Lavoro
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Pubblico impiego privatizzato: indennità per le ferie non godute e onere per il datore di provare di aver consentito al dipendente l’esercizio del suo diritto alle ferie

10 Gennaio 2025

La Corte di Cassazione accoglie le doglianze del ricorrente in merito al riparto dell'onere della prova sul godimento delle ferie. La Corte ha stabilito che spetta al datore di lavoro dimostrare di aver organizzato il lavoro in modo tale da consentire al dipendente di fruire delle ferie, includendo un invito formale, chiaro e tempestivo con l'avviso esplicito della loro perdita in caso di mancato utilizzo. Nel caso di specie, il datore di lavoro non aveva soddisfatto tale onere, subordinando genericamente il godimento delle ferie alle esigenze organizzative e personali del dipendente. La Corte ha inoltre ribadito che, in caso di cessazione del rapporto di lavoro per malattia invalidante, il diritto alle ferie non godute non si estingue, e deve essere corrisposta l'indennità sostitutiva. Questo principio tutela il diritto fondamentale alle ferie retribuite sancito anche dalla giurisprudenza europea e nazionale. 

Massima

In tema di pubblico impiego privatizzato, il datore di lavoro ha l'onere di dimostrare di avere esercitato la sua capacità organizzativa in modo che il lavoratore godesse effettivamente del periodo di congedo per ferie e, quindi, di averlo inutilmente invitato a usufruirne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle dette ferie e alla indennità sostitutiva.

Il caso

Un pediatra dell'ASP Agrigento ricorreva in Cassazione per ottenere l'indennità di 178 giorni di ferie non godute, ma la richiesta era stata rigettata.

Un medico pediatra in servizio presso l'ASP di Agrigento proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza di secondo grado, la quale, confermando la pronunzia di primo grado, respingeva la domanda del lavoratore volta ad ottenere il pagamento dell'indennità sostitutiva per 178 giornate di ferie non godute.

Egli aveva esposto di essere stato collocato a riposo per inabilità permanente al lavoro, integrante cause oggettive indipendenti dalla sua volontà e dalle capacità organizzative del datore di lavoro, tali da non consentire la programmazione del godimento delle ferie maturate, con conseguente diritto alla loro monetizzazione.

Le questioni

La sentenza in disamina affronta la questione del diritto al godimento dell'indennità di ferie non godute al termine del rapporto di lavoro, relazionandolo in particolar modo al tema dell'onere della prova in capo al datore del potere organizzativo da parte del datore di lavoro ad aver invitato espressamente e non genericamente il lavoratore a fruire delle ferie.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione smentisce le corti di merito: l'indennità di ferie non godute va pagata se il datore di lavoro non dimostra di essersi opportunamente organizzato. Rigettate le eccezioni di inammissibilità di parte controricorrente, gli ermellini si concentrano nell'esaminare le doglianze del ricorrente circa il riparto dell'onere della prova, laddove egli lamenta che la Corte territoriale avrebbe posto a suo carico l'onere di dare la prova dell'esistenza di ragioni aziendali o personali tali da impedire il godimento delle ferie.

La Corte avrebbe erroneamente ritenuto che il datore di lavoro avesse dimostrato di aver messo il lavoratore in condizione di usufruire delle ferie, basandosi su una comunicazione del direttore dell'UOC di Pediatria che stabiliva la possibilità di godere di sei giorni di ferie al mese fino al collocamento a riposo, subordinandola però alle esigenze di servizio e personali. Secondo il ricorrente, la corte avrebbe sbagliato imponendo a lui l'onere di provare l'assenza di tali esigenze.

Il ricorrente contesta anche il ragionamento della Corte, che aveva escluso la monetizzazione delle ferie non godute sostenendo che la cessazione del rapporto di lavoro per inabilità fosse una causa imprevedibile. Il ricorrente ritiene che, poiché avrebbe avuto ancora anni di lavoro davanti, avrebbe potuto usufruire delle ferie pregresse se non fosse intervenuta la malattia.

In sintesi, la corte territoriale avrebbe errato nell'escludere la monetizzazione delle ferie non godute, poiché queste non furono fruite a causa dell'interruzione del rapporto di lavoro per malattia.

Le critiche del ricorrente sono considerate fondate.

