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Transazione fiscale e profitto del reato di omesso versamento IVA: il nuovo corso della giustizia tributaria

14 Marzo 2025

La transazione fiscale spiega effetti anche in sede di esecuzione penale, a seguito di condanna passata in giudicato per omesso versamento IVA. Diversamente dal mero accordo di rateizzazione, la transazione si sostanzia nella riduzione del quantum dovuto all’Amministrazione finanziaria su cui è parametrato il profitto del reato. Di conseguenza, la confisca per equivalente già disposta va proporzionalmente ridotta.

Massima

In tema di omesso versamento IVA, la stipula di un accordo di transazione fiscale ex art. 182-ter l. fall., nel quadro di accordi di ristrutturazione del debito tra il debitore e l'Amministrazione finanziaria, per un importo inferiore all'imposta evasa, ridetermina il profitto del reato. Di conseguenza, la confisca per equivalente disposta sui beni del contribuente ex art. 12-bis, comma 2, d.lgs. n. 74/2000, deve essere proporzionalmente ridotta dal giudice dell'esecuzione penale.

Il caso

La pronuncia in commento origina dal ricorso proposto ex art. 666, comma 6, c.p.p. da Tizio, condannato in via definitiva per il reato di omesso versamento IVA (art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000; si veda, a partire dal 1° gennaio 2026, l'art. 83 d.lgs. n. 173/2024), avverso l'ordinanza con cui il giudice dell'esecuzione rigettava l'istanza di rideterminazione della confisca per equivalente. A sostegno si allegava l'accordo di transazione fiscale, perfezionato, nel più ampio quadro di un procedimento di ristrutturazione del debito, con l'Amministrazione finanziaria, successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna ed omologato dal Tribunale competente. Con la predetta transazione, in particolare, si accordava al contribuente una significativa riduzione del quantum debeatur e, quindi, nella ricostruzione del ricorrente, del profitto confiscabile per equivalente.

Il giudice rigettava il ricorso sul presupposto che solo l'integrale pagamento del debito tributario possa considerarsi condotta idonea alla riduzione della confisca e, a monte, dello stesso profitto del reato e ritenendo, quindi, irrilevante il menzionato accordo.

Per converso, il ricorrente argomentava che applicare la misura della confisca per un importo superiore a quanto concretamente dovuto dal debitore all'Amministrazione finanziaria integrerebbe una violazione del principio di proporzionalità della pena. Evidenziava, altresì, l'incoerenza del richiamo fatto dal giudice dell'esecuzione, a supporto della tesi dell'irrilevanza degli accordi di ristrutturazione, alla fattispecie degli accordi di rateizzazione che, secondo consolidata giurisprudenza, non spiegano alcun effetto sull'entità del profitto confiscabile.

Il Procuratore Generale concludeva, poi, per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata, sul presupposto che l'esecuzione della confisca nella misura originaria determinerebbe un'inammissibile duplicazione sanzionatoria, non potendo il giudice penale non tenere conto dell'intervenuto accordo di ristrutturazione del debito tributario.

La questione

L’efficacia della stipula di una transazione fiscale, nel quadro di accordi di ristrutturazione del debito, sul quantum di profitto confiscabile

Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte ruota attorno all’esigenza di definire correttamente gli effetti del perfezionamento di un accordo di ristrutturazione del debito tributario e di una transazione fiscale, sul profitto del reato di omesso versamento IVA e, quindi, sull’estensione della confisca per equivalente applicata sul patrimonio dell'evasore.

È evidente che il caso pone anche l’esigenza di definire i rapporti tra giurisdizione e amministrazione ed offre l’occasione anche di riflettere sulla ratio degli interventi di riforma della giustizia tributaria operati con il d.lgs. n. 87/2024.

Le soluzioni giuridiche

È interessante notare come la Corte, nell’affrontare la questione sottopostale, muova dal riaffermare il principio del doppio binario, che regola i rapporti tra procedimento amministrativo-tributario e procedimento penale. Il giudice ordinario, invero, non è soggetto alle valutazioni dell’Amministrazione finanziaria quanto alla affermazione di sussistenza dei presupposti del reato e, quindi, anche alla definizione dell’ammontare dell’imposta evasa. Tanto è affermato dall'art. 20 d.lgs. n. 74/2000 (si veda, a partire dal 1° gennaio 2026, l'art. 97 d.lgs. n. 173/2024), in applicazione, a livello di legge ordinaria, del principio di indipendenza della magistratura (e di separazione dei poteri) espresso dall’art. 101, comma 2, Cost.

I giudici di legittimità, tuttavia, mettono subito in evidenza come, ferma la premessa, il perfezionamento di una transazione fiscale ai sensi dell’art 182-ter l. fall. (e, a partire dal 15 agosto 2020, l’art. 63 c.c.i.i.) non possa ritenersi produttivo di effetti solo in ambito amministrativo, poiché incide direttamente sul profitto illecito ricavato dall’autore dell’omesso versamento.

