Lavoratore dipendente estero amministratore di società italiana: profili impositivi e (possibili) conseguenze in tema di place of effective management
Valentina Stecca
26 Febbraio 2025
L'Agenzia delle Entrate, con la risposta all'Interpello 17 gennaio 2025, n. 6, torna sui criteri di territorialità sottostanti la tassazione di redditi di lavoro dipendente e utili societari. Più in particolare, i redditi di lavoro dipendente percepiti da una persona fisica fiscalmente residente in Lussemburgo sono assoggettati ad imposizione soltanto in detto Stato sul presupposto che le attività lavorative siano ivi svolte in via esclusiva. Gli utili conseguiti da una società fiscalmente residente in Italia sono assoggettati ad imposizione soltanto in Italia laddove questa ivi eserciti la sua attività e non disponga di una stabile organizzazione estera. Al di là della risposta resa dall'Agenzia delle Entrate, occorre in ogni caso considerare i (nuovi) criteri che integrano la residenza fiscale italiana (o estera) delle società.
Premessa. I quesiti recati dall’istanza e la soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
La recente risposta all’Interpello 17 gennaio 2025, n. 6 si apprezza per le conclusioni raggiunte dall’Agenzia delle Entrate che, ragionando in modo coerente rispetto al dato normativo, adotta un’impostazione interpretativa che appare del tutto condivisibile.
Prima di entrare nel merito dei profili “tecnici” sottesi alla questione che ci occupa, è interessante richiamare sinteticamente i quesiti prospettati dal contribuente e la soluzione interpretativa da quest’ultimo condivisa.
Ebbene, il soggetto istante, iscritto all’AIRE e residente nel territorio del Granducato di Lussemburgo - ove svolge attività lavorativa subordinata a tempo pieno e indeterminato alle dipendenze di persona giuridica ivi costituita - prospetta all’Agenzia dell’Entrate l’intenzione di costituire in Italia una società a responsabilità limitata semplificata unipersonale (SRLSU).
L’attività svolta dalla società, in cui il contribuente assumerebbe la carica di unico amministratore, sarebbe quella d’intermediazione assicurativa ed insisterebbe sul territorio nazionale italiano.
Ciò premesso, l’istante chiede di conoscere, anche ai sensi della Convenzione contro le doppie imposizioni del 3 giugno 1981 stipulata tra l’Italia ed il Lussemburgo, il regime impositivo applicabile:
ai redditi di lavoro dipendente percepiti nel Granducato;
agli utili societari derivanti dall'attività di brokeraggio assicurativo.
In merito alla prima questione prospettata, il contribuente ritiene che i proventi dell'attività lavorativa subordinata, integralmente prestata nel territorio del Granducato, ricadano nell'alveo applicativo dell'art. 15 della Convenzione bilaterale, con conseguente potestà impositiva esclusiva in capo allo Stato lussemburghese. Ciò anche per via di – ulteriori – circostanze, ovvero l'assenza, sul territorio italiano, di un sostituto d'imposta e di una stabile organizzazione della società lussemburghese datrice di lavoro.
Con riferimento al secondo quesito prospettato, l'istante postula che la tassazione degli utili societari sottostia all’applicazione dell’art. 7 della Convenzione; da ciò discenderebbe il riconoscimento della potestà impositiva esclusiva allo Stato italiano, atteso che l'attività di intermediazione assicurativa verrà esercitata integralmente nel territorio nazionale e in assenza di una stabile organizzazione in Lussemburgo.
La posizione dell'Agenzia delle Entrate
Premesse le valutazioni interpretative del contribuente, l'Agenzia delle Entrate – dopo aver preliminarmente rilevato che la determinazione della residenza fiscale effettiva rappresenta una questione di natura fattuale, la cui valutazione esula dall'ambito applicativo dell'istanza di interpello disciplinata dall'art. 11 della legge n. 212 del 2000 (cfr. Circolare 1° aprile 2016, n. 9/E, Risposta 18 luglio 2019, n. 270) - si sofferma distintamente sui quesiti proposti dal contribuente.
Avendo riguardo al primo quesito, assunta l'effettiva residenza fiscale del contribuente in Lussemburgo, risulta applicabile al caso di specie l'art. 3, co. 1, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), che in capo alle persone fisiche non residenti limita l'imposizione italiana ai soli redditi prodotti nel territorio dello Stato, che si considerano tali se rientranti in una delle fattispecie elencate all'art. 23 del TUIR. Per quanto attiene più specificatamente ai redditi di lavoro dipendente, il primo comma del citato articolo, alla lettera c), dispone che questi si considerano prodotti nel territorio dello Stato, e assumono quindi rilevanza ai fini fiscali, solo se l'attività lavorativa è ivi prestata.
Ne consegue, quindi, che se l'attività lavorativa subordinata è esercitata esclusivamente in Lussemburgo, ovvero lo Stato di residenza del contribuente, i relativi redditi non potranno considerarsi imponibili in Italia.
La normativa nazionale è inoltre allineata – come si avrà modo di rilevare ancora nel paragrafo successivo – alle disposizioni contenute nell'articolo 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Lussemburgo.
