La difficile liaison tra il disposto dell’art. 1956 c.c. e l'obbligo contrattualmente assunto dal garante di tenersi informato delle condizioni economiche del debitore garantito
Il contributo analizza la ricostruzione della portata e dell’incidenza degli oneri probatori effettuata dalla giurisprudenza di legittimità ai fini della liberazione del fideiussore ex art. 1956 c.c., soffermandosi altresì sul regime applicabile allorché con la norma codicistica interferisca una clausola contrattale che ponga a carico del garante un perdurante obbligo di informazione sulle condizioni economiche del garantito.
1. Il fatto, le pronunce dei giudici di merito e il ricorso
1.1 Nel novembre del 2008 la Banca Popolare di Aprilia (poscia incorporata nella BPER Banca s.p.a.) chiese al Tribunale di Latina l’emanazione di decreto ingiuntivo nei confronti di Imprendil Costruzioni s.r.l., nonché dei fideiussori della stessa. L’importo di cui veniva chiesto il pagamento, complessivamente ammontante a euro 226.752,01, derivava dai saldi negativi di due contratti di conto corrente intrattenuti dalla debitrice principale presso le filiali dell’ingiungente, cui si era aggiunto il credito generato dall’anticipo di una fattura dell’Anas di euro 162.000,00.
Emesso il provvedimento monitorio, una delle garanti propose opposizione deducendo, per quanto qui interessa, che almeno quest’ultima somma non era dovuta, essendo stata erogata quando l’Istituto bancario conosceva le condizioni di difficoltà economica in cui versava l’impresa alla quale stava facendo credito, considerato che all’epoca, a carico della stessa, erano già stati elevati ben cinque protesti per un ammontare di oltre 94.000 euro. E tanto senza chiedere al fideiussore l’autorizzazione prevista dall’art. 1956 c.c., a presidio della sua eventuale volontà di non esporsi ulteriormente. Di qui la liberazione del garante, quanto meno con riferimento all’importo innanzi indicato.
1.2 Il Tribunale adito, ritenute infondate le ragioni fatte valere dall’ingiunta, ne respinse l’opposizione.
La Corte d’appello andò dietro al giudice di prime cure e rigettò il gravame proposto dalla soccombente.
Correttamente – disse – quel decidente aveva ritenuto insussistente la violazione dell’obbligo di interpello imposto dalla norma codicistica, atteso che doveva nella fattispecie ritenersi operativa una presunzione di conoscenza, da parte della garante, delle difficoltà economiche del debitore principale, in ragione sia della natura della società fallita, a conduzione familiare; sia della disposizione contrattuale che imponeva al fideiussore di tenersi aggiornato sulle condizioni economiche del garantito. Detto obbligo comportava invero che l’onere probatorio si spostava “dal creditore al debitore”, qualora quest’ultimo avesse voluto “provare la consapevolezza della banca di avere agito scientemente in suo danno”.
1.3 La fideiubente non ci stette e ricorse al giudice di legittimità.
Il primo e principale motivo di doglianza fu l’asserito malgoverno dell’art. 1956 c.c. La Curia capitolina, disse la ricorrente, mi ha dato torto sulla base di elementi presuntivi completamente sbagliati: ha infatti richiamato l’obbligo contrattualmente da me assunto di tenermi informata delle condizioni economiche del garantito, senza considerare che la clausola pattizia, così interpretata, andrebbe dritto dritto contro il divieto di escludere preventivamente la liberazione del fideiussore, di talché la stessa, in tesi, avrebbe dovuto semmai essere dichiarata nulla, exart. 1418 c. 3 c.c.; ha poi valorizzato una pretesa conduzione familiare della società garantita nonché dei vincoli di coniugio che non sono mai esistiti e che erano infatti smentiti dalla documentazione versata in atti.
