I diritti del minore ed il suo curatore speciale

Mauro Di Marzio
13 Febbraio 2025

Il Focus analizza la disciplina di tutela del minore che ruota intorno alla figura del curatore speciale, mettendone in luce anacronismi e storture e ponendosi una domanda: è ancora plausibile confinare automaticamente il minore entro il recinto dell'incapacità fino ai suoi diciott'anni?

Inquadramento

L'art. 473-bis.8 c.p.c. stabilisce che: «Il giudice provvede alla nomina del curatore speciale del minore, anche d'ufficio e a pena di nullità degli atti del procedimento», in determinati casi:

  • quando il pubblico ministero ha chiesto la decadenza dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, ai sensi dell'art. 330 c.p.c.;
  • quando uno dei genitori ha chiesto la decadenza dalla responsabilità genitoriale dell'altro;
  • in caso di adozione dei provvedimenti interinali di cui all'art. 403 c.c., per l'ipotesi di minore moralmente o materialmente abbandonato, ovvero esposto, nell'ambiente familiare, a grave pregiudizio e pericolo per la sua incolumità psico-fisica;
  • in caso di affidamento del minore ai sensi degli artt. 2 ss., l. n. 184/1983, sull'adozione;
  • in caso che, nel corso di un procedimento civile, venga alla luce una situazione di pregiudizio per il minore tale da precluderne l'adeguata rappresentanza processuale da parte di entrambi i genitori;
  • in caso che ne faccia richiesta il minore che abbia compiuto quattordici anni;
  • in ogni caso in cui i genitori appaiono per gravi ragioni temporaneamente inadeguati a rappresentare gli interessi del minore.

Al curatore speciale del minore, che è nominato per dotare il minore di rappresentanza processuale, il giudice può attribuire anche specifici poteri di rappresentanza sostanziale.

Si tratta di una norma che presenta molteplici criticità, che qui non verranno esaminate nel loro complesso, come, ad esempio, il fatto che il curatore speciale sia normalmente un avvocato e perciò sa di cose giuridiche, non del resto. 

Ci si limiterà, cioè, a suggerire una riflessione sul quesito se la norma così congegnata, che impone la nomina del curatore speciale, ineluttabilmente e senza alternativa, in una così ampia ed eterogenea pluralità di casi, che scivolano anche sul versante sostanziale, possa essere considerata sempre appagante, ovvero se soffra di un errore di impostazione di fondo.

Il minore e la capacità processuale

Partiamo dall'art. 75 c.p.c., che è rubricato: «Capacità processuale».

Primo comma: «Sono capaci di stare in giudizio le persone che hanno il libero esercizio dei diritti che vi si fanno valere».

Il secondo comma soggiunge che: «Le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti non possono stare in giudizio se non rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che regolano la loro capacità».

La capacità processuale cui la norma si riferisce è un presupposto processuale: si tratta, per dirla seguendo il tradizionale inquadramento della nostra giurisprudenza, di un requisito per la regolare costituzione del rapporto processuale. Essa si riassume nella astratta idoneità del soggetto, parte del rapporto processuale, a compiere e a ricevere gli atti del processo.

La parte è idonea a compiere e ricevere gli atti del processo o perché ha direttamente «il libero esercizio dei diritti che vi si fanno valere», o perché, se incapace, partecipa al processo essendo rappresentata, assistita o autorizzata «secondo le norme che regolano la loro capacità».

Questo aspetto merita di essere sottolineato.

L'inciso «secondo le norme che regolano la loro capacità» sta a testimoniare che l'art. 75 c.p.c. è un trait d'union, un ponte che collega il diritto sostanziale in tema di capacità del soggetto al diritto processuale. Il richiamo contenuto nell'art. 75, comma 2 c.p.c. alle norme civilistiche sulla rappresentanza degli incapaci e sulle forme di integrazione della capacità che fanno capo alle figure dell'assistenza e dell'autorizzazione mostra che, nell'ambito del processo, valgono gli stessi strumenti di rappresentanza legale e di integrazione della capacità di agire previsti per il compimento di atti giuridici sostanziali.

