Conduttore (morte e fallimento)

Massimo Falabella
21 Agosto 2017

Al contratto di locazione sono applicabili le norme generali in tema di successione mortis causa, anche se nelle locazioni urbane il subentro al conduttore deceduto segue criteri particolari. L'art. 6 della l. n. 392/1978 stabilisce che in caso di morte del conduttore a questi succedano il coniuge, gli eredi, i parenti e gli affini con lui abitualmente conviventi. Si è posta la questione circa l'applicazione residuale della disciplina codicistica nell'ipotesi in cui non esistano successibili a norma dell'art. 6 della legge del 1978. In tema di locazione non abitativa la successione presenta aspetti peculiari rispetto ai principi generali; al riguardo, la disciplina normativa valorizza l'interesse alla prosecuzione dell'attività imprenditoriale. Lo stesso interesse sottende la disciplina del fallimento del conduttore, che mira ad assicurare al curatore fallimentare il subentro nel contratto di locazione, salva una facoltà di recesso, da parte dello stesso curatore, da esercitarsi dietro corresponsione di equo indennizzo.
Inquadramento

Il contratto di locazione non cessa per la morte di una delle sue parti. Per regola generale, infatti, i rapporti contrattuali si trasmettono ai successori mortis causa e la locazione non vi fa eccezione: infatti, l'art. 1614 c.c. conferisce agli eredi dell'inquilino il potere di recesso dal contratto, confermando, in tal modo, l'applicabilità del detto principio alla locazione; non potrebbe esservi recesso, infatti, senza che prima si sia attuato il subentro nel contratto.

Le locazioni urbane disciplinate dalla l. n. 392/1978 e dalla l. n. 431/1998 sono tuttavia assoggettate a una disciplina speciale. Anche alla morte del conduttore si verifica infatti una successione, ma questa si attua in deroga alle regole ordinarie, dando luogo a quella che può definirsi una «vocazione anomala». Il subentro al locatario deceduto avviene in forza di disposizioni speciali di legge che hanno carattere cogente: si dice, per questo, che i successibili nella locazione siano da qualificare come legatari ex lege.

Questa vicenda è disciplinata dagli artt. 6 e 37 della l. n. 392/1978, i quali, poi, regolamentano anche ulteriori fattispecie non propriamente riconducibili al fenomeno successorio.

Non determina la cessazione del contratto di locazione nemmeno il fallimento del conduttore: infatti l'art. 80 l. n. 267/1942 (l. fall.) si limita a prevedere che il curatore fallimentare possa recedere dal contratto: sicché quest'ultimo prosegue regolarmente dopo l'apertura della procedura concorsuale, salva la manifestazione di volontà del curatore stesso di sciogliersi dal vincolo. Il fondamento della norma, come è evidente, sta tutto nell'interesse dell'amministrazione fallimentare a disporre, senza soluzione di continuità, di un mezzo di custodia dei locali già in godimento del fallito.

La successione nella locazione abitativa

Secondo l'art. 6 della l. n. 392/1978, in caso di morte del conduttore, gli succedono nel contratto il coniuge, gli eredi ed i parenti ed affini con lui abitualmente conviventi.

Per effetto di un intervento additivo della Corte costituzionale, l'area dei successibili nel contratto di locazione è stata estesa al convivente more uxorio (Corte Cost. 7 aprile 1988, n, 404). Il subentro del convivente risulta, poi, oggetto dell'espressa previsione ora contenuta nel comma 44 dell'art. 1 della l. 20 maggio 2016, n. 76, recante la regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze: tale comma dispone infatti che «nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di succedergli nel contratto». Non è ancora ben chiaro come debba intendersi la locuzione che attribuisce rilievo alla «facoltà» del convivente di succedere: per certo, se la norma fosse da intendere nel senso che l'interessato debba manifestare al locatore la propria volontà di subentrare nella locazione, la disciplina contenuta nel comma 44 citato divergerebbe da quella più generale, di cui all'art. 6, comma 1, della l. n. 392/1978, che invece programma una successione automatica.

E' da segnalare, inoltre, che la stessa l. n. 76/2016 ha stabilito, al comma 20 dell'art. 1, che al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. Ne discende che la successione prevista dall'art. 6, comma 1, della l. n. 392/1978 trovi applicazione anche nel caso di morte di uno dei componenti dell'unione civile.