2. Cass. 20 ottobre 2024 n. 27857
2.1 La Corte ha ritenuto fondate le censure della ricorrente sotto il profilo della apodittica rilevanza attribuita ai rapporti affettivi, così articolando l'esposizione delle ragioni poste a base della scelta decisoria adottata:
il fideiussore che chieda la liberazione dalla garanzia prestata, invocando l'applicazione dell'art. 1956 c.c., ha l'onere di provare, secondo la regola generale dettata dall'art. 2697 c.c., l'esistenza degli elementi a tal fine necessari, e cioè che, successivamente alla prestazione della fideiussione per obbligazioni future, il creditore, senza la sua autorizzazione, abbia fatto credito al debitore principale, pur essendo consapevole dell'intervenuto peggioramento delle condizioni economiche dello stesso (Cass. 24 novembre 2022 n. 34685, Cass. 17 novembre 2016 n. 23422);
la banca deve sempre comportarsi secondo correttezza e buona fede, di modo che, una volta acquisita la conoscenza di quel peggioramento, non può continuare a finanziare il garantito, confidando sulla solvibilità del fideiussore, ma deve allertare il garante e conseguirne la necessaria, preventiva autorizzazione;
il mancato espletamento di tale incombente non produce effetti quando anche il fideiussore sia edotto delle insorte difficoltà del primo obbligato, del che la banca, in caso di contestazione, deve fornire la prova, anche a mezzo di presunzioni (Cass. 17 luglio 2023 n. 20713, Cass. 1° ottobre 2012, n. 16667);
secondo i più recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità, condivisi dal collegio, la conoscenza delle condizioni economiche del debitore principale, da parte del fideiussore, può presumersi solo quando il secondo sia anche il legale rappresentante del primo, per essere, ad esempio, la garantita una società, e il garante l'amministratore della stessa, laddove non può attribuirsi valenza presuntiva – ai fini dell'esonero dalla specifica autorizzazione di cui all'art. 1956 c.c. – alla mera esistenza di un rapporto di parentela, di coniugio o di affinità tra l'uno e l'altro (Cass. 5 ottobre 2021 n. 26947, Cass. 23 marzo 2017 n. 7444);
in contrasto con tale criterio, nella fattispecie, il giudice d'appello aveva ritenuto la garante consapevole dell'aggravamento della situazione debitoria della società garantita in base al solo rapporto di convivenza tra la stessa e il socio di maggioranza, nonché amministratore legale della debitrice, di talché la pronuncia impugnata andava cassata in relazione alla censura accolta e rinviata al giudice di merito.
2.2 Questo essendo l'iter argomentativo dell'ordinanza in esame, va anzitutto dato atto al Supremo Collegio di aver precisato, con poche, fulminanti pennellate, lo schema della distribuzione degli oneri probatori tra creditore e fideiussore, raddrizzando l'opaco modulo consegnato dalla sentenza impugnata.
La Curia territoriale aveva invero parlato di un rovesciamento sul fideiussore, in presenza della contestata clausola contrattuale, dell'onere di provare la condotta scientemente in suo danno, tenuta dalla Banca.
In realtà, vi sia o non vi sia l'obbligo pattizio del garante di tenersi informato delle condizioni economiche del garantito, il fideiussore, per andare esente da responsabilitàex art. 1956 c.c., deve in ogni caso dedurre e, ove occorra, dimostrare:
che il creditore ha continuato a finanziare il debitore principale anche quando le condizioni economiche dello stesso erano peggiorate;
che alcuna autorizzazione gli è stata chiesta, né eo magis è stata da lui concessa;
che la banca era consapevole dell'intervenuto aggravamento della situazione patrimoniale del finanziato.
Spetterà all'Istituto di credito, a propria volta, provare:
che autorizzazione espressa c'è invece stataoppure
che essa doveva ritenersi implicita, perché il garante era edotto, o avrebbe dovuto essere edotto, del quadro debitorio del garantito, vuoi a causa dei suoi rapporti familiari, di coniugio e/o professionali con lo stesso, vuoi a causa dell'operatività di una clausola contrattuale che gli imponeva di non restare passivo nel corso dello svolgimento del rapporto, ma di monitorare l'indebitamento e la solvibilità del soggetto per cui aveva prestato fideiussione.
Ora, è proprio su quest'ultimo punto che conviene soffermarsi.
Del problema della compatibilità dell'obbligo imposto dall'art. 1956 c.c. con la previsione pattizia che ponga a carico del garante un perdurante dovere di informazione sulle condizioni del garantito, il collegio si è liberato richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale favorevole alla sua ammissibilità, alla sola condizione che l'istituto bancario osservi, nel corso del rapporto, un comportamento improntato ai principi di buona fede e correttezza (v. in tal senso le pronunce Cass. 20 luglio 1989 n. 3385 e Cass. 28 luglio 1999 n. 8176) e che la clausola non venga interpretata come rinuncia ad avvalersi del disposto dell'art. 1956 c.c. (Cass. 17 luglio 2023 n. 20713).
Il commodus discessus della indagine sui rapporti personali e societari tra garante e garantito ha in definitiva consentito alla Corte di rimanere, quanto alla legittimità e ai limiti della legittimità della clausola, sui massimi sistemi.
