Diritto alle Ferie e (ri)calcolo della retribuzione: La verifica della “potenzialità dissuasiva”
19 Marzo 2025
Massima La verifica della “potenzialità dissuasiva”, nel senso di induzione alla rinuncia, di una clausola collettiva che esclude dal calcolo della retribuzione delle Ferie una certa indennità, non può essere presunta, ma deve essere dedotta dal lavoratore ricorrente e, comunque, trovare aggancio nella presenza di fatti e dati reali a suo fondamento, rilevando per gli anni oggetto di controversia, la scelta del dipendente di godimento a pieno dei riposi, con discostamenti al ribasso, se e quando presenti, spesso non significativi Il caso In entrambe le sentenze qui annotate, Trib Roma 16 aprile 2024, n. 4552 e 8 ottobre 2024, n. 9909, il centro della controversia risiedeva nella doglianza, avanzata da taluni “assistenti di volo” - qualcuno con rapporto già cessato, altri ancora in forza -, di aver ricevuto dal datore di lavoro, nei periodi di godimento delle Ferie, un trattamento economico erroneamente calcolato ossia, in ragione della disciplina collettiva - nazionale e aziendale - applicata, comprensivo del solo stipendio mensile e dell'indennità di volo oraria “minima garantita”, con ciò escludendo ogni rilevanza a quella “integrativa” corrisposta, in via esclusiva, per il tempo di effettivo servizio (v. artt. 8 e 23, Sez. Seconda “Assistenti di volo” C.C.N.L. Trasporto Aereo). In essenza, una rivendicazione di differenze patrimoniali concentrata sull'anzidetto istituto di retribuzione c.d. “indiretta” – o, meno propriamente, “differita” - e che, muovendosi all'interno di una complessa vicenda “circolatoria” ex art. 2112 c.c., dove la cedente intimata versava in situazione di nota e grave crisi economica, postulava anche di affrontare l'eccepita prescrizione, da parte di quest'ultima, nei termini particolari previsti per il settore di riferimento (v. art. 937 R.D. 327/1942) oltreché la sostenuta estinzione del lamentato credito, per effetto della disciplina derogatoria delle “condizioni di lavoro” consentita, mediante accordo sindacale, dall'art. 47, comma 4-bis l. 428/1990. La questione Cosicché, oltre a dirimere lo specifico nodo della decorrenza del termine biennale di prescrizione suddetto e dall'azienda individuato alla data di avvenuto “trasferimento” alla cessionaria, emergeva come la questione principale ruotasse tutt'attorno alla legittimità della clausola collettiva che, nel determinare la retribuzione dovuta in periodo di Ferie, per espressa intenzione delle parti sociali contraenti, escludeva dal computo un elemento - dall'incidenza quantitativa non trascurabile - erogato, invece, per ogni ora di effettiva prestazione. Una fattispecie concreta da vagliare nel solco di un quadro normativo e giurisprudenziale, in termini di principio, consolidato, essendo ormai fuori discussione (a partire da Cass. 17 maggio 2019, n. 13425), la sussistenza di una nozione Europea di “retribuzione”, fissata dall'art. 7 Direttiva 88/2003, così come interpretato dalla Corte di Giustizia, la quale, giustappunto, muovendo dalla particolare importanza (Ex plurimis C. Giust. 25 giugno 2020, cause riunite C-762/18 e C-37/19), in ottica di salute e sicurezza dei lavoratori (Cfr. C. Giust. 26 giugno 2001, causa C-173/99), del diritto sociale alle Ferie annuali retribuite, ha inteso scongiurare qualsivoglia azione od omissione datoriale avente effetto potenzialmente dissuasivo (C. Giust.13 gennaio 2022, causa C-514/20), non potendosi ammettere situazioni in cui, causa la riduzione del trattamento economico, vi sia il rischio che il lavoratore sia indotto a rinunciare alla loro fruizione. Ragion per cui, sempre ad avviso della Corte del Lussemburgo, durante il congedo «la retribuzione va mantenuta» (C. Giust. 16 marzo 2006, cause riunite C-131/04 e C-257/04), dovendo, in linea di principio, coincidere con quella ordinariamente percepita, cioè computando nel conteggio «qualsiasi incomodo intrinsecamente collegato all'esecuzione delle mansioni che il lavoratore è tenuto ad espletare in forza del suo contratto di lavoro e che viene compensato tramite un importo pecuniario [ovvero] correlati allo status personale e professionale», dovendo, all'opposto, escludere, solo quelli «diretti a coprire spese occasionali o accessorie» (C. Giust. 15 settembre 2011, causa C-155/10). Come detto, un'interpretazione ormai fatta propria anche dalla Corte di Cassazione, la quale, peraltro, in termini processuali, non ha mancato di puntualizzare l'importanza assunta dal giudizio di merito, chiamato alla «verifica ex ante della potenzialità dissuasiva dell'eliminazione di voci economiche dalla retribuzione erogata durante le ferie al godimento delle stesse, senza trascurare di considerare la pertinenza di tali compensi rispetto alle mansioni proprie della qualifica rivestita» (di recente, Cass. 27 settembre 2024, n. 25850). Le soluzioni giuridiche Ebbene, riconoscendo in toto queste essenziali premesse di diritto, è proprio sul decisivo aspetto inerente all'accertamento della “potenzialità dissuasiva”, che si risolvono, con rigetto dei ricorsi, le pronunce in commento. Infatti, dopo aver disatteso, anche in forza di recente arresto della Corte costituzionale (Corte cost. 13 luglio 2023, n. 143), la prescrizione del credito sub iudice e la sua assoggettabilità, in quanto diritto già acquisito, alla norma di cui all'art. 47 innanzi citato, la giudice adita – medesime per entrambi i procedimenti - sviluppa le proprie argomentazioni prendendo a riferimento, anche con osservazioni