Il litisconsorzio processuale nelle cause di regolarizzazione della posizione contributiva
17 Dicembre 2024
Massima Nell'ambito del rapporto tra datore, prestatore ed ente previdenziale, occorre distinguere tra la domanda del lavoratore diretta a ottenere la condanna specifica del datore di lavoro a versare i contributi dovuti all'ente previdenziale, volta alla regolarizzazione della posizione contributiva, per la quale la presenza in giudizio di tutti i soggetti coinvolti nel rapporto "trilaterale" è necessaria ex art. 102 c.p.c., da quella in cui il lavoratore abbia convenuto in giudizio l'ente e la presenza "trilaterale" dei soggetti è solo opportunamente richiedibile da quest'ultimo, ai sensi dell'art. 106 c.p.c., o comunque disposta dal giudice ex art. 107 c.p.c. Il caso La domanda di un lavoratore, diretta al riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti e alla condanna al pagamento delle differenze retributive maturate, rigettata in primo grado, trovava accoglimento in sede di gravame. La Corte d'appello, sul presupposto della sussistenza del vincolo di subordinazione lavorativa, condannava gli appellanti, in solido tra loro, alla regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale per l'intera durata del rapporto di lavoro accertato. I soccombenti, ricorrendo in Cassazione, con il primo motivo deducevano la violazione e falsa applicazione degli artt. 111 c.p.c., art. 24 Cost., art. 2909 c.c., in ordine alla condanna alla regolarizzazione contributiva e previdenziale, dolendosi della circostanza che la pronuncia fosse stata emessa in assenza di chiamata in giudizio dell'INPS. La questione È noto il principio secondo cui, al cospetto di un rapporto di lavoro subordinato, sorge un'obbligazione contributiva tra datore di lavoro ed ente previdenziale, il quale è tenuto al recupero della contribuzione omessa, in ragione delle proprie finalità istituzionali. Le posizioni giuridiche soggettive, rinvenibili all'interno del rapporto trilatero tra prestatore, datore ed ente sono state oggetto di accurata ricostruzione giurisprudenziale. La posizione del lavoratore al versamento dei contributi previdenziali, di cui sia stato omesso il pagamento, è stata variamente ricostruita alla stregua di diritto soggettivo alla posizione assicurativa - non identificabile con il diritto spettante all'Istituto previdenziale di riscuotere il proprio credito, tutelabile mediante la richiesta giudiziale di regolarizzazione della propria posizione (Cass. civ., sez. VI, 30 maggio 2019, n. 14853) - o al facere datoriale, consistente nel versamento della contribuzione all'ente, dovendosi escludere un diritto di credito ai contributi da parte del lavoratore (Cass. civ., sez. lav., 14 maggio 2020, n. 8956) e, del pari, una posizione soggettiva diretta nei confronti dell'INPS (Cass. civ., sez. lav., 9 gennaio 2024, n. 701). Nel caso in cui l'ente sia rimasto inerte dinanzi alla sua denuncia, il lavoratore non potrà agire in giudizio al fine di costringere l'ente al recupero della contribuzione omessa, potendo al più agire nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento del danno derivato dalla perdita delle prestazioni previdenziali, in conseguenza dell'inadempimento dell'obbligo contributivo e dell'intervento di prescrizione estintiva o chiedere all'ente la costituzione della rendita vitalizia ai sensi dell'art. 13, l. n. 1338/1962. Viceversa, la posizione giuridica intercorrente tra datore di lavoro ed ente previdenziale è ricostruibile in termini di vera e propria obbligazione contributiva, che fa sì che il datore di lavoro, ai sensi dell'art. 19, l. n. 218/1952, sia direttamente tenuto nei confronti dell'ente al pagamento non soltanto dei contributi a proprio carico, ma anche della quota a carico dei lavoratori, che egli trattiene sulla retribuzione corrisposta ai medesimi (Cass. civ., sez. lav., 16 giugno 