2.3 Volendo invece ragionarci per un momento sopra, appaiono di immediata evidenza e utilità i seguenti rilievi.
L'art. 1956 c.c., dopo aver previsto che “il fideiussore per un'obbligazione futura è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito”, stabilisce, al secondo comma, che “non è valida la preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione”.
Lasciando per un momento da parte il capoverso, aggiunto dell'art. 10 L. 154/1992, val la pena ricordare quanto evidenziato nella relazione al codice dal guardasigilli Grandi: e cioè che l'art. 1956 c.c., in un contesto in cui era possibile prestare fideiussione per una obbligazione futura, exart. 1938 c.c., venne a statuire che la facoltà dell'ente finanziatore di non dare esecuzione all'obbligazione assunta di far credito al debitore principale, qualora fosse sopravvenuto un peggioramento delle sue condizioni economiche, diventava per il creditore medesimo, nei confronti del garante, “un obbligo di condotta, la trasgressione del quale importa(va) responsabilità e dovere di risarcimento”, e quindi, in primis, la liberazione del fideiussore dall'obbligazione di garanzia.
L'ammissibilità, all'epoca senza limiti, di una fideiussione per obbligazioni future, si tirava dunque dietro un dovere di interpello del finanziatore, nei confronti del garante, quante volte la richiesta di ulteriori erogazioni da parte del terzo avvenisse in un momento in cui “le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito”.
L'art. 10 L. 154/1992, recante norme per la trasparenza delle operazioni bancarie, ha poi completato il quadro, introducendo, insieme alla previsione di un limite massimo al credito garantito, ex art. 1938 c.c., la già menzionata invalidità della rinuncia preventiva del fideiussore ad avvalersi della liberazione.
2.4 In siffatto assetto normativo, è lecito allora chiedersi quale valenza vada data alla clausola contrattuale che imponga al fideiussore di informarsi su come è messo il garantito, via via che il rapporto di finanziamento si snodi nel tempo.
In realtà, a ben vedere, se la legge fa obbligo alla Banca, prima di erogare ulteriori finanziamenti al garantito, di allertare il garante sullo scadimento delle capacità di adempimento del garantito e di acquisirne l'autorizzazione, l'invalidità della preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione, sancita dalla novella del 1992, costituisce nient'altro che applicazione, in parte qua, dei principi generali in punto di clausole di esonero da responsabilità di cui all'art. 1229 c.c.
Tale norma sancisce invero la nullità di qualsiasi patto che escluda o limiti preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave, nonché di qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico.
Ne deriva che l'ammissibilità della clausola, predicata dalla giurisprudenza, e la contestuale affermazione che essa non può mai essere interpretata come rinuncia ad avvalersi della liberazione e/o esonero dell'Istituto di credito dal dovere di comportarsi comunque secondo buona fede e correttezza, finiscono per ricondurre i rapporti tra le parti nella cornice normativa delineata dai principi civilistici generali in materia di obbligazioni, e segnatamente nell'alveo di quel dovere giuridico (e non solo morale) di solidarietà che “richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore” (confr. relazione al codice civile, 558).
L'obbligo contrattuale del garante di non dormire finché è operativa la fideiussione, ma di seguire l'evolversi delle condizioni economiche del debitore principale al punto da prendere le opportune iniziative a tutela dei propri interessi, ove di quelle condizioni intercetti l'aggravamento, si incrocia con il parallelo dovere della banca di non ignorare, volutamente o per grave negligenza, i segnali provenienti dai canali informativi privilegiati di cui certamente dispone, confidando sulla solvibilità di un fideiussore pattiziamente obbligato a vigilare che l'indebitamento non diventi insostenibile per il garantito.
Se dunque, in via di principio, spetta al debitore provare di avere adempiuto la prestazione posta a suo carico e, quindi, nella fattispecie, l'onere di dedurre, e, se del caso, dimostrare di essersi informato delle condizioni economiche del debitore principale, rimandone senza colpa, all'oscuro, alla banca finanziatrice spetterà invece dedurre e, se del caso, provare di essersi sempre comportata in maniera corretta, con ampia possibilità di ricorso, hinc et inde, a presunzioni.