La rappresentanza processuale dei minori

La regola di diritto sostanziale in tema di capacità è posta dall'art. 2 c.c.: «La maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno. Con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita una età diversa».

Ancor prima l'art. 1 c.c., rubricato «Capacità giuridica», pone la regola fondamentale in tema di capacità di essere soggetti di diritti ed obblighi: «La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita».

Dunque il minore è soggetto che non ha ancora la capacità di agire, ma ha la capacità giuridica. C'è quindi uno scarto tra la titolarità del diritto ed il suo esercizio. E la ragione ― osservava Salvatore Pugliatti ― è questa: «L'ordine giuridico, in considerazione di talune circostanze dalle quali si può normalmente desumere la mancanza totale o parziale di discernimento o di senso di responsabilità nel soggetto, pone dei limiti all'esercizio dei diritti; sicché, mentre da un punto di vista extra-giuridico, la titolarità implicherebbe da sola il potere di disporre di un diritto, per l'ordine giuridico occorre anche la capacità di agire, la quale viene assunta come presupposto essenziale di ogni valida disposizione giuridica».

Abbiamo, in fin dei conti, dei diritti senza poteri.

Le critiche al congegno di funzionamento della capacità

Si tratta di un impianto obsoleto secondo un'opinione largamente condivisa, ma prima ancora sulla base di un elementare realismo. L'idea della capacità immaginata come una tazza che improvvisamente si riempie al diciottesimo anno d'età, e se del caso poi si svuota, tutta piena o tutta vuota, non ha senso. La citazione di Salvatore Pugliatti lo evidenzia chiaramente, sebbene risalente agli anni '50, laddove pone l'accento su un vocabolo, discernimento, che poi sarebbe diventato centrale nella disciplina della materia. Del resto, la normativa sull'amministrazione di sostegno ci insegna proprio questo, che la capacità può mancare soltanto in parte.

In realtà, già il codice civile prevede una pluralità di atti che il soggetto può compiere prima della maggiore età. E così per una serie di atti personalissimi: il matrimonio, ovviamente, il riconoscimento del figlio olim naturale, il testamento. Ancora, sempre a titolo di esempio, importante, il minore che abbia compiuto i quattordici anni non può essere adottato se non presta personalmente il consenso.

Per quanto riguarda gli atti di natura negoziale, a parte esempi già normativamente previsti, e che con riguardo al lavoro aveva previsto ab origine lo stesso legislatore fascista nel secondo comma dell'art. 2 c.c., la dottrina ha da tempo posto in discussione la regola generale dell'invalidità dei negozi conclusi da minori d'età, considerando validi quantomeno i c.d. «atti della vita quotidiana». E certo non è possibile esaminare qui, né avrebbe senso farlo, la complessa tematica del consenso del minore nel GDPR.

Sicché è come dicevo diffusa, in definitiva, e non solo presso di noi, in Italia, l'idea che la regola della capacità di agire rigidamente collocata al momento della maggiore età perpetua un meccanismo decisamente arcaico.

Il possibile conflitto genitori - minore

Fino alla maggiore età sono i genitori, per regola generale, ad avere la rappresentanza dei figli minori. È quanto stabilisce l'art. 320 c.c.: «I genitori … rappresentano i figli … fino alla maggiore età … in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni».

Ora, che il congegno della rappresentanza legale dei figli minori da parte dei genitori possa entrare in crisi, in sede processuale, in presenza di situazioni di attrito tra gli uni e gli altri, non è mai stato in discussione, con riguardo a vicende di carattere patrimoniale. E per rimediare a simili frangenti di frizione è stata da sempre impiegata una norma del codice di rito, apparentemente una "normetta" ma, nei fatti, di importanza enorme: l'art. 78 c.p.c. Per il primo comma: «Se manca la persona a cui spetta la rappresentanza o l'assistenza, e vi sono ragioni di urgenza, può essere nominato all'incapace … un curatore speciale …». Anche qui ci interessa il secondo comma: «Si procede altresì alla nomina di un curatore speciale al rappresentato, quando vi è conflitto d'interessi col rappresentante».

