Le ordinanze di condanna ex art. 423 c.p.c.

06 Febbraio 2025

Nel presente contributo si analizzerà la disciplina prevista dall'art. 423 c.p.c. e si farà il punto della situazione sulle questioni più dibattute all'interno della giurisprudenza di legittimità in ordine all'ambito applicativo della norma e sui suoi “controversi” rapporti con gli artt. 186-bis, 186-ter e 186-quater c.p.c.

Premessa

L'art. 423 c.p.c. prevede che «Il giudice, su istanza di parte, in ogni stato del giudizio, dispone con ordinanza il pagamento delle somme non contestate. Egualmente, in ogni stato del giudizio, il giudice può, su istanza del lavoratore, disporre con ordinanza il pagamento di una somma a titolo provvisorio quando ritenga il diritto accertato e nei limiti della quantità per cui ritiene già raggiunta la prova. Le ordinanze di cui ai commi precedenti costituiscono titolo esecutivo. L'ordinanza di cui al secondo comma è revocabile con la sentenza che decide la causa».

Con questa disposizione il legislatore ha inteso disciplinare un “catalogodi provvedimenti interinali che il giudice del lavoro può emettere durante un processo quando ne sussistono le condizioni. Il processo del lavoro, sebbene sia improntato ad immediatezza ed oralità, ha dei tempi di definizione non proprio brevissimi e ciò impone, ove possibile, al giudice del lavoro di emettere delle ordinanze quando, ad esempio, non vi è contestazione sul pagamento di determinate somme oppure quando le somme risultano certe nell'an e nel quantum a seguito dell'istruttoria svolta.

Nel presente contributo si analizzerà la disciplina prevista dall'art. 423 c.p.c. e si farà il punto della situazione sulle questioni più dibattute all'interno della giurisprudenza di legittimità in ordine all'ambito applicativo della norma e sui suoi “controversi” rapporti con gli artt. 186-bis, 186-ter e 186-quater c.p.c.

La disciplina dell'art. 423 c.p.c.

L'art. 423, comma 1 c.p.c. prevede che, su istanza di parte ed in ogni stato del giudizio, il giudice del lavoro possa emettere una ordinanza che disponga il pagamento di somme non contestate.

Questa ordinanza potrà essere richiesta non solo dal lavoratore ma anche dal datore di lavoro (su «istanza di parte») e ha ad oggetto esclusivamente il pagamento di somme di danaro che non siano state contestate specificamente dalla parte tenuta al pagamento.

Questa ordinanza di pagamento di somme non contestate presuppone, quindi, l'istaurazione del contraddittorio (diversamente vi sarebbe stato un decreto) e il giudice del lavoro potrà disporre il pagamento una volta che la parte, nella prima difesa “utile”, decida di non contestare la debenza di talune somme richieste negli atti difensivi o in corso di causa ( con istanza «a verbale»). La non contestazione presupporrebbe, quindi, necessariamente la presenza delle parti, costituite ritualmente in giudizio e, quindi, non sarebbe possibile ordinare il pagamento delle somme di danaro alla parte contumace. Si ritornerà sul punto nel successivo paragrafo quando si approfondiranno le questioni più dibattute in giurisprudenza.

L'art. 423 c.p.c. prevede, poi, l'ipotesi dell'ordinanza provvisoria di pagamento di una somma di danaro quando il giudice ritiene il diritto accertato e provato, anche soltanto in parte. Questa ordinanza è a legittimazione “propria” in quanto può essere richiesta soltanto dal lavoratore. Una volta accertato e provato il diritto del lavoratore al pagamento, anche soltanto in parte, di una somma di danaro il giudice del lavoro potrà disporne il pagamento. La ratio di questa disposizione è quella di accelerare e velocizzare i pagamenti di somme di danaro che sono, per il lavoratore (subordinato o parasubordinato) , necessarie al proprio sostentamento e alle proprie esigenze di vita.

