Antenne e fotovoltaici singoli

Alberto Celeste
20 Settembre 2017

L'art. 1122-bis c.c. si occupa degli «impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili», tentando così di regolamentare le modalità di esecuzione di tali impianti in àmbito privato; tale articolo, nella parte in cui regolamenta il diritto del singolo di installare gli impianti de quibus nelle parti comuni dell'edificio a beneficio del suo appartamento, costituisce un'applicazione particolare del diritto riconosciuto dall'art. 1102 c.c. a ciascun condomino di utilizzare i beni comuni al servizio della sua proprietà esclusiva, nel senso che, dal 18 giugno 2013, l'utilizzazione individuale dei suddetti beni per le finalità di cui sopra è permessa ma solo nel rispetto di vincoli precisi indicati nella nuova disposizione.
Inquadramento

L'installazione dell'antenna (ricevente o trasmittente, radiofonica o televisiva) o dell'impianto fotovoltaico può essere realizzata sia sul bene comune - come il tetto, il lastrico solare o la facciata - sia su porzioni dell'immobile di proprietà esclusiva dell'utente.

Nella prima ipotesi, la relativa realizzazione è rimessa alla volontà assembleare, che si esplica nelle forme procedurali di cui all'art. 1136 c.c. ed in osservanza dei nuovi quorum agevolati contemplati dall'art. 1120, nn. 2) e 3), c.c.

Nella seconda ipotesi, non si pongono problemi inerenti all'uso più intenso della cosa comune o al passaggio attraverso proprietà altrui, ma occorre pur sempre accertare se le opere realizzate siano lesive dei diritti degli altri condomini.

Prima del 18 giugno 2013, poteva applicarsi, in quest'ultimo caso, il disposto dell'art. 1122 c.c., che vietava, in termini generali, di compiere nella proprietà esclusiva lavori che potessero danneggiare le parti comuni dell'edificio.

La materia risulta ora dettagliatamente disciplinata dalla l. n. 220/2012 - recante «Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici» - che ha inserito l'art. 1122-bis c.c., rubricato appunto «Impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili».

Sul versante sistematico, quindi, l'art. 1122-bis c.c., da un lato, si differenzia dall'art. 1120, comma 2, c.c., perché si occupa degli interventi realizzati dal singolo, ma egualmente involgenti le parti comuni (e non le decisioni, sia pure virtuose, adottate dall'assemblea per soddisfare esigenze collettive), e, dall'altro, si colloca nell'alveo dell'invariato art. 1102 c.c., che disciplina l'uso delle cose comuni da parte del condomino, regolamentando anche i rapporti con le proprietà esclusive contigue.

Trattasi, pur sempre, di una new entry nel panorama condominiale non figurante nell'elenco delle norme inderogabili contenute nell'art. 1138, comma 4, c.c., potendosi ipotizzare per il futuro interventi pattizi disciplinanti diversamente la subiecta materia.

Gli impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva

Nello specifico, il comma 1 dell'art. 1122-bis c.c. prevede che le installazioni di impianti non centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, ed i relativi collegamenti fino al punto di diramazione per le singole utenze, possono essere realizzati in modo da recare il minor pregiudizio alle parti comuni ed alle unità immobiliari di proprietà individuale, con l'accortezza di tutelare comunque il decoro architettonico dell'edificio - salvo quanto previsto in materia di reti pubbliche - poiché è l'aspetto estetico che, in materia di posizionamento di antenne nei balconi degli appartamenti esclusivi, sta particolarmente a cuore al Legislatore.

Va segnalata, in proposito, la differenza tra tale previsione e quella più stringente contenuta nell'art. 1122 c.c., in quanto la norma de qua - «in modo da recar il minor pregiudizio … » - sembra contemplare l'esistenza di un fastidio che, comunque, va tollerato (purché non sia significativo o rilevante), e ciò sia riguardo alle parti comuni, sia con riferimento a quelle di proprietà individuali, non coinvolte queste ultime nella precedente norma, che si occupa del divieto di opere che possano recare danno alle sole parti comuni, laddove, invece, per i rapporti tra unità immobiliari esclusive la giurisprudenza tende ad applicare la normativa in materia di vicinato (distanze, immissioni, atti emulativi, ecc.).

