Locazione di cosa altruiFonte: Cod. Civ. Articolo 1338
29 Agosto 2017
Inquadramento
Quello della locazione di cosa altrui è un tema classico, eppure riassunto in una formula fuorviante, la quale riecheggia, in modo inappropriato, la rubrica dell'art. 1478 c.c., dettato per la vendita di cosa altrui. Ognuno intende, anzitutto, che la locazione conclusa, ad esempio, dall'usufruttuario è anch'essa una locazione di cosa altrui: stipulata, però, dal titolare del diritto di godere della cosa, traendone ogni utilità (art. 981 c.c.), ivi compresi i frutti civili (art. 984 c.c.) prodotti dalla concessione del bene in locazione, sia pure entro i limiti temporali previsti dall'art. 999 c.c.. Il contratto di locazione stipulato dall'usufruttuario, dunque, è validamente ed efficacemente concluso, nè è destinato ad essere esposto ad interferenze ad iniziativa del nudo proprietario. Il poblema della locazione di cosa altrui, in simile frangente, neppure si pone. Il tema in discorso, viceversa, si impone nelle ipotesi in cui le vesti del locatore siano assunte da colui che non è titolare di un diritto, reale o personale, comprensivo della facoltà di locare (si pensi all'usuario o all'habitator, ex art. 1024 c.c., o al conduttore, in caso di sublocazione vietata) ovvero che, ancor più in radice, abbia soltanto la disponibilità materiale della cosa, quale, in caso estremo, l'usurpatore. Gli apporti della dottrina
Per quanto attiene agli apporti della dottrina, il dibattito sulla locazione di cosa altrui risente della difficoltà di inquadramento dogmatico del diritto del conduttore, che è stato definito «uno dei punti più scabrosi dell'intera dogmatica giuridica» (Barbero 1951, 322). Tralasciando l'esame storico del problema, varrà rammentare che, nel vigore del codice civile, una volta sancita legislativamente la validità della vendita di cosa altrui, all'art. 1478 c.c., si sono determinati tre orientamenti.
La locazione di cosa altrui nella giurisprudenza
La giurisprudenza muove dall'osservazione che il contratto di locazione appartiene alla categoria dei contratti ed efficacia obbligatoria: sicché, per assumere la veste di locatore, non è richiesta la titolarità del potere di disposizione della cosa locata. Ben si comprende, allora, il principio, più volte ribadito, secondo cui:
Così, ad esempio, ben può assumere la veste di locatore in nudo proprietario, quando abbia la materiale disponibilità della cosa (Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2007, n. 9493). L'impostazione secondo cui chiunque abbia la disponibilità materiale della cosa può validamente ed efficacemente stipulare il contratto di locazione, coerentemente applicata nel suo sviluppo logico, rende manifesto che chiunque, anche l'usurpatore, possa rendersi locatore. Nell'ambito dei rapporti tra le parti rimarrà in concreto da verificare se il locatore adempia per il tempo convenuto l'obbligazione di far godere assunta con la stipulazione, oppure se la sua qualità di usurpatore si ripercuota in pregiudizio del rapporto locativo. Altrimenti il contratto sarà stato non soltanto validamente ed efficacemente concluso, ma si sarà anche svolto nel rispetto del modello normativo. Resteranno soltanto impregiudicati i diritti del proprietario e salva in ogni caso la responsabilità del locatore, carente di titolo e di poteri, nei confronti sia del proprietario come del conduttore (Cass. civ., sez. III, 27 aprile 1979, n. 2455). Del resto, che il contratto sorga valido ed efficace e tale rimanga sino a quando il conduttore non perda il godimento della cosa locata, pare trovare conferma nella formulazione dell'art. 1585 c.c., il quale obbliga il locatore alla garanzia per molestie non per il fatto in sé considerato che un terzo pretenda di avere diritti sulla cosa locata, ma solo se le molestie diminuiscano l'uso o il godimento della medesima. Dunque apparire che nella giurisprudenza si manifesti al riguardo un contrasto rappresentato tra le tante dalle massime che seguono.