Sia il provvedimento che dispone il pagamento di un debito per la somma non contestata che quello disposto per la somma nei cui limiti si ritenga accertato il corrispondente diritto sono atti a cognizione sommaria e con finalità cautelari e sono privi di decisorietà e non precludono, quindi, il riesame delle questioni con esso affrontate ed è revocabile da parte dello stesso giudice, con la sentenza che definisce la causa (Cass. civ., sez. un., 12 aprile 1980, n. 2321). Pertanto i vizi afferenti a tali provvedimento, ivi compresi quelli derivanti dalla mancanza dei presupposti sostanziali o processuali (quali, ad esempio, il preteso difetto temporaneo di giurisdizione per effetto della sospensione del processo a seguito di ricorso per regolamento di giurisdizione), possono essere fatti valere in prosieguo di causa per conseguire detta revoca, ovvero in sede di impugnazione della sentenza che decide la causa, ma non anche mediante una sua impugnazione diretta. Le ordinanze di pagamento anzidetto costituiscono titolo esecutivo e l'ordinanza di pagamento di una somma a titolo provvisorio (nella quantità per cui si ritiene già raggiunta la prova) è revocabile esclusivamente con la sentenza che decide la causa. Diversamente, secondo parte della dottrina, per le ordinanze di pagamento di somme non contestate, la revoca può avvenire in ogni stato del processo e, quindi, non solo in sentenza ma anche nel corso del giudizio quando, ad esempio, all'esito dell'istruttoria svolta emerge la palese infondatezza della pretesa delle parte che ha ottenuto l'ordinanza di pagamento ex art. 423, comma 1, c.p.c. A parere dello scrivente l'ordinanza di pagamento di somme non contestate non sono revocabili in quanto la non contestazione preclude di per sé la revoca dell'ordinanza (se non vi è stata contestazione specifica le somme devono ritenersi perciò solo dovute) per cui appare coerente la previsione del legislatore di confezionare la revoca esclusivamente per le ordinanza di pagamento che hanno la loro fonte nell'accertamento giudiziale svolto (e, quindi, secondo l'apprezzamento giudiziale) e non nel comportamento (di non contestazione di una delle parti) di una delle parti.

Le questioni dibattute in giurisprudenza.

Le ordinanze di pagamento disciplinate dall'art. 423 c.p.c. hanno generato numerose questioni interpretative che hanno “scatenato” sia la dottrina che la giurisprudenza.

Le questioni dibattute sono state le seguenti:

  1. le ordinanze che dispongono il pagamento di somme di danaro non contestate possono essere applicate anche nei confronti del contumace?
  2. in caso di estinzione del processo le ordinanze disciplinate ai commi 1 e 2 dell'art. 423 c.p.c. perdono efficacia o sopravvivono all'estinzione del procedimento?
  3. le ordinanze di pagamento sono anche titolo per iscrivere ipoteca?

Quanto alla questione di cui al punto 1) occorre rilevare che per la dottrina prevalente il riferimento alla «non contestazione» presupporrebbe necessariamente una difesa attiva da parte della parte che, quindi, deve essere necessariamente posta nelle condizioni di difendersi e prendere posizione sui fatti allegati dalla controparte e, eventualmente, contestare i fatti e le pretese economiche. Secondo altra parte della dottrina, invece, la non contestazione non implica una difesa attiva e una presa di posizione sostanziale ed incompatibile con i fatti allegati da controparte ma va intesa, sostanzialmente, come una ammissione implicita dei fatti così come descritti dall'altra parte e che, quindi, può essere ammissibile anche con la mancata costituzione della parte nel giudizio, pur se ritualmente citata. Questi tesi è stata seguita anche da una decisione della Corte di cassazione la quale, con la decisione Cass. civ., sez. lav., 4 ottobre 1984, n. 4941 ha stabilito che l'ordinanza di pagamento delle somme non contestate non può essere disposta in base alla sola contumacia del convenuto ma richiede, in caso di contumacia, comunque, la prova della fondatezza della pretesa esercitata, ricavabile aliunde. In definitiva, secondo questa tesi, la contumacia costituisce ammissione dei fatti “altrui” purché vi siano ulteriori riscontri alle pretese del creditore.

A parere dello scrivente le ordinanze di pagamento ex art. 423, comma 1, c.p.c. presuppongono necessariamente la costituzione delle parti così come del resto è espressamente stabilito dall'art.186-bis, comma 1 c.p.c., il quale prevede che «Su istanza di parte il giudice istruttore può disporre, fino al momento della precisazione delle conclusioni, il pagamento delle somme non contestate dalle parti costituite.». L'art.186-bis c.p.c. disciplina, nel processo civile ordinario, le ordinanze di pagamento relative a somme non contestate per cui deve ritenersi che la norma sia “cugina” di quella prevista al primo comma dell'art. 423 c.p.c. e non può che ritenersi che la non contestazione si riferisca, sia sotto il profilo letterale che teleologico, necessariamente ad un comportamento processuale delle parti che presuppone la rituale costituzione in giudizio.

