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Il principio di presunzione di innocenza si applica alla materia penitenziaria

10 Marzo 2025

Illegittima la preclusione del comma 5 dell'art. 30-ter ord. penit. per il detenuto-imputato.

Massima

È illegittima integralmente la previsione dell'art 30-ter, comma 5 ord. penit., la quale prevedeva che: «[n]ei confronti dei soggetti che durante l'espiazione della pena o delle misure restrittive hanno riportato condanna o sono imputati per delitto doloso commesso durante l'espiazione della pena o l'esecuzione di una misura restrittiva della liberà personale, la concessione è ammessa soltanto decorsi due anni dalla commissione del fatto». Tale disposizione viola l'art. 27, comma 3 Cost., perché contenente un automatismo preclusivo rispetto alla nuova concessione di permessi premio con la necessaria finalità rieducativa della pena: si ritengono pertanto assorbite le ulteriori censure (sollevate in riferimento agli artt. 27, comma 2 Cost., in relazione all'art. 48 della CDFUE).

Il caso

Il caso trae origine dall'ordinanza di rimessione con cui il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ha promosso questione di legittimità costituzionale dell'art. 30-ter ord. penit., in riferimento agli artt. 3, 27, commi 1 e 3, e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 della CEDU e dell'art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (d'ora in poi solo CDFUE). Il Magistrato ha inoltre promosso tale questione secondo un ordine graduato: in via principale ha proposto la caducazione integrale del comma 5 dell'art. 30-ter ord. penit., e, in via subordinata, la declaratoria di illegittimità limitatamente al divieto di concessione di nuovo permesso premio per quegli imputati a cui viene contestato di aver commesso un delitto doloso durante l'espiazione della pena, prima che siano decorsi i due anni dalla commissione del fatto. Il Magistrato era chiamato a valutare l'istanza di permesso premio di un detenuto ristretto presso il carcere di Terni in esecuzione di una sentenza di condanna alla pena della reclusione di nove anni e quattro mesi per vari reati, ultimo dei quali commesso nel 2017; già dal 2023 il detenuto beneficiava di permessi premio per motivi familiari. Nel 2024, il Giudice delle indagini preliminari di Velletri rinviava a giudizio il detenuto per aver tentato di introdurre in carcere un quantitativo di droga e per averlo ceduto ad altri detenuti; fatto che sarebbe stato commesso nel corso del 2023, quindi, in regime di permessi premio. Stante la preclusione normativa di cui al comma 5 dell'art. 30-ter ord. penit., il Magistrato avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l'istanza di nuovo permesso premio, dato che il detenuto risultava formalmente imputato di un fatto di reato commesso in stato di permesso premio; tenuto conto che opererebbe, al contrario, la preclusione di cui al comma 5 dell'art. 30-ter ord. penit. di divieto di concessione di altro permesso premio, per i due anni successivi dalla commissione del fatto di reato.

Secondo il Magistrato, laddove la norma venisse dichiarata illegittima, gli verrebbe consentito di operare una valutazione nel merito della contestazione, valorizzando «eventualmente, tanto le caratteristiche del fatto di reato che il condannato è accusato di aver posto in essere al rientro da un precedente permesso premio, quanto il percorso trattamentale compiuto in seguito, e sino alla data odierna, al fine di rinvenire i segnali di una condotta che sia via via regolarizzata e mostri, dinamicamente, i progressi dell'interessato».

