Sospensione dei servizi comuni per mora ultrasemestrale

Alberto Celeste
26 Luglio 2017

In forza del nuovo disposto dell'art. 63, comma 3, disp. att. c.c., l'amministratore, in caso di mora protrattasi per oltre un semestre, può decidere di sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato; si tratta di un strumento dissuasivo che può essere utilizzato senza alcun preavviso e, siccome rientrante nei suoi poteri, l'amministratore può metterlo in atto a prescindere da una preventiva autorizzazione assembleare e senza alcuna previsione da parte del regolamento di condominio; al contempo, però, tale iniziativa, privando nella maggior parte dei casi il singolo di una fornitura essenziale per la vita, è suscettibile di ledere i diritti fondamentali della persona di rilevanza costituzionale, quale il diritto alla salute contemplato nell'art. 32 Cost.
Inquadramento

La l. n. 220/2012 - entrata in vigore il 18 giugno 2013 - rende più stringenti i doveri dell'amministratore di condominio in caso di morosità: in precedenza, già l'art. 1130, n. 3), c.c. contemplava, tra le attribuzioni del suddetto amministratore, l'obbligo di «riscuotere i contributi», mentre, il novellato art. 1129, comma 9, c.c. prevede - salvo che sia dispensato dall'assemblea - che lo stesso amministratore sia «tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito è esigibile, anche ai sensi dell'articolo 63, primo comma, disp. att. c.c.

Tale ultimo disposto stabilisce che l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione da parte dell'assemblea, possa ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, «per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea» (per completezza, va rammentato che lo stesso amministratore, in forza dell'art. 1130, n. 10, c.c. è ora tenuto a «redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare l'assemblea per la relativa approvazione entro centottanta giorni»).

Peraltro, la morosità dovrebbe essere, per così dire a monte, eliminata nel caso di opere di manutenzione straordinaria e di innovazioni, stante l'obbligo, in capo all'assemblea, in forza del riformato art. 1135, comma 1, n. 4), c.c., di costituire «obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all'ammontare dei lavori».

Comunque, il citato art. 1129, al n. 6) del comma 12, contempla, tra le «gravi irregolarità», che giustificano la revoca giudiziaria dell'amministratore, «l'aver omesso di curare diligentemente l'azione e la conseguente esecuzione coattiva», qualora sia stata promossa l'azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio.

La morosità relativa agli oneri condominiali

La gestione dell'azienda-condominio registra, in buona sostanza, somme in uscita e somme in entrata: da un lato, le spese condominiali, ossia gli esborsi che vengono effettuati dall'amministratore per la manutenzione dei beni comuni e per la prestazione dei servizi essenziali, e, dall'altra, i contributi condominiali, vale a dire gli importi a carico di ciascun partecipante per far fronte a dette spese.

Tutti i condomini sono tenuti a partecipare, nella percentuale diversa a seconda dei casi - come contemplato specificatamente dagli artt. 1123, 1124 e 1126 c.c. - alle spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni, ma il suddetto obbligo non si limita al dovere di rimborsare le spese deliberate e già sostenute, implicando anche una necessaria anticipazione delle spese preventivate (non essendo ammissibile che all'anticipo provvedano l'amministratore o soltanto alcuni condomini di buona volontà).

Purtroppo, accade spesso più spesso che i condomini non paghino le rate spettanti o non siano puntuali nei versamenti, per cui si necessita un'opera di recupero coattivo delle somme necessarie per una corretta gestione condominiale, mentre è agevole prevedere che, anche a seguito dell'attuale crisi economica, continueranno a persistere le situazioni di mora dei condomini, con immaginabili conseguenze per quanto concerne il pagamento dei terzi creditori del condominio (appaltatori, fornitori, ecc.).

Il deterrente per scoraggiare il condomino che non paga

Un deterrente, al fine di scoraggiare pratiche dilatorie nei pagamenti da parte dei condomini, era già previsto nel vecchio testo dell'art. 63 c.c., il cui comma 3 stabiliva che, «in caso di mora nel pagamento dei contributi, che si sia protratta per un semestre, l'amministratore, se il regolamento di condominio ne contiene l'autorizzazione, può sospendere al condomino moroso l'utilizzazione dei servizi comuni che sono suscettibili di godimento separato».

