Il Giudice lavoro e l'assoggettabilità del datore alle procedure concorsuali per il fondo di garanzia T.F.R.
20 Gennaio 2025
Massima In tema di accesso al Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto gestito dall'Istituto nazionale della previdenza sociale, la verifica della non assoggettabilità del datore di lavoro alle procedure concorsuali costituisce una tipica questione pregiudiziale in senso logico rispetto alla domanda giudiziale concernente la prestazione previdenziale, che non deve necessariamente essere definita con efficacia di giudicato. Di conseguenza, per stabilire se il datore di lavoro è assoggettabile o meno a procedura concorsuale, al fine di permettere l'accesso del lavoratore al Fondo di garanzia, può bastare la decisione presa in via incidentale, ai sensi dell'art. 34 c.p.c., dal giudice del lavoro Il caso Un lavoratore domandava in giudizio l'intervento del Fondo di garanzia per il pagamento del trattamento di fine rapporto maturato alle dipendenze di una società a responsabilità limitata, in liquidazione. La peculiarità del caso risiedeva nella circostanza che il dipendente avesse preliminarmente esperito nei confronti del datore di lavoro un pignoramento mobiliare negativo senza però dar corso ad una vera e propria procedura concorsuale in quanto ritenuta inutile per provata incapienza della società. Più precisamente, il dipendente aveva ottenuto una sentenza di condanna al pagamento del T.F.R. esecutiva e passata in giudicato, un precetto ed una procedura esecutiva di pignoramento mobiliare, infruttuosa. Il lavoratore si vedeva accolta la propria domanda sia in primo che in secondo grado. Soccombente, invece, risultava l'I.N.P.S., che presentava ricorso per cassazione affidato a due soli motivi riguardanti la violazione di legge dell'art. 2, comma 2 e comma 5, l. n. 297/1982 e dell'art. 1, comma 2, r.d. n. 267/1942, in combinato disposto con l'art. 2697 c.c. La questione In questa sede ci si domanda se il dipendente, che intenda chiedere all’I.N.P.S. l’accesso al Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto, debba procedere in ogni caso a promuovere una procedura concorsuale nei confronti del datore di lavoro ovvero possa limitarsi ad un tentativo di procedura esecutiva mobiliare dall’esito negativo per incapienza del datore di lavoro. E in quest’ultimo caso, ci si chiede se possa essere il Giudice del lavoro, chiamato a pronunciarsi sulla domanda di intervento al Fondo di garanzia, a decidere incidentalmente la non assoggettabilità a procedura concorsuale del datore di lavoro oppure se, sul punto, occorra sempre una pronuncia con efficacia di giudicato da parte del Tribunale fallimentare. Le soluzioni giuridiche Con la direttiva n. 80/987/CEE del Consiglio, modificata dalla direttiva 2002/74/CE del 23/09/2002, entrambe coordinate dalla direttiva 2008/94/CE del 22/10/2008, si è voluto garantire ai lavoratori subordinati una tutela minima in caso di insolvenza del datore di lavoro. In attuazione della citata normativa comunitaria, la Legge del 29 maggio 1982, n. 297, all'art. 2, disciplina il “Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto”, istituito presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale. Il successivo d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80 ha esteso la garanzia alle ultime retribuzioni ed il d. lgs. 19 agosto 2005, n. 186 ha introdotto la disciplina delle situazioni transnazionali. Tale fondo è nato per sostituirsi al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento di fine rapporto spettante al lavoratore alla cessazione del rapporto di lavoro subordinato (cfr. art. 2120 c.c.). Di norma, il lavoratore o i suoi “aventi diritto” possono ottenere a domanda il pagamento, a carico del fondo, del trattamento di fine rapporto di lavoro e dei relativi crediti accessori successivamente al deposito dello stato passivo reso esecutivo nell'ambito di una procedura concorsuale ovvero dopo la pubblicazione della sentenza che risolve il reclamo al fallimento ovvero dalla pubblicazione della sentenza di omologazione del