Con riguardo alla non manifesta infondatezza, il Magistrato ha premura di rammentare che le medesime questioni sono già state trattate e respinte dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 296/1997, nella quale, tuttavia, la Corte aveva comunque esortato il legislatore a rivedere il comma 5 dell'art. 30-ter ord. penit. sotto un duplice profilo, e cioè quello di circoscrivere meglio la tipologia del delitto doloso la cui commissione effettivamente comprometterebbe il giudizio della regolarità della condotta e quello di rivedere la durata biennale quale criterio indifferenziato di esclusione dal beneficio. Secondo il Magistrato, inoltre, dal 1997 ad oggi, la Corte costituzionale si è fatta promotrice di tutta una serie di interventi che vanno in una direzione opposta, di netto superamento delle preclusioni assolute. Tale norma, anche alla luce di un quadro normativo e giurisprudenziale mutato nel tempo, apparirebbe “distonica”: è anche vero – come ha riportato il Magistrato – che nell'ordinamento penitenziario persistono norme contenenti preclusioni simili, ma, a differenza, che del comma 5 dell'art. 30-ter ord. penit., riguardano in modo specifico il reato di evasione e si applicano, in via pacifica, a condannati e non solo imputati di delitti commessi durante l'esecuzione di pena o di concessione di beneficio (v., per tutte, art. 47-ter, comma 9 ord. penit.; art. 54, comma 3 ord. penit.; art. 58-quater, commi 1 e 3, ord. penit.). Non solo. Ve ne sono altre ancora che, ad ogni modo, consentono al magistrato di valutare la sospensione e/o la revoca della misura alternativa in corso (v, art. 47-quater, comma 6, ord. penit.art. 51, comma 4, ord. penit., art. 58-quater, comma 5 ord. penit.): il comma 5 dell'art. 30-ter ord. penit., invece, si ancora ad una «ostatività biennale, collegata ad una istanza di permesso premio, nei confronti del condannato che riveste la qualità di imputato per un fatto commesso nel corso dell'esecuzione penale, laddove in tutte le altre disposizioni astrattamente a lui applicabili per la tipologia di reati che ha commesso, viene dato rilievo negativo dirimente ad eventuali fattispecie di reato sopravvenuto, soltanto laddove le stesse abbiano superato il vaglio del passaggio in giudicato della condanna». Si genererebbe così un'indebita equiparazione tra chi è solo imputato e chi è già stato condannato in via definita con contrasto dell'art. 27, comma 2 Cost. in correlazione all'art. 117, comm 1 Cost., 6 CEDU e 48 CDFUE.

La questione

La questione di legittimità costituzionale sollevata riguarda l'art. 30-ter ord. penit., in riferimento agli artt. 3, 27, commi 1 e 3, e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'6 CEDU e dell'art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (d'ora in poi solo CDFUE).

Le soluzioni giuridiche

Secondo la Corte costituzionale, le questioni prospettate dal giudice remittente sono ammissibili. In via preliminare, i giudici costituzionali evidenziano la valenza di parametro interposto anche della Carte dei diritti fondamentali dell'Unione europea, citata, tramite il parametro 48 da parte del Magistrato di sorveglianza di Spoleto.

In particolar modo, secondo i giudici tale fonte di diritto può essere citata laddove la controversia in esame riguardi o abbia a che fare con diritti regolati nell'ambito di competenza dell'Unione europea: poiché il tema centrale è, in questo caso, l'indebita equiparazione, sul piano degli effetti negativi, dello status di imputato a quello di condannato, con violazione del principio della presunzione di innocenza, ed essendo tale tema materia regolata anche da direttive europee, la Corte conclude che si possano invocare la Carta e i suoi parametri trattandosi di tema inerente materia e interessi anche dell'Unione europea. Sempre in via preliminare, i giudici costituzionali tornano sulla pronuncia n. 296/1997, con cui erano già state trattate le medesime questioni: vero è che la Consulta, come ogni giurisdizione superiore, tende a riprendere i precedenti, ma è altrettanto vero che è la stessa Consulta a ritenere di potersene discostare se vi sono «ragioni di particolare cogenza che rendano non più sostenibili le soluzioni precedentemente adottate».

Con riguardo alla sentenza n. 296/1997, la Consulta riporta un passaggio che dichiara essere fuori asse rispetto all'evoluzione di sensibilità giuridica che si è attribuita all'esecuzione penale: si riteneva infatti che la presunzione di non colpevolezza fosse «[…] coessenzialmente legata al fatto di reato per cui è stata elevata la nuova imputazione e non può essere estesa ad aspetti che nel caso di specie concernono il trattamento penitenziario conseguente al delitto per cui è in corso l'esecuzione della pena». La Corte però evidenzia che: «Una tale conclusione, tuttavia, risulta oggi distonica rispetto alle declinazioni medio tempore conferite alla presunzione di non colpevolezza (o di innocenza, secondo la denominazione corrente nelle fonti internazionali e unionali) dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, alla cui interpretazione l'ordinamento nazionale è in linea di principio vincolato in forza dell'art. 32 CEDU (sentenze n. 348 del 2007, punto 4.6. del Considerato in diritto, e n. 349 del 2007, punto 6.2. del Considerato in diritto) (infra, 4.1.), nonché dai recenti sviluppi del diritto dell'Unione (infra, 4.2.) e della stessa giurisprudenza di questa Corte (infra, 4.3.)».