Quanto alla questione di cui al punto 2) si rileva che la giurisprudenza di legittimità prevalente ritiene che, in caso di estinzione del giudizio, le ordinanze di pagamento disciplinate dall'art. 423 c.p.c. perdano inevitabilmente efficacia. In particolare la Cassazione, con la decisione Cass. civ., sez. lav., 13 febbraio 1989, n. 880, ha affermato che «L'istituto, introdotto dall'art. 423 c.p.c., è certamente eccezionale in quanto non trova alcun riscontro nell'attuale disciplina del processo ordinario di cognizione; e, nonostante abbia avuto scarsa applicazione pratica, solleva dei problemi teorici di notevole rilievo. La più autorevole dottrina ha rilevato come le ordinanze in questione non possono considerarsi quali provvedimenti giudiziali a contenuto decisorio suscettibili di passare in giudicato; e non possono considerarsi neppure come provvedimento ordinatorio definitivo, che attribuisca efficacia esecutiva all'accordo delle parti. L'ordinanza di pagamento di somme non contestate deve, invece, considerarsi come un provvedimento giurisdizionale di carattere sommario, destinato o ad essere assorbito, ove non revocato, nella sentenza che definisce il giudizio o a divenire inefficace nell'ipotesi di estinzione del processo. Le ordinanze in esame, pertanto, non hanno il contenuto sostanziale della sentenza; l'accertamento in esse contenuto non può mai acquistare l'autorità di cosa giudicata; e di conseguenza esse non sono suscettibili di ricorso per Cassazione immediato ex art. 111 Costituzione. Il ricorso ex art. 111, secondo comma Costituzione, infatti, costituisce una extrema ratio cui è possibile ricorrere solo quando l'ordinamento non conceda alle parti rimedi idonei contro i provvedimenti giudiziali suscettibili di passare in cosa giudicata; nei confronti delle ordinanze di cui all'art. 423 c.p.c., invece, l'ordinamento ha previsto come rimedi sia la revocabilità dell'ordinanza, sia l'appello avverso la sentenza che decide la causa.».

Per parte della giurisprudenza e della dottrina, invece, le ordinanze ex art. 423 c.p.c. manterrebbero la loro efficacia (rectius, “ultrattività”) in caso di estinzione del giudizio «nell'evenienza, poi, della sua estinzione prima della pronuncia della sentenza, ugualmente deve escludersi quella particolare efficacia atteso che l'ordinanza acquisterebbe, in deroga all'art. 310 c.p.c. e conformemente a quella ex art. 186-bis c.p.c., solamente un'ultrattività, secondo la formula del comma 4, e che non implica il giudicato, pur mantenendo l'efficacia esecutiva, il cui rimedio apprestato per il debitore va rinvenuto in un altro giudizio di cognizione, compreso quello di opposizione all'esecuzione. Ne consegue che, essendo l'ordinanza in esame priva di contenuto decisorio e inidonea, pertanto, ad incidere con l'autorità del giudicato su posizioni di diritto sostanziale, il provvedimento non può essere inscritto nell'area di ricorribilità per Cassazione imposta "de residuo" dal capoverso dell'art. 111 della Costituzione.» (Cass. civ., sez. lav., 17 luglio 1998, n. 1695).

A parere dello scrivente, una volta estinto il processo, le ordinanze rese interinalmente cessano per sempre di produrre qualsivoglia effetto in quanto prive di contenuto decisorio e non “idonee” a passare in giudicato. Del resto tali provvedimenti non sono autonomamente impugnabili in quanto sono revocabili o modificabili soltanto all'interno del processo o con la sentenza che definisce il procedimento.

Quanto alla questione dibattuta sub 3) si rileva che, secondo la prevalente dottrina, il fatto che le ordinanze disciplinate dall'art. 423 c.p.c. costituiscano titolo esecutivo, non implica di per sé che costituiscano titolo per iscrivere ipoteca, in quanto si tratta di ordinanze emessa a cognizione sommaria e prive di attitudine decisoria. Del resto, si afferma, l'art. 2818 c.c. prevede che soltanto le sentenze possono costituire titolo per l'iscrizione dell'ipoteca sui beni del debitore. Altra parte della dottrina ritiene, invece, che anche tali ordinanze costituiscono titolo per l'iscrizione dell'ipoteca in quanto, ad esempio, l'art. 655 c.p.c. consente l'iscrizione dell'ipoteca anche a provvedimenti diversi dalle sentenze.

A parere dello scrivente i provvedimenti ex art. 423 c.p.c. non possono essere titolo per l'iscrizione dell'ipoteca in quanto l'art. 423 c.p.c., diversamente che da altre fattispecie (dove è previsto espressamente), non prevede espressamente che essi siano titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale.

Conclusioni

Le ordinanze che dispongono il pagamento di somme di danaro ex art. 423 c.p.c. costituiscono un indubbio strumento di “ausilio” per la tutela, soprattutto, del lavoratore. Nella pratica la casistica non è frequente in quanto le parti preferiscono, normalmente, attendere la decisione piuttosto che ottenere un provvedimento interinale dagli esiti incerti e che richiede, comunque, soprattutto per le ordinanza di cui al secondo comma, l’istaurazione del contraddittorio delle parti e, quindi, un ulteriore dispendio di energie processuali.

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