Pertanto, pur nell'adeguata ponderazione dei contrapposti interessi proprietari, l'art. 1112-bis c.c. inquadra decisamente la facoltà, in capo al condomino, di installazione dell'antenna nell'amplissimo diritto primario, riconosciuto dall'art. 21 Cost. alla libera manifestazione del pensiero attraverso qualsiasi mezzo di diffusione, spettante ad ogni cittadino, sia come soggetto attivo della manifestazione stessa (diritto alla diffusione), sia come destinatario della manifestazione del pensiero altrui (diritto all'informazione).

Gli impianti non centralizzati di produzione di energia da fonti rinnovabili

Segnatamente, al comma 2 dell'art. 1122-bis c.c. , si dispone che «è consentita l'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell'interessato».

Quindi, gli impianti de quibus sono pur sempre finalizzati a coprire il fabbisogno elettrico dell'appartamento privato, ma la collocazione può essere disposta anche sulle parti comuni dell'edificio, laddove nell'ottica del (preesistente) art. 1102 c.c., essendo quasi sempre limitato lo spazio a disposizione del singolo condomino, questi poteva usarle, purché ciò non impedisse agli altri condomini di fare parimenti uso di un'eguale superficie utile per l'installazione dei moduli fotovoltaici e non si alterasse la destinazione del lastrico solare o del tetto comune.

Rimaneva fermo il principio che l'estensione della proprietà del singolo condomino rispetto agli altri fosse irrilevante ai fini dell'applicazione del summenzionato art. 1102 c.c., nel senso che, se un condomino era titolare di un appartamento il doppio più grande di un altro, poteva utilizzare il bene comune per un impianto fotovoltaico nella medesima porzione del vicino, facendo solo attenzione a che tali impianti dovessero essere realizzati prevalentemente su superfici rivolte a sud, in quanto in grado di catturare maggiormente energia dal sole, riducendo così la quantità del tetto o del lastrico solare sfruttabile.

Dunque, la norma parla di impianti di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio, lasciando chiaramente intendere che il beneficiario è pur sempre il singolo, mentre è indifferente la collocazione del manufatto, che può interessare parti comuni o esclusive.

Se si raffronta la previsione del comma 2 dell'art. 1122-bis c.c. con quella del capoverso precedente, in cui «le installazioni di impianti non centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso di qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo» possono essere realizzate solo se «rechino minor pregiudizio alle parti comuni e alle parti immobiliari di proprietà individuale», sembra che l'installazione di impianti individuali per la produzione di energia da fonti rinnovabili - forse perché ritenuta di primaria importanza - non contempli alcun limite, neppure in termini di pregiudizio, nel senso che tale installazione possa essere eseguita in qualunque luogo comune purché idoneo.

La norma de qua prevede, oltre il lastrico solare e l'appartamento esclusivo, anche ogni altra superficie comune, come se l'impianto non dovesse essere collocato al di sotto del piano ma semplicemente appoggiato, ma è evidente che il termine è utilizzato per specificare che il luogo comune deve essere tale da contenere l'impianto (in buona sostanza, l'articolo in esame non appare porre limiti alle parti condominiali dove posizionare la struttura a beneficio del singolo interessato, purché ovviamente non sia collocata sulla singola proprietà di altri condomini).

La comunicazione del singolo all'amministratore

Il successivo comma 3, art. 1122-bis c.c. si preoccupa, poi, di regolamentare le ipotesi in cui le installazioni di impianti di ricezione radiotelevisiva e per la produzione di energia da fonti rinnovabili, da parte dei singoli, possano creare interferenze in ordine al godimento delle parti comuni dell'edificio ad opera degli altri partecipanti.

In evidenza

Da segnalare che tutto il testo della norma di nuovo conio fa riferimento volutamente al soggetto interessato, e non necessariamente al condomino, sicché le iniziative de quibus possono essere appannaggio anche dei conduttori, comodatari, ecc.; peraltro, l'art. 1120, comma 2, n. 2), c.c. già prevede che l'assemblea possa deliberare l'installazione di impianti per la produzione di energia anche da parte di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune (in buona sostanza, il Legislatore intende privilegiare la realizzazione nel condominio degli impianti di energia rinnovabile tanto da legittimare l'ingresso di soggetti estranei).