2001, n. 8175). Sul versante processuale, la complessa e non sempre lineare ricostruzione del rapporto trilatero, relativo al recupero della contribuzione, ha aperto la strada a una variegata serie di iniziative, che hanno reso indispensabile un intervento giurisprudenziale di riordino e razionalizzazione. Si assiste, difatti, nel contesto dell'azione intentata dal lavoratore per il conseguimento di differenze retributive, previo accertamento dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato o nel contesto di un rapporto le cui obbligazioni si assumono non integralmente osservate, alla domanda di condanna del datore di lavoro alla c.d. regolarizzazione del rapporto contributivo, talvolta accompagnata dalla richiesta di condanna al versamento, in favore dell'INPS, della contribuzione omessa, nei limiti della prescrizione. Ciò può avere luogo previa rituale evocazione giudiziale dell'INPS, ad opera del lavoratore, quale soggetto beneficiario della richiesta di condanna in favore di terzo. In altre situazioni, il riferimento all'INPS, nell'intestazione del ricorso, quale parte del giudizio e nelle conclusioni, viene accompagnato dalla richiesta di attivazione giudiziale del potere di chiamata di terzo iussu iudicis, ai sensi dell'art. 107 c.p.c., condizionata alla valutazione di opportunità che «il processo si svolga in confronto di un terzo al quale la causa è comune». Altre volte ancora, la richiesta di regolarizzazione contributiva è giudizialmente azionata in assenza di individuazione dell'INPS quale parte del giudizio e, conseguentemente, di evocazione giudiziale dell'istituto. Le soluzioni giuridiche Secondo il tradizionale orientamento giurisprudenziale (Cass. civ., sez. VI, 30 maggio 2019, n. 14853), il riconoscimento del diritto di azione diretta del lavoratore nei confronti del datore di lavoro, avente ad oggetto la richiesta di accertamento dell'inadempienza contributiva e la condanna del datore alla regolarizzazione, non dava luogo a una fattispecie di litisconsorzio processuale necessario ai sensi dell'art. 102 c.p.c. con l'ente previdenziale. In particolare, in presenza di un'esplicita domanda di condanna del datore al pagamento dei contributi – e non di mero accertamento dell'inadempienza contributiva – atteso il carattere eccezionale delle ipotesi di condanna in favore di terzo, restava preclusa la possibilità di vedere accolta tale domanda in assenza di diretta e originaria chiamata in causa dell'ente ad opera del ricorrente, non potendosi ovviare mediante la chiamata del terzo in causa ai sensi dell'art. 107 c.p.c., né attraverso l'ordine di integrazione ex art. 102 c.p.c., residuando esclusivamente la possibilità del giudice di pronunciarsi su questioni attinenti a rapporti di titolarità dell'ente previdenziale in via incidentale, ex art. 34 c.p.c., senza possibilità di formazione, su tali questioni, di cosa giudicata. Questo orientamento, ribadito con plurime sfumature nel corso di oltre un ventennio di applicazione giurisprudenziale, ha trovato una battuta d'arresto nell'anno 2020, momento a partire dal quale si è affermato il diverso principio secondo cui l'obbligo di versamento dei contributi si configura, nell'ambito del rapporto di lavoro, come un obbligo di facere del datore di lavoro in favore dell'ente previdenziale che dà luogo a una situazione sostanziale unitaria, il cui riflesso processuale non può che essere l'esistenza di un litisconsorzio processuale ai sensi dell'art. 102 c.p.c., con conseguente necessità di disporre l'integrazione del contraddittorio e, in caso di omissione di tale adempimento, configurazione del vizio di nullità del giudizio (Cass. civ., sez. lav., 14 maggio 2020, n. 8956). La pronuncia in commento si pone sulla scia di tale mutato orientamento, del quale concorre a definire i contorni, distinguendo la tipologia di fattispecie plurisoggettiva, e la sua