Azioni che derivano dal fallimento

Giannino Bettazzi
20 Maggio 2020

Tradizionalmente, il tema delle azioni che derivano dal fallimento viene trattato e sviluppato in relazione all'art. 24 l. fall. Ancorché collocata nell'ambito della disciplina degli organi preposti alla principale procedura concorsuale, la norma di cui sopra ha natura squisitamente processuale, sottraendo alle comuni regole di competenza per territorio e per valore la cognizione delle controversie aventi ad oggetto le azioni che derivano dal fallimento (così attuando la c.d. vis attractiva del foro fallimentare).
Inquadramento

Avvertenza – Bussola in aggiornamento.

Tradizionalmente, il tema delle azioni che derivano dal fallimento viene trattato e sviluppato in relazione all'art. 24 l.fall.

Ancorché collocata nell'ambito della disciplina degli organi preposti alla principale procedura concorsuale, la norma di cui sopra ha natura squisitamente processuale, sottraendo alle comuni regole di competenza per territorio e per valore la cognizione delle controversie aventi ad oggetto le azioni che derivano dal fallimento (così attuando la c.d. vis attractiva del foro fallimentare).

Tuttavia, l'art. 24 l.fall. non offre la definizione di azioni derivanti dal fallimento, limitandosi appunto a stabilire che esse sono riservate alla competenza (funzionale ed inderogabile) del tribunale che ne ha disposto l'apertura, e rimettendo pertanto all'interprete il compito di individuarne i tratti distintivi.

Ancorché la predetta disposizione sia rimasta sostanzialmente invariata nel tempo (le scarse innovazioni apportate dalla riforma non ne hanno, infatti, modificato il contenuto), intorno all'esatta nozione di azioni che derivano dal fallimento continua a registrarsi difformità di opinioni, soprattutto in ambito dottrinale.

A grandi linee, si tratta delle azioni aventi ad oggetto pretese o prerogative che traggono la loro origine dalla dichiarazione di fallimento.

Vi rientrano certamente, e ne costituiscono la massima espressione, tutte le iniziative volte alla ricostituzione del patrimonio del fallito, e ne sono tendenzialmente escluse le controversie riguardanti diritti preesistenti alla apertura della procedura, nelle quali il curatore si sostituisce al fallito in virtù della legittimazione attribuitagli dall'art. 43 l.fall.

Tra le azioni derivanti dal fallimento si suole annoverare anche le c.d. "azioni di massa" (ora menzionate dall'art. 124 l.fall. a proposito della domanda di concordato fallimentare, ma anch'esse prive di definizione positiva) sebbene, facendo applicazione del criterio generale sopra enunciato, non risulti affatto pacifica la loro appartenenza alla anzidetta categoria.

Prima di esporre le diverse fattispecie dalle quali scaturiscono le azioni riservate alla competenza esclusiva del tribunale fallimentare, evidenziando criticità e contrasti interpretativi, giova precisare che esulano dal tema posto dall'art. 24 l.fall., e dunque dall'oggetto di queste note, le ipotesi di pretese (creditorie, obbligatorie o reali) nei confronti del fallito, che peraltro investono, propriamente, questioni di rito.

Le azioni dirette ad ottenere la ricostituzione del patrimonio del fallito

Come s'è accennato, derivano pacificamente dal fallimento tutte le azioni, promosse dal curatore nell'interesse dei creditori, finalizzate a conseguire la ricostituzione del patrimonio del debitore.

Trattasi, in particolare, delle azioni volte a far dichiarare l'inefficacia di atti di disposizione patrimoniale compiuti dal fallito che risultino pregiudizievoli alle ragioni dei creditori.

Oltre alla azione revocatoria fallimentare, che ne rappresenta l'esempio paradigmatico, appartengono a questa categoria tutte le iniziative contemplate dagli artt. 64 e ss. l.fall., ovverosia quelle collocate nella terza sezione, capo terzo, della legge fallimentare, non a caso titolata "degli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori".

Deve dunque ritenersi derivante dal fallimento anche l'azione revocatoria ordinaria, che il curatore è legittimato a promuovere, ovvero a proseguire, in forza del combinato disposto degli artt. 66 l.fall. e 2901 c.c.

La riconducibilità della actio pauliana al novero delle azioni che derivano dal fallimento non appare concettualmente pacifica.

Ed invero, avuto riguardo ai presupposti, l'azione revocatoria ordinaria non ha ad oggetto pretese o prerogative che traggono la loro origine dalla dichiarazione di fallimento.

Riprova ne sia che essa può essere esercitata dai creditori del soggetto poi dichiarato fallito, ed anzi non è affatto infrequente che i relativi giudizi figurino pendenti al momento della dichiarazione di fallimento del disponente (sulle interferenze processuali che ne conseguono, e che determinano la perdita della legittimazione e dell'interesse ad agire dell'attore originario, si vedano Cass. 8 settembre 2005, n. 17943, poi confermata da Cass. SS.UU. 17 dicembre 2008, n. 29420).

