Recupero dei sottotetti: effetti sulla realtà condominiale del decreto “Salva casa”
Paolo Scalettaris
23 Gennaio 2025
Nel d.l. c.d. “Salva casa” (d.l. 29 maggio 2024, n. 69, convertito con modifiche dalla l. 24 luglio 2024, n. 105) sono presenti disposizioni che hanno effetto anche sul piano dei rapporti condominiali. Tra tali disposizioni, si segnala la norma diretta a disciplinare il recupero dei sottotetti. Esamineremo qui di seguito il contenuto di tale norma in rapporto, in particolare, alle regole che, nell'àmbito della disciplina del condominio, concernono la proprietà del sottotetto e la realizzazione delle sopraelevazioni.
Introduzione. Il quadro normativo
I principi fondamentali e generali per la disciplina dell'attività edilizia sono fissati dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (il “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”).
L'art. 2 di tale decreto disciplina le “competenze delle regioni e degli enti locali” in materia disponendo che “le regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico”.
L'art. 2-bis del decreto (“Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati”) prevede poi che “ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni […] possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie” al d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 (si tratta del decreto diretto a fissare “limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricanti e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi [...] da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti”).
Prevede, inoltre, l'art. 2-bis che tali disposizioni siano “finalizzate a orientare i comuni nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio” e che - tra l'altro - “in ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell'area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione” sia “comunque consentita nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti”.
Queste sono, dunque, - in sintesi - le disposizioni che fino ad ora erano dettate dal d.P.R. n. 380/2001 in tema di distanze tra costruzioni.
Sta di fatto che alle disposizioni ricordate è stata ora aggiunta - in sede di conversione in legge del decreto “Salva casa” (il d.l. 29 maggio 2024, n. 69, convertito con modifiche dalla l. 24 luglio 2024, n. 105) - una nuova norma, il comma 1-quater dell'art. 2-bis.
Tale nuova disposizione prevede che: “Al fine di incentivare l'ampliamento dell'offerta abitativa limitando il consumo di nuovo suolo, gli interventi di recupero dei sottotetti sono comunque consentiti, nei limiti e secondo le procedure previsti dalla legge regionale, anche quando l'intervento di recupero non consenta il rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, a condizione che siano rispettati i limiti di distanza vigenti all'epoca della realizzazione dell'edificio, che non siano apportate modifiche, nella forma e nella superficie, all'area del sottotetto, come delimitata dalle pareti perimetrali, e che sia rispettata l'altezza massima dell'edificio assentita dal titolo che ne ha previsto la costruzione. Resta fermo quanto previsto dalle leggi regionali più favorevoli”.
La nuova disposizione
Obiettivo specifico della nuova norma sono, dunque, gli interventi diretti al “recupero” dei sottotetti.
Con la disposizione così introdotta viene previsto innanzitutto che gli interventi di recupero dei sottotetti debbano avvenire secondo ciò che dispongono le normative regionali. L'aspetto così regolato ha rilievo dal momento che la materia è oggetto, come si è visto, della previsione di competenza concorrente tra Stato e Regioni: secondo la nuova norma nel caso considerato la normativa regionaleè destinata aprevalere rispetto a quella statale in ogni ipotesi in cui la prima sia più favorevole - abbia cioè portata più ampia e permissiva - della seconda.
Accanto a quella ora ricordata la nuova norma contiene previsioni dirette a fissare i requisiti perché possa essere operato il recupero dei sottotetti in deroga alle disposizioni in tema di distanze tra le costruzioni e dai confini. Si richiede che:
l'intervento rispetti “i limiti di distanza vigenti all'epoca della realizzazione dell'edificio” mentre è consentito che non siano osservati i limiti attualmente vigenti;
“non siano apportate modifiche, nella forma e nella superficie, all'area del sottotetto, come delimitata dalle pareti perimetrali”;
“sia rispettata l'altezza massima dell'edificio assentita dal titolo che ne ha previsto la costruzione”.
In presenza di queste condizioni, l'intervento di recupero è ammesso anche se con esso non siano rispettate le distanze tra gli edifici e dai confini quali fissate dalla disciplina vigente.
Da notare che - come detto - si prevede che “resta fermo quanto previsto dalle leggi regionali più favorevoli”: ciò fa pensare che nei casi e nei luoghi in cui le norme regionali fissassero regole più favorevoli alla realizzazione degli interventi i limiti ed i requisiti fissati da queste ultime prevarrebbero.
