Uso promiscuo della cosa locata

Mauro Di Marzio
25 Agosto 2017

La disciplina della locazione muta a seconda dell'uso al quale la cosa locata è destinata, sicché sorge il problema dell'individuazione della disciplina applicabile quando l'immobile, alla stregua della previsione contrattuale, sia destinato ad una pluralità di usi tra loro diversi, disciplina che è in generale individuata attraverso il criterio della prevalenza.
Inquadramento

La storia della locazione, dal codice civile in poi, può essere compendiata nel passaggio dal singolare al plurale: dalla locazione alle locazioni, da un tipo contrattuale onnicomprensivo, quello codicistico descritto dall'art. 1571 c.c., ad una pluralità sempre più frammentata di figure, tutte riconducibili al tipo della locazione, ma caratterizzate da una propria peculiare disciplina giuridica giustificata dalla destinazione d'uso dell'immobile locato.

Così, l'architettura delle locazioni urbane poggia anzitutto sulla bipartizione tra locazioni abitative e non abitative, le quali sono sottoposte a regole in buona parte distinte. Ma la pluralità di usi corrispondenti a diverse discipline giuridiche non riflette la sola dicotomia degli usi abitativi e non abitativi: vi sono infatti usi abitativi diversamente regolati (le locazioni abitative primarie e quelle non primarie, ad esempio); e così pure usi non abitativi assoggettati a specifiche regole (si pensi agli usi commerciali e agli studi professionali); e, ancora, usi sottratti alla disciplina speciale, tanto abitativa quanto non abitativa, ed assoggettati al solo codice civile (garage, foresterie, magazzini, quando non riflettano usi riconducibili ai due grandi settori menzionati).

È ben possibile, tuttavia, che le parti stabiliscano di destinare l'immobile locato ad una pluralità di usi, ciascuno dei quali regolato, per suo conto, da una propria disciplina giuridica (Lazzaro - Di Marzio, 184). Si immagini il caso, ad esempio, della locazione di un immobile per l'esercizio di un'attività artigianale, poniamo quella del sarto, ed altresì per abitazione dell'artigiano: in tal caso verrebbero in questione, da un lato, un uso soggetto alla disciplina dettata dagli artt. 27 ss. l. 392/1978 e, dall'altro lato, un uso regolato dalla legge sulle locazioni abitative. In applicazione dell'una disciplina il rapporto (soffermando l'attenzione sull'aspetto di più immediata percezione) avrebbe durata minima di sei anni più sei (art. 28 e 29 l. n. 392/1978), in applicazione dell'altra avrebbe durata minima di quattro anni più quattro (art. 2 e 3 l. n. 431/1998).

Ecco, dunque, la necessità di individuare un criterio attraverso il quale determinare la disciplina giuridica applicabile in caso di locazioni di immobili adibiti ad uso promiscuo.

Il criterio della prevalenza

Fin dall'epoca di applicazione del regime vincolistico la giurisprudenza ha utilizzato il criterio della «prevalenza». Procedendo a ritroso di oltre mezzo secolo, già si trova ad esempio affermato che: «Se l'immobile è adibito a più usi, consentiti dal contratto, e ciascun uso comporta una regolamentazione giuridica diversa, il giudice, ai fini dell'applicazione delle norme relative del regime vincolistico deve stabilire quale sia l'uso prevalente facendo riferimento al criterio della prevalenza negoziale. La locazione d'immobili urbani ad uso promiscuo va assoggettata alla disciplina unitaria della locazione degli immobili urbani ad uso di abitazione o ad uso diverso a seconda della prevalenza nel rapporto degli elementi costitutivi della destinazione all'uno od all'altro uso» (Cass. civ., sez. III, 14 marzo 1963, n. 627). Ancora all'indomani dell'entrata in vigore della legge dell'«equo canone» è stato ripetuto che la destinazione di un immobile locato ad uso di abitazione, al fine dell'assoggettamento del rapporto a regime vincolistico va riscontrata, in ipotesi di utilizzazione promiscua, con riguardo all'uso prevalente, quale risulta dalla comune volontà delle parti. L'indicata destinazione, pertanto, deve essere esclusa nel caso di un immobile adibito specificamente a scuola, ove l'utilizzazione di alcuni locali, per abitazione del personale insegnante, si presenti, alla stregua del contratto, come secondaria ed accessoria (Cass. civ., sez. III, 13 marzo 1982, n. 1663; Cass. civ., sez. III, 4 gennaio 1977, n. 19).