Tale è la conclusione a cui è giunta anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e dalla sua interpretazione estensiva del parametro 6CEDU, il quale estenderebbe i suoi effetti al di fuori del processo penale, operando altresì nel tempo successivo alla sua conclusione o interruzione, non in funzione di apprestare garanzie all'imputato, ma allo scopo di «proteggere le persone che sono state assolte da un'accusa penale, o nei confronti delle quali è stato interrotto un procedimento penale, dall'essere trattate dai pubblici ufficiali e dalle autorità come se fossero di fatto colpevoli del reato contestato» (v. Corte EDU, GC, 12 luglio 2013, Allen c. Regno Unito).

Anche per il diritto dell'Unione europea, sia per il diritto dei trattati (art. 48 CDFUE) che per quello derivato (art. 4, § 1 della direttiva 2016/343/UE) , si può dire che la presunzione di innocenza trova oggi ampio e diretto riconoscimento: è chiaro, quindi, che «lungi dal delimitare i propri effetti all'interno del singolo procedimento o processo penale avente ad oggetto la responsabilità penale dell'individuo, la presunzione di innocenza implica un generale divieto di considerare quello stesso individuo colpevole del reato a lui ascritto dal pubblico ministero; tale divieto opera, segnatamente, nell'ambito di qualsiasi procedimento giudiziario parallelo allo stesso procedimento o processo penale, sino a che la colpevole sia stata giudizialmente accertata, in via definitiva, nella sede sua propria».

Perciò, secondo la Corte le considerazioni esposte nella sentenza n. 296/1997 oggi non sono più sostenibili e la disposizione oggetto di censura deve essere dichiarata illegittima.

Si tratta di una caducazione dell'intera disposizione, con conseguente assorbimento di tutte le altre censure proposte, tra cui quella proprio della presunzione di innocenza. La Corte, infatti, nonostante abbia argomentato ampiamente sul principio di non colpevolezza, finisce per concludere aderendo ai principi granitici espressi in materia di benefici e misure alternative: i giudici costituzionali rammentano dunque di aver cristallizzato un principio “costituzionalmente vincolante” per cui sono escluse qualsiasi forma di rigido automatismo, richiedendo, al contrario, che sia sempre resa possibile la valutazione individualizzata e caso per caso da parte del magistrato di sorveglianza in materia di benefici penitenziari (v., C. cost., n. 149/2018; C. cost., n. 56/2021).

Osservazioni

Con la sentenza in commento, si aggiunge un ulteriore tassello all'orientamento della Corte, espressione di principi “costituzionalmente vincolanti”, per il quale nell'ordinamento penitenziario o in materia di pena, in senso più ampio, non possono trovare spazio forme di preclusione o presunzioni assolute che inibiscono una valutazione in concreto, caso per caso, da parte del giudice. Anche in questo caso, la Corte si allinea a quella serie di pronunce, storiche, in materia di esecuzione penale, come quella citata n. 149/2018, o la n. 32/2020, o ancora, la n. 253/2019, e così via. Pur trattandosi quindi una questione circoscritta e di scarso impatto nell'economia complessiva della materia penitenziaria – forse quasi scontata o superflua – tuttavia con tale sentenza la Corte restituisce un ulteriore tassello con delle aggiunte preziose, inserendo principi cardine di un ordinamento costituzionalmente orientato, come è quello dell'estensione della presunzione di innocenza alla materia penitenziaria e quello che anche la fase esecutiva faccia parte, a pieno diritto, del processo penale e non sia solo un segmento a se stante, senza o con meno diritti e garanzie.

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