Il diritto alle ferie annuali e all'indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro può essere perso solo se il datore di lavoro dimostra di aver invitato formalmente il dipendente a usufruirne, avvisandolo in modo chiaro e tempestivo che le ferie, se non godute, saranno perse al termine del periodo di riferimento o di riporto autorizzato. Spetta al datore di lavoro organizzare il lavoro in modo da garantire il godimento effettivo delle ferie (Cass., Sez. L, n. 21780/2022; Cass., Sez. 6-L, n. 29844/2022).

Nel caso specifico, una comunicazione che subordina le ferie alle esigenze aziendali e personali del lavoratore non soddisfa tali requisiti, in quanto non è un'intimazione perentoria e non stabilisce un termine chiaro. Inoltre, l'onere di dimostrare l'impossibilità di fruire delle ferie non può ricadere sul lavoratore, ma rimane sempre a carico del datore.

Infine, in caso di cessazione del rapporto di lavoro per cause non imputabili al lavoratore, come una malattia invalidante, il divieto di monetizzazione delle ferie non si applica se il dipendente non ha potuto goderne per motivi non volontari. Secondo la Corte di Giustizia dell'UE, il diritto alle ferie annuali retribuite è un principio fondamentale che non può essere derogato, e l'indennità finanziaria è obbligatoria in caso di cessazione del rapporto (sentenze C-350/2006 e C-520/2006; C-341/15).

La Corte costituzionale, con sentenza n. 95 del 2016, ha stabilito che il divieto di monetizzazione delle ferie non godute non si applica nei casi di malattia, poiché in tali situazioni la volontà del lavoratore è irrilevante, in applicazione dell'art. 36 della Costituzione.

Analogamente, il Consiglio di Stato ha riconosciuto che, quando una malattia continua fino alla cessazione del rapporto di lavoro, impedendo la fruizione delle ferie maturate, il lavoratore ha diritto all'indennità per il mancato godimento. Questo principio è stato ribadito in varie pronunce recenti (Cons. Stato n. 9417/2023; n. 6362/2023; n. 819/2023, tra le altre).

Nel caso specifico, non è contestato che il lavoratore abbia lasciato il lavoro per una malattia invalidante, evento non imputabile a lui, e prima della scadenza del periodo massimo per usufruire delle ferie.

Pertanto, la Cassazione, con la sentenza in esame, ha stabilito il seguente principio di diritto: “In tema di pubblico impiego privatizzato, il dipendente non perde il diritto alle ferie ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, ove tale cessazione sia avvenuta per malattia che abbia impedito l'effettivo godimento del periodo di congedo ancora spettante;

In tema di pubblico impiego privatizzato, il datore di lavoro ha l'onere di dimostrare di avere esercitato la sua capacità organizzativa in modo che il lavoratore godesse effettivamente del periodo di congedo e, quindi, di averlo inutilmente invitato a usufruirne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle dette ferie e alla indennità sostitutiva; pertanto, non è idonea a fare ritenere assolto tale onere la comunicazione con la quale la P.A. chieda al dipendente di consumare siffatte ferie genericamente prima della cessazione del rapporto di impiego e non entro una data specificamente indicata, senza riportare l'avviso menzionato e subordinando, comunque, l'utilizzo del congedo in questione alle sue esigenze organizzative”. (Cfr. pag. 4/4, Sent.).

Osservazioni

È superata l'interpretazione della Corte costituzionale alla luce delle evoluzioni della giurisprudenza eurounitaria.

In disparte gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità ed amministrativa domestica, confermati dalla sentenza oggetto del commento, consolidatisi nel solco di indirizzi interpretativi della giustizia eurounitaria, desta stupore, nel quadro dell'impianto normativo comunitario e nazionale che disciplina il diritto alle ferie, la postura della Corte costituzionale che ha “salvato” dall'illegittimità costituzionale l'art. 8, comma, 5 del Decreto legge 06/07/2012, n. 95, convertito dalla Legge 7 agosto 2012, n. 13 (Cfr. Corte cost., 06/05/2016, n. 95).

Sia consentito di esprimere qualche perplessità.

L'articolo sottoposto al vaglio di legittimità, per quanto d'interesse, stabilisce che “Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell' articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché delle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi.

La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età”.