Con l'entrata in vigore della l. n. 392/1978 il criterio della prevalenza ha trovato riconoscimento normativo nella seconda parte dell'ultimo comma dell'art. 80, secondo cui: «Qualora la destinazione ad uso diverso da quello pattuito sia parziale, al contratto si applica il regime giuridico corrispondente all'uso prevalente».

Successivamente all'introduzione di quest'ultima disposizione, quindi, il principio della prevalenza è stato costantemente agganciato ad essa, anche attraverso il congegno dell'interpretazione analogica (Di Marzio - Falabella, 337). Si è così in primo luogo chiarito che, nel vigore della legge dell'«equo canone» – e nulla è cambiato, sotto quest'aspetto, in seguito all'entrata in vigore della l. n. 431/1998 sulle locazioni abitative –, le parti possono liberamente stipulare contratti di locazione con destinazione dell'immobile ad uso promiscuo:

In evidenza

Se pur la l. n. 392/1978 non prevede una specifica disciplina degli immobili locati fin dall'origine a più usi, per comune volontà dei contraenti, riferendosi l'art. 80 (secondo periodo del secondo comma) all'ipotesi di mutamento parziale della destinazione d'uso, dovuta all'arbitraria iniziativa del conduttore, ciò non toglie, tuttavia, che le parti possano pattuire, fin dalla stipulazione del contratto, la destinazione a più usi dell'immobile locato, rientrando ciò nella loro autonomia e non essendovi norme che ne limitino il contenuto (Cass. civ., sez. III, 3 giugno 1993, n. 6223).

Ammessa la liceità della locazione ad uso promiscuo, si trova dunque ripetuto che, nel caso in cui l'uso promiscuo dell'immobile locato sia stato previsto dal contratto, il rapporto, in virtù dell'applicazione analogica del criterio indicato dall'art. 80, ultimo comma, della l. n. 392/1978, deve considerarsi regolato dall'uso prevalente voluto dalle parti a meno che, avendo il conduttore adibito l'immobile per un uso diverso, non debba assumere rilievo l'uso effettivo, secondo la previsione del richiamato art. 80 (Cass. civ., sez. III, 16 giugno 2003, n.9612; Cass. civ., sez. III, 14 novembre 1997, n.11266).

Sul piano applicativo, quindi, la giurisprudenza ha a suo tempo chiarito, ad esempio, che, in caso di destinazione del immobile locato ad uso promiscuo, il locatore ben poteva esercitare il recesso per necessità, a condizione della prevalenza dell'uso abitativo. Così, è stato affermato che: «La mancata previsione espressa, nella l. 27 luglio 1978, n.392, dell'ipotesi di locazione d'immobile adibito ad uso promiscuo, non implica l'inammissibilità del recesso del locatore in relazione alle locazioni di tale tipo, soccorrendo, ai fini dell'individuazione della disciplina applicabile al caso concreto, il principio dell'uso prevalente» (Cass. civ., sez. III, 3 luglio 1982, n. 3985).

Criterio della prevalenza ed indennità di avviamento

Una delle più significative applicazioni del criterio di prevalenza si trova effettuata con riguardo all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale prevista dall'art. 34 della l. n. 392/1978. Come si sa, l'art. 35 della stessa legge prevede la sussistenza del diritto all'indennità soltanto nell'ipotesi di svolgimento di un'attività a contatto col pubblico degli utenti e dei consumatori. E tuttavia accade frequentemente che l'immobile venga locato per attività che solo in parte si svolgono in diretto rapporto con il pubblico.

Trova in proposito applicazione la regola che segue, formulata con riguardo alla comune ipotesi del locale destinato in parte a vendita ed in parte a deposito:

In evidenza

In tema di locazione di immobili urbani ad uso diverso da quello abitativo, quando il locale, strutturalmente unitario e oggetto di un rapporto unico e indistinto, sia adibito a più usi commerciali, in parte come deposito e in parte destinato al contatto diretto con il pubblico, il diritto all'indennità per la perdita di avviamento, prevista dall'art. 34 l. n. 392/1978, sorge e va commisurato all'intero canone di locazione solo se risulti prevalente l'attività di contatto diretto con il pubblico (Cass. civ.,sez. III, 7 luglio 2016, n. 13936; Cass. civ., sez. III, 25 marzo 2010, n.7173).