Tuttavia, ogni pur fondata riserva di natura teorica risulta superata dal chiaro tenore dell'art. 66 l.fall., che stabilisce espressamente la competenza del tribunale fallimentare e la legittimazione del curatore.

Tra le azioni di ricostituzione del patrimonio del fallito che devono ritenersi derivanti dal fallimento, ancorché riguardanti atti compiuti dopo la sentenza dichiarativa, vanno infine annoverate le azioni di inefficacia ex art. 44 l.fall. (Cass. 17 settembre 2014, n. 1724).

Per tutta questa tipologia di azioni, la vis attractiva del foro fallimentare risulta indiscussa e si esplica senza limitazioni di sorta: si noti che la competenza funzionale del tribunale che ha dichiarato il fallimento dell'imprenditore che ha compiuto l'atto pregiudizievole resta ferma anche nelle azioni revocatorie fallimentari promosse dal curatore nei confronti di altro fallimento (Cass. 4 ottobre 2016, n. 19795; Cass. 8 marzo 2012, n. 3672).

Trattandosi di azioni promosse dalla curatela nell'interesse dei creditori, le iniziative dirette alla ricostituzione del patrimonio del fallito si considerano quali "azioni di massa".

Le altre azioni che derivano dal fallimento

Oltre alle controversie di cui al paragrafo precedente, aventi ad oggetto l'inefficacia relativa degli atti dispositivi compiuti dal debitore, vengono comunemente considerate come derivanti dal fallimento, nell'accezione delineata in sede di inquadramento, anche le azioni che investono la responsabilità degli organi della procedura.

Ci si riferisce, in particolare, alla responsabilità del curatore fallimentare (art. 38 l.fall.) e dei componenti del comitato dei creditori (art. 41 l.fall.).

Sono inoltre devoluti alla competenza esclusiva del tribunale fallimentare i procedimenti connessi all'esercizio, da parte della curatela, della facoltà di scioglimento dei contratti in corso, secondo la disciplina dei rapporti giuridici pendenti di cui agli artt. 72 e ss. l.fall.

Per insegnamento costante della giurisprudenza di legittimità (risalente a Cass. 12 novembre 1993, n. 11189), infatti, la via attractiva prevista dall'art. 24 l.fall. opera per le controversie, anche se relative a rapporti preesistenti, che abbiano subìto deviazioni dallo schema legale tipico in dipendenza della sentenza dichiarativa, ivi comprese le azioni che scaturiscono dalla disciplina degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti e che incidono sulla procedura concorsuale in virtù delle particolari norme che la regolano (in termini, Cass. 23 giugno 2009, n. 14763; Cass. 6 giugno 2002, n. 8238).

Devono pertanto reputarsi di competenza esclusiva del tribunale fallimentare non solo i giudizi nei quali sia in discussione la legittimità del potere di scioglimento dal contratto (a cominciare dalla sussistenza dei presupposti di fatto, come ad esempio il trasferimento o meno della proprietà del bene nelle ipotesi di compravendita, ovvero l'accertamento circa la riconducibilità della fattispecie concreta ad uno dei rapporti giuridici disciplinati dagli artt. 72 e ss. l.fall.), ma pure le azioni direttamente connesse allo scioglimento, laddove da esso siano conseguite pretese restitutorie o di altra natura.

Per converso, qualora il curatore non abbia esercitato la potestà di recesso, ed agisca per far valere l'inadempimento della controparte contrattuale del fallito, la relativa controversia non si considera derivante dal fallimento, e sarà dunque soggetta alle ordinarie regole di determinazione della competenza.

Le altre "azioni di massa"

Come si è già riferito a proposito delle iniziative volte alla ricostituzione del patrimonio del debitore fallito, le ‘azioni di massa' si caratterizzano per la legittimazione sostitutiva del curatore rispetto ai creditori, nel cui generale interesse vengono promosse o proseguite.

In talune ipotesi, tale legittimazione figura attribuita direttamente da apposite disposizioni di legge, che trovano applicazione a seguito della dichiarazione di fallimento.

In altri casi, la sostituzione del curatore ai creditori risulta di matrice giurisprudenziale.

La fattispecie più importante della prima tipologia di azioni, anche per la sua diffusione, è senz'altro rappresentata dalla legittimazione a far valere la responsabilità degli organi sociali.

È a tutti noto, infatti, che a norma dell'art. 146 l.fall. (ed ora anche dell'art. 2394-bis c.c., che ne riproduce la previsione nell'ambito del diritto societario, estendendone la portata alle procedure di liquidazione coatta amministrativa e di amministrazione straordinaria) la legittimazione a promuovere l'azione di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci delle società fallite, nonché dei soci di società a responsabilità limitata nei casi di cui al settimo comma dell'art. 2476 c.c., spetta in via esclusiva, a seguito della dichiarazione di fallimento dell'ente, al curatore fallimentare.