Nel secondo gruppo di Massimo sembra richiedersi un qualche elemento ulteriore, oltre alla disponibilità materiale del bene: una sorta di legittimazione a locare, è che nozione discussa e, con specifico riguardo al contratto di locazione, in netta prevalenza respinta (Mirabelli, 58 e 182; Tabet, 177 ss.; Cosentino - Vitucci, 37). E, ancora apparentemente, la deviazione dell'indirizzo giurisprudenziale precedentemente esposto sembra rimarcato in un precedente arresto in cui si precisa che non può assumere la qualità di locatore colui che abbia soltanto la disponibilità di fatto della cosa stessa (Cass. civ., Sez. III, 25 agosto 1982, n. 4714, e molte altre massime di tenore più o meno analogo). In realtà, a ben guardare, il contrasto sembra da attribuire essenzialmente ad un equivoco, e cioè al fenomeno delle cosiddette massime «mentitorie», le quali tradiscono il contenuto effettivo delle decisioni da cui sono estratte (Gabrielli - Padovini, 79). Dalla lettura per esteso delle sentenze da cui le molte massime alle quali si è fatto cenno sono state estratte emerge che esse attengono in effetti non già al profilo della validità ed efficacia del contratto nei rapporti tra locatore e conduttore, bensì dell'opponibilità del medesimo contratto al proprietario, terzo rispetto ad esso. Essenza di tali massime è che la locazione stipulata dal non proprietario non è opponibile al proprietario: e si tratta di un principio ineccepibile, giacché mai l'usurpatore di una cosa, che poi viene data in locazione, può impegnare il vero proprietario, rimasto estraneo al contratto; ma ciò non significa che il contratto di locazione stipulato dall'usurpatore non sia pienamente valido ed efficace nei rapporti tra lo stesso usurpatore ed il conduttore (Gabrielli - Padovini, 80). Insomma, pare doversi escludere che, accanto all'indirizzo tradizionale secondo cui chiunque abbia la disponibilità materiale della cosa può legittimamente stipulare il contratto di locazione, vi sia un contrastante – e consapevole – indirizzo che esclude dal novero dei potenziali locatori coloro i quali abbiano la disponibilità materiale della cosa ma manchino di un titolo che li legittimi a trasmetterne il godimento. Viceversa, emerge il punto decisivo, ossia che, ferma la validità ed efficacia inter partes del contratto, ciò che viene in discorso è l'opponibilità di quella locazione al dominus. Come è stato detto: «Tutte le questioni che si agitano … in relazione alla validità della locazione stipulata da locatore non legittimato … a null'altro si riducono che a problemi di opponibilità della locazione al terzo titolare di posizione preminente e di deficienza di attuazione del contratto» (Mirabelli, 278). Corollari giurisprudenziali in tema di locazione di cosa altrui
Passando all'esame delle conseguenze pratiche del principio esposto, non v'è dubbio che il locatore, ancorché non proprietario, sia legittimato ad agire per tutte le questioni che concernono la costituzione, lo svolgimento e la cessazione del rapporto.
I principi che precedono hanno ricevuto applicazione in diverse fattispecie.