Per la giurisprudenza di legittimità, seguita da una parte della giurisprudenza di merito, l'erede non convivente non succede mai nel contratto di locazione: nemmeno nel caso in cui manchino altri soggetti chiamati a subentrare nel contratto a norma dell'art. 6, comma 1, e cioè eredi, parenti, affini o convivente more uxorio abitualmente conviventi con l'originario conduttore. Si reputa, in proposito, che in tema di locazioni urbane ad uso abitativo le norme sulla successione ereditaria, e, in particolare, l'art. 1614 c.c., non trovino applicazione, nemmeno in via residuale: ne discenderebbe che l'erede non convivente non sia passivamente legittimato quanto alle azioni contrattuali di rilascio, ma solo tenuto in via extracontrattuale alla riconsegna dell'immobile nei confronti dell'avente diritto. In senso contrario si è però ritenuto, nella giurisprudenza di merito, che il citato art. 1614 debba regolare la vicenda successoria in mancanza di soggetti che possano subentrare nella locazione ex art. 6 della l. n. 392/1978.

SUCCESSIONE DELL'EREDE NON CONVIVENTE: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

L'erede non convivente non subentra nel contratto di locazione

- L'erede non convivente del conduttore di immobile adibito ad abitazione non gli succede nella detenzione qualificata e poiché il titolo si estingue con la morte del titolare del rapporto - analogamente al caso di morte del titolare dei diritti di usufrutto, uso o abitazione - quegli è un detentore precario della res locata al de cuius, sì che nei suoi confronti sono esperibili le azioni di rilascio per occupazione senza titolo e di responsabilità extracontrattuale (Cass. civ., sez. III, 22 maggio 2001, n. 6965).

- Nel regime giuridico della legge sull'equo canone, la morte del conduttore, in assenza dei successibili indicati nell'art. 6 della l. n. 392/1978 ovvero del convivente more uxorio per effetto della sentenza additiva della Corte Costituzionale n. 404/1988, non comporta la reviviscenza dell'art. 1614 c.c., sicché l'erede non convivente, mentre non può esimersi dall'obbligo di soddisfare le passività gravanti sull'asse ereditario alla data dell'avvenuta successione, secondo i principi generali in quanto relative ad obbligazioni già scadute ed insolute del dante causa, viene, per il resto, a trovarsi in una relazione di mero fatto con la cosa locata e, pertanto, di detenzione senza titolo che, non essendo nemmeno applicabile l'art. 1146 c.c. in relazione al possesso, può far sorgere, ai sensi dell'art. 2043 c.c., esclusivamente la responsabilità extracontrattuale per la restituzione dell'immobile e per il risarcimento del danno o per arricchimento senza causa (Trib. Roma 8 giugno 1992).

- E' inammissibile il procedimento di sfratto per finita locazione nei confronti degli eredi non conviventi del conduttore deceduto, dovendosi, in tal caso, esercitarsi l'azione ordinaria di rilascio per detenzione sine titulo. L'inammissibilità deve essere rilevata dal giudice anche d'ufficio, riflettendo uno dei presupposti per l'adozione del procedimento speciale (Pret. Salerno 13 dicembre 1995).

L'erede convivente subentra nel contratto di locazione

Deve ritenersi che, ove manchino i presupposti dell'art. 6 della l. 27 luglio 1978 n. 392, il rapporto di locazione si trasferisca agli eredi del conduttore secondo il meccanismo, ancora operante, previsto dall'art. 1614 c.c. (Trib. Firenze 15 maggio 2012)

L'art. 6, comma 1, della l. n. 392/1978 regola, dunque, la successione nel contratto di locazione nell'ipotesi di decesso del conduttore: ciò, è bene ricordare, sia nell'ipotesi in cui il defunto sia l'unico titolare del contratto, sia nell'eventualità che lo stesso sia contitolare con altri del rapporto stesso (Cass. civ., sez. III, 17 giugno 1995, n. 6910). E' necessario, però, che venga in questione la morte del conduttore: la Corte costituzionale ha infatti ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 1, nella parte in cui non prevede la successione nel contratto dei parenti ed affini del conduttore, con lui abitualmente conviventi, nell'ipotesi di abbandono dell'immobile o di recesso dal contratto da parte di quest'ultimo (Corte Cost., 18 maggio 1989, n. 252).

Condizione necessaria per l'attuarsi della successione è la convivenza tra il terzo che succederà nella locazione e il conduttore dell'immobile. La convivenza non deve poi intendersi in senso saltuario o transitorio, esigendo essa una continuità e durata che esprima la destinazione effettiva e durevole dell'alloggio a soddisfare il bisogno del soggetto in modo esclusivo (Pret. Roma 3 novembre 1983).