diversa proiezione processuale, sulla base dei soggetti giudizialmente evocati e delle domande in concreto dispiegate. Così, dopo aver riaffermato il principio secondo cui l'interesse del lavoratore al versamento dei contributi previdenziali integra un diritto soggettivo alla posizione assicurativa, tutelabile mediante la regolarizzazione della posizione contributiva, la Corte ribadisce la sussistenza di una «ipotesi di litisconsorzio necessario iniziale tra lavoratore, datore di lavoro ed ente previdenziale, ai sensi dell'art. 102 c.p.c., allorché si sia in presenza di una domanda del lavoratore volta ad ottenere la condanna del datore di lavoro a versare all'ente previdenziale i contributi omessi e alla conseguente regolarizzazione». Sotto tale profilo, dunque, la pronuncia appare blindare l'orientamento emerso a partire dal 2020, per il caso in cui vi sia richiesta di condanna specifica, diretta al datore di lavoro, al versamento dei contributi. Tale iniziativa va distinta dall'eventuale azione del lavoratore nei confronti dell'istituto, nella quale egli proponga domanda di mera «regolarizzazione della posizione contributiva», in assenza, dunque, di un'esplicita richiesta di condanna. In tale caso, escludendosi una fattispecie di litisconsorzio necessario, è fatta salva la possibilità dell'ente di chiamare in causa il datore di lavoro, per sentirlo condannare al pagamento dei contributi dovuti, ai sensi dell'art. 106 c.p.c., o del giudice di chiamare in causa il datore di lavoro, ai sensi dell'art. 107 c.p.c. Osservazioni La pronuncia in commento, nella parte in cui riafferma l'inderogabile esistenza di una fattispecie di litisconsorzio processuale tra i tre soggetti, nella controversia in cui il lavoratore evochi in giudizio il datore chiedendo la condanna dello stesso al pagamento dei contributi previdenziali, presta il destro alle critiche già espresse in dottrina, in merito alla concreta ravvisabilità di un rapporto plurisoggettivo unico o di una prestazione inscindibile, incidente su una situazione comune a più soggetti, che richieda la decisione unitaria della situazione sostanziale dedotta in giudizio nei confronti di tutti i soggetti che ne siano partecipi, onde non privare la pronuncia dell'utilità connessa all'esperimento dell'azione proposta. La stessa Cassazione, difatti, individua, in ambito previdenziale, una «scomposizione della fattispecie dell'assicurazione obbligatoria nei due distinti rapporti contributivo e previdenziale» (Cass. civ., sez. lav., 14 febbraio 2014, n. 3491, richiamata da Cass. civ., sez. lav., 9 gennaio 2024, n. 701), affermazione che mal si concilia con il substrato unitario della fattispecie, la cui proiezione processuale è la fattispecie litisconsortile. L'apparente antinomia tra l'affermazione del principio secondo cui «il lavoratore non ha alcun diritto di agire nei confronti degli enti previdenziali per ottenere la regolarizzazione della propria posizione contributiva (Cass. civ., sez. lav., 9 gennaio 2024, n. 701), e l'evocazione di una possibilità di azione diretta del lavoratore nei confronti dell'ente, volta alla regolarizzazione contributiva, è risolta contemplando un meccanismo di estensione del contraddittorio nei confronti del datore, su richiesta dell'INPS o iussu iudicis. È, tuttavia, evidente come soltanto nel caso di attivazione da parte dell'ente convenuto, nell'ambito dell'estensione del contraddittorio alla parte datoriale, di una richiesta di condanna della stessa al pagamento dei contributi, la fattispecie litisconsortile eventuale potrà dare luogo al perseguimento del convergente interesse del lavoratore e dell'ente al corretto adempimento dell'obbligazione contributiva a carico del datore. Riferimenti D’ORIANO M., Il litisconsorzio necessario dell’ente previdenziale nelle azioni a tutela della regolarità contributiva, RDSS, anno XXIII, n. 1, 2023. |