La Corte Costituzionale italiana, con la sentenza n. 95 del 2016, ha sanzionato la conformità alla Costituzione ed al diritto dell'UE dell'art. 5 in esame, valorizzando le esigenze di contenimento della spesa pubblica ed i vincoli organizzativi per il datore di lavoro pubblico, onde affermare che tale normativa mirava a reprimere il ricorso incontrollato alla "monetizzazione" delle ferie non godute, nonché a riaffermare la preminenza del godimento effettivo delle ferie. (Zani, Ferie non godute nel pubblico impiego: la “monetizzazione” negata al lavoratore dimissionario per contenere la spesa pubblica viola il diritto UE, Nota a: Corte giustizia UE , 18 gennaio 2024, n. 218, sez. I IUS Lavoro, fasc., 21 FEBBRAIO 2024).

Ciò detto e tornando all'esame dell'art 5, appare evidente che la locuzione (inciso rafforzativo) “in nessun caso” e la congiunzione coordinativa “anche” non consentano di individuare ipotesi derogatorie per la portata onnicomprensiva del divieto (Cfr. Di Noia, La Consulta salva il divieto di monetizzazione delle ferie non godute, in Riv. it. dir. lav., 2016, II).

Il confronto porta a prendere in considerazione la lettera della normativa europea, segnatamente l'art. 7, comma 2 della Dir. 4/11/2003, n. 2003/88/CE che stabilisce quanto segue: “Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un' indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro ”. Orbene, appare evidente che la monetizzazione delle ferie non godute non sarebbe sottoposta ad alcun divieto se non alla (sola) condizione della risoluzione del rapporto di lavoro.

Le perplessità si rafforzano laddove si ponga attenzione agli assunti della giurisprudenza europea e in particolare alla recente sentenza della Corte di giustizia UE 18/01/2024, n. 218, successiva a quella del Giudice delle leggi del 2015.

L'importante recente sentenza della Corte di Giustizia afferma chiari principi che – si ritiene – contrastino, in parte, col decisum della Corte costituzionale, ormai “superato” con riguardo ad alcuni aspetti dell'articolazione interpretativa teleologica, riconducibile alla ratio della norma, siccome individuata dal Giudice delle leggi. Secondo i giudici europei gli stati membri “devono astenersi dal subordinare a qualsivoglia condizione la costituzione stessa di tale diritto, il quale scaturisce direttamente dalla suddetta direttiva (v., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2021, job-medium, C-233/20, EU:C:2021:960, punto 27 e giurisprudenza citata).“ (Punto 28, sent.) Il diritto alle ferie include il diritto patrimoniale al suo pagamento, “nonché, in quanto diritto connaturato a detto diritto alle ferie annuali "retribuite", il diritto a un'indennità finanziaria per le ferie annuali non godute al momento della cessazione del rapporto di lavoro (sentenza del 25 novembre 2021, job-medium, C-233/20, EU:C:2021:960, punto 29 e giurisprudenza citata).(Punto 29, sent.). Con la cessazione del rapporto di lavoro, la fruizione effettiva delle ferie retribuite viene meno, di talché, per evitare che il lavoratore, a causa di tale impossibilità, non riesca a beneficiare di detto diritto, l'articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 prevede che, in caso di fine del rapporto di lavoro, il lavoratore abbia diritto a un'indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali non goduti (sentenza del 6 novembre 2018, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften, C-684/16, EU:C:2018:874, punto 22 e giurisprudenza citata) (Punto 30, sent.).

È privo di rilevanza il motivo per cui il rapporto di lavoro è cessato. Pertanto, “la circostanza che un lavoratore ponga fine, di sua iniziativa, al proprio rapporto di lavoro, non ha nessuna incidenza sul suo diritto a percepire, se del caso, un'indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite di cui non ha potuto usufruire prima della cessazione del rapporto di lavoro (sentenze del 20 luglio 2016, Maschek, C-341/15, EU:C:2016:576, punti 28 e 29, nonché del 25 novembre 2021, job-medium, C-233/20, EU:C:2021:960, punti 32 e 34) (Punto 32, sent.).

Tuttavia, la Corte eurounitaria, sulla base del principio dell'effettività di godimento del periodo feriale, valorizzato anche dalla Corte costituzionale domestica,  prevedendo che il periodo minimo di ferie annuali retribuite non possa essere sostituito da un'indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro, sottolinea e ribadisce come l'articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, mira anche a garantire che il lavoratore possa beneficiare di un riposo effettivo, per assicurare una tutela efficace della sua sicurezza e della sua salute.

