Una finestra con le inferriate può essere considerata solo come “luce” e mai come “veduta”
03 Dicembre 2024
Il caso I proprietari di un immobile convenivano in giudizio i vicini di casa al fine di ottenere la regolarizzazione di due aperture site su un muro di quest'ultimi, sito al confine tra le due proprietà. Tali aperture erano qualificate dagli attori come luci ai sensi dell'art. 901 c.c. A tal fine, gli attori affermavano che le aperture avessero i requisiti di cui alla predetta norma, ossia «[…] 1) essere munite di un'inferriata idonea a garantire la sicurezza del vicino e di una grata fissa in metallo le cui maglie non siano maggiori di tre centimetri quadrati; 2) avere il lato inferiore a un'altezza non minore di due metri e mezzo dal pavimento o dal suolo del luogo al quale si vuole dare luce e aria, se esse sono al piano terreno, e non minore di due metri se sono ai piani superiori; 3) avere il lato inferiore a un'altezza non minore di due metri e mezzo dal suolo del fondo vicino, a meno che si tratti di locale che sia in tutto o in parte a livello inferiore al suolo del vicino e la condizione dei luoghi non consenta di osservare l'altezza stessa». Si costituivano in giudizio i vicini di casa, affermando come le due aperture non fossero in realtà qualificabili come mere luci, ma come vedute, essendo utilizzate anche per guardare fuori e non solo per attingere a luce e aria. Ai sensi dell'art. 902 c.c., infatti, «l'apertura che non ha i caratteri di veduta o di prospetto è considerata come luce, anche se non sono state osservate le prescrizioni indicate dall'art. 901» e chiaramente, di contro, l'apertura con tali caratteristiche poteva a buon diritto essere considerata come una veduta. Essi, inoltre, affermavano la regolarità delle predette vedute per intervenuta usucapione ventennale del relativo diritto di servitù. Sia il giudice di primo grado, che quello di appello, rigettavano la domanda attorea e riconoscevano il diritto dei convenuti a mantenere le vedute così come erano, avendo loro maturato per usucapione il citato diritto di servitù. La sentenza della Corte d'appello veniva, a tal punto, impugnata dagli originari attori, che depositavano ricorso per cassazione. La Corte di Cassazione pronuncia ordinanza di rinvio del giudizio alla fase di merito Il ricorso degli originari attori era, in sintesi, incentrato sulla censura della decisione di appello per non avere correttamente valutato le aperture come luci irregolari, e di averle erroneamente identificate come vedute. Nel decidere la questione la Cassazione principiava spiegando come la censura degli attori non fosse limitata dalla richiesta di una nuova valutazione del giudizio di merito, ma fosse invece volta a sollevare la questione dell'errata applicazione della legge da parte del giudice del riesame. In Corte di Cassazione, difatti, non è ammessa una richiesta di valutazione del merito del giudizio, che non spetta al giudice di legittimità, ma solo a quello di merito. Propria, invece, del ruolo degli Ermellini è la valutazione della corretta o meno applicazione della legge da parte del giudice d'appello. Nel presente caso la valutazione era di una non corretta applicazione dei principi del codice civile. Secondo la Cassazione, infatti, sarebbe stata errata la valutazione del giudice di appello, che aveva qualificato come vedute le aperture poste sul muro dei convenuti. Dette aperture, infatti, erano munite di inferriate e non rendevano in alcun modo possibile l'affaccio (ossia la citata prospectio), ma solo la visione frontale o al massimo diagonale. La Cassazione, quindi, evidenziava la presenza di una corrente giurisprudenziale prevalente che, a far data dalla decisione Cass., sez. un., 28 novembre 1996, n. 10615, al fine di qualificare una veduta come tale deve essere presente oltre al requisito della inspectio, anche quello della prospectio. Il Collegio, con l'ordinanza numero 29752 del 19 novembre 2024, accoglieva il ricorso e rinviava il giudizio per una nuova valutazione nel merito, indicando al Giudice di appello di incentrare la decisione sui principi poc'anzi riportati. Il principio giuridico al quale il decidente avrebbe dovuto orientare la propria decisione era che la natura di veduta o luce irregolare doveva sì esser accertata dal giudice di merito, ma sulla base delle oggettive caratteristiche della apertura e – conseguentemente – era irrilevante l'intenzione del suo autore o la finalità dallo stesso perseguita: se un'apertura non consentiva la prospectio nel fondo del vicino, allora questa doveva essere considerata come una luce ed essendo una servitù negativa e non apparente, non poteva essere usucapita basando ciò sulla mera tolleranza del vicino di casa. La decisione veniva così rinviata alla Corte d'appello per una nuova valutazione nel merito. (fonte: dirittoegiustizia.it) |