Pertanto, con riferimento al primo quesito, l'Agenzia conclude (assumendo la residenza fiscale dell'Istante in Lussemburgo) che laddove l'attività lavorativa subordinata sia svolta esclusivamente nel Paese estero, allora i relativi redditi saranno imponibili esclusivamente in detto Stato.
Per quanto riguarda il secondo quesito, l'Agenzia delle Entrate, posta la prospettata assunzione della residenza fiscale in Italia della costituenda società, oltre all'integrale svolgimento della sua attività nel territorio italiano senza alcuna stabile organizzazione all'estero, conclude che gli utili prodotti dovranno considerarsi tassabili esclusivamente in Italia, in applicazione degli artt. 73, 81 e 83 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR).
Ad avviso dell'Agenzia, queste conclusioni troverebbero parimenti conferma nell'art. 7 della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra lo Stato italiano e il Lussemburgo.
Si tratta, come sopra anticipato, di conclusioni coerenti con il dato normativo, da accogliersi favorevolmente e in ordine alle quali possono essere utili alcune, brevi, riflessioni.
Alcune considerazioni a margine della risoluzione
La risposta ad interpello in commento valorizza a pieno le norme convenzionali ed il loro effetto, quali norme prevalenti – salvo il caso in cui non vi siano disposizioni interne di maggior favore – sull'ordinamento interno.
Detto aspetto emerge chiaramente sia con riferimento al primo che al secondo quesito prospettato dal contribuente, sia, soprattutto, in ordine alle soluzioni raggiunte dall'Ufficio rispetto ai due interrogativi.
Sul punto, per quanto riguarda il primo quesito prospettato dal contribuente, assolutamente pertinente è il riferimento all'art. 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni in essere tra Italia e Lussemburgo, dedicato all'allocazione della potestà impositiva tra i due Paesi per quanto attiene ai redditi derivanti dall'esercizio di un'attività di lavoro dipendente. Il primo paragrafo del citato articolo detta infatti un principio generale d'imposizione in forza del quale i redditi di lavoro dipendente percepiti da un soggetto residente in un Paese (nel caso di specie, il Lussemburgo) sono assoggettati a tassazione in via esclusiva in detto Stato a meno che l'attività lavorativa non sia svolta nell'altro Stato contraente (nel caso di specie, l'Italia).
Ne consegue pertanto che il disposto Convenzionale guarda al luogo di svolgimento dell'attività al fine di ripartire la potestà impositiva tra i due Paesi.
La disposizione in esame assegna quindi la potestà impositiva al Paese di residenza del lavoratore laddove le attività lavorative siano ivi svolte, e quindi i redditi ivi prodotti, a prescindere dal luogo di stabilimento del datore di lavoro (che potrebbe anche trovarsi nell'altro Stato contraente), evitando così in radice una duplice imposizione.
La recentissima posizione di prassi espressa dall'Agenzia delle Entrate conferma quindi le linee interpretative già assunte, in tempi recenti, dall'Ufficio.
Sul punto, soltanto per l'anno 2023, basti pensare alle risposte ad interpello n. 50, 98 e 370 che, pur configurando quesiti autonomi, specifici e personali, denotano un approccio interpretativo comune dell'Agenzia nel senso di considerare i redditi da lavoro dipendente imponibili esclusivamente nello Stato di residenza del beneficiario, a meno che l'attività lavorativa non sia svolta nell'altro Stato contraente.
In chiave di continuità con il primo quesito, anche il secondo interrogativo prospettato dal contribuente è correttamente risolto ricorrendo dapprima alla normativa domestica e, in seconda battuta, alla Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni in essere tra Italia e Lussemburgo.
Assumendo la residenza fiscale italiana della costituenda società, e in assenza di una sua stabile organizzazione all'estero, ai sensi del combinato disposto degli artt. 73 co. 1, lett. a), 81 e 83 del TUIR, gli utili conseguiti dallo svolgimento di un'attività d'impresa nel territorio nazionale sono da considerarsi ivi imponibili in via esclusiva.
La potestà impositiva esclusiva italiana – come evidenziato, peraltro, dall'Ufficio – trova conferma nell'art. 7 della Convenzione, che disciplina il trattamento tributario da riservare agli utili delle imprese andando a ripartire la competenza tributaria tra gli Stati coinvolti, ovvero nello specifico caso, tra l'Italia e il Lussemburgo.
La citata norma – che, lo ricordiamo ancora, prevale sulla norma interna/nazionale salvo il caso in cui quest'ultima non sia di maggior favore – regola, infatti, la tassazione degli utili derivanti dalle attività delle imprese.
Secondo tale disposizione, gli utili di un'impresa sono imponibili esclusivamente nello Stato in cui l'impresa è residente, salvo che l'impresa svolga la propria attività nell'altro Stato contraente attraverso una stabile organizzazione ivi situata.