La tutela del conduttore nella locazione di cosa altrui
Una volta stipulato il contratto di locazione di cosa altrui, come tale valido ed efficace, può accadere che il locatore non adempia, perché impossibilitato, l'obbligazione di consegna di cui all'art. 1575, n. 1) c.c., ovvero che il conduttore, dopo la consegna, perda il godimento della cosa locata per fatto del dominus. Ebbene, se l'impegno contrattuale non viene attuato, in quanto l'esercizio della pretesa da parte del terzo proprietario lo rende inattuabile, non v'è dubbio che la tutela del conduttore debba restare affidata al consueto rimedio della risoluzione per inadempimento, con il conseguente eventuale risarcimento del danno, ai sensi della regola generale posta dall'art. 1453 c.c. (Mirabelli, 277; Tabet, 183; Provera, 90; Gabrielli - Padovini, 80). Ciò indipendentemente dalla conoscenza dell'altruità della cosa da parte del conduttore al momento della stipulazione, se non per gli effetti del contenimento del danno nei limiti della prevedibilità ai sensi dell'art. 1225 c.c. (Mirabelli, 277), giacché tale conoscenza non fa venir meno il connotato di inadempimento della condotta posta in essere dal locatore, il quale viene meno all'osservanza dell'obbligazione fondamentale di far godere la cosa locata. Parimenti nulla rileva l'eventualità che sia il locatore ad ignorare l'altruità della cosa locata, giacché l'inadempimento, secondo l'art. 1218 c.c., è escluso non già dalla buona fede, bensì dalla non imputabilità (Tabet, 183). Distinta questione è se il conduttore che, al momento della stipulazione, abbia ignorato l'altruità della cosa, della quale venga a conoscenza in costanza di rapporto, possa avvalersi di un qualche rimedio. È ben comprensibile, infatti, che, pur dinanzi all'attuale regolarità di svolgimento del vincolo, altra cosa è sapere che esso non subirà legittime aggressioni da parte del dominus piuttosto che rimanere esposti allo specifico rischio di una sua eventuale reazione. Ed infatti, la ragione da taluni addotta, nel vigore del codice civile del 1865, a sostegno della tesi dell'invalidità della locazione di cosa altrui stava proprio in ciò, che il conduttore ignaro potesse rimanere comunque vincolato all'adempimento delle obbligazioni sorgenti dal contratto. Si è dunque invocata l'applicazione analogica dell'art. 1479 c.c., posto in tema di vendita di cosa altrui, il quale stabilisce che il compratore in buona fede può domandare la risoluzione del contratto (Lazzara, 104 ss.). Ma la tesi non sembra condivisibile, per la già evidenziata differenza strutturale tra la vendita, contratto ad efficacia reale, e la locazione, contratto ad efficacia obbligatoria. È stato in proposito evidenziato quanto segue: «Nel caso della vendita, infatti, l'effetto normale e tipico è, secondo la norma generale dell'art. 1376 c.c., il trasferimento immediato e diretto della proprietà della cosa venduta in dipendenza del perfezionamento stesso del contratto. Chi, dunque, conclude un contratto traslativo quale è per eccellenza la compravendita, nutre la legittima aspettativa di divenire proprietario del bene nell'attimo stesso in cui vi sia il consenso delle parti legittimamente manifestato. La mancata produzione dell'effetto traslativo rende il venditore inadempiente: risulta, quindi, che la norma dell'art. 1479 c.c. non è altro che la coerente applicazione alla compravendita dei principi della risoluzione per inadempimento. Tali principi non possono, tuttavia, trovare applicazione nel caso della locazione, perché il locatore non è affatto inadempiente alla sua obbligazioni tipica se, pur privo della legittimazione a disporre, consegna la cosa al conduttore e di fatto gliene assicura il godimento» (Gabrielli-Padovini, 82). Altri hanno ipotizzato il ricorso all'art. 1461 c.c., che legittima ciascun contraente a sospendere l'esecuzione della prestazione in presenza di un mutamento delle condizioni patrimoniali dell'altro contraente che ponga in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione: il rischio che l'interesse contrattuale rimanga pregiudicato per iniziativa del dominus potrebbe dunque essere interpretato, secondo quest'impostazione, quale mutamento nel senso voluto dalla norma (Coco, 935). La