E non è che questa sia una novità del codice di procedura civile vigente; l'art. 136 di quello del 1865 affermava al terzo comma pressoché la stessa cosa: «Se manchi la persona che deve rappresentare o assistere il convenuto, o la medesima abbia interesse opposto a quello del convenuto, e non vi sia chi la supplisca» il giudice «nomina sull'istanza dell'attore un curatore speciale al convenuto».

Può citarsi a mero titolo di esempio una massima del 1959, anche se potrebbe risalirsi molto più indietro: «Ove minori e legale rappresentante siano convenuti in giudizio da un terzo per l'impugnativa di due testamenti dello stesso autore, uno dei quali istituisca eredi i minori e l'altro li escluda istituendo il legale rappresentante (che abbia anche titolo alla successione legittima che i minori non hanno), si determina un conflitto d'interessi tra quest'ultimo e i minori, onde la mancata nomina di un curatore speciale determina la nullità dell'intero giudizio» (Cass. civ., 4 febbraio 1959, n. 341).

Ma, accanto alle vicende patrimoniali che riguardano il minore, c'è ben altro.

Le fonti sovranazionali, recepite presso di noi, la Convenzione EDU, la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, la Convenzione di Strasburgo sull'esercizio dei diritti dei minori del 25 gennaio 1996, ci mostrano un quadro valoriale che assegna un ruolo centrale al minore nelle relazioni familiari, e lo colloca in una prospettiva che in breve potremmo dire non solo protettiva, ma partecipativa, all'insegna del criterio del best interest. Ciò che viene in risalto, nella richiamata normativa, è proprio la soggettività del minore, da valutare caso per caso.

Sembra allora che tutto ciò renda ancor più impellente una riflessione sulla teoria della capacità del soggetto ineluttabilmente ancorata, tendenzialmente senza eccezioni, anche in sede processuale, alla maggiore età. Teoria che il sistema mostra in più frangenti di smentire.

La creazione pretoria del curatore speciale del minore

Risale al 2009 (v. Cass. civ., sez. I, 4 maggio 2009, n. 10228), una delle prime decisioni ad aver fatto uso dell'art. 78 c.p.c. per affermare l'esigenza della nomina del curatore speciale del minore nell'ambito di una vicenda di adozione: il procedimento diretto alla dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore postula, in ossequio ai principi costituzionali di protezione dell'infanzia, del giusto processo e di diritto di difesa, nonché dei principi consacrati nella Convenzione dei diritti del fanciullo di New York e nella Convenzione europea di Strasburgo del 25 gennaio 1996, la nomina di un curatore speciale, affinché l'interessato sia autonomamente rappresentato in giudizio e tutelato nei suoi preminenti interessi e diritti; in mancanza, il procedimento è affetto da nullità assoluta, insanabile e rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, in quanto conseguente al vizio di costituzione del rapporto processuale e alla violazione del principio del contraddittorio. In quel giudizio, tradurrei in breve, il minore è oggettivamente parte sostanziale, e dunque deve parteciparvi anche come parte in senso formale, e cioè deve essere posto in condizione di compiere gli atti del processo.

Dopodiché si è avuto un profluvio di decisioni che predicano la necessità di nominare al minore un curatore speciale in diverse fattispecie, le cui principali sono le adozioni ed i procedimenti che sembra preferibile continuare a chiamare de potestate (qualcuno dice infatti, maccheronicamente, de responsabilitate, vocabolo che il latino classico non conosce).

L'ultima tra le massimate è Cass. civ., sez. I, 28 settembre 2024, n. 25073, su un caso di adozione in casi particolari: anche qui la Corte ha cassato la sentenza impugnata, in via di rilievo d'ufficio, poiché, nel contenzioso tra gli zii affidatari, che chiedevano l'adozione mite, e la nonna, che voleva svolgere la funzione di vicariante, contenzioso al quale erano rimasti estranei i genitori del minore, non era stato nominato il curatore speciale.

