Adozione in casi particolari

Sergio Matteini Chiari
05 Ottobre 2016

Tra gli strumenti di tutela predisposti dall'ordinamento in favore del minore che si trovi in situazioni connotate da problematicità di rapporti affettivi e familiari, si colloca l'istituto dell'adozione in casi particolari, previsto dall'art. 44 della l. 184/1983, ove vengono individuate le ipotesi, tassative, in cui a tale modello di adozione è possibile ricorrere.
Inquadramento

Tra gli strumenti di tutela predisposti dall'ordinamento in favore del minore che si trovi in situazioni connotate da problematicità di rapporti affettivi e familiari, si colloca l'istituto dell'adozione in casi particolari, previsto dall'art. 44 della l. 184/1983 (in seguito: l. ad.), ove vengono individuate le ipotesi, tassative, in cui a tale modello di adozione è possibile ricorrere.

Così come l'adozione «piena» (il ricorso alla quale deve, peraltro, ritenersi costituire una extrema ratio – v., da ultimo, Cass. civ., sez. I, 25 gennaio 2021, n. 1476), anche l'adozione in casi particolari risponde allo scopo di inserire il minore in un contesto familiare idoneo ad un sereno ed equilibrato sviluppo della sua personalità, peraltro consentendogli di mantenere contatto, anche affettivo, con la famiglia di origine.

Anche per il modello di adozione in esame, il criterio-guida dovrà essere quello della realizzazione dell'interesse «preminente» del minore (art. 3 Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata con l. 176/1991; art. 24 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europa, fatta a Strasburgo il 12 dicembre 2007).

Gli effetti dell'adozione in casi particolari sono descritti negli artt. 47 e ss. l.ad.

Ipotesi di adozione in casi particolari

L'adozione in casi particolari può essere effettuata:

a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, «anche maturato nell'ambito di un prolungato periodo di affidamento» (tale inciso è stato introdotto dalla l. 173/2015), quando il minore sia orfano di padre e di madre;

b) dal coniuge, qualora il minore sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge;

c) quando il minore sia persona handicappata (art. 3, comma 1, l. 104/1992) e sia orfano di padre e di madre;

d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.

L'adozione è, in tutti i suddetti casi, possibile anche in presenza di figli nella famiglia adottante ed anche da parte di chi non sia coniugato (eccezion fatta, ovviamente, per l'ipotesi di cui alla lettera b).

Se l'adottante sia coniugato e non separato, l'adozione può essere disposta soltanto a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi.

Per ciò che attiene ai casi distinti con le lettere a) e c), non si sono poste né si pongono particolari problematiche.

Per ciò che attiene al caso di cui alla lettera b), è stato affermato che, pur se la dichiarazione di adozione presuppone, di regola, armonia e comunione di vita tra i coniugi, il venir meno di tali requisiti non ne determina sempre e comunque l'esclusione, qualora si sia instaurata una positiva relazione tra minore e coniuge richiedente e l'adozione venga ritenuta realizzatrice dell'interesse del minore, con valutazione da compiersi in concreto (Cass. civ., sez. I, 19 ottobre 2011, n. 21651).

Per ciò che attiene al caso di cui alla lettera d), si fa rinvio all'apposito paragrafo.

In forza del richiamo operato dall'art. 55 l. ad. ai disposti degli artt. 293 e 295 c.c., i genitori non sono legittimati all'adozione dei propri figli, mentre il tutore è legittimato all'adozione del proprio «pupillo» soltanto dopo che sia stato approvato il conto della sua amministrazione, sia stata fatta la consegna dei beni e siano state estinte le obbligazioni risultanti a suo carico o sia data idonea garanzia per il loro adempimento.

A differenza di quanto prescritto per l'adozione «piena», non rileva il limite massimo di età previsto per l'adottante dall'art. 6, comma 3, l. ad., fermo restando che, nei casi sopra distinti con le lettere a) e d), lo stesso deve avere almeno 18 anni in più dell'adottando.

Disciplina processuale

La procedura deve essere avviata con ricorso proposto dal soggetto (coppia o singolo) che desidera che sia emessa sentenza di adozione, con allegazione della documentazione necessaria a certificare la sussistenza delle condizioni indicate nell'art. 44 l. ad.

Nel ricorso potrà essere data, nei congrui casi (per certo, ad es., ove ricorrano le fattispecie di cui all'art. 44, lettere a) e b), l. cit.), l'indicazione nominativa del minore che si intende adottare.

La competenza spetta al Tribunale per i minorenni (in seguito: T.M.) del distretto in cui si trova il minore adottando.

Il procedimento deve svolgersi in camera di consiglio, stante il richiamo all'art. 313 c.c. operato dall'art. 56 l. cit.

L'istruttoria potrà essere svolta dal Collegio (cui è, in ogni caso, rimessa ogni delibera in ordine alle attività da espletare) o dal giudice delegato.