Tale norma aveva avuto, però, scarsa applicazione nella pratica.

Per un verso, a causa della non agevole individuazione dei servizi comuni suscettibili di utilizzazione separata (senza escludere che il godimento non risulti in atto già separato, ma possa avvenire anche in un momento successivo): in quest'ottica, potrebbero esserlo il servizio di ascensore - si pensi alla transennatura dell'impianto ai relativi pianerottoli, con dotazione delle chiavi ai soli condomini puntuali nei pagamenti - il servizio idrico, il servizio di riscaldamento, mentre dubbi, per loro indivisibilità, potrebbero nutrirsi per il servizio di illuminazione ed il servizio di pulizia; si pensi, poi, al servizio di portierato, laddove il portiere custodisce lo stabile intero, con un'attività variegata, che mira alla conservazione lato sensu dell'edificio di cui beneficiano tutti coloro che vi abitano (in quest'ottica, sarebbe impensabile che il dipendente del condominio consegnasse la posta a tutti salvo che al condomino moroso o, addirittura, consentisse indirettamente ai ladri l'ingresso nella sua abitazione!).

Per altro verso, perché il potere dell'amministratore doveva essere contemplato in un regolamento di condominio, non necessariamente contrattuale, potendosi rinvenire anche in uno approvato con le maggioranze di cui all'art. 1136, comma 2, c.c., richiamato dall'art. 1138, comma 3, c.c., che, d'altronde, contempla «le norme circa l'uso delle cose comuni» (atteso che la sanzione era volta a colpire l'inadempienza del condomino, l'unanimità sarebbe stata difficile da raggiungere in quanto presumibilmente proprio quest'ultimo avrebbe espresso il veto, perché non propenso ad approvare una misura immediatamente applicabile contro … se stesso).

Per altro verso ancora, attese le criticità operative di tale sanzione, considerando soprattutto che avrebbe potuto consentire all'amministratore di attuare anche le necessarie operazioni sugli impianti da eseguirsi all'interno - non solo delle parti comuni, ma anche - della proprietà esclusiva del condomino moroso: infatti, anche se trattavasi di servizi suscettibili di utilizzazione separata, per attuare la misura di privazione dell'uso, talvolta, l'amministratore aveva bisogno di accedere nell'appartamento del condomino moroso per adottare gli opportuni «isolamenti», sicché, per prudenza, era preferibile rivolgersi all'autorità giudiziaria per ottenere la relativa autorizzazione.

Il riscontro da parte della giurisprudenza di merito

A quanto consta, la disposizione in esame risultava affrontata soltanto in alcune sparute pronunce di merito, che sfioravano le problematiche sopra accennate.

In una pronuncia (Pret. Genova 3 dicembre 1993), sotto il profilo del singolo partecipante che subisce la punizione conseguente alla sua mora, ha ritenuto che legittimamente l'amministratore, a norma dell'art. 63, comma 3, disp. att. c.c., poteva disporre la sospensione dell'erogazione dell'acqua al condomino moroso nel pagamento degli oneri condominiali (peraltro, nella relativa motivazione, si legge che «l'utilizzazione dell'acqua, da parte del singolo condomino, va qualificata come possesso, essendo in essa ravvisabili gli estremi di cui all'art. 1140 c.c.»).

La conferma che il condomino moroso debba sottostare a queste decisioni dell'amministratore - purché trattasi «di mora nel pagamento dei contributi condominiali protratta per oltre un semestre e l'amministratore rinvenga nel regolamento la relativa autorizzazione - la si trova in un'altra pronuncia, ad avviso della quale l'amministratore poteva sospendere al condomino l'utilizzazione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato, attraverso le necessarie operazioni sugli impianti, anche da eseguirsi all'interno della proprietà esclusiva del condomino moroso, obbligato a tollerare tali attività» (Trib. Milano 19 ottobre 1998: nella specie l'intervento era stato attuato sul riscaldamento e sull'acqua calda).

