Con riferimento alla prima questione controversa, per un tradizionale orientamento (Cass. civ., sez. II, 2 febbraio 2016, n. 1996; Cass. civ., sez. II 12 aprile 2012, n. 5805; Cass. civ., sez. II, 4 agosto 1997, n. 7187; Cass. civ., sez. II, 28 maggio 1988, n. 3665), i presupposti dell'azione surrogatoria sono individuati, oltre che nell'esistenza del credito di chi agisce rispetto al titolare dell'azione e nell'insolvenza del debitore, anche nell'inerzia del debitore. In questo senso, al «comportamento omissivo o insufficientemente attivo» del debitore non può essere equiparato un comportamento positivo e, pertanto, al creditore risulta precluso chiedere di sostituirsi al debitore al fine di sindacare le modalità con cui quest'ultimo ha esercitato la propria situazione giuridica.
Rispetto, invece, all'interesse ad agire, la giurisprudenza maggioritaria (Cass. civ., sez. trib., 13 novembre 2024, n. 29283; Cass. civ., sez. III, 20 novembre 2020, n. 26520; Cass. civ., sez. VI, 8 maggio 2017, n. 11204) ritiene che, oltre a dover essere attuale e concreto fino al momento della decisione, occorre sia accertato, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo.
Quanto all'azione surrogatoria, per l'orientamento tradizionale (Cass. civ., sez. II, 28 novembre 2022, n. 34940; Cass. civ., sez. III, 12 aprile 2012, n. 58), legato alla più risalente nozione di inerzia e non a quella di trascuratezza di cui all'art. 2900 c.c., nel caso in cui il debitore titolare dell'azione non sia più inerte – avendo realizzato comportamenti che facciano ritenere espressa la sua volontà di gestione del rapporto – l'interesse ad agire è da considerarsi assente ed il creditore, pertanto, non può sostituirsi al suo debitore. D'altra parte, il creditore non può sindacare le modalità attraverso cui il debitore ha ritenuto di esercitare i propri diritti, dovendo, diversamente, ricorrere agli altri strumenti di tutela previsti dal legislatore, ove ne ricorrano i presupposti.
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Per converso, rispetto al presupposto della trascuratezza, un differente filone interpretativo della Suprema Corte ha ritenuto di valorizzare la circostanza che l'art. 2900 c.c., rispetto alla formulazione previgente del codice civile del 1865, non faccia più riferimento all'inerzia del debitore, quanto piuttosto alla trascuratezza del debitore nell'esercitare i propri diritti ed azioni nei confronti dei terzi.
In altri termini, con una siffatta nozione il legislatore avrebbe inteso che, ai fini della legittimazione dell'intervento del creditore quale sostituto processuale del titolare del diritto, non occorre una totale inattività del debitore, essendo sufficiente «un esercizio incompleto e quantitativamente insufficiente del diritto» (Cass. civ., sez. III, 18 febbraio 2000, n. 1867). Conseguentemente, si è ritenuto che l'azione surrogatoria potesse esercitarsi sia nei casi di totale inerzia del debitore sia nelle ipotesi di assenza della necessaria diligenza nella tutela dei suoi diritti, intendendo far rientrare nel concetto di trascuratezza «ogni deficienza rispetto a ciò che il debitore avrebbe potuto fare per perseguire correttamente e proficuamente le proprie ragioni» (Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2009, n. 10744); o comunque le attività del debitore che risultano quantitativamente o qualitativamente insufficienti per la tutela giuridica del debitore stesso nel suo rapporto con il terzo (Cass. civ., sez. III, 22 novembre 2022, n. 34927; Cass. civ., sez. II, 4 agosto 1997, n. 7187; Cass. civ., sez. II, 28 maggio 1988, n. 3665).
Quanto all'interesse ad agire, per la Sezione rimettente, l'orientamento tradizionale dovrebbe essere rivisto dalle Sezioni Unite perché poco conforme alla nozione di trascuratezza, e non di mera inerzia, cui fa riferimento l'odierno art. 2900 c.c.
In questo senso, si ritiene di considerare la circostanza che – diversamente dagli atti dispositivi del patrimonio realizzati dal titolare che, qualora pregiudizievoli, possono essere resi inefficaci nei confronti dei creditori con lo strumento dell'azione revocatoria ordinaria di cui all'art. 2901 c.c. – gli atti di esercizio, o di non esercizio, di un'azione giudiziale costitutiva, quale l'azione di riduzione per lesione di legittima che è ritenuta esperibile in via surrogatoria dal creditore del legittimario pretermesso (Cass. civ., sez. II, 30 giugno 2019, n. 16623; Cass. civ., sez. II, 15 giugno 2006, n. 13804), non incidono direttamente sulla consistenza del patrimonio dal momento che quest'ultimo può essere modificato soltanto quando interviene una decisione di accoglimento dell'azione passata in giudicato cui segue, per un verso, l'inutilizzabilità dell'azione revocatoria ordinaria da parte del creditore che si era surrogato (Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2013, n. 4005) e, per altro verso, l'utilizzabilità dell'opposizione di terzo contro la sentenza relativa all'azione tardivamente esercitata dal titolare, solo laddove la sentenza sia l'effetto di dolo o collusione a suo danno ex art. 404, comma 2 c.c.
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