TAEG e clausola floor nei contratti di finanziamento

09 Dicembre 2024

Il contributo esamina il tema del Tasso Annuo Effettivo Globale (TAEG) e della clausola floor nei contratti di finanziamento, con particolare attenzione al dibattito giurisprudenziale in corso. L'analisi mira a fornire una panoramica esaustiva delle problematiche più dibattute (come il trattamento del TAEG nei contratti di finanziamento stipulati da soggetti non consumatori, la vessatorietà della clausola floor e la sua eventuale qualificazione come derivato finanziario). L'obiettivo è quello di delineare linee guida pratico-professionali utili per i professionisti del settore.

1.  Il Tasso Annuale Effettivo Globale (TAEG)

Il Tasso Annuale Effettivo Globale (di seguito TAEG) rappresenta lo strumento principale di trasparenza nei contratti di credito al consumo. È un indice armonizzato a livello comunitario che nelle operazioni di credito al consumo rappresenta il costo totale del credito a carico del consumatore, comprensivo degli interessi e di tutti gli altri oneri da sostenere per l'utilizzazione del credito stesso (Cass. 15 febbraio 2023 n. 4697, Cass. 9 dicembre 2021 n. 39169).

Sono esclusi dal calcolo del TAEG gli interessi di mora e le altre penali previste in conseguenza dell'inadempimento, in quanto estranei al programma di regolare esecuzione del contratto di credito, nonché la commissione di anticipata estinzione, in quanto costo legato a vicende anomale del finanziamento (Trib. Firenze 1 marzo 2023 n. 612, Trib. Roma 12 febbraio 2022).

Il TAEG è espresso in percentuale del credito concesso e su base annua.

Del tutto assimilabile al TAEG è l'Indicatore Sintetico di Costo (ISC), che costituisce anch'esso una sintetica misura del costo complessivo del finanziamento, calcolata con modalità analoghe a quelle previste per il TAEG . Il TAEG e l'ISC non sono utilizzati per determinare le rate del prestito (non c'è una relazione diretta tra il TAEG e il piano di ammortamento), ma hanno l'importante funzione di essere un “indicatore” del costo di un finanziamento (apprezzabile soprattutto poiché consente il confronto con il TAEG/ISC degli altri finanziamenti offerti dal mercato del credito). Il TAEG deriva da una fonte primaria; l'ISC, invece, è stato previsto dalle disposizioni di Trasparenza bancaria di Banca d'Italia e dalla Delibera CICR 4 marzo 2003.

Il TAEG non è dunque un tasso propriamente detto, ma un mero indicatore sintetico del costo complessivo del contratto di finanziamento, avente lo scopo di consentire al cliente di conoscere l'effettivo costo totale del credito, prima di accedervi (Cass. 21 dicembre 2023 n. 35676Cass. 9 dicembre 2021 n. 39169), e non incide sul contenuto della prestazione a carico del cliente ovvero sulla determinatezza o determinabilità dell'oggetto contrattuale, definita dalla pattuizione scritta di tutte le voci di costo negoziali.

Il TAEG/ISC, al di fuori del credito ai consumatori, ha valenza di “regola di comportamento” della banca, senza assumere rilievo come “regola di validità” del contratto ( Cass. 15 febbraio 2023 n. 4697; Trib. Bologna 29 settembre 2017 e 9 gennaio 2018, Trib. Ancona 20 agosto 2018) ; la sua violazione comporta - ad eccezione di quanto previsto dall'art. 125 bis TUB per il credito al consumo (v. appresso) - perlopiù una obbligazione risarcitoria a titolo di responsabilità della banca per violazione degli obblighi di informazione, dovendo tuttavia in tal caso il cliente fornire la dimostrazione che, ove gli fosse stato correttamente rappresentato il costo complessivo del credito, non avrebbe stipulato il contratto di finanziamento (Cass. 27 febbraio 2024 n. 5151Cass. 14 febbraio 2023 n. 4597 ).