Sicché, qualora il contratto abbia ad oggetto locali comunicanti ma aventi diversa destinazione commerciale (nella specie, magazzino e negozio), e il canone sia unico e indistinto, il locatore non può sottrarsi al pagamento dell'indennità di cui all'art. 34 della l. 27 luglio 1978, n.392, commisurata all'intero canone nell'assunto che solo una parte dell'immobile strutturalmente unitario - al di là delle distinte indicazioni catastali - sia destinato al contatto diretto con il pubblico, spettando la detta indennità quando l'attività che comporti il contatto diretto con il pubblico sia prevalente, e dovendosi commisurare la stessa, anche in tal caso, all'intero canone e non alla parte di esso riferibile alla sola superficie utilizzata per il contatto diretto con il pubblico (Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2010, n.3592).

Parametri di valutazione della prevalenza

Una volta individuato il criterio della prevalenza, occorre ulteriormente interrogarsi sull'identificazione dei parametri da applicare allo scopo di verificare quale degli usi contrattualmente previsti prevalga sugli altri, sì da determinare la disciplina giuridica applicabile. In proposito, è ricorrente l'affermazione del preminente rilievo della volontà delle parti.

Quando l'uso promiscuo sia stato pattuito dalle parti, il giudice, al fine di stabilire quale regime giuridico debba essere applicato al contratto, deve in primo luogo, accertare quale sia stata la volontà delle parti in ordine all'uso prevalente e se variazioni consensuali in ordine a tale punto siano sopravvenute nel corso del rapporto. Solo dopo aver proceduto a tale accertamento e nell'ipotesi che da taluna delle parti venga prospettata l'esistenza di un rapporto di prevalenza diverso da quello pattuito, tale da incidere sulla disciplina giuridica del contratto (o perché si deduca che il contratto sia frutto di un accordo simulatorio ovvero perché la destinazione dell'immobile sia stata unilateralmente mutata dal conduttore), il giudice potrà procedere all'accertamento dell'uso effettivo e conseguentemente, in applicazione del richiamato disposto dell'ultimo comma dell'art. 80, applicare al contratto il corrispondente regime giuridico (Cass. civ., sez. III, 18 gennaio 1993, n. 583; Cass. civ., sez. III, 9 maggio 1994, n. 4482).

Nella formulazione del giudizio di prevalenza, perciò, si deve in primo luogo prestare attenzione alla volontà manifestata dalle parti. Ciò, tuttavia, non importa – ha chiarito la Suprema Corte – che tale volontà debba avere sempre e comunque rilievo determinante ed insuperabile, anche nel contrasto con l'utilizzazione effettiva dell'immobile locato. Difatti, può accadere che la pattuizione sia frutto di un accordo simulato, ovvero che la destinazione dell'immobile sia stata unilateralmente mutata dal conduttore: ed in simili ipotesi, ove l'interessato solleciti un giudizio di prevalenza disancorato dalla volontà (soltanto apparente, oppure vera e reale) dei contraenti, occorre rifarsi all'uso effettivo.

Oltre ad accadere che le parti abbiano manifestato in contratto una volontà simulata, oppure che la volontà vera e reale sia stata superata dalla destinazione d'uso in concreto impressa dal conduttore al bene, può darsi il caso che il contratto non manifesti una univoca volontà in ordine alla prevalenza dell'uno o dell'altro uso al quale l'immobile è stato convenzionalmente destinato. In tal caso, mancando una volontà comune, non può che ricorrersi al criterio della prevalenza in concreto: «In tema di immobile concesso in locazione ad uso promiscuo (abitativo e non) quando il giudice del merito [...] abbia escluso una comune volontà delle parti di stabilire quale degli usi consentiti debba essere quello prevalente, ai fini dell'individuazione del regime giuridico applicabile, deve ritenersi consentita a detto giudice l'indagine sull'uso effettivo prevalente dell'immobile, in applicazione analogica del criterio di cui all'art. 80 della l. n. 392/1978» (Cass. civ., sez. III, 20 luglio 1998, n. 6456).