Nella fase preliminare dovranno essere sentiti i genitori (ove esistenti) dell'adottando. Nella stessa fase appare opportuno dare corso anche all'ascolto del minore adottando, comunque obbligatorio (artt. 336-bis c.c.).

Il T.M. dovrà verificare se ricorrono le fattispecie di cui all'art. 44 l. ad. e se l'adozione realizza il preminente interesse del minore. A tal fine, dovranno essere disposte indagini sull'aspirante adottante, sul minore e sulla famiglia di quest'ultimo, da eseguire a cura dei Servizi Sociali e degli organi di pubblica sicurezza, mirate, in particolare, ad accertare, ex art. 57 l. cit.: a) l'idoneità affettiva e la capacità di educare e istruire il minore, la situazione personale ed economica, la salute, l'ambiente familiare degli adottanti; b) i motivi per i quali l'adottante desidera adottare il minore; c) la personalità del minore; d) la possibilità di idonea convivenza, tenendo conto della personalità dell'adottante e del minore.

Successivamente, dovranno essere assunti, rispettivamente ai sensi dell'art. 46 e dell'art. 45 l. ad., gli assensi ed i consensi delle persone «coinvolte» e, dovrà, inoltre, essere «sentito» (o «sentito» nuovamente, qualora all' «ascolto» si sia già provveduto nella fase preliminare), il minore ultradodicenne o anche di età inferiore ove capace di discernimento; qualora l'adottando sia infraquattordicenne, dovrà essere sentito in ogni caso il suo legale rappresentante.

All'esito, alla luce delle risultanze istruttorie, il T.M. dovrà valutare se l'adozione corrisponde al preminente interesse del minore e, sentito il P.M.M. ed omessa ogni altra formalità, dovrà emettere sentenza con cui accoglie o respinge la richiesta di adozione.

Così come per il procedimento per la dichiarazione di adottabilità, dovranno essere osservate le regole del «giusto processo».

Segue: Assensi e consensi

Nell'ambito della procedura viene dato notevole rilievo alla volontà dei soggetti che ne siano interessati.

Devono essere assunti gli assensi dei genitori e del coniuge dell'adottando ed i consensi dell'adottante e dell'adottando che abbia compiuto i 14 anni oppure del legale rappresentante del minore infraquattordicenne o ultraquattordicenne che a causa delle sue condizioni di menomazione non sia in grado di esprimere consenso.

Per l'espressione del consenso non sono richieste forme particolari.

Ai sensi dell'art. 56 l. cit., esso va prestato personalmente innanzi al presidente del T.M. o ad un giudice da lui delegato.

Occorre, inoltre, che l'adottante abbia la capacità di agire. Di conseguenza, all'interdetto giudiziale per infermità di mente non è concessa tale facoltà. Al contrario, nulla appare ostativo a che l'inabilitato e l'interdetto legale (la perdita della cui capacità di agire rileva soltanto in ordine ai diritti patrimoniali) possano prestare il consenso in questione.

Gli assensi (anche a cui riguardo deve ritenersi richiesta la capacità di agire) possono essere dati personalmente oppure da persona munita di procura speciale rilasciata per atto pubblico o per scrittura privata autenticata.

Gli assensi ed i consensi sono revocabili sino a che la sentenza di adozione non sia stata emanata.

Per il vero, né nell'art. 47 l. ad., che espressamente prevede la revoca del consenso, né in altre disposizioni è disciplinata l'ipotesi della revoca dell'assenso. Fra le opposte tesi, appare preferibile quella che attribuisce a tale revoca l'effetto di far venir meno una delle condizioni legittimanti l'adozione. Non è, invero, dubitabile che la normativa sull'adozione in casi particolari abbia inteso dare rilevanza alla posizione dei chiamati a prestare l'assenso, giacché sicuramente «incisa» dal venire in essere del rapporto di adozione.

Ai sensi dell'art. 46 l. ad., qualora gli assensi siano stati negati, il T.M., sentiti gli interessati, su istanza dell'adottante, può, ove ritenga il rifiuto ingiustificato o contrario all'interesse dell'adottando, pronunciare ugualmente l'adozione, salvo che l'assenso sia stato rifiutato dal coniuge, se convivente, dell'adottando o dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale.

A parere della Suprema Corte, non ha efficacia preclusiva il dissenso manifestato dai genitori biologici qualora siano decaduti dalla responsabilità genitoriale (Cass. civ., sez. I, 26 giugno 2019, n. 17100). Viceversa, ha efficacia preclusiva il dissenso espresso dai genitori che non siano meri titolari della responsabilità genitoriale, ma ne abbiano altresì il concreto esercizio grazie ad un rapporto effettivo con il minore, peraltro non necessariamente caratterizzato dalla convivenza (v. Cass. civ., sez. I, ord., 16 luglio 2018, n. 18827 e Cass. civ., sez. I, 21 settembre 2015, n. 18575).

