Tributario

Inesistente la notifica della cartella da un indirizzo PEC non presente in un elenco pubblico

La Redazione
13 Febbraio 2025

La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia con la sentenza n. 4042 del 2 dicembre 2024, ha affermato che la notifica di un atto della riscossione eseguita mediante l'invio di un messaggio di posta elettronica da un indirizzo PEC non compreso in uno degli elenchi pubblici disciplinati dal Codice dell'Amministrazione Digitale, non rende riconoscibile ed individuabile il potere pubblico connaturato allo svolgimento dell'attività notificatoria demandata dalla legge al concessionario; e, se tale requisito non sussiste, la notifica deve ritenersi inesistente.

L'agente della riscossione emetteva a carico di una società una cartella di pagamento derivante dall'attività di liquidazione automatizzata delle dichiarazioni IVA per gli anni d'imposta 2016 e 2017. Tra i vari motivi di ricorso, la difesa della società eccepiva l'inesistenza della notifica della cartella di pagamento in quanto il messaggio di posta elettronica certificata contenente il file in formato pdf con la rappresentazione grafica dell'atto impugnato non era stato spedito dall'indirizzo di posta elettronica certificata del concessionario del servizio di riscossione presente nell'IPA (ossia l'Indice ufficiale delle Pubbliche amministrazioni), bensì inoltrato da un differente indirizzo non accreditato all'interno di tale indice, sconosciuto e non riferibile con certezza all'agente della riscossione. Controparte, invece, difendeva in giudizio la liceità del proprio operato sostenendo che la mancata inclusione nell'indice INI – PEC (o in altro registro pubblico) dell'indirizzo di invio del messaggio di posta elettronica utilizzato per compiere la notifica non si ripercuoterebbe sulla sua esistenza e sulla sua validità. I giudici di prime cure respingevano sul punto il ricorso della società ricordando una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 6015/2023) la quale, tornando a pronunciarsi sulla tematica molto dibattuta nella giurisprudenza di merito, ha affermato che "la notifica avvenuta utilizzando un indirizzo di posta istituzionale, non risultante nei pubblici elenchi, non è  nulla, ove la stessa abbia consentito, comunque, al destinatario di svolgere compiutamente le proprie difese, senza alcuna incertezza in ordine alla provenienza  ed all'oggetto”.In particolare, in tale pronuncia, i giudici di legittimità hanno sostenuto come non sia applicabile a tale fattispecie la più stringente disciplina di cui all'articolo 3-bis, comma 1, della legge 21 gennaio 1994. 53, prevista m tema di notifiche da parte degli avvocati, evidenziando che una maggiore rigidità formale si debba applicare sul versante dell'indirizzo del destinatario, ma non anche per quanto concerne l'indirizzo del mittente.

L'inesistenza della notificazione. Nel propendere per la riforma della sentenza, anche in contrasto con quanto affermato dalla S.C., i giudici d'appello hanno preliminarmente considerato privi di pregio i richiami fatti dalla difesa della società all'art. 3 bis L. n. 53/94 ed all'art. 16 ter d.l. n. 179/12 (conv. in L. n. 221/12) in quanto norme afferenti alla notifica degli atti processuali o stragiudiziali effettuata dagli avvocati a ciò appositamente abilitati ovvero a quella degli atti processuali effettuata nell'ambito di un processo presso il “domicilio digitale” del difensore (fattispecie differente da quella esaminata9. La Corte territoriale pugliese ha focalizzato l'attenzione sulla necessità che il messaggio di posta elettronica che raggiunge il destinatario della notifica sia inequivocabilmente riconoscibile come proveniente dal concessionario del servizio di riscossione nella sua qualità di organo (o ufficiale) notificatore (in tal senso il richiamo alla sentenza n. 9066/24 della Cassazione sulla dimostrazione dell'esistenza e dell'individuabilità del potere pubblico esercitato attraverso l'attività notificatoria). I giudici hanno ritenuto  che  tale  esigenza  possa  essere  soddisfatta  adeguatamente  soltanto  attraverso l'applicazione dell'art. 4 comma 7 del d.p.r. n. 68/2005 (il quale prescrive che il mittente e il destinatario che intendano fruire del servizio di posta elettronica certificata devono avvalersi di uno dei gestori di cui agli artt. 14 e 15 del medesimo decreto), dell'art. 14 medesimo d.p.r. (il quale specifica come tali gestori siano inclusi in un apposito elenco pubblico disciplinato dal presente articolo) e degli artt. 6-bis e 6-ter del CAD  (i quali  prevedono  l'istituzione  del  registro  INI -  PEC  e  del  pubblico  elenco  di  fiducia denominato IPA ovvero "Indice dei domicili digitali della pubblica amministrazione e dei gestori di pubblici servizi", nel quale sono indicati i domicili digitali da utilizzare per le comunicazioni e lo scambio di informazioni). Pertanto, secondo i giudici,  senza il rispetto delle garanzie fornite da tali norme primarie, il destinatario del messaggio di posta elettronica asseritamente utilizzato per realizzare l'attività notificatoria diverrebbe agevolmente il terminale di atti (di qualsivoglia genere), di cui non potrebbe stabilirsi con certezza la provenienza e perciò la qualità pubblicistica (in termini di potestas e di munus) rivestita dall'autore dell'invio (e, ancor più, la natura autoritativa dell'attività da costui esercitata). Ciò, hanno ulteriormente precisato gli interpreti, comprometterebbe la sicurezza attribuita all'istituto giuridico (ed in definitiva le finalità perseguite dalla norma primaria), che costituisce un bene irrinunciabile, anche in considerazione della rilevanza economica degli atti che tramite esso possono essere veicolati. A tali argomentazioni, è stata anche aggiunta una ulteriore considerazione ovvero che senza le garanzie relative alla provenienza del messaggio di posta elettronica (ed alla identità del suo autore) tale strumento potrebbe anche prestarsi alla consumazione di condotte criminose (quali ad esempio attività truffaldine, rivolte ad approfittare della buona fede del destinatario del messaggio mediante la spendita di denominazioni e qualità non possedute).

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