In evidenza

La prova della convivenza potrà essere fornita con ogni mezzo. La Corte di legittimità ha peraltro opportunamente precisato che, avendo l'art. 6 della l. 27 luglio 1978, n. 392 lo scopo di garantire un'abitazione, nel caso di decesso del conduttore, ai residui componenti della comunità familiare o parafamiliare, il diritto del coniuge, degli eredi, dei parenti e degli affini alla successione nel contratto di locazione è subordinato alla condizione dell'abituale convivenza con quegli: sicché, ai fini della prova di tale complessa situazione determinante una comunanza di vita con detto conduttore non è sufficiente il certificato storico-anagrafico, che ha un valore meramente presuntivo della comune residenza ivi annotata (Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 1996, n. 8652; in senso conforme: Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 1997, n. 9675; Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2001, n. 579).

Ovviamente, l'abituale convivenza con il conduttore defunto va accertata alla data del decesso di costui, a nulla rilevando che gli aventi diritto alla successione nel contratto siano o meno rimasti nell'alloggio locato dopo la morte del dante causa, giacché la successione mortis causa nel contratto di locazione è fatto giuridico istantaneo che si realizza (o non si realizza) all'atto stesso della morte del conduttore, restando insensibile agli accadimenti successivi (Cass. civ., sez. III, 1 agosto 2000, n. 10034).

Passando agli effetti della successione, deve osservarsi come il subentro si attuerà nei confronti di tutti i parenti, affini o eredi conviventi dell'originario locatario: ciascuno di loro, dunque, acquisterà la qualità di conduttore del medesimo immobile. Sul piano processuale ciò implicherà la loro legittimazione nelle azioni (come quella di risoluzione contrattuale) che debbano intentarsi nei confronti di tutte le parti del rapporto soggettivamente complesso; così, in tema di risoluzione per mutamento di destinazione d'uso, ex art. 80 della l. n. 392/1978, si è ritenuto che l'azione andasse proposta nei confronti di tutti i soggetti succeduti nel contratto ai sensi dell'art. 6, comma 1, della l. n. 392/1978, quali litisconsorti necessari, a nulla rilevando che il dedotto inadempimento contrattuale fosse addebitato esclusivamente ad alcuni di loro (App. Napoli 16 gennaio 1996).

La successione nella locazione non abitativa

L'art. 37, comma 1, della l. n. 392/1978 prevede che in caso di morte del conduttore subentrino nel contratto coloro che, per successione o per precedente rapporto risultante da data certa anteriore all'apertura della successione, abbiano diritto di continuarne l'attività. Si ritiene che la previsione concerna le sole attività imprenditoriali, visto che quelle di natura professionale hanno carattere strettamente personale e non sono, quindi, trasmissibili.

Ha precisato la Corte regolatrice che il primo comma dell'art. 37, nel prevedere per il caso di morte del conduttore, che succedano nel contratto coloro che, jure hereditario o per atto di data anteriore all'apertura della successione, hanno diritto a continuare l'attività del dante causa, condizioni la prosecuzione del rapporto locatizio alla sola titolarità astratta del diritto alla continuazione di tale attività, senza richiedere anche il fatto materiale della continuazione della stessa (Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 1998, n. 1093; in senso conforme: Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 1994, n. 1359; Cass. civ., sez. III, 1 dicembre 1993, n. 11888; Cass. civ., sez. III, 4 marzo 1993, n. 2629).

L'acquisto del diritto che deriva da successione mortis causa si ha quando il successibile è istituito erede di un complesso patrimoniale di cui faccia parte l'azienda ubicata nell'immobile locato; si ritiene, poi, nonostante alcune perplessità sollevate sul punto in dottrina, che il subentro si attui anche a beneficio del legatario.

L'acquisto del diritto per atto inter vivos si produce, invece, in tutti i casi in cui consti un documento di data certa anteriore al decesso del conduttore che attesti il diritto di continuare l'attività dell'originario conduttore. Lo scritto munito di data certa è quello che provenga dal conduttore deceduto (App. Milano 10 novembre 1987), e non da terzi. Rientra nella previsione della norma, ad esempio, l'ipotesi della cessione di azienda: può accadere che il conduttore dell'immobile trasferisca a un terzo l'azienda, stabilendo che detta cessione abbia una efficacia differita, dipendendo da una condizione sospensiva o da un termine iniziale; se la condizione si verifica o il termine scade dopo la morte del locatario, il cessionario acquista il diritto di continuare attività del de cuius nell'immobile locato.