2. TAEG e credito ai consumatori

Espliciti riferimenti normativi riguardo alla necessità di indicare in contratto il TAEG sono previsti, nel credito ai consumatori, dall'art. 125 bis TUB, secondo cui «Sono nulle le clausole del contratto relative a costi a carico del consumatore che, contrariamente a quanto previsto ai sensi dell'art. 121 c. 1 lett. e) TUB, non sono stati inclusi o sono stati inclusi in modo non corretto nel TAEG pubblicizzato nella documentazione predisposta secondo quanto previsto dall'art. 124 TUB. La nullità della clausola non comporta la nullità del contratto» (comma 6) e «Nei casi di assenza o di nullità delle relative clausole contrattuali: a ) il TAEG equivale al tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto. Nessuna altra somma è dovuta dal consumatore a titolo di tassi di interesse, commissioni o altre spese; b ) la durata del credito è di trentasei mesi» (comma 7).

Se è nulla la clausola relativa al costo in sé considerata, niente è dovuto per tale titolo (comma 6), ma è anche nulla la clausola relativa al TAEG che non ha previsto quel costo: ipotesi per la quale il comma 7 prevede una forma di integrazione legale del contratto con applicazione del tasso nominale sostitutivo (« il TAEG equivale al tasso nominale dei BOT o di altri titoli similari »). Il comma 7, richiamando i casi, previsti nel comma 6, in cui nel contratto è indicato un costo che illegittimamente non è stato incluso nel TAEG (assenza) ovvero che vi è stato incluso in modo scorretto, parla rispettivamente di assenza o di nullità delle «relative» clausole e dispone che per ciò stesso il TAEG equivalga al tasso nominale dei BOT ( Collegio di coordinamento ABF n. 1430/2016, n. 12831/2018, n. 23293/2018 ).

Nel credito al consumo la “clausola TAEG” costituisce, dunque, un elemento essenziale ai fini della validità del contratto, la cui assenza o invalidità comporta l'applicazione del meccanismo sostitutivo previsto dall'art. 125 bis c. 7 TUB, destinato ad assorbire, oltre agli interessi, anche tutte le altre componenti del costo totale del credito (la disciplina del credito immobiliare ai consumatori richiama, in tema di TAEG, il solo art. 117 TUB). Soltanto per i contratti conclusi con consumatori è prevista una espressa sanzione (tasso BOT), mentre per i mutui a favore di operatori commerciali l'Indicatore Sintetico di Costo assume una mera funzione di pubblicità e trasparenza (nei termini Cass. 14 febbraio 2022 n. 1034).

3. Il TAEG nei contratti di finanziamento ai non consumatori

Al di fuori del perimetro di operatività dell'art. 125 bis TUB, l'orientamento giurisprudenziale prevalente ha stabilito che il TAEG/ISC non è un elemento essenziale del contratto di mutuo la cui errata indicazione è sanzionata dall'art. 117 TUB (per approfondimenti, sia consentito rinviare a Fiorucci, Controversie bancarie. Casi e soluzioni giurisprudenziali, Milano, 2022, p. 60).

Secondo la giurisprudenza maggioritaria, infatti, «l'ISC non costituisce un tasso di interesse o una specifica condizione economica da applicare al contratto di finanziamento, ma svolge unicamente una funzione informativa finalizzata a mettere il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi. Da ciò discende che l'erronea indicazione dell'ISC/TAEG, non comporta, di per sé, una maggiore onerosità del finanziamento, quanto piuttosto un'erronea rappresentazione del suo costo complessivo» che non inficia le pattuizioni relative ai tassi di interesse (ex multis Trib. Bari 7 giugno 2017, Trib. Terni 15 febbraio 2018, Trib. Roma 3 gennaio 2018, Trib. Roma 23 febbraio 2018; Trib. Napoli Nord 9 luglio 2018, Trib. Lucca 7 gennaio 2019,Trib. Torino 10 gennaio 2019; Trib. Tivoli 10 gennaio 2023 n. 4).

