La gestione della liquidità della procedura
01 Giugno 2017
L'art. 34, comma 1, l.fall. prescrive - nel primo periodo - che “le somme riscosse a qualunque titolo dal curatore sono depositate entro il termine massimo di dieci giorni dalla corresponsione sul conto corrente intestato alla procedura fallimentare aperto presso un ufficio postale o presso una banca scelti dal curatore”. Nel secondo periodo (introdotto dall'art. 3 del D. Lgs. 12 settembre 2007, n. 169) del medesimo comma viene specificato che “su proposta del curatore il comitato dei creditori può autorizzare che le somme riscosse vengano in tutto o in parte investite con strumenti diversi dal deposito in conto corrente, purché sia garantita l'integrità del capitale”. Il secondo comma introduce uno specifico aspetto sanzionatorio prevedendo che “la mancata costituzione del deposito nel termine prescritto è valutata dal tribunale ai fini della revoca del curatore”. L'esame svolto in questa sede riguarda talune questioni di rilievo – sul piano eminentemente tecnico/operativo - che si pongono di fronte al curatore nel dare corso agli adempimenti richiesti dal primo comma nella norma citata. Ed invero, il testo della norma individua letteralmente due profili distinti che involgono altrettante problematiche: 1) la scelta, da parte del curatore, dell'ente presso il quale aprire il conto corrente della procedura (ufficio postale o Banca); 2) il ruolo propositivo del curatore nel sottoporre al comitato dei creditori l'opportunità di investire le somme riscosse.
Per quanto attiene al primo profilo, l'attuale quadro congiunturale e l'assetto normativo (nel quale i correntisti delle Banche sono esposti al rischio di “bail in” con riguardo a giacenze superiori ad euro 100 mila a seguito del recepimento della direttiva n. 59/2014) impone di superare, nella scelta dell'ente depositario delle somme, il criterio normalmente sin qui seguito caratterizzato dal mero confronto delle condizioni economiche prospettate (in termini di minori costi/ maggiori rendimenti) tra i soggetti posti in competizione, per orientarsi invece verso una scelta che privilegi – in prospettiva - l'integrità delle somme depositate. Da questo punto di vista, i conti correnti di Poste Italiane appaiono sostanzialmente esposti al solo “rischio paese” e, pur non essendo interessati dal fondo di tutela interbancario, non formano - allo stato - oggetto della normativa sul “bail in” (pur essendo controverso che tale normativa si applichi anche alle procedure concorsuali, e tenendo conto che in tale situazione il “sacrificio” dei correntisti oltre una soglia “qualificata” avverrebbe solo dopo quello di azionisti, portatori di capitale ibrido, obbligazionisti). Se invece ci si orienta sull'apertura di un conto corrente bancario, le valutazioni divengono più complesse e debbono prendere in considerazione l'analisi di indicatori idonei a rappresentare la solidità patrimoniale dell'Istituto di credito. Al riguardo, il primo, fondamentale, parametro è il CeT1 (Common equity Tier 1, ovvero il “patrimonio” di vigilanza della banca rapportato al totale impieghi ponderati per il rischio), ma ve ne sono altri quali l'incidenza dei NPL (non performing loans, ovvero i crediti “in sofferenza”) rispetto al totale dei crediti erogati, l'NPL recovery ratio (ovvero il valore di svalutazione medio dei crediti “in sofferenza”), il Texas ratio (ovvero il rapporto tra i crediti lordi in sofferenza ed il “patrimonio” sommato agli accantonamenti). Nell'ottica di semplificare le analisi del curatore, si potrà basare la scelta quantomeno sull'indicatore più diffuso, e quindi selezionare gli Istituti di credito con elevato CeT1 (disponibile sia mediante consultazione di provider specializzati come Bloomberg e in ogni caso reso noto da molteplici fonti ed organi di stampa). Quanto più elevato è questo valore, anche rispetto alla soglia minima di CET1 richiesta dalla Banca Centrale Europea (attualmente pari al 10,5% per le Banche Italiane) tanto più la banca risulta solida. L'assunzione di questo indicatore quale criterio di scelta dell'Istituto va però accompagnata dalla consapevolezza che la sua entità, in certi casi tale da rendere la Banca particolarmente “appetibile”, potrebbe essere influenzata da altri fattori, attinenti al modello di business della Banca stessa che, per esempio, non eroga finanziamenti e che pertanto non presenta problematiche nell'ambito dei crediti deteriorati. Si tratta di elementi virtuosi che però si possono associare ad altri potenziali elementi di criticità connessi alle particolari caratteristiche di tali Banche (dimensioni ridotte; composizione ristretta del suo azionariato; conseguenti possibili rischi in termini di adeguatezza dei sistemi di controllo). In conclusione, la scelta del curatore in merito al primo profilo in esame deriverà da un esame ponderato, da adattare al caso concreto, e