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Nozione di pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio e reato di indebita destinazione di denaro o cose mobili

13 Febbraio 2025

Precisazioni della Corte di cassazione. 

Massima

Agli effetti della legge penale l'esercizio della pubblica funzione o del pubblico servizio da parte dell'agente deve essere escluso quando l'attività svolta dal soggetto sia regolata in forma privatistica, anche se ne è parte una persona giuridica pubblica o una società partecipata quasi totalitariamente da un ente pubblico.

Le condotte di indebita destinazione, originariamente ascrivibili alla fattispecie di abuso di ufficio, stante la continuità nella rilevanza penale del fatto (a fronte dell'omogeneità di elementi strutturali di fattispecie), continueranno ad essere punibili ai sensi dell'art. 314-bis c.p. e si applicherà, ai sensi dell'art. 2, comma 4, c.p. la lex mitior determinata dalla nuova cornice edittale.

Il caso

L'imputato, in entrambi i gradi di giudizio, è stato condannato, oltre che per un'ipotesi di corruzione, per plurime condotte di peculato perché, quale soggetto apicale di una Federazione Sportiva Nazionale riconosciuta dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CO.N.I.), si era appropriato di somme rimborsate dalla Federazione per spese in viaggi di trasferta e per altre spese non giustificate, nonché della somma pagata dalla Federazione a titolo di canone di locazione di un appartamento di sua proprietà, concesso in godimento alla figlia.

L'imputato interponeva ricorso per cassazione e, ai fini che qui interessano, denunciava, sotto plurimi profili, la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine ai delitti di peculato per i quali aveva riportato condanna e, con un motivo aggiunto, chiedeva di annullare i capi della sentenza impugnata relativi a due delitti di peculato in quanto, le condotte contestate, non sarebbero state più punibili per effetto della intervenuta introduzione nel codice penale del reato di indebita destinazione di denaro o cose mobili di cui all'art. 314-bis ad opera dell'art. 9, comma 1, d.l. 4 luglio 2024, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla l. 8 agosto 2024, n. 112.

La questione

Il giudice di legittimità, con specifico riguardo a tutte le incriminazioni di peculato, ha avuto modo, dapprima, di pronunciarsi in merito alla qualifica pubblicistica di colui che agisce per conto di una Federazione Sportiva, soggetto di diritto privato che, in quanto legato al C.O.N.I. da un rapporto intersoggettivo esterno, può assumere connotazione pubblicistica allorquando opera come organo di quest'ultimo e in ordine a specifiche materie previste dallo Statuto [richiamando, al riguardo, Cass. pen., sez. VI, 17 giugno 2015, n. 38562], affrontando poi i riflessi che la recente introduzione del delitto di indebita destinazione di denaro o cose mobili di cui all'art. 314-bis c.p. poteva avere sulle contestazioni oggetto di scrutinio.

Le soluzioni giuridiche

Nozione del pubblico ufficiale e della persona incaricata di pubblico servizio.

1. In ordine alla prima questione, la Suprema Corte rileva, anzitutto, che le nozioni di pubblico ufficiale (art. 357 c.p.) e di incaricato di un pubblico servizio (art. 358 c.p.), così come riformulate dalla legge 26 aprile 1990, n. 86, sono state delineate dal legislatore secondo una concezione oggettivo-funzionale che si incentra sul regime giuridico dell'attività concretamente esercitata.

In particolare, secondo l'attuale formulazione dell'art. 357 c.p. – per la quale, agli effetti della legge penale, è pubblico ufficiale colui il quale esercita una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa [primo comma] e, agli stessi effetti, è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi [secondo comma] – ai fini del riconoscimento della qualifica di pubblico ufficiale non deve aversi riguardo alla natura dell'ente da cui il medesimo dipende, né alla tipologia del relativo rapporto di impiego, ma deve valutarsi esclusivamente la natura dell'attività effettivamente espletata dall'agente, ancorché lo stesso sia un soggetto privato.