In particolare, si stabilisce che, «qualora si rendano necessarie modificazioni delle parti comuni, l'interessato ne dà comunicazione all'amministratore indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi».

Tale onere di informativa risulta più pregnante rispetto a quello contemplato nel precedente art. 1122, comma 2, c.c. il quale, riguardo alle generiche opere realizzate sulle parti di proprietà esclusiva, richiede che «sia data preventiva notizia all'amministratore che ne riferisce all'assemblea»; peraltro, trattandosi di impianti e non di vere e proprie opere non sembrerebbero rientrare nel precetto relativo al preventivo obbligo di informativa di cui al citato art. 1122.

Dunque, l'assemblea può prescrivere, con la maggioranza di cui al comma 5 dell'art. 1136 c.c. - ossia con il quorum delle innovazioni («maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi dell'edificio») - al fine di contemperare i contrapposti interessi, «adeguate modalità alternative di esecuzione o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell'edificio».

A ben vedere, il comma 3, seconda parte, dell'art. 1122-bis c.c. prevede sùbito cosa possa disporre l'assemblea, registrandosi al riguardo un vuoto normativo, nel senso che non risulta sancito alcun obbligo dell'amministratore di convocare appositamente il massimo organo gestorio o di attendere di porre questo tema come argomento all'ordine del giorno della prima assemblea utile; in altri termini, la norma omette questo passaggio, sancendo d'emblée cosa possa decidere l'assemblea sull'implicito presupposto che quest'ultima sia debitamente e puntualmente convocata dal rappresentante del condominio.

Appare ragionevole ritenere, dunque, che l'amministratore debba convocare un'assemblea ad hoc, considerando che l'intervento del singolo interessa le parti comuni dell'edificio, e che queste ultime potenzialmente potrebbero subire una modifica (talvolta, rilevante) in ragione del progetto di realizzazione dell'interessato, sicché è estremamente opportuno informare gli altri partecipanti dei termini dell'iniziativa affinché ciascuno si faccia promotore indicando, se del caso, alcune modalità alternative di esecuzione o/e peculiari cautele per la realizzazione dell'intervento.

Affinché l'assemblea possa dettare tali modalità o/e cautele, sarebbe preferibile che la riunione si svolga prima dell'inizio dei lavori, tuttavia, trattasi di incombenti che non costituiscono, per così dire, condizioni di procedibilità dell'installazione da parte del singolo, nel senso che se l'amministratore non convoca l'assemblea o se quest'ultima, convocata, non adotta alcuna decisione, l'interessato può comunque realizzare il suo intento; lo stesso dicasi qualora l'assemblea non raggiunga la maggioranza qualificata prescritta, nel senso che si tratta di una delibera c.d. negativa, dove l'argomento, pur posto all'ordine del giorno, non è stato deciso in alcun modo quanto ai voti espressi (né favorevoli, né contrari), sicché il singolo potrà installare l'impianto secondo le modalità da lui indicate - nella comunicazione e nella relativa perizia - all'amministratore.

In pratica, l'inerzia o il silenzio degli organi gestori abiliterà il singolo al massimo sfruttamento delle parti comuni dell'edificio; se sussistono situazioni confliggenti, spetta ai primi risolverli in concreto, altrimenti il secondo può approfittare delle possibilità concessegli dal nuovo disposto.

Pertanto, l'iter delineato dall'art. 1122-bis, comma 3, c.c., dovrebbe essere il seguente:

a) l'interessato dà comunicazione all'amministratore degli interventi che intende eseguire comportanti modificazioni delle parti comuni,allegando, di regola, una relazione peritale redatta dal professionista che esponga il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi o riportando nella stessa comunicazione il contenuto della stessa perizia;

b) l'amministratore, ricevuta questa documentazione, convoca l'assemblea, evidenziando che i lavori saranno eseguiti come da perizia - o da comunicazione contenente quest'ultima - liberamente consultabile e visionabile da tutti i condomini presso il suo ufficio in vista dell'indetta riunione;

c) l'assemblea adotta le statuizioni di cui appresso con i quorum previsti per le innovazioni c.d. ordinarie.