In un'altra pronuncia (Trib. Busto Arsizio-Gallarate 24 dicembre 2010), che ha analizzato la tematica sul versante del condominio che infligge la sanzione, si è affermato che, pur a fronte del disposto normativo dell'art. 63, comma 3, disp. att. c.c. che, in via di autotutela e senza ricorrere previamente al giudice, attribuiva all'amministratore condominiale, ove il regolamento lo consentisse, il potere di sospendere al condomino moroso l'utilizzazione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato, doveva ritenersi fornito di interesse ad agire il ricorso ex art. 700 c.p.c. promosso dal condominio per rimuovere ostacoli frapposti all'esercizio del suddetto potere di autotutela; nella fattispecie esaminata dal giudice lombardo, sul presupposto che, per attuare la sospensione del servizio di riscaldamento centralizzato, era indispensabile intervenire all'interno dell'abitazione dei condomini morosi, i quali, benché preventivamente avvisati, si erano opposti all'accesso dei tecnici incaricati della chiusura degli elementi degli elementi radianti, il condominio ricorrente aveva domandato al giudice di ordinare agli inadempienti di consentire la sospensione del servizio e di non ostacolare tale potere, determinandone anche le modalità applicative (probabilmente, il «pregiudizio imminente ed irreparabile» è stato ravvisato nel fatto che, a fronte dell'irragionevole rifiuto del condomino insolvente, si prospettava una continuazione di godimento del servizio gratis per il singolo ma non per la collettività).

Lo strumento di autotutela privata

La sospensione del condomino moroso dalla fruizione dei servizi condominiali sembra da inquadrare nell'alveo dell'autotutela privata, sul modello dell'art. 1460 c.c., seppure - a ben vedere - l'obbligo del condomino di contribuire alle spese necessarie alla conservazione ed al godimento delle parti comuni dell'edificio, alla prestazione dei servizi nell'interesse comune ed alle innovazioni deliberate dalla maggioranza trovi la sua fonte immediata nel disposto dell'art. 1123, comma 1, c.c.

In effetti, se si intendesse individuare, nell'art. 63, comma 3, disp. att. c.c., un'eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 c.c. da parte dell'amministratore - la cui ratio risiede nell'esistenza di un pericolo attuale di inadempimento riconducibile alla sfera dell'obbligato, tale da pregiudicare l'equilibrio corrispettivo di un contratto - dovrebbe riconoscersi il singolo condomino titolare di un diritto di natura contrattuale sinallagmatica nei confronti del condominio, avente ad oggetto la conservazione ed il godimento della cosa comune, o l'erogazione del servizio condominiale, compensati dal pagamento del contributo di spesa, laddove, invece, l'obbligo di pagamento degli oneri condominiali, da parte del singolo partecipante in misura proporzionale al valore della sua unità immobiliare, ha causa diretta nella disciplina del condominio, e, in particolare, trova la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell'edificio, e non risulta strutturato su coppie di prestazioni corrispondenti (ossia in un rapporto contrattuale che obblighi una controparte ad una controprestazione in favore dell'altra).

In parole semplici, secondo l'assunto di cui sopra, segnatamente per quanto concerne i «beni comuni» e gli «impianti comuni», il singolo è tenuto a contribuire, rispettivamente, alle spese di impermeabilizzazione del lastrico solare (anche se non si reca mai in loco per stendere i panni), e alle spese per la manutenzione dell'ascensore (anche se preferisce usare le scale per raggiungere il suo appartamento); parzialmente diverso appare il discorso relativamente ai «servizi comuni», poiché lo stesso condomino può ritenersi obbligato a pagare le spese per la conservazione e messa a norma della caldaia, mentre potrebbe essere esentato da quelle del combustibile qualora non usufruisse del servizio di riscaldamento (può richiamarsi, al riguardo, tutta la giurisprudenza che si era formata sul fenomeno del distacco dal sistema centralizzato, alla luce dell'art. 1118 c.c., allora comma 2 e ora comma 4).

Le novità introdotte dalla Riforma

Il nuovo testo del citato comma 3 dell'art. 63 disp. att. c.c. - così come introdotto dall'art. 18 della legge n. 220/2012 - recita: «in caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre, l'amministratore può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato».