Il T.M. può pronunciare l'adozione, ricorrendone i relativi presupposti, anche qualora sia impossibile ottenere l'assenso per incapacità (da accertare in concreto) o irreperibilità delle persone chiamate ad esprimerlo.

Segue: Parti della procedura

Parti del giudizio debbono ritenersi sia il ricorrente o i ricorrenti, sia i genitori (ove esistenti) del minore, sia l'eventuale tutore o curatore di quest'ultimo, che è parte necessaria della procedura.

Va rammentato che, ai sensi dell'art. 78, comma 2, c.p.c., laddove si configuri situazione di conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato, deve essere nominato un curatore speciale a quest'ultimo, al fine di assicurarne effettiva rappresentanza processuale.

Situazione di tale specie va ravvisata ogniqualvolta sia dedotta in giudizio una situazione giuridica idonea a determinare la possibilità che il rappresentante eserciti i suoi poteri in contrasto con l'interesse del rappresentato, giacché portatore di un interesse personale ad un esito della lite diverso da quello vantaggioso per quest'ultimo (Cass. civ., sez. II, 6 agosto 2001, n. 10822; T.M. Caltanissetta, 6 dicembre 2019, in DFP, 2020, 1, I, 251).

Secondo l'orientamento dominante fino a tempi assai recenti, il conflitto di interessi tra figlio minore e genitori legali rappresentanti doveva ravvisarsi, con valutazione da compiere in astratto ed ex ante, in re ipsa, «per l'incompatibilità anche solo potenziale … delle rispettive posizioni» (v., ex multis, Cass. civ., sez. I, 26 marzo 2010, n. 7281; Cass. civ., sez. I, 10 settembre 2014, n. 19006; Cass. civ., sez. VI, 8 giugno 2016, n. 11782).

Viceversa, qualora il legale rappresentante del minore fosse stato un tutore, si riteneva che il conflitto dovesse essere specificamente dedotto e provato in relazione a circostanze concrete (v., ex multis, da ultimo, Cass. civ., sez. VI, 8 giugno 2016, n. 11782).

A far tempo dall'anno 2016 si sono registrate, sul tema, «oscillazioni» in sede di giurisprudenza di legittimità.

Il pensiero precedentemente dominante è stato ribadito nell'ambito di procedure de potestate (v. Cass. civ., sez. I, 6 marzo 2018, n. 5256; Cass. civ., sez. I, ord. 12 novembre 2018, n. 29001; Cass. civ., sez. I, ord., 25 gennaio 2021, n. 1471).

Il pensiero «riformatore» - secondo cui, al di fuori dei casi di predeterminazione normativa di peculiari fattispecie nelle quali sia ipotizzabile in astratto il conflitto di interessi, tale conflitto - venendo così equiparata la posizione dei genitori a quella del tutore - deve essere valutato in relazione a circostanze concrete ed a posteriori, alla stregua degli atteggiamenti assunti dalle parti in causa - è stato manifestato negli ambiti di una procedura di adozione in casi particolari promossa dalla aspirante adottante del figlio della sua partner omosessuale (Cass. civ., sez. I, 22 giugno 2016, n. 12962), nonché, almeno ad oggi, nell'ambito di vicende aventi ad oggetto diritti patrimoniali (Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2016, n. 1721 e Cass. civ., sez. VI, ord. 5 aprile 2018, n. 8438) e in una causa separativa (Cass. civ., sez.I, ord. 11 maggio 2018, n. 11554).

In sede di merito, situazione di «incompatibilità» è stata, in particolare, esclusa in vari casi di procedure di adozione in casi particolari promosse dal partner, in unioni omoaffettive, del genitore biologico del minore adottando.

Ciò sul rilievo (che si riporta in estrema sintesi) che la madre o il padre biologici di quest'ultimo, essendo l'unico genitore ad avere effettuato il riconoscimento ed esercitando, pertanto, in pieno ed in modo esclusivo le sue capacità genitoriali, ne ha la rappresentanza legale anche ai fini dei suoi interessi e dei suoi diritti nelle procedure in questione (v., ex multis, T.M. Roma 30 luglio 2014, in Foro it. 2014, I, 2743, confermata da App., sez. min., Roma con decisione del 23 dicembre 2015, in Articolo29 2015, e dalla citata Cass. civ. n. 12962/2016; T.M. Roma 22 ottobre 2015, in Foro it. 2016, I, 339; T.M. Roma 30 dicembre 2015, in Giur. cost. 2016, 3, 1156; T.M. Roma 22 marzo 2016, in Questione Giustizia 22 marzo 2016).

Rinvio

Il tema relativo alla curatela ed alla posizione processuale del minore è più approfonditamente trattato nel «focus» intitolato «Curatore speciale ex art. 78 c.p.c.», ove viene posto il «quesito» se sia stato corretto, nelle procedure citate nel testo, ritenere insussistente conflitto di interessi tra genitore rappresentante (e consenziente all'adozione) e minore rappresentato, e non far rappresentare quest'ultimo da un curatore speciale «terzo».