Ma, dall'altro, afferma il principio che tale disposizione osta a normative o pratiche nazionali le quali prevedano che, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non sia versata alcuna indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute al lavoratore che non sia stato in condizione di fruire di tutte le ferie annuali cui aveva diritto prima della cessazione di tale rapporto di lavoro, in particolare perché era in congedo per malattia per l'intera durata o per una parte del periodo di riferimento e/o di un periodo di riporto.

La Corte di giustizia critica gli obiettivi cui mira l'art. 8. co. 5, del D.L. 95/2012, come interpretato dalla Corte costituzionale, consistenti nel contenimento della spesa pubblica e, dall'altro, nelle esigenze organizzative del datore di lavoro pubblico, ivi compresa la razionale programmazione del periodo di ferie e l'incentivazione all'adozione di comportamenti virtuosi delle parti del rapporto di lavoro.

La Corte, a riguardo, ricorda il considerando 4 della direttiva 2003/88 dal quale risulta che la protezione efficace della sicurezza e della salute dei lavoratori non può dipendere da considerazioni di carattere puramente economico.

Per quanto riguarda l'obiettivo connesso alle esigenze organizzative del datore di lavoro pubblico, occorre rilevare che esso concerne, in particolare, la razionale programmazione del periodo di ferie e l'incentivazione dell'adozione di comportamenti virtuosi delle parti del rapporto di lavoro (particolare e rigorosa diligenza da parte del datore di lavoro e non imputabilità al lavoratore del mancato godimento feriale), di modo che esso può essere inteso come finalizzato a incentivare i lavoratori a fruire delle loro ferie e come rispondente alla finalità della direttiva 2003/88, ma non può costituire un vincolo rispetto al quale il diritto alle ferie (e connesso diritto patrimoniale) debba soccombere.

La Corte di Giustizia, statuendo che non osta, in assoluto, alla disposizione ex art. 7 della Direttiva più volte citata, una normativa interna che precluda il diritto alle ferie e alla sua monetizzazione, tuttavia, tale normativa non può introdurre limiti che escludano il cennato diritto:

  • alla cessazione del rapporto di lavoro per atto volontario del lavoratore;
  • per ragioni attinenti al contenimento della spesa pubblica;
  • per esigenze organizzative del datore di lavoro pubblico,

senza assicurarsi, con onere della prova incombente sul datore di lavoro, che concretamente e in piena trasparenza il lavoratore sia effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo, e nel contempo informandolo, in modo accurato e in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all'interessato il riposo e la distensione cui esse sono volte a contribuire, del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato, o non potranno più essere sostituite da un'indennità finanziaria (v. in tal senso, sentenza del 6 novembre 2018, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften, C-684/16, EU:C:2018:874, punti 45 e 46).

La normativa nazionale che vieta l'indennità per ferie non godute alla cessazione del rapporto è incompatibile con l'articolo 7 della direttiva 2003/88 e con l'articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali, a meno che il lavoratore non abbia rinunciato deliberatamente e consapevolmente alle sue ferie.

La Sentenza della Cassazione in commento appare allineata ai principi cristallizzati dalla Corte europea; laddove, invece, gli indirizzi ermeneutici della giustizia costituzionale domestica sembrano in buona parte superati, tali da rendere opportuno un ripensamento circa la legittimità costituzionale di buona parte dell'art. 8, comma, 5 del Decreto legge 6 luglio 2012, n. 95.

Riferimenti giurisprudenziali

  • Corte giustizia UE , 18 gennaio 2024, n. 218, sez. I
  • Cons. Stato sent. n. 9417/2023;
  • Cons. Stato sent. n. 6362/2023;
  • Cons. Stato sent. n. 819/2023;
  • Cass., sez. L, n. 21780/2022;
  • Cass., Sez. 6-L, n. 29844/2022.

Riferimenti bibliografici

Zani, Ferie non godute nel pubblico impiego: la “monetizzazione” negata al lavoratore dimissionario per contenere la spesa pubblica viola il diritto UE, Nota a: Corte giustizia UE , 18 gennaio 2024, n. 218, sez. I, in IUS Lavoro, 21 febbraio 2024.

Di Noia, La Consulta salva il divieto di monetizzazione delle ferie non godute, in Riv. it. dir. lav., 2016, II.

Corti, Legislazione anticrisi e diritto alle ferie: i difficili equilibrismi della Corte costituzionale, in Dir. rel. ind., n. 4, 2016.

Rossi, Il diritto del dirigente all'indennità per ferie non godute, nell'evoluzione della recente giurisprudenza, in Dir. rel. ind., n. 3, 2024.

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