soluzione però sembra forzata, giacché la situazione di difetto di legittimazione del locatore non sopravviene alla stipulazione del contratto, ma preesiste ad essa (Gabrielli-Padovini, 82). Va poi verificata l'applicabilità alla materia dell'art. 1338 c.c., secondo cui la parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all'altra parte, è tenuta a risarcire il danno determinato dall'avere quest'ultima confidato incolpevolmente nella validità del contratto. Neppure questa disposizione sembra utilizzabile, dal momento che, in caso di locazione di cosa altrui non si versa in ipotesi di invalidità del contratto (contra Gabrielli-Padovini, 87). Il rimedio pertinente, allora, è da ritenere sia soltanto quello della impugnazione per vizio del consenso: dolo o errore secondo i casi (Mirabelli, 277; Tabet, 183 s.). Per quanto attiene all'ipotesi del dolo, l'applicazione dell'art. 1439 c.c. non pare incontrare ostacoli: se il conduttore abbia creduto di prendere in locazione la cosa dal proprietario, ovvero dal titolare di un diritto sulla medesima comprendente la facoltà di locare, in conseguenza dei raggiri posti in essere dall'altro contraente – raggiri che rimangono integrati anche dalla semplice dichiarazione mendace (Gabrielli-Padovini, 83) –, egli potrà pretendere l'annullamento per dolo, trattandosi di dolo determinante (Tabet, 183). Più complesso è il caso che il locatore non abbia dichiarato di locare in qualità di proprietario od in altra idonea: il problema, in quest'ipotesi, attiene all'annullamento per errore, giacché, secondo alcuni, l'ignoranza dell'altruità della cosa non potrebbe essere configurata quale errore essenziale, ai sensi dell'art. 1429 c.c., non cadendo sulla natura o sull'oggetto del contratto (Provera, 90). Viceversa, altri ritengono appunto trattarsi di error in natura, ex art. 1429, n. 1, c.c., in quanto la locazione di cosa di cui il locatore possa disporre è un contratto di natura diversa dalla locazione aleatoria a non domino (Tabet, 184). La soluzione lascia perplessi, giacché la stipulazione del contratto di locazione non richiede, come si è avuto modo di ripetere, che il locatore sia proprietario della cosa locata: sicché la titolarità di tale qualità – o di altra che conferisca la facoltà di locare – non incide sull'atteggiarsi del contratto. Piuttosto, può convenirsi, sebbene utilizzando lo strumento dell'interpretazione estensiva, sulla qualificazione dell'errore in discorso quale error in adiecto: «L'oggetto del contratto deve qui intendersi, certamente, in senso diverso da quello di “cosa che forma oggetto del contratto”, perché l'errore sull'identità o sulle qualità della prestazione è già preso in considerazione dal numero due dell'art. 1429 c.c. Pertanto, in riferimento all'oggetto contenuto nel numero uno dell'art. 1429 c.c. non sta a significare la res di cui con il contratto si dispone» (Gabrielli-Padovini, 86). Ma, a ben vedere, la disciplina dettata dall'art. 1429 c.c. offre un'ipotesi di annullamento per errore assai più confacente, laddove menziona, al n. 3, «le qualità della persona dell'altro contraente»: per qualità della persona deve intendersi tutto ciò che di una persona può essere affermato, e poi verificato, in un giudizio di corrispondenza alla realtà, ossia in termini di vero/non vero; e, com'è ovvio, non c'è qualità che abbia più rilevanza giuridica di quella di essere o non essere proprietario (Gabrielli-Padovini, 87). Il conduttore, dunque, può senz'altro trovare nell'art. 1429, n. 3, c.c., l'idoneo strumento di tutela in caso di errore semplice, non determinato dai raggiri della controparte. Barbero, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, Torino, 1951; Coco, Locazione (dir. priv.), in Enc. dir., XXIV, Milano, 1975, 918-997; Cosentino - Vitucci, Le locazioni dopo le riforme del 1978-1985, Torino, 1986; Gabrielli - Padovini, La locazione di immobili urbani, Padova, 2001; Lazzara, Il contratto di locazione (profili dogmatici), Milano, 1961; Mirabelli, La locazione, Torino; 1972; Provera, La locazione. Disposizioni generali, in Comm. c.c. a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1980; Tabet, La locazione-conduzione, Milano, 1972. Bussole di inquadramentoPotrebbe interessarti |