Segue: Impugnazioni

Avverso la sentenza con cui viene definita la procedura di adozione è ammessa impugnazione, che va proposta, entro trenta giorni dalla comunicazione, innanzi alla Corte d'appello, sezione minorenni.

Ai sensi dell'art. 313 c.c., richiamato dall'art. 56 della l. ad., la legittimazione a proporre il gravame compete all'adottante, al P.M.M. e all'adottando (per il tramite del suo rappresentante legale, categoria nella quale vanno inclusi sia l'eventuale tutore, sia l'eventuale curatore speciale).

Legittimazione a proporre il gravame deve riconoscersi anche ai genitori del minore adottando, ancorché decaduti dall'esercizio della responsabilità genitoriale, permanendo, anche in tal caso, la loro qualità di parti nel relativo procedimento (v., in tal senso, sulla linea segnata da Corte cost., 20 ottobre 1999, n. 401, Cass. civ., sez. I, 18 aprile 2012, n. 6051).

Avverso la sentenza della Corte d'appello, sez. minorenni (innanzi a cui la procedura deve svolgersi con il rito camerale, con gli «aggiustamenti» occorrenti ai fini della realizzazione della «giustezza» del processo), è ammissibile ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., entro il termine ordinario (v. Cass. civ., sez. I, 26 novembre 2004, n. 22350 e Cass. civ., sez. I, 10 maggio 2011, n. 10265).

Il provvedimento definitivo di adozione (la sentenza del T.M. o quella pronunciata in sede di gravame) è soggetto a pubblicità-notizia, da effettuarsi mediante trascrizione nell'apposito registro tenuto dalla cancelleria del T.M., e deve essere comunicato all'ufficiale dello stato civile per l'annotazione a margine dell'atto di nascita. Il T.M. può, inoltre, ordinare che la sentenza che pronuncia l'adozione sia pubblicata nei modi che ritiene opportuni (art. 314 c.c., richiamato dall'art. 56 l. cit.).

Effetti del provvedimento di adozione in casi particolari

Gli effetti dell'adozione in casi particolari sono descritti negli artt. 47 e ss. l. cit.

Il dies a quo della produzione di tali effetti è costituito dalla data della sentenza che pronuncia l'adozione.

Tale regola subisce deroga nell'ipotesi in cui uno dei coniugi che abbiano chiesto l'adozione muoia dopo avere prestato il consenso e prima della pronuncia della sentenza. In tal caso, è consentito procedere, ad istanza dell'altro coniuge, al compimento degli atti necessari per l'adozione e, se l'adozione venga ammessa, essa produce i suoi effetti dal momento della morte del suddetto richiedente (art. 47, comma 2, l. ad.).

Il modello di adozione in esame, a differenza di quello dell'adozione «piena», non ha effetti «legittimanti» e, in particolare, non determina l'estinzione del vincolo con la famiglia di origine, di cui il minore mantiene il cognome, che, ai sensi dell'art. 299 c.c., richiamato dall'art. 55 l. cit., va posposto a quello degli adottanti [v., peraltro, App. Napoli, 4 luglio 2018, n. 145, Red. Giuffrè 2018, e T.M. Genova, 13 giugno 2019, n. 640, in DFP 2019, 4, 1678, secondo cui, tenuto conto della funzione identitaria del cognome, può ritenersi che la disposizione dell'art. 299 c.c. non sia inderogabile in quanto - a fronte di obiettive ragioni (quali, ad es., il fatto che, in caso di adozione «incrociata» dei figli minori delle due partner di una medesima unione omoaffettiva, l'osservanza del disposto determinerebbe «l'effetto paradossale, ed incomprensibile per i due minori, da un lato di riconoscere la fratria degli stessi e, dall'altro, di separarli semanticamente con una diversa successione dei cognomi») - il cognome dell'adottante ben può essere posposto a quello dell'adottato].

È controverso se l'adozione in casi particolari faccia sorgere vincoli di parentela con i parenti degli adottanti.

Il testo originario dell'art. 74 c.c. dettava che «La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite».

Tale proposizione è presente anche nel testo della norma novellato dalla l. 219/2012, ma con l'aggiunta che il vincolo di parentela sussiste «sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all'interno del matrimonio sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo». Il riferimento a tale ultimo status è da ritenere effettuato ai figli minorenni, dal momento che la stessa disposizione esclude espressamente che il vincolo di parentela sorga nei casi di adozione di persone maggiori di età.

Come noto, ai sensi dell'art. 27, comma 1, l. ad., per effetto dell'adozione «piena» l'adottato acquista lo stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome. Ciò stante, la previsione, contenuta nel riformato art. 74 c.c., del sorgere della parentela in caso di adozione deve ritenersi riferita non già - perché sarebbe, altrimenti, «pleonastica» - alle ipotesi di adozione «piena», bensì alle ipotesi di adozione in casi particolari (v., in tal senso, T.M. Bologna 25 giugno 2020, in Ilfamiliarista.it 19 ottobre 2020, secondo cui, con la dichiarazione di adozione ex art. 44 lett. d) l, ad., da parte di una donna, del figlio generato dalla compagna, può essere dichiarata l'estensione del vincolo di parentela del minore con i figli dell'adottante).