A quest'ultimo proposito, ci si potrebbe chiedere la ragione di una maggioranza così elevata, vista la necessità di tutela dell'interesse della collettività a fronte dell'interesse di un singolo interessato (il quorum è maggiore di quello contemplato per approvare le stesse opere ai sensi di cui all'art. 1120, comma 2, n. 2, c.c., come di quello per approvare il regolamento che disponga sull'uso delle parti comuni ex art. 1138, comma 1, c.c.); forse il Legislatore ha inteso dare prevalenza l'interesse del condomino rispetto a quello del condominio, specie per quel che concerne gli impianti di energia di fonti rinnovabili, stante il risparmio energetico ed il rispetto del diritto alla salute a cui questi servizi tendono.

Comunque, la norma intende coinvolgere l'assemblea, per il tramite dell'amministratore, nella sola ipotesi in cui si rendano necessarie modificazioni delle parti comuni, deducendosi che l'interessato non deve essere tenuto a dare notizia del suo intervento, se questo consista soltanto nell'occupazione delle medesime parti comuni (ad esempio, mediante la collocazione del pannello fotovoltaico); in altri termini, qualora l'iniziativa in oggetto non comporti variazioni alle parti comuni, l'intervento è liberamente eseguibile, salvo i limiti di cui sopra (v., in tal senso, Trib. Milano 6 ottobre 2014, secondo il quale, in caso di volontà di un condomino di voler utilizzare parti comuni del condominio - nella specie, una falda del tetto - al fine dell'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità immobiliari ex art. 1122-bis, comma 2, c.c., non è consentito al consesso assembleare denegare l'autorizzazione all'esecuzione dell'impianto, salva piuttosto la possibilità dell'esercizio di un controllo, peraltro limitato alle attività di cui al comma 3 del medesimo articolo, nel caso in cui l'installazione comporti modificazioni delle parti comuni).

Al riguardo, risulta evidente l'intento del Legislatore di bilanciare le contrapposte esigenze, da un lato, permettendo al singolo di utilizzare spazi comuni al fine di ricevere il segnale televisivo o produrre energia attraverso fonti rinnovabili e, dall'altro, mantenendo un certo controllo da parte della collettività sull'operato dell'interessato.

Peraltro, nel caso di inconciliabilità tra le due posizioni, dovrebbe essere quella assembleare a prevalere, visto che l'articolo in esame riconosce in capo all'assemblea il potere di prescrivere le modalità alternative di esecuzione, facendo pensare ad un diktat cui debba soggiacere il singolo.

In proposito, non deve trarre in inganno il fatto che la norma in esame preveda che l'assemblea «può» prescrivere adeguate modalità alternative di esecuzione o imporre cautele, in quanto tale possibilità va intesa come necessaria autorizzazione assembleare: l'intervento del massimo organo gestorio non deve essere inquadrato come semplice presa d'atto, altrimenti si verificherebbe un'eventuale illecita invasione dei beni comuni da parte del singolo (in buona sostanza, qualora si tratti di tutelare i beni comuni dal rischio di essere modificati a causa di un interesse di un singolo, comparando le esigenze di quest'ultimo e quelle della collettività condominiale, è ragionevole che debbano prevalere gli interessi dei più).

Segnatamente, la comunicazione del soggetto interessato deve indicare il contenuto specifico dell'iniziativa che vuole realizzare, nel senso che deve precisare i termini concreti dell'intervento, inclusa l'estensione dei lavori sui beni comuni; presumendo che, nella quasi totalità dei casi, l'interessato non sia un tecnico professionista, tale comunicazione dovrebbe essere accompagnata da una relazione tecnica che evidenzi quanto prescritto dalla norma.

La suddetta «comunicazione» ha, infatti, il fine di consentire all'amministratore, prima, e all'assemblea, poi, di segnalare all'interessato un eventuale intervento sostitutivo rispetto a quello da lui preventivato e presentato, ragionevolmente di contenuto meno invasivo per le parti comuni coinvolte (ad esempio, l'indicazione di un diverso luogo dove collocare l'impianto).

Le possibili prescrizioni dell'assemblea

Ritornando al contenuto della (eventuale) delibera, le modalità alternative che possono essere autorizzate dall'assemblea devono essere «adeguate».

