Il lodo arbitrale rituale è opponibile alla procedura fallimentare
10 Marzo 2025
Massima Il lodo arbitrale rituale, in quanto pienamente assimilabile ad una sentenza giurisdizionale sin dall'ultima sottoscrizione, a norma dell'art. 824-bis c.p.c., è opponibile alla procedura fallimentare dalla data in cui il provvedimento viene a esistenza e comincia a produrre i suoi effetti. Il caso Viene sottoposta alla Corte di Cassazione il caso relativo all'opponibilità di un lodo arbitrale rituale alla procedura fallimentare. Proposta opposizione allo stato passivo proposta avverso il decreto con cui il giudice delegato aveva rigettato la domanda di insinuazione al passivo di un credito derivante dal lodo arbitrale, quest'ultima veniva rigettata dal tribunale, perché quest'ultimo non era stato reso esecutivo nelle forme di cui all'art. 825, comma 1, c.p.c. e, dunque, ad avviso del giudicante, non era, quindi, opponibile al fallimento, dato che non aveva data certa. In particolare, il Tribunale sosteneva che il lodo era stato semplicemente sottoscritto dai componenti del collegio e, più in generale, che gli arbitri non sono pubblici ufficiali, né incaricati di pubblico servizio, nonché la sottoscrizione, con datazione del lodo, non vale a conferire certezza della data apposta. Tale effetto, infatti, poteva conseguire solo al deposito del lodo nella cancelleria del Tribunale ai fini dell'exequatur - che, nel caso di specie, era avvenuto dopo la dichiarazione di fallimento - o dalla comunicazione delle parti a mezzo plico raccomandato e ciò sempre che la timbratura postale faccia corpo unico con l'atto, o a mezzo PEC, eventi, però, non verificatisi nel caso di specie. Erano, invece, da considerarsi irrilevanti, ai fini della certezza della data, sia la data impressa sulle marche da bollo applicate, trattandosi di semplici marche adesive non annullate da un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, sia la certificazione di mancata impugnazione del lodo emessa dalla Corte di Appello, essendo successiva alla dichiarazione di fallimento. Avverso il decreto di rigetto la ricorrente proponeva ricorso per Cassazione sostenendo principalmente che il lodo e la certificazione di mancata impugnazione erano precedenti alla dichiarazione di fallimento e che il lodo è equiparabile alla sentenza e, quindi, opponibile alla curatela. La questione Ci si chiede se il lodo arbitrale rituale sia opponibile oppure no alla procedura fallimentare, ovvero se il lodo sia da considerare un atto di natura privata, non avente, quindi, data certa, essendo pronunciato da soggetti privi della qualità di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, oppure sia equiparabile alla sentenza emessa dall’autorità giudiziaria e, quindi, idoneo, una volta divenuto inoppugnabile, a produrre effetti identici a quelli di una sentenza passata in giudicato. Le soluzioni giuridiche La Prima sezione della Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso sostenendo che il lodo arbitrale rituale ha natura giurisdizionale e, quindi, è opponibile al fallimento anche senza il preventivo deposito in cancelleria. Il lodo arbitrale rituale, infatti, come sancito dall'art. 824-bis c.p.c., ha gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria dalla data della sua ultima sottoscrizione e, dunque, da quella data è opponibile alla procedura fallimentare. Pertanto, la Corte ha cassato con rinvio il decreto impugnato, ordinando un nuovo esame della questione al Tribunale in diversa composizione tenuto conto del principio di diritto enunciato. Osservazioni Come è noto, l'esistenza di una sentenza del giudice, non ancora passata in giudicato, che abbia accertato l'esistenza di un credito verso il fallito costituisce deroga parziale al principio del concorso formale, giacché il creditore che abbia conseguito una decisione nei confronti del fallito è legittimato a chiedere l'ammissione al passivo con riserva, la quale verrà sciolta in senso favorevole al creditore una volta che il curatore abbia deciso di rinunciare all'impugnazione di quel provvedimento nelle competenti sedi ordinarie o abbia esperito negativamente il gravame. Stando all'art. 204, comma 2, lett. c), CCII (che ripete la disposizione contenuta nell'abrogato art. 96, comma 2, n. 3, l. fall.), sono infatti ammessi al passivo con riserva i crediti (ma lo stesso vale per ogni altro diritto da far valere nelle forme dell'accertamento di stato passivo) «accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato, pronunziata prima della dichiarazione di