Gli adottanti hanno il dovere di mantenere, istruire, educare ed assistere moralmente (art. 147 c.c.) l'adottato e ne amministrano i beni con poteri analoghi a quelli del tutore (art. 48 l. ad.).

L'adottato cumula i diritti successori nei riguardi dei genitori di origine e di quelli adottivi. L'adozione non attribuisce, invece, all'adottante alcun diritto successorio nei confronti dell'adottato.

Segue: Revoca dell'adozione

A differenza dell'adozione «piena», l'adozione in casi particolari è soggetta a revoca, che può essere pronunciata nelle ipotesi tassativamente indicate negli artt. 51, 52 e 53 l. ad.

La legittimazione attiva compete all'adottante o agli adottanti o, in subordine ai soggetti indicati nell'art. 51, nelle ipotesi indicate da tale disposizione; all'adottato oppure al P.M.M. nelle ipotesi indicate dall'art. 52; al P.M.M. nelle ipotesi indicate nell'art. 53.

L'adottato, ove sia ancora minorenne, dovrà essere rappresentato in giudizio dai genitori o, se questi ultimi non esistano o siano stati dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale, dal tutore. Qualora si evidenzi conflitto di interessi, la rappresentanza processuale del minore sarà di spettanza di un curatore speciale ad hoc nominato.

La sentenza di revoca è soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione.

Ai sensi dell'art. 54 l. cit., gli effetti dell'adozione cessano al passaggio in giudicato della sentenza di revoca, che va annotata a margine dell'atto di nascita.

L'efficacia ex nunc del provvedimento subisce deroga qualora sia stata pronunciato dopo la morte dell'adottante per fatto imputabile all'adottato; in tal caso, infatti, l'adottato e i suoi discendenti sono esclusi dalla successione dell'adottante.

È stato precisato che, poiché l'art. 47, comma 1, l. cit. statuisce che l'adozione produce effetto dalla data della sentenza che la pronuncia, è a tale data che deve permanere il requisito della minore età dell'adottando, dovendosi escludere che il sopraggiungere della maggiore età nei successivi gradi di giudizio possa comportare la revoca dell'adozione (Cass. civ., sez. I, 15 luglio 2014, n. 16174).

Adozione da parte di un singolo adottante

Nel nostro ordinamento è privilegiata l'adozione di un minore da parte di due persone unite in matrimonio da almeno tre anni (salva pregressa convivenza per tale periodo) e non separate, in ragione dell'esigenza di assicurare al minore stesso la presenza di entrambe le figure genitoriali, e di inserirlo in una famiglia che dia sufficienti garanzie di stabilità.

L'adozione da parte di un singolo è stata, tuttavia, ritenuta ammissibile secondo il modello dell'adozione in casi particolari.

Ponendosi in linea con il pensiero espresso dalla Consulta in relazione ad una vicenda di adozione internazionale (Corte cost., 29 luglio 2005, n. 347), la Suprema Corte ha ripetutamente affermato che l'adozione da parte di una persona singola deve ritenersi ammessa nel nostro ordinamento, peraltro unicamente nei casi particolari di cui all'art. 44 l. ad. o nelle speciali circostanze di cui all'art. 25, commi 4 e 5, della medesima legge (v. Cass. civ., sez. I, 18 marzo 2006, n. 6078 e, nello stesso senso, Cass. civ., sez. I, 22 giugno 2016, n.12962 e Cass. civ., sez. I, 26 giugno 2019, n. 17100).

Sul tema risulta essersi espressa affermativamente anche la Corte EDU (sez. I, 28 giugno 2007, n. 76240 - caso Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo).

Adozione da parte di coppie (eterosessuali o omosessuali) non coniugate

L'adozione è consentita anche a chi non è coniugato, nelle ipotesi descritte nell'art. 44, comma 1, lettere a), c), e d), l. ad.

Nel nostro ordinamento non è attualmente presente normativa disciplinante l'adozione di minori da parte di coppie di conviventi di fatto o di persone unite civilmente o di coppie omosessuali.

Nessun effetto esplica la Convenzione sull'adozione dei minori fatta a Strasburgo il 27 novembre 2008, entrata in vigore il 1 settembre 2011 ma non vincolante per il nostro Paese, che non l'ha ancora ratificata.

L'art. 7 di tale Convenzione consente agli Stati contraenti di ammettere l'adozione di minori sia da parte di una persona singola sia da parte di coppie eterosessuali od omosessuali, non coniugate, che abbiano formalizzato il loro rapporto con atto registrato (partenariat enregistré) nello Stato interessato o che convivano in una relazione stabile.