Tuttavia, non è agevole comprendere pienamente il reale significato di tale aggettivo, in quanto in concetto di adeguatezza può essere letto sia a tutela dell'interesse della collettività sia dell'interesse del singolo che intende realizzare l'installazione dell'impianto di ricezione radiotelevisiva o per la produzione di energia; del resto, non si nasconde che, in tal modo, le «adeguate modalità alternative di esecuzione», suggerite dall'assemblea, potrebbero implicare un costo maggiore a carico del singolo che intenda installare l'impianto non centralizzato.

La norma prosegue stabilendo che la stessa assemblea possa «imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell'edificio»: in parole povere, la realizzazione dell'impianto di cui sopra, da parte del singolo, non deve recare creare pregiudizio al fabbricato sotto il triplice consueto profilo della stabilità/sicurezza/decoro.

Con particolare riferimento all'impianto per la produzione di energia vengono maggiormente in rilievo il primo (stabilità) ed il terzo (decoro) di tali profili, avendo riguardo, rispettivamente, all'incidenza del «peso» del manufatto sulla superficie in cui è collocato nonché il «posizionamento» dello stesso rispetto alla facciata dell'edificio, mentre, in ordine al secondo (sicurezza), si può ricordare, in particolare, che l'installazione dell'impianto fotovoltaico deve essere eseguita in modo da evitare la propagazione di un incendio dal relativo generatore, curandone, tra l'altro, la posa su strutture di copertura incombustibili (v., segnatamente, il d.p.r. 1° agosto 2011, n. 151 circa i controlli di prevenzione incendi).

Riguardo ai soli impianti fotovoltaici destinati al servizio di singole unità, la stessa assemblea «provvede, a richiesta degli interessati, a ripartire l'uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto».

Si presenta, però, di non agevole lettura la parte del suddetto disposto normativo dove attribuisce all'assemblea il potere di provvedere, «a richiesta degli interessati», a ripartire l'uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto(comunque, siccome la norma si esprime sempre in termini di comunicazione del singolo, si ritiene che la locuzione al plurale «a richiesta degli interessati» contempli anche l'ipotesi in cui sussista un solo condomino interessato all'installazione dell'impianto de quo).

Invero, è pacifico che l'eventuale ripartizione dell'uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni spetti all'assemblea, mentre criticabile è il fatto di aver sollecitato tale intervento necessariamente alla richiesta degli interessati, poiché l'amministratore, ove ne ravvisi la necessità, è sempre legittimato a porre la questione all'esame ed alla conseguente decisione dell'assemblea anche in assenza di una formale istanza da parte di qualche soggetto.

Parimenti, difficilmente comprensibile è la previsione che fa salve «le diverse forme di utilizzo previste dal regolamentodi condominio»: qualora una disposizione «contrattuale» del regolamento disponga una particolare forma di utilizzo di un bene comune - ad esempio, destinando il lastrico solare unicamente allo stendimento dei panni o ad uso esclusivo di un condomino - un eventuale uso diverso da parte di un condomino che così facendo lo sottragga, ancorché parzialmente, alla disponibilità pure di un solo altro partecipante, dovrebbe necessariamente essere deliberata con il voto favorevole della totalità dei condomini, sicché la fattispecie contemplata dall'art. 1122-bis, comma 3, c.c. dovrebbe riferirsi alla sola ipotesi di una norma «assembleare» del regolamento condominiale (senza contare il potenziale contrasto con il precedente art. 1117-ter c.c., che ora richiede la maggioranza di quattro quinti per le modificazioni delle destinazioni d'uso delle parti comuni).

Quindi, secondo la Riforma del 2013, la decisione dell'assemblea, circa l'installazione, da parte del singolo, dell'impianto per la produzione di energia sui beni condominiali, deve comunque tener conto delle eventuali clausole del regolamento che hanno come oggetto le «diverse forme di utilizzo» delle superfici comuni coinvolte dagli interventi in esame (per lo più, il tetto o il lastrico solare, oppure ogni altro luogo idoneo).