Mentre per i tassi ed i prezzi propriamente intesi, soccorre la disposizione di cui all'art. 117 c. 6 TUB, ai sensi della quale « sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati », con riferimento alle clausole del contratto relative a costi che non siano stati inclusi, ovvero siano stati inclusi in modo non corretto nel TAEG indicato in contratto, la norma di riferimento è unicamente quella di cui all'art. 125 bis TUB, la quale sancisce, fra l'altro, la nullità di dette clausole e la loro sostituzione ex lege, secondo le modalità di cui al settimo comma della stessa disposizione.

Tale disciplina, tuttavia, come detto, è specificamente circoscritta alla clientela consumatrice: ne è espressamente esclusa, avuto riguardo anche alle altre disposizioni del Capo II del Titolo VI, TUB in materia di trasparenza nel credito al consumo (ratione temporis vigenti), l'applicazione ai contratti di finanziamento riferibili a situazioni - soggettive dei mutuatari o oggettive riguardo alla tipologia di finanziamento: ad es. importo e tipologia del mutuo - che esulano dal perimetro del credito al consumo.

Al di fuori dell'ambito di operatività dell'art. 125 bis TUB del tutto inappropriato/arbitrario è, dunque, il richiamo ai commi sesto e settimo dell'art. 117 TUB, atteso che la disciplina in essi contenuta (relativa alla pattuizione di interessi e prezzi, non costi, del finanziamento) non ha nulla a che vedere con la tematica del TAEG/ISC e le conseguenze della sua eventuale erronea indicazione nel contratto di mutuo (così Trib. Roma 3 gennaio 2018; Trib. Monza 23 febbraio 2018, Trib. Napoli 12 marzo 2018 e 26 aprile 2018, Trib. Bologna 8 febbraio 2018, Trib. Torino 30 maggio 2018 e 14 novembre 2018, Trib. Milano 11 dicembre 2018).

L'art. 117 c. 6 TUB sanziona con la nullità le «clausole contrattuali (...) che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati». Siffatta disposizione di legge non è quindi applicabile quando non è messa in discussione la determinatezza delle singole clausole che fissano i tassi di interesse e gli altri oneri a carico del mutuatario, bensì il TAEG/ISC che, come sopra precisato, non determina alcuna condizione economica direttamente applicabile al contratto (di mutuo), ma esprime in termini percentuali il costo complessivo del finanziamento e svolge una funzione meramente informativa. Pertanto, l'errata indicazione del TAEG/ISC non può essere sanzionata con la nullità prevista dal sesto comma dell'art. 117 TUB. Né tanto meno risulta applicabile il settimo comma del medesimo art. 117 TUB che individua un tasso sostitutivo per l'ipotesi in cui difetti o sia nulla la clausola relativa agli interessi (nei termini Trib. Roma 19 aprile 2017, conf. Trib. Roma 3 gennaio 2018, Trib. Monza 23 febbraio 2018, Trib. Napoli Nord 9 luglio 2018, App. Torino 5 maggio 2020, Trib. Napoli 28 settembre 2020; Trib. Lecco 1 giugno 2022).

Dello stesso tenore sono le conclusioni della Cassazione, di seguito sintetizzate in un'ottica pratico-professionale:

  • poiché l'ISC/TAEG è un indicatore del costo complessivo del finanziamento, avente lo scopo di mettere il cliente in grado di conoscere il costo totale effettivo del credito che gli viene erogato mediante il mutuo, la sua inesatta indicazione non comporta, di per sé, una maggiore onerosità del finanziamento, quanto piuttosto l'erronea rappresentazione del suo costo complessivo, pur sempre ricavabile dalla sommatoria degli oneri e delle singole voci di costo elencati nel contratto; pertanto, stante il suo valore sintetico, l'ISC non rientra nel novero dei tassi, prezzi ed altre condizioni la cui erronea indicazione è sanzionata dall'art. 117 TUB mediante la sostituzione dei tassi d'interesse normativamente stabiliti a quelli pattuiti (Cass. 9 febbraio 2021 n. 39169Cass. 15 giugno 2023 n. 17187, Cass. 22 maggio 2023 n. 14000Cass. 21 dicembre 2023 n. 35676);
  • la mancata/errata indicazione in contratto dell'ISC non è idonea a determinare la sostituzione automatica del pattuito tasso degli interessi corrispettivi con quello minimo dei BOT: l'obbligo in tal senso previsto dall'art. 9 Delibera CIRC 4 marzo 2003 comporta la sanzione di cui all'art. 117 TUB solo per i contratti conclusi con consumatori, ai sensi dell'art. 125 bis c. 6 TUB, mentre per i mutui a favore di ‘operatori commerciali' (non consumatori) … l'Indicatore Sintetico di Costo assume una mera funzione di pubblicità e trasparenza, cosicché dalla sua mancata specificazione (ove siano indicate invece le singole voci del costo del finanziamento, e cioè i “tassi, prezzi e condizioni” di cui all'art.117 c. 6 TUB) può derivare esclusivamente la risarcibilità del danno che il mutuatario dimostri di aver subito per difetto di detta informazione (Cass. 14 gennaio 2022 n. 1034Cass. 15 giugno 2023 n. 17187);
  • l'ISC è un parametro esterno al contratto, sostanzialmente coincidente con il TAEG ed avente una funzione puramente informativa per il cliente della banca, in ordine alla cui violazione la legge non contempla, peraltro, alcuna sanzione di nullità (Cass. 9 settembre 2022 n. 26585);
  • l'ISC non costituisce un tasso di interesse, un prezzo o una condizione economica direttamente applicabile al contratto; non rientra nelle nozioni di “tassi, prezzi e condizioni” cui esclusivamente fa riferimento l'art. 117 c. 6 TUB”; l'erronea indicazione dell'ISC, integrando la violazione di una regola di condotta della banca (dovere di informazione trasparente delle condizioni del contratto di mutuo applicate alla clientela), non incide sulla validità del contratto (cfr. Cass. SU 19 dicembre 2024 n. 26724) e può quindi dar luogo soltanto a responsabilità precontrattuale o contrattuale (Cass. 14 febbraio 2023 n. 4597; conf. Cass. 21 dicembre 2023 n. 35676Cass. 27 febbraio 2024 n. 5151).

Tale impostazione è stata, da ultimo, confermata dalle Cass. SU 29 maggio 2024 n. 15130.

4. La clausola Floor

La clausola floor, talora apposta ai contratti di mutuo (o leasing) a tasso variabile, è un meccanismo di redditività minima del finanziamento scollegato dalla variabilità dell'interesse corrispettivo; configura un limite percentuale al di sotto del quale gli interessi dovuti dal mutuatario non possono scendere, anche in presenza di una sensibile riduzione dei tassi di interesse di periodo.

Tale clausola ha una evidente funzione di salvaguardia della banca mutuante, in quanto garantisce all'istituto bancario interessi almeno pari al valore percentuale individuato dalla clausola stessa, anche laddove il tasso di interesse (variabile e di regola parametrato all'Euribor) risultasse inferiore al valore del tasso assunto dalla clausola floor. In sostanza, il mutuatario non potrà mai beneficiare a pieno di un calo dei tassi d'interesse, poiché si impegna a pagare interessi almeno pari al limite fissato nella clausola floor.

Un potenziale contrappeso alla clausola floor è rappresentato dalla clausola cap. Questa pattuizione prevede un limite percentuale al di sopra del quale gli interessi dovuti dal mutuatario non possono salire. La clausola cap garantisce, infatti, che gli interessi corrispettivi non superino il valore percentuale individuato dalla clausola stessa, anche laddove il parametro di calcolo degli interessi fosse maggiore del valore del tasso assunto dalla clausola cap. In altri termini, tali clausole stabiliscono un limite massimo (clausola cap, a favore del cliente) e minimo (clausola floor, a favore della banca) al di sopra e al di sotto del quale i tassi di interesse del mutuo non possono salire o scendere.