Va, altresì, ricordato che nella l.. 76/2016, sulla regolamentazione delle unioni civili, pur essendo stato normativamente omologato il riconoscimento all'unione omoaffettiva della qualità di «formazione sociale» ex artt. 2 e 3 Cost., nessuna specifica disposizione risulta essere stata introdotta in materia di adozioni, venendo, al contrario, precisato che «resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti».

Non risultano pronunce di adozione «piena» in favore di alcuna delle suddette coppie (eterosessuali od omosessuali). Risultano, invece, pronunce di riconoscimento di decisioni straniere di adozione (piena) di minori da parte di coppie omosessuali (la materia della delibazione di decisioni straniere esula dal tema in trattazione in questa bussola - n.d.r.).

Per ciò che attiene alle coppie di conviventi (di sesso diverso) di fatto (unioni disciplinate dalla citata l. 76/2016, parimenti senza specifiche indicazioni in materia di adozione), alcune pronunce di giudici di merito hanno sancito la legittimazione del convivente della genitrice a divenire adottante del figlio di quest'ultima, secondo il modello di adozione di cui all'art. 44, comma 1, lett. d), l. ad. (T.M. Milano, 28 marzo 2007, n. 626, inedita; App., sez. min., Firenze, 26 settembre 2012, n. 1274, inedita).

Per ciò che attiene alle coppie con legami omoaffettivi, si fa rinvio al successivo paragrafo.

Tutela alle coppie di fatto ed alle unioni civili è stata sempre garantita dalla Corte EDU, che, in proposito, ha stabilito che l'art. 8 della CEDU tutela una «vita familiare» effettivamente esistente, chiarendo che l'esistenza di una «vita familiare» ai sensi di tale disposizione non si limita ai rapporti fondati sul matrimonio e sulla filiazione «legittima» ma può comprendere altre relazioni familiari de facto, purché, unitamente all'affetto generico, sussistano altri indici di stabilità, quali, ad esempio, il tempo vissuto insieme, la qualità della relazione, il ruolo assunto dall'adulto nei confronti del minore etc. (v., ex multis, Grande Camera, 27 aprile 1979, n. 6833 - caso Merckx c. Belgio; Sez. II, 27 aprile 2010, n. 16318 - caso Moretti e Benedetti c. Italia; Sez. II, 29 gennaio 2013, n. 25704 - caso Lombardo c. Italia).

Dopo iniziali posizioni contrarie, la Corte EDU ha esteso il riconoscimento dell'esistenza di una «vita familiare» anche con riguardo ai rapporti omoaffettivi, avendo le coppie dello stesso sesso «la stessa capacità delle coppie di sesso diverso di entrare in relazioni stabili e impegnative» (sez. I, 24 giugno 2010, n. 30141 - caso Schalk e Kopf c. Austria).

Per quanto inerente a vicende di adozione del figlio del partner in una unione omoaffettiva, la Corte EDU ha, più volte, affermato che l'inibirla in ragione dell'orientamento sessuale del richiedente comporta violazione, del combinato disposto degli artt. 8 (rispetto della vita familiare) e 14 (divieto di discriminazione) della CEDU, facendo, peraltro, ognora salva ogni valutazione, demandata al giudice nazionale, in ordine al ricorrere delle condizioni per disporre l'adozione (Grande Camera, 22 gennaio 2008, n. 43456 - caso E.B. c. Francia e Grande Camera, 19 febbraio 2013, n. 19010 - caso X e altri c. Austria).

Deve sottolinearsi che la Corte EDU, nel riconoscere alle autorità nazionali margini di discrezionalità nella valutazione degli interessi coinvolti nelle varie vicende sottoposte al suo esame ha sempre affermato che nel bilanciamento fra tali interessi deve sempre riconoscersi assoluta importanza al preminente interesse dei minori, sancito dall'art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989 (v. ex multis, sez. I, 25 gennaio 2007, n. 21949 - caso Eski c. Austria; sez. I, 28 ottobre 2010, n. 52502 - caso Aune c. Norvegia).

Segue: Art. 44, comma 1, lett. d), l. 184 del 1983

Ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. d), l. ad., l'adozione in casi particolari può essere pronunciata «quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo».

Sulla portata di tale formula (definita da taluni «ampia e ambigua») si è per lungo tempo dibattuto.

Secondo un orientamento (tesi c.d. restrittiva), che deve ritenersi ormai superato almeno in sede di giurisprudenza, la norma farebbe riferimento unicamente alle situazioni in cui il minore versa in stato di abbandono, ma di fatto sia rimasto senza proposte adottive, ad es. perché affetto da patologie invalidanti (Cass. civ, sez. I, 27 settembre 2013, n. 22292; T.M. Torino, 11 settembre 2015, nn. 258 e 259, in Foro it. 2016, 6, I, 1911 e in NGCC, 2016, 205; T.M. Milano, 17 ottobre 2016, in Foro it. 2017, 1, I, 309).