In evidenza

In pratica, la Riforma della normativa condominiale ha eliminato, dal testo previgente, la condizione che subordinava l'iniziativa inibitoria dell'amministratore ad un'espressa autorizzazione conferitagli dal regolamento di condominio.

Resta fermo - come in passato - che il condomino possa considerarsi «moroso» nel pagamento delle quote, al fine di far decorrere il semestre contemplato dall'art. 63, comma 3, disp. c.c., o in virtù dei principi generali di cui all'art. 1219 c.c. a seguito di intimazione fatta per iscritto da parte dell'amministratore, oppure alla luce di un'apposita previsione regolamentare che indichi espressamente i giorni decorrenti dalla richiesta entro i quali il pagamento deve essere eseguito dal ritardatario.

E' opportuno segnalare che, in una precedente versione parlamentare dello stesso capoverso - non trasfusa, poi, nel testo definitivo - si era aggiunto che i condomini in ritardo di un semestre nel pagamento dei contributi non avessero più il diritto di voto; l'opportuna eliminazione di tale previsione comporta che lo stesso risultato non possa essere stabilito da una clausola regolamentare che, parimenti, faccia discendere dalla morosità del condomino l'inibizione di tale esercizio in assemblea, atteso che una clausola limitativa della facoltà primaria del singolo partecipante, pur inserita in un àmbito di autonomia negoziale o in un regolamento di natura contrattuale, sembra decisamente alterare lo schema essenziale della disciplina legislativa del condominio.

Nella versione definitiva dell'art. 63, comma 3, disp. att. c.c., è scomparso, altresì, il temperamento che era stato fissato in un primo momento durante il percorso parlamentare della Riforma: in particolare, il suddetto potere di sospensione dalla fruizione dei servizi comuni, in capo all'amministratore, era così limitato: «salvo che l'autorità giudiziaria, adita anche in via d'urgenza, riconosca l'essenzialità del servizio per la realizzazione di diritti fondamentali della persona e l'impossibilità oggettiva del ricorso a mezzi alternativi».

Peraltro, la mancata previsione testuale del criterio di valutazione dell'adeguatezza dell'iniziativa inibitoria dell'amministratore non impedisce al giudice di censurare, in base ai principi generali, la legittimità della stessa, in modo da impedire la lesione, o anche la minaccia, del diritto alla salute, all'incolumità e all'integrità fisica dei condomini privati del godimento del servizio condominiale, o di altri loro diritti soggettivi fondamentali della persona umana, in modo che non si oltrepassi mai quella soglia minima di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa nella gestione dei rapporti condominiali.

La tutela del diritto alla salute degli abitanti dello stabile

Il mancato accenno, nella versione definitiva, al diritto alla salute degli abitanti nello stabile condominiale ha denotato una scarsa sensibilità del Legislatore del 2013 alle esigenze correlate in generale allo sviluppo della persona durante lo svolgimento dei rapporti interni tra condomini, nonostante la giurisprudenza abbia sempre cercato di valorizzare sempre di più alcuni principi costituzionali, quali appunto la tutela della salute (art. 32 Cost.), nell'ottica di attuare la «funzione sociale» della proprietà (art. 42, comma 2, Cost.).

Si veda, per tutte, la recente pronuncia dei giudici di legittimità - sia pure nella diversa materia riguardante i portatori di handicap - secondo la quale, nel conflitto tra le esigenze dei condomini disabili abitanti ad un piano alto, praticamente impossibilitati, in considerazione del loro stato fisico, a raggiungere la propria abitazione a piedi, e quelle degli altri partecipanti al condominio, per i quali il pregiudizio derivante dall'installazione di ascensore si risolverebbe non già nella totale impossibilità di un ordinario uso della scala comune, ma soltanto in disagio e scomodità derivanti dalla relativa restrizione e nella difficoltà di usi eccezionali della stessa, va dato privilegio alle prime, in conformità ai principi costituzionali della tutela della salute e della funzione sociale della proprietà (Cass. civ., sez. II, 14 febbraio 2012, n. 2156).