Per l'effetto, si renderanno necessarie un'attenta valutazione dell'attività concretamente esercitata dal soggetto, l'individuazione della disciplina normativa alla quale essa è sottoposta e la verifica della presenza dei poteri tipici della potestà amministrativa, come indicati dal secondo comma dell'art. 357 c.p., vale a dire la constatazione che, nel suo svolgimento, l'agente abbia concorso alla formazione o alla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione ovvero esercitato poteri autoritativi o certificativi [richiamando, al riguardo, Cass. pen., sez. un., 13 luglio 1998, n. 10086].

Parimenti, poiché la nozione di incaricato di pubblico servizio, per come delineata dall'art. 358 c.p. – per il quale l'incaricato di un pubblico servizio è il soggetto che, a qualunque titolo, presta un servizio pubblico [primo comma], specificando come il concetto di servizio pubblico risulti formalmente omologo alla funzione pubblica di cui al precedente articolo, ma caratterizzato dalla mancanza dei poteri deliberativi, autoritativi o certificativi, tipici di quest'ultima [secondo comma] – prescinde da qualsivoglia riferimento al rapporto d'impiego intercorrente tra l'agente e un ente pubblico, la Suprema corte ha ritenuto che l'esercizio della pubblica funzione o del pubblico servizio da parte dell'agente debba essere escluso quando l'attività svolta dal soggetto sia regolata in forma privatistica, ancorché nell'ambito di un rapporto lavorativo con una persona giuridica pubblica o con una società partecipata quasi totalitariamente da un ente pubblico.

2. La Corte passa poi ad inquadrare l'ente in cui l'imputato ricopriva una carica apicale, rilevando che la Federazione Sportiva in cui il medesimo operava è una associazione senza fini di lucro, con personalità giuridica di diritto privato, che svolge attività pubblicistica in relazione alla propria natura di ente di promozione dell'attività sportiva.

Sul punto, dopo aver rilevato che, ai fini dell'attribuzione della qualifica soggettiva di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio a coloro che agiscono per conto delle Federazioni sportive, deve prendersi in considerazione il tipo di attività concretamente svolta dall'agente, perché le Federazioni sportive sono soggetti di diritto privato, legati al C.O.N.I. da un rapporto intersoggettivo esterno, i quali assumono connotazione pubblicistica solo quando agiscono come organo del C.O.N.I. in ordine a specifiche materie previste dallo Statuto di quest'ultimo [richiamando, al riguardo, Cass. pen., sez. VI, 17 giugno 2015, n. 38562, già citata, e Cass. pen., sez. VI, 30 aprile 2024, n. 27637], la Corte censura, in parte, l'operato dei giudici del secondo grado che, pur citando detta giurisprudenza, avevano attribuito all'imputato, tout court, la qualifica di incaricato di pubblico servizio esclusivamente sulla base della natura pubblica dei fondi distratti e della loro destinazione alle attività di rilievo pubblicistico, di cui all'art. 23 del C.O.N.I., atteso che le risorse economiche per lo svolgimento delle attività della Federazione erano costituite quasi integralmente dagli stanziamenti di quell'Organo e, quindi, da fondi statali; alcuna considerazione, invece, era stata svolta in ordine alla natura dell'attività concretamente svolta, in relazione alle diverse condotte contestate e alla loro correlazione all'operatività della Federazione, come soggetto privato, ovvero nella sua veste pubblicistica.

Ebbene, la Suprema Corte, muovendo da tali principi, da un lato ha avallato il giudizio dei giudici di merito in ordine alla qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo all'imputato laddove, in virtù della carica rivestita, aveva stipulato il contratto di locazione [per il quale si era appropriato delle somme pagate per i canoni] nell'interesse della Federazione – atteso che, la stipulazione del contratto, secondo la delibera federale all'uopo adottata, era funzionale alle esigenze abitative di tutti i soggetti-atleti, dipendenti, dirigenti, in vista dei lavori di ammodernamento del complesso sportivo di riferimento.

