Le Sezioni Unite chiariscono una questione oggetto di contrasto giurisprudenziale con riferimento alla possibilità che, nell’ambito del procedimento di correzione degli errori materiali, si realizzi una situazione di soccombenza che imponga al giudice di provvedere sulle spese processuali qualora la controparte, costituendosi, resista all’istanza di correzione
Questione controversa
I giudici di legittimità sono stati chiamati a pronunciarsi, nell'ipotesi di un procedimento di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., sulla eventualità di ravvisare una soccombenza di una parte rispetto all'altra, ai sensi dell'art. 91 c.p.c., da cui possa derivare una statuizione sulle spese processuali.
Possibili soluzioni
Prima soluzione
Seconda soluzione
Secondo un tradizionale e prevalente orientamento (tra cui, Cass. civ., sez. II, 8 luglio 1983, n. 591; Cass. civ., sez. un., 27 giugno 2002, n. 9438; Cass. civ., sez. un., 31 gennaio 2023, n. 2903; Cass. civ., sez. III, 14 settembre 2023, n. 26566; Cass. civ., sez. II, 16 luglio 2024, n. 19600), non è ammissibile una statuizione sulle spese processuali nel procedimento di correzione degli errori materialiex artt. 287 ss. e 391-bis c.p.c.
Le argomentazioni a sostegno di tale posizione sono state così individuate:
il procedimento di correzione di errori materiali ha natura amministrativa e non giurisdizionale e, pertanto, non implica l'affermazione di un diritto nei confronti di una delle parti;
dal predetto procedimento non deriva un provvedimento sostituivo di quello oggetto di correzione ma soltanto, appunto, una correzione di un difetto di formulazione esteriore dell'atto rispetto al suo contenuto;
la conseguente ordinanza non ha natura decisoria né alcuna rilevanza autonoma;
posto il carattere non contenzioso del provvedimento, non ha rilievo l'eventuale contrasto delle parti rispetto alla sussistenza o meno dell'errore materiale;
il provvedimento di correzione non è impugnabile;
essendo un procedimento in camera di consiglio in materia di giurisdizione volontaria, non è suscettibile di determinare una posizione di soccombenza.
Per converso, posta l'inammissibilità di una statuizione sulle spese in caso di istanza congiunta o non opposta, un orientamento senz'altro minoritario (Cass. civ., sez. VI, 18 dicembre 2018, n. 32736; Cass. civ., sez. lav., 12 luglio 2019, n. 18821) considera, invece, ammissibile la predetta statuizione qualora sorga un contrasto sull'ammissibilità o sulla fondatezza dell'istanza di correzione.
Come rilevato nel provvedimento in commento, anche il Collegio rimettente sembra porsi in continuità con tale impostazione sostenendo, in primo luogo, che, rispetto al presupposto della natura contenziosa del procedimento cui la pronuncia sulle spese fa riferimento, ove la parte non ricorrente si costituisca resistendo all'istanza di correzione, che il procedimento assuma un carattere contenzioso poiché si determinerebbe, appunto, una controversia circa la sussistenza dei presupposti della correzione stessa.
Con riferimento, invece, al secondo presupposto inerente la natura giurisdizionale del provvedimento conclusivo, la stessa ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite rileva che le dottrine più risalenti che qualificavano la giurisdizione volontaria come attività amministrativa possono ritenersi oramai superate da una più moderna concezione secondo cui la giurisdizione volontaria, pur rientrando nel genus dell'attività giurisdizionale, è comunque considerata una species dello stesso, distinta dalla giurisdizione contenziosa.
In questo senso, nell'ordinanza di rimessione si osserva che «né la struttura camerale né la funzione volontaria del procedimento sono incompatibili con la presenza di un reale contrasto di interessi tra le parti in conflitto» e che qualora si realizzi tale contrasto questo debba essere risolto nel rispetto del principio del contraddittorio, anche rispetto alle spese processuali.
Rimessione alle Sezioni Unite
La Terza Sezione civile della Corte di Cassazione, con l'ordinanza interlocutoria Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2023, n. 27681, ha rimesso gli atti alla Prima Presidente ai fini dell'assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite affinché le stesse potessero pronunciarsi sulla seguente questione: «se, in tema di procedimento di correzione di errori materiali, ove la parte non ricorrente si costituisca e resista all'istanza di correzione, così contrapponendo il proprio interesse a quello proprio della parte ricorrente, si configuri, all'esito del giudizio, una situazione di soccombenza che impone al giudice di provvedere sulle spese processuali, ai sensi dell'art. 91 cod. proc. civ.».
Principio di diritto
Secondo le Sezioni Unite, l'orientamento a cui dare continuità è quello prevalente secondo cui è da ritenersi inammissibile una statuizione sulle spese nel procedimento de quo.