Ma già quasi vent'anni prima, gli stessi giudici di legittimità avevano puntualizzato - in tema di rapporti di vicinato - che la disposizione dell'art. 844 c.c. è applicabile anche negli edifici in condominio nell'ipotesi in cui un condomino nel godimento della propria unità immobiliare o delle parti comuni dia luogo ad immissioni moleste o dannose nella proprietà di altri condomini; nell'applicazione della norma, deve aversi riguardo, peraltro, per desumerne il criterio di valutazione della normale tollerabilità delle immissioni, alla peculiarità dei rapporti condominiali ed alla destinazione assegnata all'edificio dalle disposizioni urbanistiche o, in mancanza, dai proprietari; in particolare, nel caso in cui il fabbricato non adempia ad una funzione uniforme e le unità immobiliari siano soggette a destinazioni differenti, ad un tempo ad abitazione e ad esercizio commerciale, il criterio dell'utilità sociale, cui è informato l'art. 844 citato, impone di graduare le esigenze in rapporto alle istanze di natura personale ed economica dei condomini, privilegiando, alla luce dei principi costituzionali (artt. 14, 32 e 47 Cost.), le esigenze personali di vita connesse all'abitazione, rispetto alle utilità meramente economiche inerenti all'esercizio di attività commerciali (Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1993, n. 3090).

In buona sostanza, nella nuova ottica delineata dall'art. 63, comma 3, disp. att. c.c., l'interruzione di un servizio comune, qualora leda un diritto costituzionalmente tutelato - quale, nel caso concreto, il diritto alla salute - non può trovare mai applicazione nei confronti di un condominio moroso, comportando che il nuovo strumento dissuasivo dovrà essere applicato con estrema prudenza da parte dell'amministratore, tanto più che ora non si prevede alcun passaggio preventivo in sede assembleare, né che vi sia un'apposita clausola del regolamento che autorizzi siffatta iniziativa (in altri termini, solo l'esperienza e la professionalità sapranno suggerire all'amministratore quando è opportuno, oltre che legittimo, esercitare tale forma di autotutela).

Nel silenzio della norma, sembra che il potere discrezionale conferito all'amministratore - restando il suo dovere di perseguire il moroso, in modo incisivo, mediante il ricorso al decreto ingiuntivo di cui al comma 1 dello stesso art. 63 disp. att. c.c. - debba essere messo in atto cum grano salis, solo in situazioni talmente gravi da non consentirgli una diversa soluzione, e sempre alla luce dei canoni generali della diligenza del buon padre di famiglia, stando attenti a che il magistrato, a seguito di istanza (di regola, d'urgenza) del condomino leso, potrà sempre censurare eventuali azioni che possano ledere o minacciare il diritto alla salute, all'incolumità e all'integrità fisica, o i diritti soggetti fondamentali della persona umana.

L'opportunità di una clausola del regolamento di condominio

È chiaro il messaggio del Legislatore nel senso di responsabilizzare i condomini a provvedere celermente a saldare i propri debiti, pena la sospensione del servizio comune, ma è pur sempre preferibile - qualora appunto la risposta alla morosità di uno dei partecipanti non si fermi solamente all'aspetto «economico» - che il regolamento, per così dire a monte, o l'assemblea, di volta in volta, indichi con precisione le ipotesi in presenza delle quali l'amministratore possa avvalersi del rimedio in esame e, altresì, le modalità concrete con cui attuare tale reazione «in natura».

Invero, trattasi, pur sempre, di una misura privata abbastanza grave, per non dire odiosa, che assomiglia molto alla «ragion fattasi», riservata di solito alla Pubblica Amministrazione o agli esercenti pubblici servizi, in ordine alla quale il singolo condomino, privato dell'uso del servizio comune, si viene a trovare in una situazione di pati a fronte della quale non sembra possa avanzare alcuna pretesa risarcitoria.