Diversamente, ha ritenuto contraria al criterio oggettivo-funzionale, sancito dal legislatore per attribuire la qualifica pubblicistica dell'agente, quella parte delle sentenze di merito che avevano qualificato come incaricato di pubblico servizio l'imputato, allorquando aveva percepito rimborsi dalla Federazione che, per quanto accertato, avevano ad oggetto viaggi “non istituzionali”, a carattere familiare, e varie spese che traevano la loro origine esclusivamente dal rapporto contrattuale in essere con la Federazione, rapporto retto dal diritto privato e non da norme di diritto pubblico.

Per l'effetto, ribadito che in nessun punto delle sentenze di merito emergeva come questi esborsi fossero stati percepiti nell'esercizio di attività costituenti espressione di un servizio pubblico, quelle condotte di peculato sono state riqualificate in ipotesi di appropriazione indebita [art. 646 c.p.], aggravata dall'abuso di prestazione di opera [art. 61, comma 1, n. 11, c.p.] e ne veniva rilevata l'intervenuta prescrizione, con conseguente declaratoria di annullamento senza rinvio per estinzione del reato.

   

Il reato di indebita destinazione di denaro o cose mobili.

3. Il giudice di legittimità si confronta, poi, con il motivo aggiunto proposto dalla difesa dell'imputato, per il quale la recente introduzione del delitto del delitto di indebita destinazione di denaro o di cose mobili di cui all'art. 314-bis c.p. – “Fuori dei casi previsti dall'articolo 314, il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, li destina ad un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità e intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni” – avrebbe dovuto trovare applicazione con specifico riguardo a talune delle ipotesi di peculato contestate in quella sede, determinandone la non punibilità per sopravvenuta abolitio criminis.

In particolare, la difesa rilevava che la collocazione sistematica dell'art. 314-bis c.p., “a ridosso” dell'art. 314 c.p., e la clausola di riserva con la quale si apre la fattispecie, dovevano indurre a ritenere che la nuova fattispecie disciplinasse, attualmente, tutte le condotte di peculato per distrazione; l'art. 314-bis c.p., quindi, non costituirebbe una forma speciale di abuso di ufficio [“…l'ultimo residuo dell'art. 323…”), che mantiene ferma la punibilità di quelle condotte distrattive che rientravano nella fattispecie dell'abuso di ufficio, ma costituirebbe la nuova disciplina generale del peculato per distrazione, idonea a erodere l'ambito applicativo del delitto di peculato [art. 314 c.p.] per come interpretato sino ad allora dalla giurisprudenza.

4. La Suprema Corte ha ritenuto il motivo infondato. Difatti, dopo aver ricordato che l'introduzione della nuova fattispecie si era resa necessaria per adempiere all'obbligo di criminalizzazione, di matrice comunitaria, derivante dal disposto di cui all'art. 4, § 3, della direttiva UE 2017/1371 del 5 luglio 2017 [c.d. direttiva PIF][1], rileva come il reato di indebita destinazione presenti una struttura ibrida, mutuando i propri elementi costitutivi in parte dal peculato [art. 314 c.p.] e, in parte, dall'ormai abrogato abuso d'ufficio [art. 323 c.p.].

Quanto al peculato, la nuova fattispecie presenta, sul piano oggettivo, il medesimo presupposto e l'oggetto materiale della condotta: il soggetto attivo del reato, pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, deve, infatti, avere, per ragione del suo ufficio o servizio, il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui.

Parimenti, il delitto di indebita destinazione presenta più elementi dell'abuso d'ufficio: sul piano oggettivo, la condotta di destinazione del bene ad uso diverso deve contrastare [così come avveniva sotto la vigenza dell'art. 323 c.p.] con specifiche disposizioni di legge o con atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità e, inoltre, è altresì corrispondente l'evento del reato, vale a dire l'ingiusto vantaggio patrimoniale per sé o per altri, in alternativa all'altrui danno ingiusto, nonché l'elemento soggettivo, rappresentato dal dolo intenzionale.