concordato preventivo. Qualora invece il datore di lavoro non risulti assoggettabile a procedura concorsuale e comunque non adempie alla corresponsione del trattamento dovuto o vi adempie in misura parziale, il lavoratore o i suoi “aventi diritto” possono chiedere al Fondo il pagamento del trattamento di fine rapporto, sempreché, a seguito dell'esperimento dell'esecuzione forzata per la realizzazione del credito relativo a detto trattamento, le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti. Ai sensi dell'art. 2, comma 5, l. n. 297/1982, la prova dell'insolvenza del datore di lavoro non assoggettabile a procedura concorsuale deve essere fornita attraverso la dimostrazione che, a seguito dell'esecuzione forzata sul patrimonio dello stesso, le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti a soddisfare il credito del lavoratore. Al riguardo, la giurisprudenza ha chiarito che “grava sul lavoratore l'onere di dimostrare che le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti a seguito di un serio e adeguato esperimento dell'esecuzione forzata. È la misura dell'ordinaria diligenza che deve condurre l'azione del creditore, il che determina che egli debba tentare le forme di esecuzione che si prospettino fruttuose, mentre non è tenuto ad esperire quelle che appaiano infruttuose o aleatorie o allorquando i loro costi certi si palesino superiori ai benefici futuri, valutati secondo un criterio di probabilità” (cfr. Cass. civ. 5 settembre 2016 n. 17593; Cass. civ. 11 gennaio 2019, n. 579). Nel caso in esame, il Giudice del lavoro chiamato a pronunciarsi sulla domanda di intervento del Fondo di garanzia ha deciso in via incidentale la non assoggettabilità del datore di lavoro ad una procedura concorsuale di cui all'art. 2 l. n. 297/1982 e l'esito negativo di una procedura esecutiva azionata dal creditore. Secondo la recente giurisprudenza, è evidente che, rispetto alla domanda giudiziale concernente la prestazione previdenziale cui è tenuto il Fondo di garanzia, la verifica della non assoggettabilità del datore di lavoro alle procedure concorsuali costituisce una tipica questione pregiudiziale in senso logico, che non deve essere definita con efficacia di giudicato. Ed infatti, "In tema di intervento del Fondo di garanzia gestito dall'INPS, il presupposto della non assoggettabilità a fallimento dell'imprenditore, sia in astratto che in concreto, costituisce una tipica questione pregiudiziale in senso logico rispetto alla domanda giudiziale concernente la prestazione previdenziale, che può essere accertata dal giudice adito in via incidentale, ai sensi dell'art. 34 c.p.c., senza che sia necessaria una preventiva verifica da parte del Tribunale fallimentare con il concorso degli altri creditori" (Cass. n. 1887/2020). Tra l'altro, nel giudizio relativo alla domanda di accesso al Fondo di garanzia nessuna delle parti in contenzioso potrebbe validamente chiedere che la decisione abbia efficacia di giudicato, dal momento che, svolgendosi la controversia previdenziale unicamente tra il lavoratore assicurato e l'ente previdenziale, l'accertamento che in essa dovesse essere compiuto circa la non assoggettabilità a procedura concorsuale del datore di lavoro estraneo al giudizio non potrebbe mai far stato nei suoi confronti. Ulteriore approfondimento riguarda la seconda questione trattata ovverossia se la procedura esecutiva intrapresa con esito infruttuoso sia sufficiente per far ritenere lo stato di insolvenza della società datrice di lavoro. Sul punto, va evidenziato che il verbale di pignoramento mobiliare negativo, costituisce un "fatto esteriore" sintomatico della circostanza che il debitore non sia in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni e ciò è stato ribadito anche di recente da questa stessa sezione della Corte di cassazione (cfr. Cass. civ., n. 1771/2023). La dimostrazione dell'insufficienza delle garanzie patrimoniali del datore di lavoro si intende soddisfatta: - se il datore di lavoro è un imprenditore individuale, qualora il lavoratore esibisca il verbale di pignoramento mobiliare