Nel previgente regime, il Legislatore codicistico si era mostrato alquanto severo nei confronti del condomino moroso, nell'ottica che quest'ultimo, omettendo il pagamento degli oneri condominiali, arrecava pur sempre un danno all'intero condominio, che era costretto a limitare le sue attività gestionali per carenza di fondi sufficienti, ma, al contempo, lo stesso Legislatore, disponendo che l'inibitoria attuata dall'amministratore trovasse la fonte legittimante nel regolamento, tutelava in qualche modo lo stesso condomino moroso da decisioni arbitrarie dell'amministratore, specie laddove non venivano contemplate adeguate proporzioni tra debito del singolo e servizio sospeso.

In effetti, il confermato limite del ritardo nel pagamento delle rate condominiali rapportato al «semestre» significa aver stabilito una certa corrispondenza tra la morosità - che, in questi sei mesi, potrebbe essere sanata - e la sospensione del servizio; resta il problema se la mora debba durare da almeno sei mesi senza interruzione o se è sufficiente una mora nel pagamento di contributi per un importo pari a tale periodo anche se non consecutivo, ma la lettera della legge - «mora … protratta per un semestre» - induce a ritenere più corretta la prima opzione ermeneutica che, però, indurrebbe ad un certo favor per il ritardatario, il quale potrebbe sempre evitare la sospensione versando, periodicamente, una rata condominiale ogni sei mesi.

Nel difetto della previsione regolamentare come eliminata nell'attuale regime, l'amministratore, ricorrendo a questa misura drastica, agisce a proprio rischio, nel senso che, qualora nel successivo eventuale giudizio instaurato dal condomino pregiudicato dalla suddetta privazione, si accertasse l'inesistenza della morosità del condomino medesimo o, addirittura, venisse negato il credito del condominio, potrebbe configurarsi una qualche responsabilità in capo all'amministratore medesimo.

Ovviamente, l'opportunità di una tale clausola è da valutarsi caso per caso, senza dimenticare, però, che non potrà evitarsi di attribuire, all'amministratore di condominio, un vero e proprio potere/dovere, conseguendone, da un lato, che l'amministratore dovrà esercitarlo senza tenere conto della volontà dei condomini (a meno che non si pervenga ad una modifica del regolamento), e, dall'altro, che il medesimo amministratore sarà inevitabilmente costretto ad applicare la misura sanzionatoria per evitare un inadempimento ai suoi doveri (e, quindi, una possibile revoca).

Il suddetto regolamento potrebbe, poi, stabilire l'esatta determinazione del semestre di morosità: di regola, dovrebbe decorrere dall'approvazione del consuntivo cui la morosità si riferisce (argomentando ex art. 1129, comma 9, c.c.), ma nulla esclude che sia correlata all'approvazione del preventivo o alla scadenza della prima rata; si potrebbe, inoltre, prescrivere un preavviso scritto prima della sospensione - ad esempio, avvertendo il condomino interessato a mezzo di lettera raccomandata a.r., almeno dieci giorni prima - sempre opportuno quando si opera sulla prestazione di servizi indispensabili (Trib. Milano 25 maggio 1992, secondo cui l'efficienza e la funzionalità dell'impianto di riscaldamento sono «direttamente strumentali alla normale abitabilità delle singole porzioni immobiliari»).

La clausola de qua potrebbe, altresì, individuare una soglia minima di mora in presenza della quale scatta la sospensione dal servizio - non essendo, all'evidenza, operante allorché il ritardo nel pagamento riguardi un solo centesimo di euro! - ad esempio, prevedendo che la suddetta condizione si intende verificata qualora il condomino raggiunga una morosità pari all'ammontare monetario di un semestre di spesa, calcolato con riferimento all'importo complessivo di spesa dal medesimo sostenuta nell'ultimo esercizio rendicontato per il medesimo servizio, secondo le somme indicate nel relativo consuntivo.

La clausola, infine, potrebbe prevedere la sospensione con riferimento solo ad alcune forniture - per esempio, potrebbe riguardare il riscaldamento e non l'acqua corrente (o viceversa) - oppure potrebbe stabilire che la suddetta sospensione possa essere effettuata esclusivamente per il servizio in relazione al quale sussiste la morosità; in difetto, non si evince che l'amministratore debba necessariamente sospendere «quel»servizio per cui il condomino non paga i contributi - anche perché, a parte il riscaldamento, spesso la bolletta periodica condominiale comprende un coacervo di «voci» - salvo augurarsi sempre una certa corrispondenza tra la misura della sospensione e la consistenza del debito non onorato.