In altri termini, ogniqualvolta un'impresa residente in uno degli Stati contraenti operi nel territorio dell'altro Stato tramite una stabile organizzazione, quest'ultimo avrà il diritto di tassare gli utili da detta organizzazione. Al contrario, laddove l'impresa considerata non abbia insediato una stabile organizzazione nell'altro Stato, la tassazione degli utili sarà riconosciuta esclusivamente allo Stato di residenza dell'impresa.
Poste queste considerazioni, vien da sé la correttezza delle conclusioni dell'Agenzia (che appaiono tali, almeno, alla luce del contesto fattuale delineato dal contribuente istante): nella specie, infatti, la Società di brokeraggio assicurativo che l'istante intenderebbe costituire sarebbe residente ai fini fiscali in Italia e priva di una stabile organizzazione all'estero. Si tratta però di circostanze fattuali dirimenti nel caso in esame; se messe in discussione, le conclusioni raggiunte dall'Agenzia sarebbero state infatti significativamente difformi rispetto a quelle prospettate.
In conclusione
Il parere reso dall'Agenzia delle Entrate, e in particolare la ricostruzione normativa (domestica e convenzionale) operata, appare assolutamente condivisibile.
Non si può in ogni caso non rilevare come la stessa si basi su due fondamentali assunti: la residenza fiscale estera del lavoratore e quella italiana della costituenda società.
Le circostanze fattuali delineate dall'Istante non sono di fatto di per sé sufficienti a svolgere considerazioni sulla sua effettiva residenza fiscale estera, posto che sono esclusivamente dichiarati la “residenza” in Lussemburgo nonché l'iscrizione presso l'Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero (AIRE).
Per contro, talune osservazioni possono essere mosse sulla residenza fiscale della società, anche tenuto conto delle modifiche operate dal D.Lgs. 2 dicembre 2023, n. 209 ai presupposti che integrano la residenza fiscale di società ed enti a partire dal periodo d'imposta 2024.
Con l'intento, infatti, di allineare la disciplina domestica alla prassi internazionale e ai criteri di determinazione della residenza fiscale forniti dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni, l'art. 2 del citato decreto ha sostituito i criteri di collegamento della sede dell'amministrazione e dello scopo principale con la sede di direzione effettiva e la gestione ordinaria.
Ed è proprio con riferimento al criterio della sede di direzione effettiva (“place of effective management”) che meritano d'essere svolte alcune considerazioni.
Ai sensi del novellato art. 73, co. 3 del TUIR, si considerano, infatti, residenti ai fini fiscali le società che, per la maggior parte del periodo d'imposta, hanno alternativamente nel territorio dello stato, (i) la sede legale (al pari della previgente normativa) o (ii) la sede della direzione effettiva o (iii) la gestione ordinaria in via principale.
La “direzione effettiva” è in particolare definitiva dal testo normativo come “la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società (…) nel suo complesso”. La Relazione Illustrativa al decreto aveva precisato che “ai fini della direzione effettiva, non rilevano le decisioni diverse da quelle aventi contenuto di gestione assunte dai soci né le attività di supervisione e l'eventuale attività di monitoraggio della gestione da parte degli stessi”.
La Circolare di Assonime 30 luglio 2024, n. 15 ha quindi tratto la conclusione per cui la “sede di direzione effettiva” sarebbe da individuare “nell'intero top level di governance della società (…) chiamato ad assumersi in modo coordinato e continuo la responsabilità per le key decisions relative all'ente nel suo complesso e che, pertanto, comprende il livello apicale dei membri executive o non executive del Consiglio di amministrazione (o dell'amministratore unico), il Presidente e il Vice Presidente nonché l'Amministratore delegato (Chief Executive Officer o CEO)”.
Atteso che l'Istante dichiara di risiedere in Lussemburgo a tempo pieno, e che sarà unico amministratore di una costituenda società italiana, talune perplessità potrebbero sorgere in merito all'effettiva residenza fiscale, in Italia della citata società; le decisioni “strategiche” sarebbero gioco forza assunte dall'Istante in Lussemburgo collocando quindi di fatto il place of effective management nello Stato estero.
Tale circostanza assume oltremodo rilevanza se si considera che, laddove la società fosse considerata – sulla base delle rispettive norme interne – fiscalmente residente sia in Italia che in Lussemburgo, tale doppia residenza fiscale sarebbe “risolta” ricorrendo al disposto Convenzionale, che assegna esclusiva rilevanza proprio al luogo in cui si trova la sede di direzione effettiva della Società (nel caso in esame, probabilmente, il Lussemburgo).
La costituenda società italiana sarebbe pertanto considerata fiscalmente residente in Lussemburgo e – in forza dell'art. 7 della Convenzione già richiamato – ivi assoggettata ad imposizione per tutti gli utili ovunque prodotti. Gli utili riconducibili alle attività svolte in Italia sarebbero poi comunque imponibili anche nel territorio nazionale, ai sensi del combinato disposto dell'art. 23, co. 1, lett. e) del TUIR e agli artt. 5 e 7 della Convenzione, atteso il probabile “declassamento” della società italiana a stabile organizzazione dell'entità estera.