Le clausole floor sono oggetto di contestazione da parte della clientela bancaria. L'elaborazione giurisprudenziale e i responsi dell'ABF hanno avvalorato la legittimità della clausola floor – se è rispettato, da parte della banca, il dovere di clare loqui – escludendo al contempo che il “tasso pavimento” configuri una opzione, e quindi un derivato implicito, con applicazione della disciplina, in tema di obblighi contrattuali e informativi, prevista dal Testo unico della finanza, il D.Lgs. n. 58/1998, c.d. TUF.

Un generale obbligo di trasparenza, relativamente alla pattuizione della clausola floor, è raccomandato anche dalla Corte di Giustizia europea (C. Giust. UE 9 luglio 2020 - C‑452/18, secondo cui «al momento della conclusione di un contratto di mutuo ipotecario a tasso variabile, che prevede una clausola "di interesse minimo", il consumatore deve essere posto in grado di comprendere le conseguenze economiche che derivano nei suoi confronti dal meccanismo indotto da tale clausola "di interesse minimo", in particolare, grazie alla messa a disposizione di informazioni relative all'evoluzione, nel passato, dell'indice in base al quale viene calcolato il tasso di interesse».

La Corte di Giustizia europea (C.Giust. UE 4 luglio 2024 - C-450/22), ha altresì chiarito che la trasparenza delle clausole «di tasso minimo» può essere oggetto di controllo nell'ambito di un'azione collettiva riguardante l'intero sistema bancario di un paese.

5.  Il dibattito sulla vessatorietà della clausola floor

Un primo filone di contestazioni è relativo alla asserita natura vessatoria della clausola floor, in quanto pattuizione 1) non sufficientemente chiara e comprensibile, che introduce 2) un significativo squilibrio di diritti ed obblighi tra la banca ed il cliente

Occorre preliminarmente segnalare che la Banca d'Italia, con Provvedimento del 3 febbraio 2016,  ha chiarito come gli intermediari debbano «attenersi a uno scrupoloso rispetto della normativa di trasparenza e correttezza e alla rigorosa applicazione delle condizioni pattuite con la clientela. In particolare, gli intermediari dovranno astenersi dall'applicare clausole di c.d. “tasso minimo” (“floor clause”) non pubblicizzate e non incluse nella pertinente documentazione di trasparenza e nella modulistica contrattuale». Le vigenti disposizioni di “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti” della Banca d'Italia (Provvedimento 29 luglio 2009, Sezione VI bis Credito immobiliare ai consumatori, punto 5.2.1. Informazioni generali relative ai contratti di credito), prevedono altresì che «per i mutui a tasso variabile o misto, è specificato se il contratto contiene clausole che comportano l'applicazione di un limite massimo (cap) o minimo (floor) alle oscillazioni del tasso, con una breve illustrazione dei relativi effetti per il consumatore».

La clausola floor non può dirsi vessatoria ai sensi dell'art. 1341 c. 2 c.c., che notoriamente contiene un elenco di previsioni svantaggiose per l'aderente a condizioni generali di contratto, moduli o formulari predisposti dall'imprenditore, le quali per essere valide ed efficaci debbono essere specificamente approvate per iscritto (Trib. Verona 9 dicembre 2022, App. Catania 13 luglio 2022 n. 1476, Trib. Milano 26 marzo 2024 n. 3373). L'elenco contenuto nella disposizione appena richiamata è infatti considerato dalla giurisprudenza di legittimità tassativo, senza alcuna possibilità di estensione analogica (ex multis, Cass. 27 aprile 2006 n. 9646, Cass. 25 luglio 2021 n. 18275).