Casistica

CASISTICA


Intervento sulle sole parti comuni dell'impianto

Il disposto normativo dell'art. 63, comma 3, disp. att. c.c. attribuisce all'amministratore condominiale - in via di autotutela e senza ricorrere previamente al giudice - il potere di sospendere al condomino moroso l'utilizzazione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato, e, dopo la modifica normativa che ha eliminato la previsione «ove il regolamento lo consenta», l'esercizio di tale potere configura un potere-dovere dell'amministratore condominiale il cui esercizio è legittimo ove la sospensione sia effettuata intervenendo esclusivamente sulle parti comuni dell'impianto, senza incidere sulle parti di proprietà esclusiva del condomino moroso (Trib. Modena 5 giugno 2015).

Privazione del servizio del riscaldamento

Va ordinato, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., il ripristino del servizio del riscaldamento, in quanto la privazione di una fornitura essenziale per la vita, quale il riscaldamento nel periodo invernale, è suscettibile di ledere i diritti fondamentali delle persone, di rilevanza costituzionale, quale il diritto alla salute (art. 32 Cost.), mentre, di contro, il diritto, che con la sospensione si intende tutelare, è puramente economico e sempre riparabile (il recupero degli eventuali crediti sarà sempre possibile, potendo il condominio creditore contare sulla garanzia costituita dagli immobili dei singoli condomini) (Trib. Milano 24 ottobre 2013).

Autorizzazione da parte del giudice

Nell'attesa del giudizio di merito, è consentito all'amministratore richiedere all'autorità giudiziaria l'autorizzazione ad effettuare la sospensione dei condomini morosi dell'utilizzo dei servizi comuni suscettibili di godimento separato, in quanto la persistente morosità del condomino può determinare l'insolvenza del condominio nel suo complesso, con conseguente interruzione dei servizi da parte dei gestori e ripercussioni nella sfera dei condomini virtuosi all'uso dei servizi essenziali nella vita quotidiana, atteso altresì che l'amministratore non può proseguire nella corretta gestione condominiale per assenza di fondi, che non gli consentono di portare a termine il mandato conferitogli (Trib. Milano 7 febbraio 2014).

Ingresso nell'unità immobiliare privata

In caso di mora nel pagamento dei contributi, che si sia protratta per più di un semestre, va ordinato ex art. 700 c.p.c. al condomino moroso di consentire ai tecnici o/e all'impresa incaricati dal condominio la realizzazione della sospensione della fornitura del riscaldamento, mediante ingresso all'interno dei locali di sua proprietà e mediante l'interruzione dell'afflusso dell'acqua calda dalle tubazioni condominiali verso i radiatori posti all'interno della stessa unità immobiliare, ciò tramite i tecnici o l'impresa di cui sopra che intercettino le tubazioni d'acqua calda di ingresso, chiudendole con tappi o con altro mezzo tecnico del caso (Trib. Brescia 17 febbraio 2014).

Erogazione del servizio di fornitura dell'acqua

L'amministratore di condominio può chiedere un provvedimento d'urgenza al giudice al fine di ottenere l'autorizzazione alla sospensione dell'erogazione del servizio di fornitura dell'acqua nei confronti dei condomini morosi, in virtù di quanto sancito dall'art. 63 disp. att. c.c., potendo tale sospensione dell'afflusso dell'acqua riguardare le sole unità immobiliari dei condomini morosi (Trib. Brescia 27 gennaio 2014).

Morosità collegata alla pertinenza

Va ordinato immediatamente al condominio di riattivare la fornitura del servizio idrico integrato, relativamente al contratto dell'immobile ad uso residenziale del ricorrente, qualora le bollette non pagate riguardino soltanto il garage, e non la casa di abitazione, perché la sospensione di servizi essenziali finisce per ledere valori tutelati dalla Costituzione (Trib. Fermo 23 marzo 2016).

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