La disciplina in questione va naturalmente coordinata con quella che vieta i patti successori: sicché, nell'ipotesi di cessione di azienda, è escluso che questa, per volontà delle parti, possa avare effetto alla morte del cedente: in tale ipotesi - diversa dalla precedente (in cui il decesso del cedente non è preso in considerazione) - si configura la nullità comminata dall'art. 458 c.c. (in tema, v. Cass. civ., sez. III, 9 gennaio 1991, n. 153).

Diversa ipotesi di successione nelle locazioni non abitative è regolata dall'art. 37, comma 3, l. n. 392/1978. Secondo questa disposizione, ove l'immobile sia adibito all'uso di più professionisti, artigiani e commercianti, e uno solo di essi sia titolare del contratto, alla morte di questo si attua - in eventuale concorso con altri aventi titolo - la successione in favore dei citati soggetti.

Ai fini della successione è necessario che l'uso plurimo dell'immobile sia stato previsto contrattualmente o quantomeno autorizzato dal locatore nel corso del rapporto: si è così ritenuto che, ove la destinazione dell'immobile in favore di più soggetti non sia stata prevista nel contratto stipulato dal locatore con uno soltanto di questi, l'eventuale occupazione di fatto dell'immobile da parte degli altri non li legittimi a subentrare nel contratto (Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2015, n. 13317; Cass. civ., sez. III, 17 novembre 1995, n. 11914; Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 1989, n. 288); in tal senso, non può ritenersi sufficiente la mera attribuzione della facoltà di sublocazione, il cui esercizio non implica la suddetta coutenza, ma costituisce un nuovo ed autonomo titolo di godimento (Cass. civ., sez. III, 24 novembre 1990, n. 11349).

Ai fini del subentro di cui all'art. 37, comma 3, è indispensabile che sussista un'omogeneità tra l'attività svolta dal conduttore deceduto e quella del soggetto che intenda subentrare nella locazione. E' stato pertanto precisato, in giurisprudenza, che poiché la disposizione del comma 3 dell'art. 37 della legge sull'equo canone si riferisce solo alle situazioni di uso del medesimo immobile da parte di soggetti che vi esplichino attività del medesimo tipo, essa non risulta applicabile nel caso in cui il conduttore deceduto abbia esercitato nell'immobile un'attività riconducibile ad una categoria, tra quelle indicate dalla norma, diversa da quella alla quale deve essere ricondotta l'attività dell'altro soggetto che si serve del medesimo immobile (Cass. civ., sez. III, 24 luglio 1991, n.8286).

Il fallimento del conduttore

Già si è detto che in caso di fallimento del conduttore il rapporto non cessa, ma il curatore subentra nel rapporto.

Assumendo il curatore la veste di conduttore, il locatore conserva il proprio diritto al pagamento dei canoni nei termini pattuiti e la correlativa obbligazione del curatore non si sottrae all'applicazione delle norme generali sull'adempimento (Cass. civ., sez. III, 6 aprile 1983, n. 2421). Il debito per canoni cui è tenuto il curatore va soddisfatto in prededuzione, ma ciò non toglie che esso debba essere accertato in sede concorsuale, secondo le modalità stabilite dagli artt. 93 ss. l. fall., in quanto a tale procedura di verifica sono assoggettati anche i crediti sorti dopo la dichiarazione di fallimento, da soddisfarsi con priorità rispetto a quelli concorsuali (Cass, civ., sez. I, 26 agosto 2004, n. 17000).

Il mancato adempimento, da parte del curatore, alle obbligazioni contrattuali (tra cui quella, fondamentale, di corrispondere il canone) può determinare la risoluzione del contratto. Va ricordato, in proposito, che per azioni che derivano dal fallimento, a norma dell'art. 24 l. fall. debbono intendersi non soltanto quelle che traggono origine dallo stato di dissesto, ma tutte quelle che incidono sul patrimonio del fallito e che, per la sopravvenienza del fallimento, sono sottoposte ad una speciale disciplina, con la conseguenza che deve essere affermata la competenza del tribunale fallimentare ogni qual volta l'accertamento di un credito verso il fallito costituisca premessa di una pretesa nei confronti della massa. Pertanto, con riferimento alla controversia instaurata dal locatore, nei confronti della curatela del fallimento del conduttore, per denunciare l'inadempimento di detta curatela (e del commissario nel caso dell'apertura della procedura di amministrazione straordinaria) subentrata nel rapporto locatizio ed ottenere la risoluzione del rapporto, nonché la condanna della convenuta al risarcimento dei danni, la competenza funzionale e inderogabile del tribunale fallimentare deve essere affermata limitatamente alla domanda risarcitoria, che ha ad oggetto un credito verso la massa, mentre la domanda principale di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento resta disciplinata dalle ordinarie regole di competenza, in quanto esula dalle previsioni dell'art. 24 citato, e non è soggetta alla vis actractiva della competenza sulla domanda accessoria, dovendo essere perciò proposta dinanzi al tribunale del luogo in cui si trovi l'immobile locato, al quale resta devoluto anche l'esame di tutte le eccezioni formulate dall'intimato in ordine alla validità del titolo ed alla prosecuzione del rapporto da parte del fallimento del conduttore (Cass. civ., sez. III, 21 ottobre 2005, n. 20350; conforme: Cass. civ., sez. I, 25 luglio 1997, n. 6976; sempre nel senso che il locatore può agire in sede ordinaria per la risoluzione e il rilascio, mentre non può ivi introdurre le pretese creditorie collegate all'inadempimento, dovendo avvalersi, per esse, della specifica procedura di accertamento del passivo prevista per le istanze che si indirizzino, pure per il tramite di un prioritario scrutinio circoscritto all'an debeatur, ad un prelevamento sull'attivo fallimentare: Cass. civ., sez. I, 6 ottobre 2005, n. 19494; Cass. civ., sez. I, 28 ottobre 1998, n. 10750).