La posizione di retroguardia della Cartabia

L'intervento della Cartabia, con l'art. 473-bis.1 c.p.c., si colloca in una linea che più volte ha caratterizzato interventi del legislatore degli ultimi anni in materia processuale civile: la norma recepisce e cristallizza l'orientamento giurisprudenziale, quell'orientamento giurisprudenziale al quale ho accennato, e che viene declinato con riguardo ad una pluralità di fattispecie che la norma (peraltro non esaustivamente, ma ora non è il caso di sottilizzare) enumera.

Si tratta di un modo di procedere, in generale, tutt'altro che entusiasmante e di corto respiro. Il legislatore della riforma del diritto di famiglia del 1975, tanto per richiamare un'evidenza, era anni luce davanti all'assetto della giurisprudenza del tempo. La legge sullo stato unico di filiazione del 2012 è probabilmente giunta tardi, ma era certo avanti, e non avrebbe potuto essere altrimenti, rispetto all'assetto della giurisprudenza.

L'odierno legislatore va a rimorchio di soluzioni giurisprudenziali costruite sul dato normativo che c'era, ma senza che il giudice potesse davvero progettare organicamente il futuro.

In altre parole, la Corte di cassazione, nel misurarsi con giudizi destinati ad incidere pesantemente sulla vita del minore, giudizi nei quali egli non aveva avuto diritto di parola, ha fatto nel corso degli anni quello che poteva fare, ha applicato la norma che poteva applicare, dichiarando la nullità del giudizio medesimo, senza poter incidere, ovviamente, sulla sostanza dell'impianto normativo che consegna il minore entro il recinto dell'incapacità, e perciò sul vero problema, che attiene, come si è accennato e come è stato detto, alla «rigida cesura che spezza la vita umana in due periodi drasticamente contrapposti, in ossequio ad un'antica logica di certezza, fatalmente destinata ad esigere il sacrificio delle sfumature che accompagnano il percorso dell'uomo verso la maturità».

Ciò non vuol dire, beninteso, che il curatore speciale non serva a nulla, anzi; si tratta del resto di un presidio previsto in fonti sovranazionali. Certo, l'esperienza insegna che sovente partecipa al giudizio da semplice spettatore che si rimette al giudice, è un costo e basta, ma non è questo il punto: ciò che non persuade è l'automatismo della nomina, se non altro in casi in cui si è in presenza di «grandi minori», che, quali parti del processo in senso sostanziale, è da credere debbano poter mettere voce in capitolo sul se partecipare al giudizio e se parteciparvi a mezzo del curatore speciale. Basti pensare che già nel 1988 la CEDU, nel caso Nielsen-Danimarca ha considerato direttamente legittimato ad agire dinanzi a sé un minore che la madre voleva ricoverare in una struttura psichiatrica nella quale egli non aveva alcuna intenzione di andare.

Insomma, la presenza del curatore speciale, sempre e comunque, pare finisca per confermare che il minore, sempre e comunque, è un incapace, che la nomina del curatore speciale deve, volente o nolente, subire.

Curatore nominato su istanza del minore?

Non si procederà, qui, ad esaminare le singole ipotesi di nomina del curatore elencate dall'art. 473-bis.8 c.p.c.

Solo un cenno alla previsione secondo cui il giudice deve ― a quanto pare si tratta di un obbligo ― nominare il curatore speciale quando ne faccia richiesta il minore che abbia compiuto quattordici anni: che cosa voglia dire la norma sembra essere un mistero, così come sfugge in qual modo l'incapace possa adire il giudice per farsi nominare un curatore speciale. Qualcuno sostiene: al momento dell'ascolto, ma non è questo che la norma dice.

Anzi, la norma pare mostrare una contraddizione: se il minore può rivolgersi al giudice per farsi nominare il curatore speciale vuol dire che può direttamente interloquire col giudice, vuol dire che non è molto lontano da chi «è capace di stare in giudizio», secondo l'art. 75 c.p.c.; e allora a che gli serve il curatore speciale?

Dopodiché, nella sua assoluta genericità, pare una disposizione sostanzialmente inutile, tanto più che il giudice può sempre nominare il curatore speciale se i genitori non funzionano.