Non avendo provveduto le parti a determinare l'uso prevalente, questo non può essere desunto dal semplice raffronto tra le superfici destinate all'uno e all'altro uso. La prevalenza – la quale è oggetto di un giudizio di merito, come tale non sindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici: Cass. civ., sez. III, 12 giugno 1990, n. 5689 – infatti, non va stabilita sulla base di un criterio spaziale, ma con riferimento all'importanza delle varie utilizzazioni (Cass. civ., sez.III, 24 marzo 1999, n. 2792).

CASISTICA

Affittacamere

La S.C., utilizzando il criterio dell'importanza di ciascun uso rispetto all'altro, ha così osservato «che il criterio da seguire non possa consistere semplicemente nella superficie: si ravvisa determinante l'accertamento se l'abitazione del conduttore e della sua famiglia (od anche di personale) sia in funzione dello svolgimento dell'attività di affittacamere – avente rilevanza principale, e determinando quindi l'uso dell'immobile – o se, invece, tale attività sia marginale. Si deve quindi svolgere l'indagine più penetrante e completa, non limitata al raffronto fra le superfici. Nella prima ipotesi, si avrebbe locazione con destinazione diversa dall'abitazione (con applicazione eventualmente dell'art. 80), conseguendone l'operatività della relativa disciplina legislativa per il periodo transitorio». (Cass. civ., sez. III, 22 gennaio 1991, n. 575; Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 2002, n. 17167)

Forno e panetteria con annessa abitazione

È stata ritenuta la prevalenza dell'uso non abitativo con riguardo al caso del forno e della panetteria con annessa abitazione, considerata la maggiore incidenza della destinazione commerciale nell'economia del rapporto. (Trib. Perugia 19 settembre 1985; Pret. Santhià 11 gennaio 1988; Pret. Cremona 20 luglio 1988; Pret. Parma 11 febbraio 1988)

Abitazione e attività di parrucchiere

Oggetto di esame, in giurisprudenza, è stato anche il caso di un immobile adibito sia ad abitazione sia ad attività di parrucchiere. (Pret. Taranto 30 ottobre 1981; per altre ipotesi v. pure Trib. Napoli 24 febbraio 1984; Pret. Piacenza 21 novembre 1985)

Attività artigianale svolta anche in altro luogo

Nel caso di locazione di un immobile in parte ad uso abitativo ed in parte ad uso diverso da quello abitativo, in altra occasione, è stato sostenuto doversi applicare il regime giuridico delle locazioni ad uso abitativo se al momento dell'inizio della locazione l'attività (nella specie artigianale) venga esercitata anche in un altro luogo mentre di nessun'altra abitazione disponga il conduttore, poiché in tal caso l'esigenza più impellente e primaria soddisfatta dalla locazione è per il conduttore quella abitativa. (Pret. Firenze 30 ottobre 1992)

Attività lavorativa accessoria

L'esercizio tra le pareti domestiche, da parte del conduttore, di un'attività lavorativa accessoria non necessariamente contrasta con la destinazione unitariamente abitativa dell'immobile. (Cass. civ., sez. III, 28 novembre 1983, n. 7128)

Resta ancora da rammentare che la giurisprudenza di merito ha in passato ricercato – senza che il tentativo abbia avuto seguito – criteri diversi da quello della prevalenza. Così, si è sostenuto che nella locazione d'immobili destinati ad uso promiscuo, qualora l'immobile sia divisibile e non sussista un nesso di pertinenzialità fra i vari locali, si applica un regime binario, scindendo le parti dell'immobile e le normative applicabili a ciascuna di esse; in mancanza, se le attività svolte nelle singole parti si equivalgono e sono anche solo in, complementari, si applica in regime più favorevole al conduttore (Pret. Verona 13 gennaio 1992).

Pluralità di immobili locati con distinti o con unico contratto

Al di fuori del campo di applicazione del principio della prevalenza si colloca l'ipotesi della locazione di distinte porzioni immobiliari, sia pure collegate, mediante separati contratti, i quali mantengono in tal caso la propria individualità.