Secondo l'orientamento preferibile e prevalente, la clausola floor non è ritenuta vessatoria, atteso che, per espressa previsione normativa, il «carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell'oggetto del contratto, né all'adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile» (art. 34 c. 2 D.Lgs. n. 206/2005, c.d. Codice del consumo) (Trib. Treviso 12 marzi 2019; Trib. Sondrio 12 giugno 2020; Trib. Verona 9 dicembre 2022; App. Catania 13 luglio 2022 n. 1476; Trib. Forlì 23 gennaio 2024 n. 45).

È stato infatti chiarito che la normativa europea e italiana (art. 4 par. 2 Dir. 93/13/CEE e art. 34 c. 2 Codice del Consumo) esclude dal controllo di vessatorietà le clausole che attengono alla determinazione dell'oggetto del contratto, e all'adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile. La clausola floor, che, come detto, non rientra tra quelle di cui all'art. 1341 c.c., non ha carattere accessorio: infatti essa è proprio volta a determinare, in concreto, il corrispettivo dovuto dal cliente; in altre parole, circoscrive la misura minima di un elemento essenziale del contratto, il tasso di interesse, che rappresenta la remunerazione dell'intermediario per il godimento del capitale da parte del cliente finanziato per mezzo del contratto di mutuo. Ne segue che essa non è soggetta a controllo di vessatorietà, e, se formulata in modo chiaro e comprensibile, è valida (Trib. Milano 31 luglio 2021 n. 6614; Trib. Milano 26 marzo 2024 n. 3373; Trib. Forlì 23 gennaio 2024 n. 45; Collegio coordinamento ABF 4137/2024).

In definitiva, una clausola floor può essere sindacata, nel nostro ordinamento giuridico, sotto il profilo della vessatorietà, solo a condizione che risulti formulata in modo oscuro e poco comprensibile, circostanza dubbia se la clausola floor è inserita in un atto pubblico (Trib. Lanciano 4 aprile 2018; Trib. Chieti 3 ottobre 2017; App. Catania 13.7.2022 n. 1476); di conseguenza, se la clausola è formulata in maniera semplice, chiara, univoca e comprensibile (“clare loqui”), non può essere censurata sotto il profilo della vessatorietà (Trib. Modena 19 settembre 2018; Trib. Pesaro 7 agosto 2018; Trib. Treviso 12 marzo 2019; Trib. Forlì 18 giugno 2020; Trib. Verona 9 dicembre 2022; App. Catania 13 luglio 2022 n. 1476).

Occorre comunque segnalare l'orientamento minoritario secondo cui la previsione dell'art. 34, comma 2, Codice del Consumo esclude dal controllo di vessatorietà le clausole che attengono alla determinazione dell'oggetto del contratto; la clausola floor non è un elemento essenziale del contratto di mutuo, nel senso che la disciplina legale di tale contratto non richiede, per la sua validità, che vi sia tale clausola; essa ha, quindi, carattere accessorio; ne segue che la clausola floor, non essendo un elemento essenziale del contratto di mutuo, non attiene all'oggetto principale del contratto: come tale, essa è soggetta al controllo di vessatorietà; il risultato di tale controllo è che la clausola, ove non accompagnata da un meccanismo correttivo (cap o riduzione dello spread) determina un significativo squilibrio ai danni del consumatore, ed è quindi vessatoria (App. Milano, 6 settembre 2022 n. 2836; App. Milano, 24 marzo 2022; App. Milano, 17 febbraio 2023 n. 558).

6. La clausola "floor" è uno strumento derivato?

È altresì talvolta contestata la natura di strumento finanziario della clausola floor.

