da prima che venisse costituito il condominio con la compravendita degli appartamenti. Secondo la Corte d'Appello, ciò non era sufficiente ad individuare un'obiettiva caratteristica tale da far venir meno la natura di bene comune. Infatti, non poteva rilevare ad escludere la contitolarità necessaria ex art. 1117 c.c. il fatto che l'area controversa fosse stata per decenni adibita a parcheggio, in quanto ciò non aveva mutato le caratteristiche proprie di uno spazio la cui funzione essenziale era quella di fornire aria e luce agli edifici condominiali prospicienti. Inoltre, era pacifico che in nessuno degli atti di vendita delle porzioni immobiliari in questione era contenuta una espressa esclusione dell'area dalle parti comuni, emergendo piuttosto la consueta clausola secondo cui la proprietà era ceduta con tutti i diritti e gli obblighi nonché le servitù attive e passive.

La funzione del cortile

La Corte d'Appello aveva accertato che l'area costituiva distacco tra gli edifici ed aveva primaria funzione di fornire luce ed aria agli edifici prospicienti e, pertanto, non presentava caratteristiche strutturali idonee a superare il criterio attributivo della proprietà comune previsto dall'art. 1117 c.c. 

Anche secondo i giudici di legittimità, il fatto che l'area era stata adibita a parcheggio a favore della proprietà dell'odierno ente ricorrente non era decisivo, non essendo idonea a modificare le caratteristiche strutturali intrinseche del bene. Del resto, come già indicato dalla Corte territoriale, il medesimo utilizzo a parcheggio ben può avvenire a favore dei condomini e la sottrazione dell'area alla sua destinazione non è elemento che ai sensi dell'art. 1117 c.c. può comportare la perdita del requisito della condominialità, dovendosi far riferimento alle caratteristiche intrinseche del bene e non alla sua destinazione funzionale che può mutare in relazione al diverso utilizzo che i condomini o il proprietario intenda farne.

L'interpretazione del contratto

Nell'interpretazione dei contratti di diritto privato stipulati da enti pubblici, la volontà degli enti dev'essere desunta esclusivamente dal contenuto dell'atto, interpretato secondo i canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non potendosi fare ricorso alle deliberazioni degli organi competenti, le quali, essendo atti estranei al documento contrattuale, assumono rilievo ai soli fini del procedimento di formazione della volontà, attenendo alla fase preparatoria del negozio e risultando pertanto prive di valore interpretativo o ricognitivo delle clausole negoziali, a meno che non siano espressamente richiamate dalle parti; né può aversi riguardo, per la determinazione della comune intenzione delle parti ex art. 1362, comma 2, c.c., alle deliberazioni adottate da uno degli enti successivamente alla conclusione del contratto ed attinenti alla fase esecutiva del rapporto, in quanto aventi carattere unilaterale.

Premesso ciò, in riferimento al caso di specie, salvo che dal titolo non risulti una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente la proprietà delle parti comuni, in caso di frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento di alcune unità immobiliari dall'originario unico proprietario ad altri soggetti, si determina una situazione di condominio per la quale vige la presunzione legale di comunione pro indiviso di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano  destinate all'uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso.

In conclusione, il ricorso dell'Ente pubblico è stato rigettato.

(fonte: dirittoegiustizia.it)

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