Un altro giro di giostra

Merita ribadire ancora l'altro aspetto esiziale: la previsione della obbligatoria nomina del curatore speciale ha finora funzionato, almeno guardando al fenomeno dal punto di vista della Cassazione, come rimedio demolitorio che dà luogo ad un altro giro di giostra e nulla più, il che ― si potrebbe dire, propendendo per il ragionamento paradossale ― è in fin dei conti un'ottima cosa, dal momento che, dati i tempi della nostra giustizia, ciò favorisce il raggiungimento della maggiore età, e dunque, in molte delle controversia che ci interessano, la cessazione della materia del contendere.

E cioè, come si diceva, la capacità processuale attiene alla regolare costituzione del contraddittorio, che è indubbiamente viziato se il processo si svolge in assenza del curatore speciale del minore, nullità che è rilevabile d'ufficio, e che è conseguentemente suscettibile di essere eccepito da qualunque delle parti in qualunque momento del processo, salvo il limite del giudicato.

Il che è poi quanto succede nella pratica concreta, chi ha perso cala l'asso della mancata nomina del curatore speciale, e riesce così a travolgere la decisione, conforme o non che fosse al best interest.

Ora, un finale quesito d'attualità, il quale dimostra come la nullità del giudizio per la mancata nomina del curatore speciale non sia del tutto in linea con l'interesse del minore.

Quando la Cassazione si avvede, al fine, del vulnus inflitto al contraddittorio per la mancata partecipazione al processo del curatore speciale, che cosa fa? Cassa e rinvia al giudice di primo grado oppure cassa e rinvia a quello d'appello?

Su questo Cass. civ., sez. I, 15 gennaio 2024, n. 1390, ha rimesso gli atti alla Prima Presidente affinché valuti l'opportunità di investire le Sezioni Unite della questione relativa all'applicabilità dell'istituto della rimessione al giudice di primo grado (art. 354 c.p.c.) al caso in cui, nell'ambito di un procedimento volto all'adozione di provvedimenti limitativi, ablativi o restitutivi della responsabilità genitoriale, il giudice di prime cure abbia omesso di nominare un curatore speciale ex art. 78 c.p.c. al minore. In procedimenti di questa specie, infatti, per giurisprudenza consolidata, deve presumersi un conflitto di interessi fra minore e genitore, tale da imporre la nomina del curatore (così, ex multis, Cass. civ., sez. trib., 6 dicembre 2021, n. 38716). Proprio in tal senso è intervenuta la Cartabia, imponendo espressamente in simili procedimenti, nella norma che abbiamo richiamato, la nomina del curatore «d'ufficio e a pena di nullità degli atti del procedimento».

In relazione al quesito sollevato nell'ordinanza, in effetti, si registrano voci discordi nella nostra giurisprudenza.

In forza di un primo orientamento, la mancata nomina del curatore speciale al minore non comporterebbe rimessione al giudice di prime cure, ma solo in appello, dato che non si rientrerebbe in alcuna delle ipotesi (tassative) di cui agli artt. 353 (oggi abrogato dalla stessa Cartabia) e 354 c.p.c., e una eventuale rimessione in primo grado contrasterebbe con il principio di ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2, Cost.), particolarmente rilevante nell'ambito dei procedimenti in materia di famiglia (Cass. civ., sez. I, 7 maggio 2019, n. 12020, in relazione al procedimento di adozione, e Cass. civ., sez. I, 29 novembre 2023, n. 33185, in relazione ai procedimenti c.d. de potestate).

All'opposto, un secondo filone giurisprudenziale riconduce il caso in esame all'ipotesi di rimessione in primo grado, contemplata dall'art. 354, comma 1, c.p.c., per omessa integrazione del contraddittorio (in questo senso, per il procedimento di adozione, Cass. civ., sez. VI, 8 giugno 2016, n. 11782, e, in relazione ai procedimenti c.d. de potestate Cass. civ., sez. I, 16 dicembre 2021, n. 40490).

Per amore di paradosso potrebbe propendersi sicuramente per la soluzione più drastica, che assicura con buona probabilità, come si diceva, la cessazione della materia del contendere.

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