L'autotutela sostitutiva travalica l'unicità dell'avviso di accertamento
10 Dicembre 2024
Massima L'autotutela tributaria in malam partem risulta legittima in quanto l'Amministrazione finanziaria, ove non sia decorso il termine di decadenza per l'accertamento previsto per il singolo tributo e sull'atto non sia stata pronunciata sentenza passata in giudicato, può legittimamente annullare, per vizi sia formali che sostanziali, l'atto impositivo viziato ed emettere, in sostituzione, un nuovo atto anche per una maggiore pretesa. Infatti, l'autotutela nel diritto tributario costituisce un potere dell'Amministrazione finanziaria che trova il suo fondamento nelle stesse norme che giustificano l'esercizio delle potestà attive per la esazione dei tributi. Ne deriva che la possibilità del suo esercizio, anche reiterato, permane inalterata per il principio di perennità dell'azione, salvi solo i limiti derivanti dai termini di decadenza per l'esercizio delle attività di accertamento per i singoli tributi ovvero dall'avvenuto passaggio in giudicato di sentenza favorevole all'Amministrazione finanziaria. È, inoltre, un procedimento di secondo grado, poiché investe l'atto già adottato in quanto illegittimo, di cui è operato un riesame al fine del suo annullamento, sostituzione, modifica o conferma. Tuttavia, l'azione dell'Amministrazione, pur doverosa a fronte dell'illegittimità dell'atto impositivo è caratterizzata da discrezionalità quanto all'esercizio concreto del potere di autotutela, dovendo valutare la sussistenza di un interesse generale alla revisione dell'atto alla luce del complesso degli interessi coinvolti, ma la recente riforma, prevedendo casi di autotutela obbligatoria ha temperato tale connotazione rendendo doverosa, per le ipotesi ivi considerate, l'attivazione del procedimento di revisione dell'atto illegittimo. Il caso Nel caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte, l'Amministrazione aveva emesso, nel febbraio 2011, un nuovo atto impositivo ai danni del contribuente, a fronte della rilevata illegittimità, con contestuale annullamento in autotutela del primo atto emesso dall'ufficio impositore a dicembre 2009. Nell'originaria determinazione dei ricavi l'Amministrazione finanziaria aveva ritenuto giustificati alcuni prelievi del ricorrente dal proprio conto corrente “ancorché essi fossero privi di riscontro, incorrendo, dunque, in un errore di natura sostanziale sulla corretta valutazione del presupposto d'imposta”. Secondo la Suprema Corte di cassazione, l'esercizio del potere di autotutela si è, pertanto, fondato sull'illegittimità del primo atto ed è stato esercitato a poco più di un anno di distanza. L'autotutela tributaria “costituisce un potere dell'Amministrazione finanziaria che trova il suo fondamento nelle stesse norme che giustificano l'esercizio delle potestà attive per la esazione dei tributi”. Ne deriva che “la possibilità del suo esercizio, anche reiterato, permane inalterata per il principio di perennità dell'azione, salvi solo i limiti derivanti dai termini di decadenza per l'esercizio delle attività di accertamento per i singoli tributi ovvero dall'avvenuto passaggio in giudicato di sentenza favorevole all'Amministrazione finanziaria”. La questione Quanto hanno dispostole Sezioni Unite Civili, con la Sentenza n. 30051 depositata il 21 novembre 2024 ha fatto discutere non poco gli addetti ai lavori, anche in considerazione delle modifiche ultime apportate solo qualche mese fa alla l. n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente) con l'introduzione degli artt.10-quater e 10-quinques della l. n. 212/2000 che prevedono l'operatività dei nuovi istituti della “tutela obbligatoria” e “tutela facoltativa”. In particolare, con l'ordinanza n. 33665 del 1° dicembre 2023, la Corte di cassazione aveva rimesso, all'interpretazione univoca delle proprie Sezioni Unite, l'esame delle questioni afferenti ai limiti dell'esercizio del potere di autotutela e al rapporto tra potere di autotutela, principio di unicità dell'accertamento e accertamento integrativo. La vicenda trae origine da un avviso di accertamento, fondato sulle risultanze di indagini finanziarie, emesso in sostituzione di altro precedente avviso di accertamento che l'ufficio impositore aveva annullato in autotutela. In sede di ricorso per cassazione, il contribuente, già soccombente in entrambi i gradi di merito, impugnava la sentenza di secondo grado ritenendo violato nel caso di specie la previsione normativa di cui all'art. 43 del d.p.r. n. 600/1973 difettando, nel caso, quei “nuovi elementi” presupposti dalla norma come condizione per l'emissione di un accertamento integrativo. Stante il contrasto giurisprudenziale emerso al riguardo, la sezione tributaria della stessa Corte di cassazione ha ritenuto meritevoli di una valutazione interpretativa delle Sezioni Unite le seguenti questioni:
La soluzione giuridica Con la sentenza n. 30051 depositata il 21 novembre 2024 le Sezioni Unite hanno cercato di dirimere l'annosa questione che riguarda la differenza tra autotutela sostitutiva e accertamento integrativo cogliendone le peculiarità sostanziali che diversificano i due istituti deflattivi, affermando le Sezioni Unite tre principi di diritto ben distinti: In particolare, "in tema di accertamento tributario, il potere di autotutela tributaria le cui forme e modalità sono disciplinate dall'art. 2-quater, comma 1, d.l. n. 564 del 1994, convertito dalla legge n. 656 del 1994 e dal successivo d.m. n. 37 del 1997, di attuazione, e, con decorrenza dal 18 gennaio 2024, dagli artt. 10-quater e 10-quinquies della legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente) trae fondamento, al pari della potestà impositiva riconosciuta all'Amministrazione finanziaria, dai principi costituzionali di cui agli artt. 2, 23, 53 e 97 Cost. in vista del perseguimento dell'interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi legalmente accertati. Ne deriva che, l'Amministrazione finanziaria, ove non sia decorso il termine di decadenza per l'accertamento previsto per il singolo tributo e sull'atto non sia intervenuta sentenza passata in giudicato, può legittimamente annullare, per vizi sia formali che sostanziali, l'atto impositivo viziato ed emetterne in sostituzione uno nuovo anche nel caso in cui l'emissione di un nuovo atto implica a carico del contribuente sia esso persona fisica sia persona giuridica una maggiore pretesa impositiva”. In altre parole, secondo le Sezioni Unite della Corte di cassazione è fatta salva la possibilità per l'ufficio impositore ove ne ricorrano le condizioni, di riemettere un atto impositivo ex novo anche nel caso in cui ciò implica un maggiore carico fiscale per il contribuente. Un secondo principio espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha disposto che “in tema di accertamento tributario, l'autotutela sostitutiva in malam partem, con adozione di un nuovo atto che implica una maggiore pretesa fiscale in sostituzione di quello annullato, si differenzia, strutturalmente e funzionalmente, dall'accertamento integrativo disciplinato dagli artt. 43, comma 4 (ora terzo) del d.p.r. n. 600 del 1973 e 57, comma 4 del d.p.r. n. 633 del 1972 che implica comunque l'emissione di un nuovo atto per una ulteriore pretesa in aggiunta a quella originaria, posto che, nel primo caso, la valutazione investe l'atto originario che, in quanto viziato viene annullato e sostituito sulla base degli stessi elementi già considerati, mentre, nel secondo, il precedente atto è valido e ad esso ne viene affiancato un altro contenente una pretesa aggiuntiva per il medesimo tributo e periodo d'imposta, non ponendosi, neppure in astratto, l'esigenza di una rivalutazione degli elementi di fatto e diritto in base ai quali il primo atto è stato emesso". Ne deriva che il requisito della “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi” non si applica per il provvedimento emesso in autotutela sostitutiva ancorché fonte di una maggiore imposizione. Con il terzo principio le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno precisato altresì che in caso di autotutela tributaria sostitutiva in malam partem con adozione di un nuovo atto per una maggiore pretesa in sostituzione di quello annullato, il legittimo affidamento del contribuente non è integrato dalla mera esistenza del precedente atto viziato; ovvero, dall'errata valutazione delle circostanze poste a suo fondamento, ostandovi il generale dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva in forza degli artt. 2 e 53 Cost. Osservazioni Da un'attenta analisi dei principi espressi dalle Sezioni Unite nella sentenza in commento appare evidente come il principio di unicità dell'accertamento possa dirsi definitivamente tramontato nonostante la recente previsione normativa di cui all'art. 9-bis della l. n. 212/2000 nella quale è disposto il divieto espresso del bis in idem nel procedimento tributario, ossia: “salvo che specifiche disposizioni prevedono diversamente e ferma l'emendabilità di vizi formali e procedurali, il contribuente ha diritto a che l'Amministrazione finanziaria eserciti l'azione accertativa relativamente a ciascun tributo una sola volta per ogni periodo d'imposta”. L'orientamento palesato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione sembra avere completamente disatteso tale principio normativo disposto dal d.lgs. n. 219/2023 che ha ampiamente novellato la l. n. 212/2000 a partire dal 18 gennaio 2024. Bussole di inquadramentoPotrebbe interessarti |