Da osservare che la norma si applicherà solo nei confronti degli interventi di recupero dei sottotetti che saranno realizzati dopo il 28 luglio 2024, data di entrata in vigore della l. n. 105/2024.
I singoli requisiti previsti
Va detto subito che la nuova norma è destinata a spiegare effetto (anche) nell'ambito degli edifici costituenti condominii e che in tale ambito potrà dare luogo a questioni dalla soluzione non agevole.
Consideriamo innanzitutto gli aspetti problematici legati alle condizioni che sopra si sono indicate (le quali però - come detto - saranno destinate a valere solo in assenza di disposizioni regionali ispirate a maggiore larghezza).
Con riguardo ai singoli requisiti sopra indicati dobbiamo notare dunque quanto segue.
Con il primo dei requisiti anzidetti, si prevede che non sia necessario, perché l'intervento possa essere effettuato, il rispetto delle distanze dai confini e tra gli edifici fissate dalle norme attualmente vigenti.
La portata della disposizione appare assai ampia: infatti, in sede di commento alla disposizione è stato notato che “a prima lettura questa formula pare di una tale ampiezza da consentire di derogare perfino alle distanze civilistiche tra le abitazioni, come previste dal codice civile, e non solo a quelle amministrative, come fissate dal d.m. 1444/1968”.
Vi è da chiedersi, anzi, se le norme civilistiche alle quali la disposizione che stiamo esaminando fa riferimento siano - oltre a quelle che fissano la distanza tra le costruzioni - anche quelle di cui all'art. 889 c.c. (che considera le distanze dal confine “per pozzi, cisterne, fosse e tubi”) e quelle di cui all'art. 890 c.c. (che considera le distanze dal confine “per fabbriche e depositi nocivi e pericolosi”, tra i quali vi sono anche i camini): norme che trovano frequente applicazione proprio nei casi di realizzazione di nuovi locali da adibire all'abitazione.
Da sottolineare, peraltro, che la norma richiede in ogni caso il rispetto delle distanze previste dalle disposizioni che fossero state vigenti all'epoca della costruzione dell'edificio nel quale si tratti di effettuare l'intervento.
Ulteriore requisito indicato è quello dell'assenza di modifiche quanto alla forma e quanto alla superficie dell'area del sottotetto quale definita dalle sue pareti perimetrali.
Pare chiaro che questa previsione abbia riguardo alla porzione dell'area del sottotetto interessata dall'intervento: il che fa pensare che nei casi in cui il sottotetto costituisca uno spazio ripartito in più porzioni delimitate da separazioni o tramezzature la divisione disposta da queste debba essere mantenuta.
Vi è da dire, però, che non appare agevole l'individuazione del rapporto - sul piano logico - tra questa previsione e quella relativa al primo dei requisiti indicati: pare, infatti, che la previsione qui in esame - escludendo la possibilità della modifica del perimetro del sottotetto o della porzione di questo oggetto dell'intervento di recupero - escluda in ogni caso la possibilità che l'intervento di recupero comporti - quantomeno con riguardo alla porzione di edificio oggetto delle opere da eseguire - la modifica delle distanze dai confini o tra gli edifici.
Viene fissato, poi, l'ulteriore requisito costituito dal rispetto dell'altezza massima dell'edificio quale prevista dal provvedimento che ha consentito la sua costruzione originaria.
Si noti che questa disposizione considera l'altezza massima dell'edificio il che può fare pensare che non sia esclusa la possibilità della sopraelevazione nei casi in cui questa, perché relativa ad una porzione dell'edificio avente in precedenza altezza inferiore a quella della parte che raggiungesse l'altezza massima, non dia luogo al superamento dell'altezza massima prescritta dal titolo edilizio che ha consentito la realizzazione della costruzione.
Come emerge dalle osservazioni ora svolte, sembra che debba, dunque, concludersi che - in termini di sostanza - il rispetto dei requisiti previsti dalle disposizioni qui considerate consenta che l'intervento volto al “recupero” del sottotetto consista nel ricavo di nuovi volumi utilizzabili, con divieto di modifica delle murature perimetrali - e dunque con divieto di ampliamento esterno in linea orizzontale - ma con possibilità di innalzamento entro il limite della altezza massima consentita dal titolo che ha abilitato la costruzione e con maggiore elasticità quanto alla possibilità di collocare nel sottotetto gli impianti necessari per l'abitazione.