Secondo un altro orientamento (tesi c.d. evolutiva), attualmente dominante, l'adozione non presupporrebbe, invece, necessariamente una situazione di abbandono dell'adottando, e sarebbe praticabile in tutti i casi di impossibilità di affidamento preadottivo, di fatto (perché la prospettiva di un'adozione piena appaia concretamente impraticabile) o di diritto (per impossibilità giuridica di adottare con adozione legittimante), permettendo «di tutelare l'interesse di minori attraverso il riconoscimento giuridico di rapporti di genitorialità più compiuti e completi».

Su tale fondamento, e sull'ulteriore rilievo che «nulla si frappone a che la conclusione sia estensibile anche a conviventi del medesimo sesso, giacché la lettera d) non discrimina tra coppie eterosessuali od omosessuali» e una diversa lettura si porrebbe in contrasto sia con il dato costituzionale sia con i principi posti dalla CEDU, è stata ammessa, dapprima dal T.M. laziale e in seguito da vari altri T.M. e Corti di merito, l'adozione di minori, da parte del partner, in un'unione omoaffettiva, del genitore dei medesimi.

A tale indirizzo ha dato adesione anche il Supremo Collegio (si veda il successivo paragrafo).

CASISTICA

Adozione di minore in favore della partner della madre biologica del minore medesimo, frutto di una fecondazione eterologa, nell'ambito di un progetto di genitorialità.

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T.M. Roma 30 luglio 2014, in Foro it. 2014, I, 2743; App. Roma, sez. min., 23 dicembre 2015, in DFP 2017, 1, 94 e in Foro it. 2016, I, 699; T.M. Roma 22 ottobre 2015, in Foro it. 2016, I, 339; App. Torino, sez. min., 27 maggio 2016, in Foro it. 2016, I, 1910; T.M. Bologna, 6 luglio 2017, in Foro it. 2017, I, 2852; T.M. Bologna, 31 agosto 2017, in Foro it. 2018, I, 1536; App. Napoli, sez. min., 4 luglio 2018, n. 145, in Foro it. 2018, I, 2883; Trib. Genova, sez. IV, 8 novembre, 2018, Red. Giuffrè 2018.

Adozione «incrociata» dei figli minori (entrambi frutto di fecondazione eterologa, nell'ambito di un progetto di genitorialità) delle due partner di una medesima unione omoaffettiva.

T.M. Roma 30 dicembre 2015, in DFP 2016, 2, 557 e in DFP 2016, 3, 805; App. Milano, sez. famiglia, 9 febbraio 2017, in Foro it. 2017, I, 2061 e in Ilfamiliarista.it 26 aprile 2017; T.M. Genova, 13 giugno 2019, n. 640, in DFP 2019, 4, 1678.

Adozione di un minore in favore del partner, in una unione omoaffettiva, del padre del medesimo, frutto di maternità surrogata, nell'ambito di un progetto di genitorialità.

T.M. Roma, 22 marzo 2016, in Questione Giustizia 22 marzo 2016.

Adozione di due minori in favore della partner della madre dei minori medesimi, entrambi frutto di un procedimento di autoinseminazione domestica, con seme proveniente da donatore anonimo e a titolo gratuito.

T.M. Bologna, 4 gennaio 2018, in Ilfamiliarista.it 5 gennaio 2018.

In tutte le circostanze descritte nel riquadro di casistica, gli argomenti recati a supporto della decisione sono stati, in estrema sintesi, i seguenti:

a) l'adozione in casi particolari, di cui all'art. 44, 1 comma, lett. d), l. cit. presuppone non una situazione di abbandono dell'adottando, ma solo l'impossibilità di affidamento preadottivo del medesimo, di fatto o di diritto;

b) nulla osta a che l'adozione venga richiesta dalla partner della madre biologica o dal partner del padre biologico, non costituendo ostacolo, di per sé, la condizione omosessuale dell'adottante;

c) deve ritenersi che, mediante la formalizzazione del rapporto esistente, sin dalla nascita della bimba o del bimbo, fra la c.d. «mamma di intenzione» (la partner della madre biologica, con essa stabilmente convivente) o fra il c.d. «papà di intenzione» (il partner del padre biologico, con esso stabilmente convivente) e la bimba o il bimbo, l'interesse di questi ultimi venga appieno realizzato.

e) per gli aspetti di merito, è intervenuto il consenso della madre o del padre biologici ed è stata, inoltre, accertata, in concreto, l'idoneità genitoriale dell'adottante e quindi la corrispondenza all'interesse della o del minore.

Non appare fuori luogo proporsi il «quesito» se davvero sia stata data puntuale attuazione al principio della sovraordinazione dell'interesse dei minori«rispetto a tutti quelli astrattamente confliggenti con esso, ivi compresi quelli fondati sui desideri degli adottanti, recessivi rispetto al primo» (Cass. civ., sez. un., 1 giugno 2010 n. 13332).