Pertanto, è stato affermato il seguente principio di diritto:
«Nel procedimento di correzione degli errori materiali, ex artt. 287, 288 e 391-bis cod. proc. civ., in quanto di natura sostanzialmente amministrativa e non diretto a incidere, in situazione di contrasto tra le parti, sull'assetto di interessi già regolato dal provvedimento corrigendo, non può procedersi alla liquidazione delle spese, non essendo configurabile in alcun caso una statuizione di soccombenza, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 91 cod. proc. civ., neppure nella ipotesi in cui la parte non richiedente, partecipando al contraddittorio, opponga resistenza all'istanza».
Le motivazioni delle Sezioni Unite
Cass. civ., sez. un., 14 novembre 2024, n. 29432
Le Sezioni Unite, pur osservando che un contrasto di interessi tra le parti possa rilevare anche con riferimento ai procedimenti di volontaria giurisdizione ed a struttura camerale, affermano chiaramente che tale circostanza non è sufficiente a dimostrare che possa avvenire altrettanto anche nel procedimento di correzione, in virtù delle particolarità che caratterizzano lo stesso e che sono idonee a distinguerlo dai procedimenti contenziosi e da quelli di volontaria giurisdizione.
Dalla formulazione letterale dell'art. 91 c.p.c., primo periodo, invero, si desume, per un verso, che il presupposto della condanna alle spese sia la contestuale definizione del procedimento al quale le stesse fanno riferimento e, per altro verso, che l'ulteriore requisito della soccombenza attui il principio secondo cui la necessità di agire o resistere in giudizio non deve danneggiare la parte che ha ragione, contribuendo, così, ad attuare il disposto di cui all'art. 24 Cost.
D'altra parte, proseguono i giudici di legittimità, è a causa di una premessa infondata che la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie hanno considerato che il discrimine per l'applicazione della norma fosse l'oggetto della controversia definita dal provvedimento giudiziale, ritenendo che la soccombenza può sussistere soltanto nel caso di provvedimenti decisori riguardanti posizioni contrapposte, su diritti o status. Per converso, anche la struttura camerale o semplificata del rito non comporta alcuna implicazione rispetto alle spese processuali nel senso di escluderne a priori la liquidazione per una presupposta incompatibilità.
Chiarite tali premesse, la Suprema Corte, aderendo al maggioritario e tradizionale orientamento giurisprudenziale, ha fornito risposta negativa alla principale questione controversa individuata nella possibilità di ravvisare, nel caso del procedimento di correzione di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., una soccombenza di una parte rispetto all'altra ex art. 91 c.p.c.
Sul punto, è stato chiarito che il procedimento di correzione degli errori materiali non soltanto non comporta un diritto nei confronti della controparte ma, parimenti, non realizza una statuizione in sostituzione di quella enunciata nel provvedimento corretto.
In questo senso, invero, la ratio della correzione degli errori materiali delle sentenze ha un carattere sui generis e non può essere assimilata, a livello contenutistico, neppure alla volontaria giurisdizione poiché non attua interessi in funzione integrativa della volontà dei rispettivi titolari ma, al contrario, di recuperare la corrispondenza tra l'espressione formale del provvedimento ed il suo contenuto sostanziale.
D'altra parte, ricordano i giudici di legittimità, gli errori emendabili sono soltanto quelli inerenti alla redazione del documento dalla cui lettura è rilevabile icto oculi che non vi sia corrispondenza tra i presupposti del documento stesso e la loro esteriorizzazione.
Pertanto, il procedimento di correzione «consente, come è stato efficacemente detto in dottrina, di eliminare gli errori che viziano il provvedimento considerato non nella sua essenza di atto giurisdizionale, ma semplicemente come documento».
Ed infatti, si conferma che il provvedimento conclusivo del procedimento in oggetto ha natura sostanzialmente amministrativa non potendo ravvisarvi i presupposti, il contenuto o l'effetto di una pronuncia giurisdizionale: il giudice, nel caso di istanza di correzione, non esercita una potestas iudicandi poiché il provvedimento è volto a rimediare ad un vizio meramente formale derivante dalla differenza tra l'esteriorizzazione e l'intendimento dello stesso. In tal senso, invero, il provvedimento non muta il contenuto della decisione oggetto di correzione: se le parti non si avvalgono del relativo procedimento «non è preclusa la possibilità di cogliere ed affermare il reale contenuto precettivo della statuizione giudiziale in via interpretativa, sulla base di una lettura coordinata del dispositivo e della motivazione» (Cass. civ., sez. III, 31 marzo 2007, n. 8060).
Per tale ragione, l'istanza è diretta al medesimo giudice che ha emanato il provvedimento di cui si chiede la correzione e non è necessario il rilascio della nuova procura, rientrando in un mero incidente dello stesso giudizio che ha lo scopo di armonizzare la volontà del giudice con quella espressa nel provvedimento (Cass. civ., sez. I, 17 giugno 2005, n. 13083). Allo stesso modo, la correzione dell'errore materiale, pur essendo compatibile con il giudicato, è riservata ad un provvedimento che non ha alcuna validità autonoma rispetto alla sentenza cui appartiene la volontà della dichiarazione rappresentata dal provvedimento corretto.