Da aggiungere che l'intervento volto al “recupero” potrà (ed anzi di norma dovrà) comportare anche il cambio di destinazione d'uso del sottotetto, condizione relativamente alla quale verranno in campo anche le nuove disposizioni introdotte dallo stesso decreto “Salva casa” dirette ad integrare il dettato dell'art. 23-terdel d.P.R. n. 380/2001 con incremento delle ipotesi del mutamento di destinazione d'uso e facilitazione dell'iniziativa.
La destinazione del volume ricavato dal recupero del sottotetto
Dobbiamo chiederci a questo punto se la norma sia indirizzata a considerare il recupero del sottotetto nella sola previsione della sua adibizione ad abitazione.
Non è agevole dare risposta al quesito.
L'opinione secondo cui l'intervento previsto sarebbe limitato alla destinazione abitativa si basa sull'osservazione che la norma indica espressamente - con previsione che è enunciata peraltro anche nello stesso testo della norma - tra le finalità perseguite appunto quella dell'“ampliamento dell'offerta abitativa” (obiettivo che si aggiunge - nel testo della norma - a quello della limitazione del “consumo di nuovo suolo”). Ciò condurrebbe, quindi, a ritenere che la norma concerna solo gli interventi volti al recupero dei sottotetti a fini abitativi.
La diversa opinione secondo cui il “recupero” previsto potrebbe consistere anche nella trasformazione del sottotetto in locali destinati ad uso diverso dall'abitazione e non strettamente collegati a questi (e dunque locali destinati a magazzino o a deposito o anche ad uffici per lo svolgimento di attività professionale o commerciale) si basa sulla considerazione che per la norma quello dell'ampliamento dell'offerta di abitazioni è solamente uno degli obiettivi perseguiti. Del resto, non può escludersi che il proprietario del sottotetto non sia proprietario di alcuna unità abitativa nell'edificio o addirittura che il sottotetto sia l'unico bene del suo proprietario nel condominio.
Ciò notato, vi è da dire però che in sede di prima lettura della norma la generalità degli osservatori ha ritenuto che la sua portata sia limitata alla finalità abitativa.
Deve aggiungersi che in ogni caso, pur nel caso in cui la previsione della norma fosse intesa come limitata all'ipotesi della finalità abitativa, la possibilità del recupero comprenderebbe comunque anche il ricavo di spazi e volumi che, pur non costituendo oggetto di utilizzo abitativo diretto, fossero collegati in via funzionale all'abitazione ed avessero pertanto destinazione residenziale.
Da segnalare infine che, in ogni caso, sembra chiaro che l'iniziativa di recupero del sottotetto che stiamo considerando possa avere ad oggetto anche il sottotetto diproprietà condominiale: infatti, la nuova norma, nel prendere in considerazione il “recupero” del sottotetto, non richiede affatto che questo sia oggetto di proprietà esclusiva.
La questione della proprietà individuale o comune del sottotetto
Un aspetto della materia che viene così ad emergere è quello legato alla differenza tra il sottotetto di proprietà comune ed il sottotetto che sia oggetto di proprietà individuale.
Come noto, una delle questioni che hanno dato luogo a discussione nel campo dei rapporti condominiali è appunto quella che concerne la proprietà del sottotetto, se proprietà comune o proprietà individuale. La questione sembra porsi oggi in modo diverso dal passato in conseguenza del fatto che in sede di riforma della disciplina del condominio con la l. n. 220/2012 è stato modificato l'art. 1117 c.c., con l'introduzione della previsione specifica per la quale sono oggetto di proprietà comune, se non risulta il contrario dal titolo, anche “i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune”.
In giurisprudenza - in sede di lettura di questa disposizione - è stato affermato che per accertare la natura condominiale o meno del sottotetto occorre tenere conto, in primo luogo, del titolo e, in secondo luogo, nel caso di mancanza del titolo, della struttura del bene e della sua funzione concreta. Il sottotetto deve, pertanto, essere considerato di proprietà esclusiva del titolare dell'appartamento dell'ultimo piano, quale pertinenza di questo, quando abbia la funzione di isolare e proteggere l'appartamento dal caldo, dal freddo e dall'umidità e funga da camera d'aria isolante e dovendo di contro considerarsi di proprietà comune quando abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l'utilizzazione quale vano autonomo ed abbia oggettiva destinazione, pur in via solo potenziale, all'uso comune o all'esercizio di un servizio di interesse comune: ciò appunto in applicazione della presunzione di condominialità di cui all'art. 1117 c.c. che opera ogni volta che, nel silenzio del titolo, il bene sia suscettibile per le sue caratteristiche di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi (così Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2023, n. 10269; nello stesso senso: Cass. civ., sez. II, 10 marzo 2017, n. 6314; Trib. Milano 7 aprile 2017).