Segue: Giurisprudenza di legittimità

La prima delle ricordate sentenze del T.M. laziale è stata confermata dalla Corte d'appello, sez. minorenni, di Roma, a sua volta confermata dal Supremo Collegio, che ha dato assenso alla lettura evolutiva della norma in esame, affermando che «la preesistenza dello stato di abbandono non costituisce limite normativo all'applicazione della norma nella sua interezza e conseguentemente … anche all'ipotesi descritta nella lettera d)»; così che, «coerentemente con il sistema della tutela dei minori e dei rapporti di filiazione biologica ed adottiva attualmente vigente, deve ritenersi sufficiente l'impossibilità «di diritto» di procedere all'affidamento preadottivo e non solo quella «di fatto», derivante da una condizione di abbandono in senso tecnico-giuridico o di semi abbandono …»

In particolare, la S.C. ha affermato che l'art. 44, comma 1, lett. d), l. ad. costituisce «una clausola di chiusura del sistema, intesa a consentire l'adozione tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità affettiva ed educativa della relazione tra adottante ed adottando, come elemento caratterizzante del concreto interesse del minore a vedere riconosciuti i legami sviluppatisi con altri soggetti che se ne prendono cura … La mancata specificazione di requisiti soggettivi di adottante ed adottando, inoltre, implica che l'accesso a tale forma di adozione non legittimante è consentito alle persone singole ed alle coppie di fatto, senza che l'esame delle condizioni e dei requisiti imposti dalla legge, sia in astratto (l'impossibilità dell'affidamento preadottivo) che in concreto (l'indagine sull'interesse del minore), possa svolgersi dando rilievo, anche indirettamente, all'orientamento sessuale del richiedente ed alla conseguente relazione da questo stabilita con il proprio partner»(Cass. civ., sez. I, 22 giugno 2016, n. 12962).

Alla pronuncia testè citata hanno dato puntuale seguito, per gli aspetti di principio sulla portata dell'art. 44, comma 1, lett. d), l. ad., Cass. civ., sez. I, 16 aprile 2018, n. 9373 e Cass. civ., sez. I, 26 giugno 2019, n. 17100.

Condivisione è stata manifestata dalle stesse Sezioni Unite, sia pure «incidentalmente» ma con puntuale richiamo dei principi affermati dalla Sezione I della Corte con la sentenza n. 12962/2016.

Chiamate a decidere su questione di massima di particolare importanza, le S.U. hanno affermato che il riconoscimento del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all'estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d'intenzione (munito della cittadinanza italiana) «trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità …, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l'istituto dell'adozione; la tutela di tali valori … non esclude peraltro la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l'adozione in casi particolari, prevista dall'art. 44, comma primo, lett. d), della legge n. 184 del 1983» (Cass. civ., sez. un., 8 maggio 2019, n. 12193).

Sul tema affrontato dalle S.U., si veda anche Corte EDU, Sez, V, 16 ottobre 2020, n. 11288 – caso D c. Francia, nonché il parere consultivo (premier avis consultatif) dato sul caso dalla Grande Camera il 10 aprile 2019. Dovrà, altresì, vedersi la pronuncia che la Consulta riterrà di emettere su questione di l.c. dell'art. 12, comma 6, l. n. 40/2004 proposta da Cass. civ., sez. I, 29 aprile 2020, n. 8325, trattata all'udienza del 27 gennaio 2021.

Riferimenti
  • Bilotti E., Convivenze, unioni civili, genitorialità, adozioni, in DFP 2017, 3, 870;
  • Cipriani N., La prima sentenza italiana a favore dell'adozione nelle famiglie omogenitoriali, in DFP 2015, 1, 176;
  • Dogliotti e Astiggiano F., Le adozioni, Milano 2014;
  • Ferrando G., Il problema dell'adozione del figlio del partner, in NGCC 2016, 9, II, 1213;
  • Figone A. Adozione in casi particolari, in Ilfamiliarista.it, 6 agosto 2020;
  • Matteini Chiari S., Adozione nazionale, internazionale e affidamento a terzi, Milano 2019, 243 ss.
  • Miotto G., Adozione omoparentale e preminente interesse del minore, in DFP 2015, 4, 1335;
  • Montaruli V., Disfavore del legislatore italiano per l'adozione legittimante a favore delle coppie dello stesso sesso, in DFP 2020, 3, 746;
  • Rivera I., La sentenza della Corte di Cassazione n. 12962/2016 e il superiore interesse del minore, in Giur. it. 2016, 12, 2580;
  • Ruo M.G., A proposito di omogenitorialità adottiva e interesse del minore, in Fam. e dir. 2015, 6, 574;
  • Sassi A., Scaglione F., Stefanelli S., La filiazione e i minori, Torino 2018, pp. 343 ss.;
  • Spadafora A., Adozione, tutela dell'omogenitorialità ed i rischi di eclissi della volontà legislativa, in Giur. it. 2016, 12, 2573;
  • Veronesi S., La Corte di cassazione si pronuncia sulla stepchild adoption, in Fam. e dir. 2016, 11, 1034.

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