Ciò vuol dire che, nella vertenza tra la Banca che voglia aggredire il patrimonio del fideiussore e il fideiussore che deduca di non essere obbligato, ai sensi dell'art. 1956 c.c., alla prima non basterà affermare in maniera asciutta che esiste una presunzione di conoscenza, da parte del garante, del mutamento in peius delle condizioni economiche del debitore principale, in virtù dell'esistenza della menzionata clausola contrattuale, perché di fatto ciò equivarrebbe a un esonero della Banca medesima dall'onere di chiedere l'autorizzazione di cui alla predetta norma, e costituirebbe quindi, in sostanza, una violazione del divieto di escludere preventivamente la liberazione del fideiussore.
In tale senso si è del resto già pronunciata in altra occasione la giurisprudenza di legittimità, ricordando, con riferimento alla disciplina delineata nell'art. 1956 c.c., che “la correttezza/buona fede si concretizza in un dovere di comportamento cui il creditore è tenuto non solo al momento del rilascio della fideiussione ma per tutta la durata della vicenda contrattuale (Cass. 27 ottobre 2006 n. 23273)”, di talché “non è certo sostenibile … che una clausola negoziale … possa esonerare il creditore garantito dall'adempimento delle fondamentali regole di correttezza/buona fede … rovesciando i suoi derivati obblighi proprio sul soggetto – il fideiussore – che con essi la legge obbliga a tutelare” (cfr. Cass. 5 marzo 2024, n. 8304).
3. Considerazione conclusive
Ricapitolando e concludendo.
Se è relativamente agevole fare chiarezza sui principi che governano i rapporti tra Banca e garanteexart. 1956 c.c., la loro applicazione concreta può rivelarsi alquanto spinosa.
Al riguardo, occorre partire dalla considerazione che ai fini della liberazione del fideiussore, l'autorizzazione di cui alla disposizione codicistica non solo non richiede forma scritta ad substantiam, ma può anche essere implicita e tacita, “in applicazione del principio di buona fede nell'esecuzione dei contratti, laddove emerga perfetta conoscenza, da parte sua, della situazione patrimoniale del debitore garantito” (confr. Cass. 2 marzo 2016 n. 4112).
Ora, lo sforzo della giurisprudenza di porre dei paletti nella valutazione degli elementi idonei a generare una presunzione di conoscenza, non riesce comunque a impedire l'insopprimibile peculiarità delle fattispecie concrete di volta in volta dedotte in giudizio e una conseguente, ineliminabile fluidità dei criteri di valutazione applicati dal giudice, alla cui saggezza umana, oltre che sapienza giudica, si resta in definitiva affidati.
Così se, come esposto innanzi, è ormai principio acquisito che non basta la sola esistenza di un rapporto di parentela, affinità o di coniugio tra garante e garantito, per presumere che il primo sia a conoscenza delle condizioni economiche del secondo – e tanto in contrasto con un precedente orientamento di segno opposto (Cass. 2 marzo 2016 n. 4112) – non mancano arresti in cui il Supremo Collegio amplia di fatto la casistica in cui è possibile avvalersi della prova presuntiva, facendola, ad esempio, operare anche quando il fideiussore non sia né l'amministratore, né il socio di maggioranza della società garantita, ma disponga solo di una partecipazione minoritaria. E tanto sulla base del rilievo che anche il socio di minoranza “nell'esercizio delle prerogative proprie di componente dell'assemblea (quantomeno in occasione dell'approvazione dei bilanci), ha la concreta possibilità di conoscere la situazione economica e la sua colpevole ignoranza non può giustificare un obbligo "sostitutivo" di vigilanza e controllo in capo alla banca creditrice” (cfr. Cass. 17 giugno 2024 n. 16822).
Quanto poi agli oneri deduttivi e probatori delle parti, l'intreccio, innanzi delineato, si presta essere definito – e sintetizzato – in un solo rilievo: nessuno può cavarsela con un semplice richiamo agli adempimenti gravanti sulla controparte, all'astratta evocazione, per esempio, della clausola contrattuale che obblighi il fideiussore a tenere d'occhio la situazione patrimoniale del garantito, ovvero, reciprocamente, al generico rispolvero del dovere della banca di comportarsi secondo correttezza e buona fede. Hinc et inde le contestazioni sugli inadempimenti della controparte dovranno essere adeguatamente vestite e accompagnate, nel dialogo processuale, dalla allegazione di avere, a propria volta, diligentemente operato al fine di adeguare la propria condotta agli obblighi derivanti dalla legge e dal contratto.
Sarà poi il giudice di merito, nel suo saggio apprezzamento – insindacabile in sede di legittimità, ove ispirato a corretti criteri giuridici e adeguatamente motivato – a dire, in definitiva, chi ha ragione e chi ha torto.