In sede di applicazione concreta di questi principi, si è ritenuto, peraltro, che non fosse sufficiente per dimostrare che il vano, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, fosse destinato all'uso comune l'esistenza della botola d'accesso nel vano scala ed un cavo televisivo posto nel sottotetto, dovendosi invece previamente verificare la consistenza strutturale originaria del sottotetto ed accertare anche, nel caso di originaria destinazione all'uso comune, se questa concernesse l'intera sua superficie e comunque se fosse tale da avere carattere di oggettiva prevalenza sulla funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall'umidità l'appartamento all'ultimo piano (v. sempre Cass. civ., sez. II, 21 maggio 2020, n. 9383).
Già nella vigenza della disciplina antecedente la riforma del 2012 si era affermato che in mancanza di titolo - dovendosi il sottotetto ritenere compreso nelle parti comuni se oggettivamente destinato pur in via potenziale all'uso comune o all'esercizio di servizio di interesse condominiale - la natura comune del sottotetto di un edificio dovesse ricavarsi dai suoi caratteri concreti (costituiti per esempio nell'altezza superiore ai 2 metri, nella sua estensione originaria pari al perimetro dell'edificio, nella sua calpestabilità nella sua parte centrale, nell'esistenza di un unico accesso raggiungibile mediante scala avente natura condominiale e nella presenza originaria nel locale di impianti condominiali: così Cass. civ., sez. II, 25 maggio 2016, n. 10869).
Da notare che l'affermazione dell'appartenenza del sottotetto al proprietario del locale all'ultimo piano dell'edificio nel caso in cui il vano in questione non risulti destinato all'uso comune concerne anche i casi in cui i locali all'ultimo piano abbiano una destinazione diversa dall'abitazione: aspetto che potrebbe presentare rilievo in relazione alla questione che sopra si è considerata circa la limitazione della portata delle nuove disposizioni al solo caso di utilizzazione del sottotetto per finalità abitative (pur dovendosi riconoscere comunque che non può escludersi l'ipotesi che il sottotetto posto al di sopra di un locale avente destinazione commerciale o professionale possa essere utilizzato per finalità abitative).
Le questioni che si pongono nel caso del sottotetto comune
In sede di applicazione della norma in esame, le considerazioni sono diverse a seconda che il sottotetto sia oggetto di proprietà comune o invece di proprietà esclusiva di un condomino.
Nel caso in cui il sottotetto sia di proprietà condominiale - e costituisca dunque parte comune dell'edificio - l'intervento diretto al suo recupero dovrà essere oggetto di delibera dell'assemblea condominiale, con la quale si disporrà l'esecuzione delle opere volte ad attuare il recupero e la conseguente nuova destinazione di tale parte comune.
Si tratterà, dunque, di assumere una delibera volta all'adozione di una “innovazione” (art. 1120 c.c.).
Secondo la giurisprudenza, “per innovazioni delle cose comuni si intendono le modifiche, approvate dall'assemblea con la maggioranza qualificata nell'interesse di tutti i condomini, le quali importino l'alterazione dell'entità sostanziale o il mutamento dell'originaria destinazione, in modo che le parti comuni presentino una diversa consistenza materiale, ovvero vengano utilizzate per fini diversi da quelli precedenti. In quanto novità, mutamento, trasformazione, le innovazioni consistono sempre nell'atto o nell'effetto del facere” (così Cass. civ., sez. II, 26 maggio 2006, n. 12654).
Da ricordare che anche le deliberazioni assembleari dirette solo al mutamento di destinazione di una parte comune (si pensi al caso - che nella prassi è molto frequente - delle delibere volte a destinare un'area condominiale a parcheggio) sono riconducibili al campo delle innovazioni (così Cass. civ., sez. II, 15 dicembre 2014, n. 26295).
Alla luce di questi principi, emerge che la delibera volta a disporre l'intervento di recupero del sottotetto di proprietà condominiale - in quanto intervento diretto all'esecuzione di opere che modifichino la consistenza materiale di tale bene ed al mutamento della sua destinazione - dovrà essere adottata nel rispetto del criterio fissato dall'art. 1136, comma 5, c.c. (che dispone che le delibere in tema di innovazioni “devono essere approvate dall'assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio”).