Del resto, anche in precedenza, lo spazio di qualsiasi bene comune avrebbe dovuto consentire l'installazione di tanti impianti quanti sono i singoli condomini, alla luce del principio sancito dall'invariato art. 1102 c.c., anche se inevitabilmente l'installazione, da parte di un condomino, di un impianto fotovoltaico o di un pannello solare sul tetto o sul lastrico solare è idonea a compromettere il «pari uso» della cosa comune da parte di un altro comproprietario.

In quest'ottica, non si comprende facilmente nemmeno la locuzione finale, che prescrive che debbano rispettarsi le diverse forme di utilizzazione del bene comune «comunque in atto», a meno che non si voglia sancire una sorta di riconoscimento di una situazione di fatto di un certo uso dei condomini (tutti o alcuni di essi d'impero) del bene comune in cui viene posizionato l'impianto per la produzione di energia; non sembra che il Legislatore abbia inteso derogare a quel rispetto della «destinazione», anche potenziale, del bene comune prescritta nel citato art. 1102 c.c., nel senso che il singolo impianto non può ostacolare o limitare l'altrui uso del bene comune, secondo la sua specifica destinazione, anche se al momento della realizzazione dell'impianto gli altri condomini non lo stanno materialmente usando o godendo.

L'ultima parte del comma 3 dell'art. 1122-bis c.c. dispone che «l'assemblea, con la medesima maggioranza, può altresì subordinare l'esecuzione alla prestazione, da parte dell'interessato, di idonea garanzia per i danni eventuali».

La prestazione della garanzia per gli eventuali danni sembra richiamare l'idea di una sorta di deposito cauzionale di una somma di denaro, nel senso che, qualora i danni paventati non si verifichino, la stessa garanzia viene meno ed il condominio ha l'obbligo di restituirne l'importo (l'uso del termine fa pensare non ad un mero impegno, ma a qualcosa di più concreto, sul tipo di una fideiussione o di un'assicurazione); comunque, tale garanzia sembra avere natura aggiuntiva, e non alternativa, alle altre misure che l'assemblea può indicare, come delineate nel corpo del suddetto comma 3, atteso che la norma sancisce «altresì» la sua eventuale prescrizione da parte dell'assemblea a carico del singolo.

La norma sancisce, anche per questa parte, che la delibera debba essere adottata «con la medesima maggioranza» del comma 5 dell'art. 1136 c.c. - ossia con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti alla riunione ed almeno i due terzi del valore dell'edificio - e, quindi, negli stessi termini delle indicazioni delle modalità alternative o delle imposizioni delle cautele di cui sopra; anche per questa previsione, lascia perplessi la prescrizione di un quorum così elevato, visto che, in fondo, si tratta pur sempre di tutelare l'interesse della collettività a fronte dell'iniziativa di un singolo, tanto più che, concretandosi nell'adozione di una mera garanzia per eventuali danni all'edificio, sarebbero bastate le ordinarie maggioranze assembleari di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 1136 c.c.

A questo punto, ci si chiede cosa succede se l'assemblea, convocata ad hoc dall'amministratore per discutere e decidere circa l'installazione, da parte del singolo, dell'impianto di ricezione radiotelevisiva o per la produzione di energia sulle cose comuni, con possibili interferenze negative su queste ultime, non ritiene, nella sua discrezionalità, di dover richiedere al soggetto interessato le cautele previste dalla norma, non avendo da prescrivere alcunché al riguardo; atteso che la delibera sembra avere natura di «autorizzazione», occorre che il verbale riporti che l'assemblea è stata convocata in ragione della comunicazione ricevuta dall'amministratore con cui il singolo ha esposto (allegando o meno la perizia tecnica) le modalità di installazione del suddetto impianto, puntualizzando che la compagine condominiale non ha nulla da evidenziare in proposito, «autorizzando» la realizzazione del singolo impianto come da comunicazione e documentazione prodotta dall'interessato (se l'assemblea non prescriva alcuna diversa modalità di realizzazione dell'impianto, la delibera si può ritenere implicitamente come un'autorizzazione tout court di quanto indicato a titolo informativo dal singolo).