È diffuso il convincimento giurisprudenziale che la presenza di una clausola floor non faccia assumere automaticamente al contratto cui accede la natura di strumento finanziario, con conseguente applicabilità della disciplina del TUF, e in particolare degli obblighi informativi in esso previsti a carico dell'intermediario finanziario; né può fondatamente ritenersi che, a fronte dell'inserimento di tale clausola, la pattuizione di interessi “minimi” da corrispondersi da parte del mutuatario al mutuante, quale accessorio dell'obbligo di restituzione e remunerazione per la cessione del capitale, snaturino l'essenza del contratto mutandone la natura da contratto reale avente causa finanziamento a strumento finanziario con cui il cliente, controparte dell'istituto di credito, mira a realizzare un investimento mobiliare economicamente proficuo (ed ha diritto a ricevere informazioni complete e puntuali in relazione all'effettivo grado di rischio assunto, e sull'equilibrio delle condizioni contrattuali così come effettivamente praticate) (Trib. Bologna 6 marzo 2018; Trib. Pesaro 7 agosto 2018; Trib. Genova 5 febbraio 2019; Trib. Crotone 27 gennaio 2020; Trib. Pordenone 24 aprile 2020; Trib. Rovereto 19 dicembre 2020; Trib. Roma 13 ottobre 2020; Trib. Bari 14 settembre 2022 n. 3318).

L'equiparazione della clausola floor ad uno strumento derivato è stata reputata « una vera e propria acrobazia logica e dialettica », considerato che non si è in presenza di un contratto d'investimento mobiliare ma di un contratto di mutuo, « dove la prestazione del mutuante è già avvenuta, mentre deve avvenire soltanto quella del mutuatario, e dove l'unica “alea” consiste proprio nell'inadempimento di quest'ultimo. In sostanza, con la sottoscrizione di un contratto di mutuo con clausola floor, il mutuatario non intende realizzare un investimento ma mira solamente ad ottenere fondi in previsione dell'acquisto di un bene e non già, ad esempio, a gestire un rischio di cambio o a speculare sul tasso di cambio di una valuta estera et similia, specialmente quando sussiste una previsione chiara e determinata in ordine al tasso d'interesse, che esclude ogni rilevanza a meccanismi aleatori, giuridicamente rilevanti e facenti parte come tali del contenuto del contratto» (così Trib. Bologna 8 febbraio 2018; conf. Trib. Bologna 29 maggio 2017; Trib. Crotone 27 gennaio 2020; Trib. Forlì 18 giugno 2020; Trib. Sondrio 12 giugno 2020).

Dirimente, in argomento, è infine quanto stabilito dalle Cass. SU 23 febbraio 2023 n. 5657 (conf. Cass. 27 febbraio 2024 n. 5151), secondo cui «costituisce un puro artificio la tesi (anch'essa sostenuta in dottrina) secondo cui la previsione di un tasso minimo dovuto dal cliente, inserita in un contratto di finanziamento a tasso indicizzato, costituirebbe una “inconsapevole vendita da parte del cliente al finanziatore” di una option, e dunque un contratto derivato. Infatti la previsione per cui, anche nel caso di fluttuazione dell'indice di riferimento per la determinazione degli interessi, il debitore sia comunque tenuto al pagamento di un saggio di interessi minimo, non è che una clausola condizionale, in cui l'evento condizionante è la fluttuazione dell'indice di riferimento al di sotto di una certa soglia, e l'evento condizionato la misura del saggio: dunque un patto lecito e consentito dall'art. 1353 c.c.».

7. Conclusioni

Il Tasso Annuo Effettivo Globale (TAEG) e la clausola floor nei contratti di finanziamento sono tematiche spesso al centro delle controversie bancarie. L’analisi condotta ha evidenziato che l’elaborazione giurisprudenziale, soprattutto di legittimità, ha risolto molte criticità, fornendo ai professionisti del settore orientamenti chiari e utili: ad es., al di fuori del credito al consumo (art. 125 bis TUB) l’indicazione del TAEG ha una valenza di regola ‘di comportamento’ (e non ‘di validità’ del contratto di finanziamento); la clausola floor non è vessatoria se formulata in modo chiaro e comprensibile al consumatore (clare loqui), ed è comunque escluso che configuri uno strumento derivato.

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