Vi è da dire, poi, che la delibera assembleare che disponga il recupero del sottotetto - appunto in quanto delibera in tema di innovazioni - dovrà disporre anche la costituzione del fondo speciale di cui al n. 4 del comma 1 dell'art. 1135 c.c.: condizione che deve ritenersi fissata - secondo la giurisprudenza più recente (v. Cass. civ., sez. II, 5 aprile 2023, n. 9388) - a pena di nullità della delibera.
Le questioni che si pongono nel caso del sottotetto di proprietà esclusiva
Qualora invece l'intervento riguardi un sottotetto di proprietà individuale dovranno trovare applicazione le regole fissate dall'art. 1122 c.c. (“opere su parti di proprietà o uso individuale”) che dispone che “nell'unità immobiliare di sua proprietà […] il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio”.
In sede di interpretazione della norma, è stato sottolineato che - ove non vi siano norme limitative della destinazione e dell'uso delle porzioni immobiliari di proprietà esclusiva dell'edificio condominiale derivanti da regolamento contrattuale - non è vietata la modifica della destinazione della proprietà esclusiva ed il passaggio da un uso ad altro uso (Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 2019, n. 480). Ciò è consentito a condizione che le opere non possano danneggiare le parti comuni dell'edificio o recare altrimenti pregiudizio alla proprietà comune: è appunto questo il vero e fondamentale limite alla libertà di intervento del singolo condomino sulla sua unità.
Da ricordare, inoltre, che la norma è completata dalla previsione per cui “in ogni caso è data preventiva notizia all'amministratore che ne riferisce all'assemblea”.
Alla luce della norma ricordata, deve ritenersi dunque che l'intervento diretto al recupero del sottotetto di proprietà esclusiva - pur nell'ipotesi, corrispondente peraltro alla generalità dei casi, che esso comporti la modifica della destinazione d'uso del sottotetto - sia sempre consentito purché non provochi danni alle parti comuni. Ove, invece, “la specifica destinazione della proprietà esclusiva del singolo condomino sia stata ottenuta mediante la realizzazione di opere che arrechino pregiudizio alle parti comuni o quando la destinazione della proprietà esclusiva non possa essere realizzata che mediante la realizzazione di opere che quel pregiudizio arrechino, si verifica la violazione dell'art. 1122 c.c.” (così Cass. civ., sez. II, 17 aprile 2001, n. 5612).
Un cenno deve essere fatto a questo punto al tema della sopraelevazione.
A questo riguardo va sottolineato innanzitutto che la fattispecie della sopraelevazione (ipotesi che è disciplinata dall'art. 1127 c.c.) consiste secondo la giurisprudenza (Cass. civ., sez. II, 15 giugno 2020, n. 11490) nella “realizzazione di nuove costruzioni nell'area sovrastante il fabbricato, per cui l'originaria altezza dell'edificio è superata con la copertura dei nuovi piani o con la superficie superiore terminale delimitante le nuove fabbriche” (v., in questo senso, anche: Cass. civ., sez. II, 24 ottobre 1998, n. 10568; Cass. civ., sez. II, 10 giugno 1997, n. 5164; Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 1983, n. 680; Cass. civ., sez. II, 7 settembre 2009, n. 19281). Peraltro, “la nozione di sopraelevazione ex art. 1127 c.c. comprende[…] non solo il caso della realizzazione di nuovi piani o nuove fabbriche, ma anche quello della trasformazione dei locali preesistenti mediante l'incremento delle superfici e delle volumetrie, seppur indipendentemente dall'aumento dell'altezza del fabbricato” (così Cass. civ., sez. un., 30 luglio 2007, n. 16794). Di contro, non si ha “sopraelevazione […] agli effetti della richiamata disposizione, in ipotesi di modificazione solo interna ad un sottotetto, contenuta negli originari limiti strutturali, delle parti dell'edificio sottostanti alla sua copertura” (così Cass. civ., sez. II, 24 ottobre 1998, n. 10568; Cass. civ., sez. II, 10 giugno 1997, n. 5164; Cass. civ., sez. II, 20 dicembre 2018, n. 33037).
Ad una prima lettura, parrebbe che - alla luce della norma che stiamo considerando - il caso del recupero del sottotetto di cui stiamo parlando non possa ricondursi all'ipotesi della sopraelevazione. A conferma di questa conclusione deve notarsi che - come si è visto - secondo la Cassazione si ha sopraelevazione anche nel caso di trasformazione dei locali preesistenti mediante l'incremento delle superfici e delle volumetrie: condizione che nel caso che qui si considera è esclusa perché non è consentita la modifica del perimetro interno del sottotetto.
