Manufatto posto nell’area cortilizia: per l’approvazione basta l’emoticon nella chat condominiale
04 Aprile 2025
A dare il “la” alla querelle giudiziaria è l'azione con cui una donna – Paola, nome di fantasia – chiede la reintegrazione nel possesso del diritto di veduta in appiombo esercitato dalle finestre dell'appartamento, di sua proprietà, verso il piano terra dell'edificio, e precisa di esserne stata spogliata dai comproprietari – moglie e marito – di un immobile posto al piano terra del medesimo edificio, con annesse aree cortilizie, i quali hanno installato una struttura in ferro ancorata stabilmente al suolo, posta ad appena venti centimetri sotto la soglia delle sue finestre. In sostanza, tale struttura impedisce, secondo la donna, la veduta in appiombo che, in precedenza e in assenza di detta struttura, ella esercitava dalle proprie finestre verso il piano terra dell'edificio condominiale. Per completare il quadro, infine, Paola spiega di non aver mai dato il proprio assenso all'installazione di tale manufatto, che, come detto, le impedisce di esercitare dalle proprie finestre la veduta in appiombo fino alla base dell'edificio e che, peraltro, funge anche da possibile accesso di malintenzionati all'appartamento di sua proprietà. Tirando le somme, preso atto che il diritto di veduta va riconosciuto sia in caso di vera e propria edificazione, sia in ipotesi di messa in opera di strutture dotate di apprezzabile stabilità e consistenza, con esclusione soltanto di quei manufatti destinati ad un uso occasionale o temporaneo, Paola chiede di essere reintegrata nel pieno e pacifico possesso del diritto di veduta in appiombo verso il piano terra dell'edificio e, per l'effetto, domanda che venga ordinato il ripristino dello status quo ante, con annessa eliminazione della struttura, a cura e spese dei condòmini che l'hanno installata, presente nell'area cortilizia di pertinenza dell'immobile di loro proprietà. Per i due coniugi che hanno provveduto all'installazione della pergotenda non vi sono dubbi: la richiesta avanzata da Paola è assolutamente priva di fondamento. Ciò soprattutto per una ragione: l'installazione della pergotenda è stata preceduta dalla specifica comunicazione, fatta a Paola, della volontà di installare il manufatto in questione, comunicazione accompagnata, peraltro, dalla descrizione analitica dell'opera e cui faceva seguito l'assenso di Paola stessa. A loro avviso, quindi, non si è verificato alcuno spoglio violento o clandestino, né vi è mai stato l'elemento soggettivo dell'animus spoliandi. Peraltro, sempre a loro parere, la struttura realizzata, per le sue caratteristiche (pergola con telo e impacchettamento, retrattile, autoportante e non ancorata al suolo), non è riconducibile alla nozione di costruzione e non integra un intervento di edilizia privata, in base alle disposizioni del Regolamento Edilizio del Comune di Bologna, che prevedono l'esenzione dal rispetto delle distanze per l'installazione di tende a pergola, e, aggiungono, la tenda in questione è collocata al di sotto di un'unica porta finestra della proprietà di Paola, risultando tutte le altre finestre e il balcone sovrastanti completamente liberi, considerando che l'area cortilzia di pertinenza dell'immobile di loro proprietà presenta una superficie di oltre centottanta metri quadrati, a fronte dello spazio di tredici metri quadrati occupato dalla tenda, che, peraltro, serve a garantire la fruibilità, sotto il profilo della privacy, di una piccola porzione dell'area cortilizia, destinata alle necessità della loro figlia minore che la utilizza per la ginnastica posturale, stante il proprio stato di salute. A fronte degli elementi probatori a disposizione, inclusa una decisiva chat condominiale, per i giudici non vi sono i presupposti per accogliere l'istanza avanzata da Paola. Impossibile, quindi, ipotizzare l'invocata tutela possessoria, con annessa rimozione della pergotenda. Dalla documentazione prodotta dai due coniugi risulta un dettaglio importante: «l'installazione della struttura in questione era stata preceduta da una comunicazione, tramite messaggio WhtasApp inviato sulla chat condominiale», con cui essi «segnalavano la volontà di installare il manufatto nella loro area cortilizia, fornendone una descrizione analitica, seguita da rilievi fotografici che ne evidenziavano caratteristiche e posizionamento. E tale informativa era accompagnata dalla domanda se gli altri condòmini fossero d'accordo con la soluzione prospettata, domanda seguita da manifestazioni di assenso», compresa «la dichiarazione favorevole di Paola, “Mi sembra una ottima idea”, seguita dal simbolo del pollice sollevato». Non a caso, «soltanto successivamente all'approvazione» in chat «da parte dei condòmini», moglie e marito effettuarono l'ordine della tenda e provvidero al pagamento del prezzo convenuto, «come si desume dalle date delle fatture emesse dal venditore, in acconto e a saldo». Per i giudici, quindi, «non era necessario, al fine di conseguire l'assenso di Paola, discutere della questione in sede di assemblea condominiale». Anche perché «non appare ragionevole ritenere che Paola, con la risposta» in chat «alla richiesta di approvazione dell'opera proposta» dai coniugi, «avesse inteso semplicemente esprimere un commento astratto sull'estetica del manufatto». Ciò anche tenendo presente che «la richiesta era molto specifica e riguardava sia le caratteristiche estetiche, tecniche e strutturali della tenda, sia il suo posizionamento della stessa (“la metterò davanti solo ad una delle tre porte finestre nel cortile, quindi starà in fondo dove il cortile è più largo”). Veniva, dunque, puntualmente indicato il luogo esatto di installazione della struttura, davanti ad una porta finestra dell'immobile, sottostante a quella omologa dell'appartamento del piano superiore». Di conseguenza, Paola «non avrebbe neppure potuto ragionevolmente ritenere che la tenda venisse invece collocata a ridosso della recinzione esterna dell'area cortilizia, solo per il fatto che le era stata sottoposta la fotografia di un gazebo rappresentato in mezzo ad un giardino». Invero, come si desume dalla documentazione fotografica, «le dimensioni ristrette dell'area cortilizia, di proprietà dei due coniugi, pressoché interamente occupata nella sua larghezza dalla tenda in questione (nella limitata area adiacente ad una delle porte finestre), portano ad escludere», spiegano i giudici, «che fosse possibile installare la struttura in prossimità del confine esterno dell'area medesima, osservando nel contempo il limite di tre metri di distanza dall'edificio». Tirando le somme, «l'assenso espresso in chat da Paola alla installazione dell'opera vale ad escludere la sussistenza dei presupposti dell'invocata tutela possessoria. Non può, infatti, ravvisarsi alcuno spoglio violento o clandestino nell'azione autorizzata da chi abbia la materiale disponibilità della cosa». Impossibile, quindi, ipotizzare la clandestinità dello spoglio, poiché «Paola era stata puntualmente edotta dell'intervento da realizzare e aveva manifestato la propria approvazione» e, chiosano i giudici, «il consenso (espresso o tacito) del possessore è considerato causa di esclusione dell'animus spoliandi, quale elemento soggettivo dell'illecito». (fonte: dirittoegiustizia.it) Bussole di inquadramento |