Allo stesso modo, per effetto dell'apertura del concorso, compete al curatore od al commissario, ai sensi dell'art. 2497 c.c., la legittimazione a richiedere il risarcimento del danno derivante dall'abuso di direzione unitaria nei raggruppamenti di imprese soggette a coordinamento.

La giurisprudenza riconosce poi al curatore, in sostituzione dei creditori, la legittimazione ad esercitare le azioni surrogatorie e di simulazione, affermando la competenza esclusiva del tribunale fallimentare per i procedimenti che ne conseguono.

La necessità di devolvere al tribunale fallimentare la cognizione di tali giudizi viene argomentata attraverso la necessità che tutte le azioni destinate comunque ad incidere sulla procedura siano trattate unitariamente, al fine di garantire l'attuazione del principio della par condicio creditorum.

In questi casi, la vis attractiva non incontra limitazioni e prevale su ogni altro criterio di attribuzione, anche funzionale, della competenza (per una fattispecie in materia di locazione, Cass. 20 luglio 2004, n. 13496).

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità risulta consolidata ed uniforme (oltre al predetto precedente, si vedano Cass. 8 agosto 2007, n. 17388; Cass. 9 luglio 2005, n. 14481; Cass. 22 maggio 2002, n. 7510).

Tra le ‘azioni di massa' giova infine rammentare l'azione risarcitoria per abusiva concessione di credito nei confronti delle banche che hanno finanziato l'impresa poi fallita, la cui esperibilità da parte del curatore fallimentare ha sempre formato oggetto di ampia discussione, e risulta tuttora controversa.

E' noto, infatti, che la giurisprudenza ha in passato negato la legittimazione del curatore a far valere tale pretesa, sul presupposto che il pregiudizio derivante dall'incremento delle passività, per effetto della artificiosa concessione di (ulteriore) credito all'impresa già insolvente, si producesse in capo ai singoli creditori, e non già alla collettività indistinta degli stessi (Cass., SS.UU., 28 marzo 2006, n. 7030).

Da ultimo, si è ritenuto che la curatela sia bensì legittimata a richiedere il risarcimento del danno agli istituti di credito che abbiano colpevolmente continuato a finanziare l'impresa, ma solo qualora risulti provato un danno provocato direttamente alla fallita in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento (in termini, Cass. 20 aprile 2017, n. 9983; Cass. 1 giugno 2010, n. 13413).

Va da sé peraltro che, in tal caso, la legittimazione ad agire discenderebbe dall'art. 43 l.fall., sostituendosi il curatore al fallito nell'esercizio di un diritto facente parte del suo patrimonio, e la domanda risarcitoria non si tradurrebbe dunque in un'azione di massa, con conseguente inoperatività della vis attractiva stabilita dall'art. 24 l.fall..

Le azioni che non derivano dal fallimento

Se la riconducibilità delle "azioni di massa" al novero delle controversie che si considerano derivanti dal fallimento appare quantomeno dubbia, se ne devono ritenere pacificamente escluse tutte quelle che tendono a tutelare i diritti di credito del fallito verso terzi.

Anche a questo riguardo, la giurisprudenza risulta uniforme.

Ed invero, per insegnamento costante della giurisprudenza di legittimità rimangono soggette alle ordinarie regole di determinazione della competenza le azioni promosse dalla curatela fallimentare al fine di ottenere il pagamento di crediti del fallito, senza che in contrario rilevi il virtuale recupero di mezzi attivi alla massa (Cass. 9 novembre 2005, n. 21708; Cass. 5 luglio 2000, n. 8990; Cass. 15 febbraio 1999, n. 1240).

Le conclusioni non mutano qualora il giudizio, del quale è parte il curatore, abbia ad oggetto l'invalidità (Cass. 26 agosto 2004, n. 17057; Cass. 15 settembre 1997, n. 9156), ovvero anche la risoluzione per inadempimento (Cass. 25 luglio 1997, n. 6976), di un contratto concluso dal fallito prima dell'apertura del concorso.

In proposito, si afferma che debbono reputarsi estranee all'area di applicabilità dell'art. 24 l.fall. non solo le azioni già esistenti nel patrimonio del fallito, ancorché poi proposte dal curatore, ma anche tutte quelle controversie che si trovino, rispetto alla dichiarazione di fallimento, in una situazione di mera occasionalità.

Sulla scorta di tali argomentazioni, la vis attractiva è stata negata anche in relazione ai procedimenti scaturiti da contratti conclusi direttamente dalla amministrazione fallimentare (Cass. 8 giugno 2005, n. 12004; Cass. 15 febbraio 1999, n. 1240).

Sempre alla stregua dei criteri così elaborati, si è recentemente affermato che il curatore fallimentare, laddove agisca a titolo di ripetizione dell'indebito, deve ritenersi quale sostituto del fallito, con le anzidette conseguenze in ordine alla natura dell'azione ed alla competenza a conoscere della relativa controversia (Cass. 21 novembre 2016, n. 23630).

Bibliografia

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Sommario