Deve, però, aggiungersi, per completare l'esame che può ipotizzarsi - come già si è detto - la realizzazione dell'innalzamento del livello della copertura di porzioni di immobile che siano più basse della parte sommitale: il limite fissato dal decreto “Salva casa” concerne infatti l'altezza “massima” dell'edificio e non concerne l'altezza dei corpi dell'edificio che siano meno elevati della parte più alta.
Le conseguenze sulle tabelle millesimali
La questione può presentare rilievo anche nell'ottica della modifica delle tabelle millesimali.
Si consideri a questo proposito che l'art. 69 disp. att. c.c. dispone che “i valori proporzionali delle singole unità immobiliari espressi nella tabella millesimale di cui all'art. 68 [...] possono essere rettificati o modificati, anche nell'interesse di un solo condomino, con la maggioranza prevista dall'art. 1136, secondo comma, del codice [...] quando, per le mutate condizioni di una parte dell'edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, è alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell'unità immobiliare anche di un solo condomino”.
Come si vede, dunque, le tabelle millesimali possono essere riviste e modificate anche nell'interesse di un solo condomino qualora risultino notevolmente alterati i valori originari dei singoli piani o porzioni di essi: affinché si realizzi questa condizione non è necessario che il mutamento sia correlato ad una modificazione materiale dello stabile, potendo esso derivare anche dalla creazione di un nuovo piano come nel caso di trasformazione di una parte dei solai in vani abitabili o di trasformazione di un locale sotterraneo in un appartamento (Cass. civ., sez. II, 17 giugno 2021, n. 17391).
E' chiaro, dunque, che la fattispecie che stiamo qui considerando rientra nella previsione ora ricordata del n. 2 del comma 1 dell'art. 69 disp. att. c.c.
Da sottolineare, poi, che la norma fissa in almeno un quinto la differenza del valore di un'unità immobiliare che consente la modifica della tabella millesimale. Si tratta di una soglia assai elevata: soglia rispetto alla quale comunque sul piano concreto ha grande differenza di incidenza - nel caso di trasformazione del sottotetto - la circostanza che la soffitta di proprietà esclusiva sia parte di un'unità più grande o sia parte invece di una un'unità più piccola o addirittura sia essa stessa, da sola, un'unità immobiliare nel condominio.
E' chiaro, infine, che l'ipotesi che stiamo considerando può prospettarsi solo nei casi in cui sia recuperato un sottotetto di proprietà esclusiva: nel caso del bene comune infatti il suo mutamento non può incidere sulla tabella millesimale la quale - come noto - è lo specchio del rapporto tra il valore delle diverse unità di proprietà esclusiva facenti parte del condominio e rispetto alla quale il valore delle parti comuni è indifferente.
In conclusione
Possiamo sintetizzare le conclusioni da trarsi sulla base delle considerazioni che abbiamo formulato.
In sintesi:
l'ambito della nuova disposizione del decreto “Salva casa” in tema di recupero dei sottotetti pare debba ritenersi limitato all'ipotesi del recupero a fini abitativi;
tale disposizione ha certamente effetti anche sui rapporti nei condominii degli edifici;
nel caso in cui il sottotetto nell'edificio in condominio sia di proprietà comune, le opere dirette al suo recupero avranno natura di innovazioni e richiederanno delibere da adottarsi con la maggioranza di cui al comma 5 dell'art. 1136 c.c.;
nel caso in cui il sottotetto invece sia di proprietà individuale, dovranno rispettarsi le regole fissate dall'art. 1122 c.c.;
non sembra che l'intervento di recupero del sottotetto sia riconducibile all'ipotesi della sopraelevazione di cui all'art. 1127 c.c.;
l'intervento di recupero del sottotetto può dare luogo - ove riguardi parti di proprietà individuale ed ove comporti una modifica del rapporto tra il valore delle unità che superi la soglia di cui all'art. 69 disp. att. c.c. - alla modifica della tabella millesimale.
Riferimenti
Natalini, Si al recupero abitativo dei sottotetti con le leggi regionali più favorevoli, in Guida al diritto, 2024, fasc. 31, 43;
Natalini, I cambi d'uso saranno più facilitati anche se realizzati con o senza opere, in Guida al diritto, 2024, fasc. 31, 47;
Scarpa, Decreto “salva casa”: quelle ricadute poco scontate sui rapporti condominiali, in Guida al diritto, 2024, fasc. 32-33, 5;
Scarpa, Sulla commerciabilità degli immobili conseguenze effettive poco probabili, in Guida al diritto, 2024, fasc. 24, 71.