La verbalizzazione è importante perché l'assemblea è stata appositamente convocata affinché la stessa prenda atto o, meglio, autorizzi l'impianto, oppure indichi le modalità alternative a cui il singolo è obbligato ad attenersi se vuole realizzare l'impianto medesimo, richiedendo, se del caso, la prestazione della garanzia per gli eventuali danni; in difetto di tale verbalizzazione, gli interventi del singolo sarebbero sempre esposti al possibile rischio di azioni giudiziarie, non avendo ottenuto alcun riscontro dall'assemblea, stante l'assenza di traccia nel verbale della relativa riunione.

L'accesso nelle altrui unità immobiliari

L'ultimo comma dell'art. 1122-bis c.c. prevede l'eventualità che le suddette realizzazioni possano comportare invadenze nella proprietà privata altrui, sancendo che «l'accesso alle unità immobiliari di proprietà individuale deve essere consentito ove necessario per la progettazione e per l'esecuzione delle opere».

In realtà, tale risultato poteva ottenersi mediante un'applicazione analogica dell'art. 843, comma 1, c.c. - sia pure concepito nell'àmbito di fondi finitimi - secondo il quale «il proprietario deve permettere l'accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera del vicino oppure comune» (comunque, anche la mera «progettazione» dell'impianto di ricezione radiotelevisiva o per la produzione di energia potrebbe comportare l'obbligo per gli altri condomini di aprire le porte del proprio alloggio al vicino che intenda realizzare tale iniziativa).

In caso di diniego di accesso, si ritiene che l'interessato possa, in prima battuta, far intervenire l'amministratore e, successivamente, in caso di esito negativo, adire il magistrato; si segnala, sul punto, che il precedente testo approvato al Senato nel gennaio 2011 prescriveva che, «in caso di impedimento all'accesso o di richiesta di garanzia eccessivamente onerosa, l'autorità giudiziaria provvede anche in via d'urgenza», ma la mancanza di tale previsione nella versione definitiva non preclude la possibilità del ricorso all'autorità giudiziaria, potendosi invocare, qualora ricorrano i presupposti, l'emissione di provvedimenti cautelari (spettando, pur sempre, al magistrato ponderare, da un lato, l'interesse del singolo ad installare il proprio impianto di ricezione radiotelevisiva o per la produzione di energia e, dall'altro, l'interesse del vicino al godimento del suo appartamento senza dover subire turbative se non strettamente necessarie).

Rimangono ferme, dunque, le condizioni di operatività della previsione in oggetto, ben delineate dalla giurisprudenza, la quale, nell'applicare in via analogica il disposto del summenzionato art. 843 c.c., ha ammesso il passaggio attraverso la proprietà altrui finalizzato alla manutenzione ed alla riparazione dell'antenna, posta sul tetto dell'edificio, ma solo per il tempo strettamente necessario ai lavori, specie se mancava una via di accesso alternativa praticabile (Cass. civ., sez. II, 26 novembre 2008 n. 28234).

L'art. 1122-bis, comma 4, c.c. puntualizza, in fondo, che, comunque, «non sono soggetti ad autorizzazione gli impianti destinati alle singole unità abitative», nel senso che il singolo può provvedere alla loro realizzazione, a sue spese, senza il nulla osta assembleare, purché rispetti i limiti stabiliti nei capoversi precedenti.

Anche in questa ipotesi, la previsione appare null'altro che un'applicazione delle norme generali di cui agli artt. 1102 e 1122 c.c., nel senso che, per quanto concerne le opere eseguite all'interno delle proprie unità abitative, nel previgente sistema, il singolo non doveva invocare alcuna autorizzazione, a meno che non si volesse far riferimento a quelle clausole regolamentari in forza delle quali l'esecuzione delle opere de quibus doveva ottenere il previo placet dell'assemblea o dell'amministratore, così ribadendo l'inefficacia sopravvenuta di queste limitazioni.

A ben vedere, se gli impianti de quibus vengono realizzati esclusivamente all'interno dell'unità immobiliare di chi è titolare dell'appartamento al cui servizio sono rivolti questi impianti, non occorre alcuna autorizzazione assembleare, poiché, non essendovi alcuna invasione delle parti comuni, il diritto di proprietà di tale appartamento consente al singolo di eseguire i lavori in piena libertà (salvi i limiti generali di cui al novellato art. 1122 c.c., soprattutto correlati al pregiudizio alla stabilità/sicurezza/decoro dell'edificio condominiale).