di dettaglio sulle singole posizioni, la concreta esecuzione del rapporto di lavoro. In particolare, data evidenza, in prospettiva della nullità “parziale” ex art. 1419 c.c., della natura compromissoria e complessivamente “inscindibile” delle intese raggiunte, tale da ritenere, ragionevolmente, che se le parti sociali avessero previsto l'invalidità delle clausole collettive in questione, che “perimetrano” la retribuzione feriale, atteso lo stato di grave crisi del settore da cui si intendeva emergere, non avrebbero introdotto l'indennità “integrativa” o lo avrebbero fatto in diversa misura, nella sentenza di ottobre (a parere di chi scrive, “completando” le motivazioni di aprile) si specificava che, a ogni modo, nel caso di specie, nessuna norma imperativa risultava violata, atteso che la legge non imponeva, in periodo di lavoro e di ferie, retribuzioni “identiche”, essendo al contrario demandata al giudizio di merito «la valutazione riferita alla “paragonabilità” o meno della retribuzione percepita in periodo di lavoro a quella riconosciuta in periodo di ferie tenuto conto del riconoscimento dell'indennità fissa di volo e non dell'indennità di volo variabile». Sotto questo profilo, dovendo cioè comprendere se un'eventuale differenza retributiva fosse idonea a incidere sulle scelte individuali di godimento del riposo, nelle pronunce si enucleava la necessità di esaminare se «negli anni […] effettivamente i lavoratori hanno costantemente scelto di rinunciare in modo significativo al godimento di parte delle giornate di ferie maturate ed, infine, verificare se dal 2021 (anno di riconoscimento dell'indennità anche ai fini della quantificazione del dovuto nel periodo di ferie) il numero di gg. di ferie da ciascuno goduto abbia avuto o meno un'impennata rispetto agli anni precedenti». Di guisa che, nella sentenza di aprile, oltre a stigmatizzare, da parte dei lavoratori ricorrenti, l'assenza di argomentazione sul punto e il difetto, a livello documentale, di chiare evidenze a conferma di rilevanti “scostamenti” retributivi, la giudice capitolina evidenziava, di contro, una «scelta del dipendente di godimento pieno dei riposi con discostamenti al ribasso, se e quando presenti, spesso non significativi». Aggiungendo poi, nella successiva pronuncia e nel ribattere alla deduzione attrice sulla necessità di verifica delle potere di dissuasione, da effettuarsi ex ante, in quanto il lavoratore vittima di tale condizionamento, potrebbe comunque, per esigenze contingenti, vedersi costretto a fare istanza di Ferie, che tale ragionamento poteva, al più, valere per le 4 settimane minime di riposo, ma non sicuramente per i periodi eccedenti, avendo in questo caso il dipendente la preventiva certezza di non aver diritto ad alcun trattamento “aggiuntivo” rispetto a quello espressamente previsto dal C.C.N.L.. A compendio finale e propugnando la correttezza del principio assunto a fondamento della decisione, in quest'ultima pronuncia, la giudice di Roma evidenziava il fatto che «dare come postulato un potere dissuasivo della clausola in esame appare presupposto sconfessato dai fatti, privo di elementi a riscontro, e, come tale, elucubrazione priva di parametri a suo fondamento. Ciò poiché il potenziale dissuasivo […] non può essere comunque presunto (altrimenti avrebbe trovato luogo il diritto a retribuzione “identica” non meramente “paragonabile”) ma deve trovare aggancio in dati reali, nella fattispecie o non presenti o non dedotti». Osservazioni Anche guardando all’ampissimo repertorio giurisprudenziale - di merito e di legittimità - esistente sul tema, non può dubitarsi dei profili di estremo interesse dell’angolazione interpretativa-applicativa contenuta nelle pronunce qui brevemente annotate. Invero, piuttosto che ridiscutere un ormai innegabile vincolo europeo pendente, non solo sul legislatore, ma anche e soprattutto sulle negoziazioni delle parti sociali (con riferimento alla Sez. Prima “Personale navigante tecnico” C.C.N.L. Trasporto Aereo, già confermato da Cass. 23 giugno 2022, n. 20216), non più libere, come in passato (sull’orientamento precedente, ex multis Cass. 4 settembre 2003, n. 12920), di regolare il principio di “onnicomprensività” della retribuzione dovuta in periodo di Ferie, la chiave di volta per valutare - e in specie rigettare - le istanze di “ricalcolo”, viene dal Tribunale capitolino individuata, in via principale e al netto dell’accertamento di un effettivo differenziale economico, sul comportamento concretamente assunto, durante il rapporto e riguardo all’esercizio del diritto al congedo in parola, dai lavoratori ricorrenti. Una prospettiva, questa, giuridicamente sostenibile, pure in caso di controversia vertente su elementi “individuali” (premi, straordinari, maggiorazioni etc.) e che, per disattendere compiutamente l’eccezione di una fruizione contra voluntas ossia tale da superare anche la “potenzialità dissuasiva” della minor retribuzione, valorizza, nella sostanza e in modo arguto, l’assenza di contestazioni e/o problematiche lamentate, a tal proposito, nel periodo oggetto di causa, dai prestatori di lavoro, risultando, a ben vedere, difficile da immaginarsi, un effetto di dissuasione del tutto e fattualmente “inespresso” o, comunque, esclusivamente postumo. In ogni evenienza, stante l’assoluta maggioranza, nell’epoca più recente, delle pronunce sfavorevoli ai datori di lavoro, potrebbe non servire molto tempo per apprezzare le “conseguenze” giurisprudenziali, di questo nuovo approccio alla valutazione del caso concreto. |