La Corte, nel prosieguo, rileva come nella Relazione di accompagnamento al citato d.l. n. 92/2024 descrive le finalità dell'introduzione della nuova fattispecie di reato, evidenziando che, a seguito della riforma attuata con la l. n. 86/1990 – per la quale erano state espunte dal peculato le condotte di “distrazione a profitto proprio o di altri”, con contemporanea riforma del delitto di abuso di ufficio – la giurisprudenza aveva ricondotto nell'alveo dell'abuso di ufficio tutte quelle condotte non comportanti appropriazione stricto sensu, ma consistenti nel mero mutamento della destinazione di legge del denaro o delle cose mobili pubbliche; per l'effetto, l'introduzione del nuovo reato si rendeva necessaria, stante l'imminente abrogazione del delitto di abuso d'ufficio, al fine di “chiarire definitivamente i termini di punibilità di tali condotte non appropriative, anche in ragione della necessità di preciso adeguamento alla normativa euro-unitaria”.

Sul punto, la Corte prosegue nel rilevare che la giurisprudenza, a far data dalla citata riforma del 1990, ha comunque ritenuto che il peculato per distrazione potesse integrare, alternativamente, il reato di abuso di ufficio o di peculato, in ragione delle finalità perseguite dall'agente e che, quindi, permanessero nell'ambito applicativo dell'art. 314 c.p. tutte quelle condotte di c.d. distrazione appropriativa, ossia di destinazione da parte del pubblico agente di beni all'esclusivo soddisfacimento di interessi privati propri, o di terzi [a riguardo cita Cass. pen., sez. un., 20 dicembre 2012, n. 19054/13], per la quale “l'eliminazione della parola “distrazione” dal testo dell'art. 314 c.p. … non ha determinato puramente e semplicemente il transito di tutte le condotte distrattive poste in essere dall'agente pubblico nell'area di rilevanza penale dell'abuso d'ufficio”].

Diversamente, la condotta distrattiva poteva rilevare come abuso d'ufficio nei casi in cui la destinazione del bene, pur viziata per opera dell'agente, manteneva la propria natura pubblica e non andava a favorire interessi estranei alla p.a. [Cass., sez. un., 20 dicembre 2012, cit.]. Il confine tra peculato e abuso d'ufficio, quindi, con riferimento alle condotte distrattive era costituito dalla natura delle finalità cui è destinato il denaro o la cosa mobile altrui.

5. A seguito di queste importanti precisazioni, la Corte ritiene di non condividere l'interpretazione fornita dall'imputato nel proprio motivo aggiunto – per il quale, si ricorda, l'art. 314-bis c.p. non costituirebbe una forma speciale di abuso di ufficio, ma costituirebbe la nuova disciplina generale del peculato per distrazione, idonea a erodere l'ambito applicativo del delitto di peculato – rilevando, anzitutto, che non fosse casuale, già sul piano testuale, la scelta del legislatore di non riproporre nel testo della nuova fattispecie il lemma “distrae”, ma di utilizzare il diverso predicato verbale “destina” in quanto, proprio in questa scelta, si rinviene il fine di evitare equivoci in ordine alla volontà di reintrodurre una distinzione tra peculato per appropriazione e per distrazione non più contemplata.

Inoltre, sempre sul piano testuale, anche la clausola di riserva “determinata” con cui esordisce la nuova fattispecie [“Fuori dai casi previsti dall'art. 314 c.p.”] assolve il compito di regolare il concorso apparente tra le fattispecie di reato di peculato e di indebita destinazione di denaro o cose mobili, escludendo un'incidenza della nuova fattispecie sull'ambito applicativo dell'art. 314 c.p., per come interpretato dal diritto vivente; d'altra parte, continua la Corte, se la nozione di “appropriazione”, che connota la condotta del peculato, non ricomprendesse anche quello di “distrazione”, non vi sarebbe alcuna interferenza tra le due disposizioni, in quanto le due fattispecie contemplerebbero due condotte del tutto distinte e irrelate; in nessun caso, infatti, una “destinazione” di beni per finalità diverse da quelle pubbliche, ma pur sempre compatibile con la realizzazione di interessi pubblici, potrebbe essere ascritta alla nozione di “appropriazione”.