fallimento»; si aggiunge inoltre che «il curatore può proporre o proseguire il giudizio di impugnazione». Si pone il problema se tale disposizione operi anche nel caso in cui gli arbitri abbiano pronunciato un lodo di condanna al pagamento di un credito nei confronti del soggetto poi sottoposto alla liquidazione giudiziale e pendano ancora i termini per proporre impugnazione. Sul punto, la dottrina ha dato risposta positiva: sebbene l'art. 204 (e il vecchio art. 96) menzionino esplicitamente solo le sentenze, non pare dubbio che i lodi siano ormai equiparabili ai provvedimenti giurisdizionali, grazie al disposto dell'art. 824-bis c.p.c. (v. per tutti A. CARRATTA, Lodo di condanna generica, arbitrato sul quantum e successivo fallimento, in Riv. arb., 1999, 110 ss., in particolare 115). Sul punto interviene anche la Cassazione con il provvedimento che cui si commenta, osservando come l'approccio adottato dal Tribunale non sia più valido, poiché riflette un'interpretazione ormai superata, secondo cui il decreto ex art. 825 c.p.c. attribuiva al lodo esclusivamente l'efficacia, senza conferirgli anche la natura di sentenza (cfr. Cass. civ., sez. un., 3 agosto 2000, n. 527). A seguito delle modifiche normative introdotte all'istituto dell'arbitrato rituale, operate dal d.lgs. n. 40/2006, infatti, la giurisprudenza ha operato un importante revirement, superando la precedente concezione non giurisdizionale dell'arbitrato. Già a partire dal 2013, le Sezioni Unite hanno affermato inequivocabilmente «l'equiparazione del lodo arbitrale rituale non più impugnabile alla sentenza passata in giudicato» (cfr. Cass. civ., sez. un., 25 ottobre 2013, n. 24153). Ora, non appare dubbio che tale equiparazione si riferisca non solo l'efficacia del lodo inter partes, ma anche a quella operante nei confronti dei terzi; a tale conclusione è possibile giungere facendo leva non solo dall'art. 824-bis c.p.c., ma anche dall'art. 829, n. 8, c.p.c., che prevede la possibilità di impugnare per nullità il lodo contrario ad altro precedente lodo non più impugnabile (c.d. giudicato esterno). La successiva giurisprudenza ha evidenziato la corrispondenza tra la pubblicazione della sentenza e l'apposizione dell'ultima sottoscrizione degli arbitri, prevista dall'art. 824-bis c.p.c., non essendovi un ufficio di cancelleria deputato al deposito per la pubblicazione (cfr. Cass. civ., sez. un., 30 marzo 2021, n. 8776). Ne discende che il lodo è ontologicamente dotato di data certa, non essendo richiesto a tali fini il suo deposito in cancelleria. Una volta accertato il credito nei confronti del fallito, con sentenza o con arbitrato rituale, stante l'avvenuta equiparazione, è consentita, quindi, l'iscrizione al passivo con riserva del credito ai sensi dell'art. 96, comma 2, n. 3, l. fall., ribadito dall'art. 204, comma 2, lett. c), CCII, mentre al curatore è concesso di proseguire o proporre impugnazione. Laddove, invece, il lodo fosse già divenuto inoppugnabile prima della apertura della liquidazione giudiziale, esso è in grado di produrre i suoi effetti nei confronti della procedura laddove la curatela sia subentrata nel rapporto sostanziale del fallito, poiché, in tal caso, quest'ultima recepirà direttamente gli effetti della statuizione degli arbitri. Dunque, il lodo produrrà i suoi effetti diretti sulla sfera patrimoniale del fallito; e riflessi su coloro che siano titolari di situazioni giuridiche dipendenti dalla situazione dedotta in giudizio, inclusi i creditori del fallito stesso. La Corte osserva, quindi, che nel caso oggetto del presente giudizio il lodo arbitrale era già divenuto non impugnabile alla data della dichiarazione di fallimento, essendo già decorso, ex art. 828, comma 2, c.p.c., l'anno (oggi sei mesi) dalla data dell'ultima sottoscrizione entro cui poteva essere proposta l'impugnazione. La Corte arriva, quindi, ad enunciare il principio di diritto secondo il quale «il lodo arbitrale rituale, in quanto pienamente assimilabile ad una sentenza giurisdizionale sin dall'ultima sottoscrizione, a norma dell'art. 824-bis c.p.c., è come tale opponibile alla procedura fallimentare dalla suddetta data, nella quale il provvedimento viene a esistenza e comincia a produrre i suoi effetti». Alla luce di quanto enunciato giustamente conclude asserendo che, nel caso in esame, al lodo devono attribuirsi gli effetti di una sentenza passata in giudicato, di cui condivide la natura giurisdizionale, e come tale è opponibile alla procedura fallimentare. Riferimenti
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