Prevede il comma 3 dell'art. 80 l. fall. che nell'ipotesi di fallimento del conduttore, il curatore possa in qualunque tempo recedere dal contratto, corrispondendo al locatore un equo indennizzo per l'anticipato recesso, che nel dissenso fra le parti, è determinato dal giudice delegato, sentiti gli interessati: tale indennizzo è soddisfatto in prededuzione, giusta l'art. 111, n. 1), l. fall. e assistito dal privilegio di cui all'art. 2764 c.c. Nell'odierna versione dell'art. 80 l'equo indennizzo sostituisce, senza evidenti riflessi sul piano dei contenuti, il giusto compenso di cui alla originaria formulazione della norma. Può essere utile ricordare che con riferimento al giusto compenso la Corte di legittimità ha spiegato, in passato, che esso mirava ad indennizzare la lesione delle aspettative costituite con il rapporto (in relazione alla durata ed al canone pattuiti) e, pertanto, non poteva essere negato per il solo fatto che detto locatore avesse ricevuto il preavviso del recesso, occorrendo a tal fine accertare che, per effetto del preavviso, il locatore medesimo non avesse subito pregiudizio, ovvero fosse stato in grado di evitarlo, usando la dovuta diligenza, mediante un'altra adeguata ed utile destinazione del bene (Cass. civ., sez. I, 30 ottobre 1990, n. 10520): tale conclusione potrebbe ben valere, anche oggi, per l'equo indennizzo.

Da osservare, per ultimo, che il subentro del curatore non opera con riguardo al contratto di locazione che abbia ad oggetto l'immobile adibito ad abitazione del fallito, giacché in tal caso la locazione non integra un diritto patrimoniale compreso nel fallimento del conduttore secondo la previsione dell'art. 43 l. fall., bensì un rapporto di natura strettamente personale ai sensi dell'art. 46 della stessa legge, in quanto rivolto al soddisfacimento di un'esigenza primaria di vita, inidoneo ad incidere sugli interessi della massa e perciò indifferente per il curatore (Cass. civ., sez. I, 19 giugno 2008, n. 16668; in senso conforme, Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2009, n. 20804, secondo cui il conduttore fallito è da considerarsi legittimato all'esercizio, ex art. 79 della l. n. 392/1978, dell'azione di ripetizione dell'eccedenza dei canoni convenzionali pagati rispetto a quelli dovuti, la cui relativa somma non può ritenersi acquisita al fallimento stesso prima che la suddetta azione sfoci in una sentenza di condanna del locatore).

Guida all'approfondimento

Cavalera, La successione mortis causa nel contratto di locazione ex latere conductoris, in Immob. & proprietà, 2011, fasc. 6, 376;

Gabrielli - Padovini, La locazione di immobili urbani, Padova, 2005;

Guglielmucci, Gli effetti del fallimento, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali (III) diretto da Vassalli, Luiso e Gabrielli, Torino, 2004;

Nisio, Il nuovo articolo 80 della legge fallimentare, in Il diritto fall. e delle società comm., 2009, fasc. 3 e 4, I, 414;

Puce, Fallimento del conduttore di immobile adibito ad uso abitazione e natura personale del rapporto contrattuale, in Corr. giur., 2009, fasc. 4, 515;

Suppa, Morte del conduttore e successione nel contratto, in Corr. giur., 2013, fasc. 11, 1372.

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