L’affermazione è sviluppata sulla base di un confronto con il diverso regime degli accordi di rateizzazione. Questi ultimi introducono, infatti, una modalità di adempimento dell’obbligazione che resta immutata nel suo oggetto. Si spiega, in quest’ottica, la granitica giurisprudenza che nega rilievo, a fini in senso lato assolutori, all’accordo di mera rateizzazione. Di contro, la transazione fiscale, che si inserisce nel quadro più generale degli accordi di ristrutturazione del debito, determina una riduzione della prestazione dovuta all'Amministrazione finanziaria (nel caso di specie, nella misura del 15% dell’obbligazione originaria).

Una modifica dell’oggetto dell’obbligazione tributaria non può che incidere sull’entità del profitto illecito lucrato dall’agente. Tanto è affermato non, come messo in evidenza, per una presunta permeabilità del processo penale alle valutazioni amministrative, bensì sul presupposto che il profitto del reato tributario coincide necessariamente con l’entità del debito tributario, ossia con quanto concretamente dovuto dal debitore all’Amministrazione finanziaria. Simile somma può discostarsi dall’imposta astrattamente evasa e, in tal caso, il giudice penale, anche dell’esecuzione, deve tenerne conto, nello stabilire la misura della confisca, diretta o per equivalente. Diversamente, si determinerebbe “una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa” (v. il “Considerato in diritto” della sentenza, par. 4, p. 6).

La Corte non manca di mettere in evidenza, altresì, come lo stesso legislatore della riforma della giustizia tributaria abbia accordato una limitata rilevanza già agli accordi di rateizzazione agli effetti del sequestro dei beni. Ed invero, alla luce del combinato disposto degli artt. 12-bis, comma 2, d.lgs. n. 74/2000 (e, a partire dal 1° gennaio 2026, l'art. 87 d.lgs. n. 173/2024) e 1, comma 6, d.lgs. n. 87/2024, il giudice penale può non disporre il sequestro dei beni finalizzato alla confisca, anche tenuto conto delle condizioni patrimoniali o finanziarie dell’imputato, ove sia stato predisposto un piano di estinzione del debito tributario mediante rateizzazione, al ricorrere di due condizioni: per un verso, che non sussistano esigenze cautelari legate alla dispersione del patrimonio del contribuente; per altro verso, che quest’ultimo rispetti le scadenze nei pagamenti.

La Suprema Corte, accoglie, così, il ricorso del contribuente, annullando l’ordinanza e rinviando gli atti al giudice di merito per una nuova valutazione dell’istanza.

Osservazioni

La decisione in commento ha la peculiarità di offrire ulteriori spunti di riflessione sul tema, ampiamente arato e pur sempre intrigante, della natura e dei fini della confisca, come pena o misura di sicurezza, oltre che di inserirsi nel quadro di un radicale mutamento di prospettiva nella macro-area della giustizia tributaria, tanto amministrativa quanto penale.

Quanto al primo tema, può notarsi come, nel settore in esame, la confisca manifesti chiaramente la sua natura “proteiforme”. Come è noto, già a partire dall’introduzione delle prime forme di confisca per equivalente e, ancor di più, di confisca in casi particolari, è emerso come l’ablazione patrimoniale potesse concretamente perseguire finalità ulteriori rispetto alla logica genericamente special-preventiva sottesa al sistema delle misure di sicurezza. Nel quadro degli strumenti di lotta all’evasione fiscale, in particolare, il sequestro e la successiva confisca hanno il chiaro fine di assicurare all’erario la quota di gettito dovuta dal contribuente.

Simile prospettiva appare accentuata a seguito degli interventi riformatori dello scorso anno. L’intenzione del legislatore sembra essere quella di potenziare le soluzioni conciliative e di ristrutturazione del debito tributario, piuttosto che sanzioni draconiane, in modo da assicurare all’erario almeno una parte di quanto in origine dovuto dai contribuenti che abbiano integrato fattispecie di evasione o elusione fiscale. Si è già fatto cenno alla modifica apportata al comma 2 dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000 (si veda, come già detto, a partire dal 1° gennaio2026 l'art. 87 d.lgs. n. 173/2024), che restituisce l’idea di un approccio più chiaramente orientato al recupero del credito. Possono, in aggiunta, menzionarsi lo spostamento in avanti del termine per il versamento dell’imposta evasa, previsto dall’art. 10-ter d.lgs. n.  74/2000 (e, a partire dal 1° gennaio 2026, l'art. 83 d.lgs. n. 173/2024), nonché, in una logica di migliore coordinamento tra aree di giustizia, la possibilità, prevista dall’art. 20, comma 1-bis, d.lgs. n. 74/2000 (e, a partire dall 1° gennaio 2026, l'art. 97 d.lgs. n. 173/2024), che le sentenze rese nel processo tributario e gli atti amministrativi di accertamento siano acquisiti nel processo penale a fini probatori.

In generale, anche alla luce del provvedimento commentato, sembra potersi affermare che si stia determinando un significativo scostamento tra la nozione di imposta evasa e quella di profitto del reato tributario, parametrato, sempre più di frequente, su una valutazione di effettività e di realistica riscuotibilità del credito.

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