Il criterio della prevalenza, cioè, è applicabile se con un unico contratto venga pattuita la locazione di un unico immobile, adibito ad uso promiscuo: se, invece, parti di un unico immobile siano locate con separati contratti, l'uso determinante la disciplina giuridica di ciascuna di esse è quello stabilito dalla volontà contrattuale (Cass. civ., sez. III, 24 marzo 1999, n. 2792, cit.).

Il criterio della prevalenza, dunque, postula non solo l'unicità del contratto locativo, ma anche l'unicità dell'immobile locato, essendo altrimenti individuabile il regime giuridico sulla base della tipologia concretamente attuata. In altri termini, se con unico contratto venga locato un unico immobile suscettibile di una pluralità di usi, si rende necessario individuare il regime giuridico e l'individuazione avviene in base al criterio dell'uso prevalente, mentre se vengono locati con separati contratti parti di un unico immobile, suscettibili ciascuna di un uso differente (come avviene, ad esempio, quando si loca prima una parte dell'immobile per un uso determinato e successivamente altra o altre parti di esso per uso o usi differenti), si autonomizzano i vari usi ed il regime giuridico applicabile a ciascun rapporto locativo è quello corrispondente alla tipologia prescelta senza alcuna necessità di unificazione di regime (Cass. civ., sez. III, 24 marzo 1999, n. 2792, cit.).

È stato ritenuto, cioè, che la disciplina unitaria di un contratto locatizio sulla base del criterio della prevalenza sia applicabile solo quando un immobile unico sia stato locato ad uso promiscuo, ovvero più beni, con destinazione diversa, risultino obiettivamente indivisibili o in rapporto pertinenziale. Allorché, invece, vengano locate, sebbene con lo stesso contratto, più unità immobiliari effettivamente divisibili, con destinazione diversa e non legate da vincolo pertinenziale, ciascuna di esse è soggetta alla disciplina che le è propria (Pret. Cremona 11 ottobre 1985). Ciò nel caso della locazione di una porzione di immobile destinata a bar, caffè, pasticceria e di una porzione al piano superiore destinata ad uso abitazione. Non dissimilmente un giudice di merito ha ritenuto che, qualora l'immobile, locato ad uso promiscuo (nella specie, di abitazione e di negozio), sia divisibile e non vi sia alcun vincolo di pertinenzialità tra i vari locali, si applica pro quota il regime giuridico corrispondente ad ognuno degli usi convenuti (Pret. Bari 8 giugno 1984; Pret. Bari 24 gennaio 1985).

Parimenti al di fuori del campo di applicazione del criterio della prevalenza può collocarsi il caso che un contratto di locazione formalmente unico abbia ad oggetto beni con diversa destinazione: in tale ipotesi neppure la previsione di un corrispettivo unitario implica necessariamente che il rapporto debba considerarsi unitario e inscindibile anche da un punto di vista sostanziale, mentre è possibile che beni distinti, anche se dedotti in un unico contratto, seguano ciascuno la propria pertinente regolamentazione in forza di distinti rapporti locativi (Cass. civ., sez. III, 10 agosto 2002, n.12143).

Nella prospettiva che precede, dunque, si è osservato che, nel caso in cui locali con destinazione ad abitazione e locali destinati a diverso uso siano oggetto di un solo contratto di locazione ed assoggettati ad unico corrispettivo, l'eventuale causa di decadenza dalla proroga legale che si verifichi per gli uni non si estende agli altri e viceversa: salvo che i locali per i quali non si è verificata alcuna causa di decadenza siano obiettivamente indivisibili o costituiscano pertinenza degli altri (Cass. civ., sez. III, 28 luglio 1987, n. 6534; Cass. civ., sez. III, 2 ottobre 1984, n. 4859).

Guida all'approfondimento

Lazzaro - Di Marzio, Le locazioni per uso abitativo, Milano, 2002;

Di Marzio - Falabella, La locazione, Torino, 2010;

De Tilla, Pluralità di immobili locati e prevalenza d'uso, in Riv. giur. edil., 1999, I, 972;

De Tilla, Sull'uso promiscuo dell'immobile locato, in Riv. giur. edil., 1994, I, 299.

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