negativo tentato presso i locali dell'azienda e presso il luogo di residenza del datore di lavoro; - se il datore di lavoro è una società di persone, qualora il lavoratore esibisca il verbale di pignoramento mobiliare negativo tentato presso i locali dell'azienda e presso la residenza di tutti coloro che rispondono illimitatamente delle obbligazioni sociali (Cass. civ. 31 agosto 2021, n. 23591; Cass. civ. 24 ottobre 2017, n. 28091); - se il datore di lavoro è una società di capitali, qualora il lavoratore esibisca il verbale di pignoramento mobiliare negativo tentato presso la sede della società (legale ed operativa se diverse). Osservazioni Con Circolare numero 70 del 26 luglio 2023, l'I.N.P.S. è intervenuta a riepilogare le disposizioni vigenti in materia di intervento del Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto istituito dall'art. 2, l. 29 maggio 1982, n. 297, aggiornandole con la nuova disciplina introdotta dal Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza di cui al d. lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (c.d. CCII). Ricordiamo infatti che il criterio distintivo è l'assoggettabilità o meno del datore di lavoro alle “disposizioni del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267” riguardanti le procedure di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa (art. 2, commi dal secondo al quarto, l. n. 297/1982) oltre all'amministrazione straordinaria (art. 102 d.lgs. n. 270/1999). Considerato che il Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza di cui al d. lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 è subentrato al Regio Decreto n. 267/1942 occorre aggiornare gli istituti fallimentari che possono dar accesso al Fondo di garanzia. L'art. 349 del CCII ha previsto la sostituzione, in tutte le norme vigenti, del termine fallimento con il termine “procedura di liquidazione giudiziale”: “Nelle disposizioni normative vigenti i termini «fallimento», «procedura fallimentare», «fallito» nonché le espressioni dagli stessi termini derivate devono intendersi sostituite, rispettivamente, con le espressioni «liquidazione giudiziale», «procedura di liquidazione giudiziale» e «debitore assoggettato a liquidazione giudiziale» e loro derivati, con salvezza della continuità delle fattispecie”. Di conseguenza, la procedura di liquidazione giudiziale rientra tra le procedure che danno titolo all'intervento del Fondo di garanzia. Con riferimento al concordato preventivo, si precisa che, secondo l'I.N.P.S., può essere valido titolo per l'intervento del Fondo di garanzia soltanto la procedura di concordato preventivo aperta nei confronti di un datore di lavoro insolvente. Tale informazione è riscontrabile nella relazione che il commissario giudiziale deve redigere ai sensi dell'articolo 105 del CCII. Per le procedure disciplinate dalla legge fallimentare, non essendo presente un'analoga previsione, l'insolvenza si presuppone esistente. Può essere valido titolo per l'intervento del Fondo di garanzia anche l'apertura di una procedura di concordato semplificato di cui all'articolo 25–sexies del CCII. Con riferimento alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, procedimento concorsuale amministrativo, si evidenzia che essa si applica nei casi espressamente previsti dalla legge. In particolare, sono soggette alla liquidazione coatta amministrativa le società cooperative (art. 2454–terdecies c.c.) e le imprese sociali (art. 14 del d. lgs. 3 luglio 2017, n. 112). Non danno titolo all'intervento del Fondo di garanzia gli accordi che concludono la procedura di composizione negoziata della crisi di cui all'articolo 12 e ss. del CCII, in quanto tali accordi non possono interessare i diritti di credito dei lavoratori che restano liberi di esercitare le azioni esecutive volte a recuperare i loro crediti. Infatti, le misure protettive del patrimonio di cui all'art. 18 del CCII non si applicano ai diritti di credito dei lavoratori e, in caso di trasferimento di azienda, si applica l'articolo 2112 c.c., senza possibilità di deroga (art. 22, comma 1, lett. d), CCII). |