Insomma, con la previsione della clausola di riserva contenuta nell'art. 314-bis c.p. il legislatore ha inteso mantenerne inalterato l'ambito applicativo del delitto di peculato, per come delineato dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimità e, per l'effetto, le condotte di distrazione qualificabili come peculato, dunque, non sono suscettibili di diversa qualificazione per effetto dell'introduzione del delitto di indebita destinazione di denaro o altre cose mobili [314-bis c.p.]; sono questi i casi, continua la Corte, in cui la condotta distrattiva integra un'effettiva appropriazione perché la res è sottratta in modo definitivo dalla finalità pubblica per conseguire finalità private, proprie o altrui e, per queste ipotesi di “distrazione appropriativa”, rimane inalterata la loro sussumibilità nella fattispecie di peculato.

Il delitto di destinazione indebita di cui all'art. 314-bis c.p., quindi, non interferisce e non costituisce lex mitior rispetto alle condotte di peculato per distrazione, che esulano del tutto dall'ambito applicativo della nuova fattispecie la quale, coerentemente con la ragione della sua introduzione, sottrae le condotte di indebita destinazione di denaro o cose mobili, ritenute nell'assetto previgente quale condotte di abuso di ufficio [art. 323 c.p.], all'irrilevanza penale conseguente all'abolitio criminis di quest'ultimo reato.

Al contempo, l'art. 314-bis c.p., esclude altresì la riespansione dell'ambito applicativo del reato di peculato con riferimento a tali classi di condotte, in quanto chiarisce, in negativo [“li destina ad un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità”], che la deviazione dal fine pubblico non integra sempre e comunque peculato atteso che la nuova fattispecie di indebita destinazione interviene solo sulle condotte di “abuso distrattivo” di fondi pubblici – vale a dire quelle consistenti nel “mero mutamento della destinazione di legge del denaro o delle cose mobili pubbliche”, pur sempre compatibili con i fini istituzionali dell'ente di appartenenza dell'agente pubblico –finora sussunte nell'abrogato delitto di abuso d'ufficio.

Pertanto, le condotte di indebita destinazione, originariamente ascrivibili alla fattispecie di abuso di ufficio, stante la continuità nella rilevanza penale del fatto [a fronte dell'omogeneità di elementi strutturali di fattispecie], continueranno ad essere punibili, non più ai sensi dell'art. 323 c.p., bensì ai sensi dell'art. 314-bis c.p. e si applicherà, ex art. 2, quarto comma, c.p., la lex mitior determinata dalla cornice edittale prevista dalla nuova fattispecie.

A conclusione del proprio percorso argomentativo, la Suprema Corte evidenzia che il legislatore, rispetto alle condotte di indebita destinazione punibili dalla disciplina previgente come abuso (distrattivo) d'ufficio, ha inteso realizzare una abrogatio sine abolitione parziale, rendendo non più punibili le condotte che non abbiano comportato violazione di specifiche disposizioni di legge o di disposizioni che lasciano residuare margini di discrezionalità del pubblico agente e individua altresì un'ulteriore riduzione dello spazio di rilevanza penale delle condotte in relazione al presupposto del reato: il possesso o la disponibilità della res, richiesto dall'art. 314-bis c.p. sul modello del peculato, risulta infatti più stringente rispetto a quello allora previsto dall'art. 323 c.p. che utilizzava la formula “nello svolgimento delle funzioni o del servizio”, senza alcun riferimento al possesso o alla disponibilità del denaro o delle cose mobili.

Infine, la Corte rileva una sostanziale abolitio criminis per tutte quelle condotte distrattive aventi ad oggetto beni immobili, nell'assetto previgente punibili ai sensi dell'art. 323 c.p. e non più contemplate [“denaro o altre cose mobili”] dalla nuova disposizione di cui all'art. 314-bis c.p.

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