Insultare un collega, giustifica un licenziamento?
12 Marzo 2025
Il caso riguarda un ex dipendente della (OMISSIS) SRL licenziato per giusta causa a seguito di espressioni offensive rivolte a un collega di lavoro. A fronte del licenziamento, il lavratore ha interposto ricorso al Tribunale di Firenze per ottenere l'annullamento della decisione e tutela ai sensi dell'art. 18, comma 4, l. n. 300/1970. Il Tribunale ha ritenuto il licenziamento valido limitando la condanna alla società al pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso. In appello, la corte ha parzialmente accolto il gravame del ricorrente, dichiarando la sproporzione del licenziamento rispetto al fatto accertato e ordinando alla società un risarcimento di euro 59.960,88. La Corte territoriale ha sostenuto che, sebbene il fatto fosse grave, il licenziamento era eccessivo e che la condotta avrebbe richiesto una sospensione anziché il licenziamento. Segue ricorso in cassazione del lavoratore, lamentando l'omesso esame di un fatto cruciale per il giudizio, ovvero un presunto errore nella contestazione degli addebiti, chiedendo la reintegrazione in azienda e non l'indennità. Tuttavia, la Corte di cassazione ha ribadito che la reintegrazione è prevista solo in specifiche circostanze, quali l'insussistenza del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa e l'applicabilità di una sanzione conservativa per il fatto contestato. In conclusione, la Corte di cassazione respinge il ricorso, evidenziando la mancanza di elementi che giustifichino la reintegrazione e confermando la proporzionalità della sanzione disciplinare decisa dai giudici d'appello. |