Caso “Diciotti”: profili processuali e prova del danno-conseguenza

La Redazione
10 Marzo 2025

Secondo le Sezioni Unite, il rifiuto dell’autorizzazione allo sbarco dei migranti soccorsi in mare protratto per dieci giorni non è un atto politico sottratto al controllo giurisdizionale, ma ricade sotto la giurisdizione del giudice ordinario. Dunque, in merito alla prova del danno conseguenza, hanno chiarito che la stessa può essere offerta anche a mezzo di presunzioni gravi, precise e concordanti, in particolare in caso di lesione di diritti inviolabili, come nel caso di specie

K.M.G., insieme ad altri connazionali eritrei, si rivolse al Tribunale di Roma chiedendo la condanna del Governo italiano al risarcimento dei danni non patrimoniali per l'illegittima restrizione della libertà personale avvenuta a bordo della nave della guardia costiera italiana “U. Diciotti”, dal 16 agosto 2018 al 25 agosto 2018. Il Ministero dell'Interno e la Presidenza del Consiglio dei Ministri eccepirono il difetto di giurisdizione trattandosi di c.d. “atto politico” sottratto alla giurisdizione ordinaria, sottolineando che la nota vicenda si inseriva in un contesto internazionale di tensione tra Italia e Malta e aveva coinvolto le autorità comunitarie nel tentativo dell'Italia di fermare gli sbarchi sulle proprie coste. Il Tribunale dichiarò la carenza di giurisdizione ritenendo che i comportamenti censurati avessero la natura di atti politici. La Corte d'appello di Roma, invece, pur ritenendo sussistere la giurisdizione ordinaria, respingeva nel merito la domanda degli appellanti in difetto della colpa della pubblica amministrazione e in mancanza di allegazione e prova del danno conseguenza. K.M.G. proponeva ricorso per Cassazione, trasmesso alle Sezioni Unite in relazione alla censura proposta in punto di giurisdizione con il primo motivo di ricorso incidentale «eventualmente condizionato».

Le S.U. hanno escluso che, nel caso di specie, si sia trattato di un atto politico, come tale sottratto al sindacato giurisdizionale. Per la giurisprudenza di legittimità, l'art. 7, comma 1, ultimo periodo, cod. proc. amm. ─ riprendendo una previsione già contenuta nell'art. 31 del Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato (approvato con il r.d. n. 1054/1924), e, prima ancora, nell'art. 3, comma 2, della legge istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato (l. n. 5992/1889) ─ esclude dall'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo gli atti ed i provvedimenti emanati dal Governo nell'esercizio del potere politico. I Supremi Giudici escludono che il rifiuto dell'autorizzazione allo sbarco dei migranti soccorsi in mare protratto per dieci giorni possa considerarsi quale atto politico sottratto al controllo giurisdizionale. Si è infatti, secondo le Sezioni Unite, in presenza di un atto che esprime una funzione amministrativa da svolgere, sia pure in attuazione di un indirizzo politico, al fine di contemperare gli interessi in gioco. Non vi è, dunque, difetto di giurisdizione, né assoluto né relativo. Dopodiché, le Sezioni Unite hanno specificato che, nonostante nel caso Diciotti il Senato della Repubblica abbia negato l'autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro dell'Interno richiesta dal Tribunale dei Ministri di Catania per il reato di sequestro di persona pluriaggravato, tale diniego sia irrilevante per giudicare la responsabilità civile connessa al fatto: difatti, secondo le Sezioni Unite, è vero che l'autorizzazione a procedere è necessaria per giudicare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri è prevista dalla Costituzione (art. 96 Cost.), ma tale previsione costituisce un'eccezione del principio generale basato sulla “giudicabilità” di ogni atto lesivo dei diritti fondamentali della persona, quindi deve essere interpretata tassativamente e applicata solo alla responsabilità penale (e non a quella civile). Dunque, ammessa la giudicabilità della responsabilità civile in capo al Governo, le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso in relazione alla rilevata insussistenza di prova di un danno-conseguenza. Infatti, ha sostenuto la Cassazione, nel caso del danno non patrimoniale da lesione dei diritti inviolabili della persona quel che rileva ai fini risarcitori non è la lesione in sé del diritto, ma le conseguenze pregiudizievoli che ne derivano, nella «doppia dimensione del danno relazionale/proiezione esterna dell'essere, e del danno morale/interiorizzazione intimistica della sofferenza» (Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2018, n. 901), ma tale prova può essere offerta anche a mezzo di presunzioni gravi, precise e concordanti; in particolare, in ipotesi, come nel caso di specie, di restrizione della libertà personale, il carattere presuntivo della prova ha un valore particolarmente forte. Ciò tanto più ove si consideri la dimensione eminentemente soggettiva e interiore del pregiudizio che si tratta di risarcire (danno morale), all'esistenza del quale non corrisponde sempre una fenomenologia suscettibile di percezione immediata e, quindi, di conoscenza ad opera delle parti contrapposte al danneggiato. In tali casi ad un puntuale onere di allegazione non corrisponde, pertanto, un onere probatorio parimenti ampio. Tale “presunzione molto forte” può consistere, anche per il danno non patrimoniale, in massime di comune esperienza, basate su leggi naturali, statistiche, di scienza o di esperienza, comunemente accettate in un determinato contesto storico-ambientale, la cui utilizzazione nel ragionamento probatorio, e la cui conseguente applicazione, risultano doverose per il giudice, ravvisandosi, in difetto, illogicità della motivazione, volta che la massima di esperienza può da sola essere sufficiente a fondare il convincimento dell'organo giudicante. Dunque, per le Sezioni Unite, non solo non si ravvisano ostacoli sistematici al ricorso al ragionamento probatorio fondato sulla massima di esperienza specie nella materia del danno non patrimoniale, e segnatamente in tema di danno morale, ma tale strumento di giudizio consente di evitare che la parte si veda costretta, nell'impossibilità di provare il pregiudizio dell'essere, ovvero della condizione di afflizione fisica e psicologica in cui si è venuta a trovare in seguito alla lesione subita, «ad articolare estenuanti capitoli di prova relativi al significativo mutamento di stati d'animo interiori da cui possa inferirsi la dimostrazione del pregiudizio patito».

Quindi la Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la sentenza della Corte d'appello impugnata, che aveva escluso la sussistenza del diritto al risarcimento per la mancata allegazione e comunque per l'assenza del requisito della colpa, oltre che per la mancata prova del danno, e ha rinviato alla stessa Corte in diversa composizione per provvedere alla luce dei principi enunciati dal giudice di legittimità.

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