basato sul preventivo vaglio degli elementi sopra indicati (non senza dimenticare che l'Istituto di credito prescelto dovrà palesare non solo il ricercato carattere della “solidità” patrimoniale, ma altresì consentire l'efficace gestione dell'operatività della procedura). L'altro aspetto della valutazione affidata al curatore – attinente al secondo profilo richiamato dall'art. 34, comma 1, l.fall. - riguarda l'opportunità di formare e sottoporre al comitato dei creditori la proposta di investimento della liquidità della procedura. Il primo aspetto da considerare attiene al fatto che la norma assume, nel momento attuale, un significato profondamente diverso rispetto a quello che poteva avere all'atto della sua introduzione. Originariamente, nel testo di legge si poteva cogliere il senso di attribuire al curatore l'iniziativa di proporre decisioni di investimento che consentissero di ottenere condizioni più remunerative – nel rispetto della condizione della “integrità del capitale” – rispetto al conto corrente bancario o postale. Ciò di fatto consentiva di limitare l'eventuale scelta di investimento ai conti deposito (liberi o vincolati), a libretti o buoni fruttiferi postali (emessi da Cassa Depositi e Prestiti e garantiti dallo stato italiano), ai titoli di stato o ad investimenti obbligazionari con elevato rating e con scadenza a breve. Al contrario, nell'attuale momento storico, la decisione di investire la liquidità può essere imposta da esigenze di protezione del capitale, piuttosto che dall'attesa di conseguire extra rendimenti rispetto al “parcheggio” sul conto corrente. Tornando per un attimo al tema del “bail in”, va ricordato che i depositi titoli che hanno per oggetto la detenzione e la gestione da parte della banca dei soli strumenti finanziari, rappresentati da azioni, obbligazioni, titoli di Stato, quote di fondi, ETF, ecc., sono di titolarità esclusiva del cliente ed in base al principio di separazione patrimoniale (ex art. 22 d.lgs 58/1998) costituiscono un patrimonio distinto e separato da quello della banca e godono pertanto di specifica protezione, a prescindere dalle vicissitudini che possono riguardare l'istituto di credito. Peraltro, senza agitare lo spettro del “bail in”, in questo momento storico la prima esigenza di protezione (rispetto alla quale può risultare inefficace la scelta di mantenere le somme sul conto corrente o in analoghe tipologie di impiego della liquidità), è quella che nasce dalle attese di tassi di inflazione più elevati, con necessità di evitare la perdita del potere d'acquisto del proprio capitale. In questo quadro, si deve sottolineare che il ricercato obiettivo di asset protection può non coincidere con l'altro obiettivo (sancito dall'art. 34 l.fall.) costituito dalla garanzia di “integrità” del capitale. Tale garanzia non sussiste più nel caso di acquisto di titoli di stato italiani (se da un lato preservo il capitale dal rischio di “Bail in” dall'altro lato espongo l'investimento al “rischio paese”), e neppure se investo in titoli ad elevato rating (con il rischio in questo caso di conseguire rendimenti a scadenza addirittura negativi). Il tramonto di forme di investimento garantite si constata anche nella attuale situazione-limite nella quale investimenti obbligazionari di emittenti solvibili (soprattutto a tasso fisso) potrebbero risultare (od essere percepiti) nel loro complesso più rischiosi – quantomeno in termini di volatilità dei risultati – rispetto all'investimento azionario (in ragione dell'incremento prospettico dei tassi di interesse con la conseguenza di repentine variazioni nei corsi dei titoli obbligazionari e conseguenti perdite in conto capitale). In definitiva, per quanto attiene al secondo profilo delineato dall'art. 34 l.fall., va preliminarmente osservato che non costituisce obbligo per il curatore l'analisi ed il confezionamento della proposta – da sottoporre al comitato dei creditori – relativa all'investimento della liquidità della procedura.
Qualora la situazione specifica indirizzasse gli Organi della procedura ad assumere tale determinazione, nel rispetto dei ruoli delineati dalla norma (al curatore il ruolo propositivo ed al comitato dei creditori quello autorizzativo), si ritiene che la prassi operativa non possa discostarsi dalle linee programmatiche che definiscono un razionale processo di investimento, tenuto conto: a) degli attuali e prevedibili scenari di mercato; b) dell'obiettivo di tutelare il capitale prendendo in considerazione soluzioni di investimento che aumentino il livello di diversificazione e di conseguenza capaci di ridurre il rischio complessivo del portafoglio; c) di costruire l'eventuale portafoglio di investimenti secondo un profilo di rischio estremamente prudente e con una duration compatibile con gli esborsi “prevedibili” nel corso della procedura fallimentare (per spese correnti e piani di riparto). |