A contrariis, dall'ultimo capoverso dell'art. 1122-bis c.c., si evince che il placet assembleare è necessario se l'intervento del singolo vada a toccare le parti comuni, nel senso che c'è bisogno di tale «autorizzazione» specie se l'impianto comporti una modificazione delle parti condominiali come delineata nel comma precedente; per offrire un significato logico a tale disposto (altrimenti oscuro), si può opinare che l'assemblea come prescrive le modalità alternative dell'intervento, così autorizza la realizzazione dell'impianto nei termini con cui la stessa assemblea indica che i lavori debbano essere eseguiti.

In questa prospettiva, il termine «destinati», usato dal legislatore per identificare gli impianti soggetti ad eventuale autorizzazione non sembra corretto, perché l'intero disposto dell'art. 1122-bis c.c. si preoccupa di disciplinare gli impianti che sono sì a servizio di un singolo appartamento ma che invadono altre parti non di proprietà esclusiva dell'interessato, sicché è ragionevole ritenere che il termine «destinazione» debba sostituirsi con quello di «collocazione».

Resta, comunque, incomprensibile il riferimento alle sole unità «abitative», lasciando intendere possibile, invece, l'autorizzazione per quelle destinate ad uso commerciale, ufficio, ecc. L'ultimo comma dell'art. 1122-bis c.c. prevede l'eventualità che le suddette realizzazioni possano comportare invadenze nella proprietà privata altrui, sancendo che «l'accesso alle unità immobiliari di proprietà individuale deve essere consentito ove necessario per la progettazione e per l'esecuzione delle opere».

In realtà, tale risultato poteva ottenersi mediante un'applicazione analogica dell'art. 843, comma 1, c.c. - sia pure concepito nell'àmbito di fondi finitimi - secondo il quale «il proprietario deve permettere l'accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera del vicino oppure comune» (comunque, anche la mera «progettazione» dell'impianto di ricezione radiotelevisiva o per la produzione di energia potrebbe comportare l'obbligo per gli altri condomini di aprire le porte del proprio alloggio al vicino che intenda realizzare tale iniziativa).

In caso di diniego di accesso, si ritiene che l'interessato possa, in prima battuta, far intervenire l'amministratore e, successivamente, in caso di esito negativo, adire il magistrato; si segnala, sul punto, che il precedente testo approvato al Senato nel gennaio 2011 prescriveva che, «in caso di impedimento all'accesso o di richiesta di garanzia eccessivamente onerosa, l'autorità giudiziaria provvede anche in via d'urgenza», ma la mancanza di tale previsione nella versione definitiva non preclude la possibilità del ricorso all'autorità giudiziaria, potendosi invocare, qualora ricorrano i presupposti, l'emissione di provvedimenti cautelari (spettando, pur sempre, al magistrato ponderare, da un lato, l'interesse del singolo ad installare il proprio impianto di ricezione radiotelevisiva o per la produzione di energia e, dall'altro, l'interesse del vicino al godimento del suo appartamento senza dover subire turbative se non strettamente necessarie).

Rimangono ferme, dunque, le condizioni di operatività della previsione in oggetto, ben delineate dalla giurisprudenza, la quale, nell'applicare in via analogica il disposto del summenzionato art. 843 c.c., ha ammesso il passaggio attraverso la proprietà altrui finalizzato alla manutenzione ed alla riparazione dell'antenna, posta sul tetto dell'edificio, ma solo per il tempo strettamente necessario ai lavori, specie se mancava una via di accesso alternativa praticabile (Cass. civ., sez. II, 26 novembre 2008 n. 28234).

L'art. 1122-bis, comma 4, c.c. puntualizza, in fondo, che, comunque, «non sono soggetti ad autorizzazione gli impianti destinati alle singole unità abitative», nel senso che il singolo può provvedere alla loro realizzazione, a sue spese, senza il nulla osta assembleare, purché rispetti i limiti stabiliti nei capoversi precedenti.

Anche in questa ipotesi, la previsione appare null'altro che un'applicazione delle norme generali di cui agli artt. 1102 e 1122 c.c., nel senso che, per quanto concerne le opere eseguite all'interno delle proprie unità abitative, nel previgente sistema, il singolo non doveva invocare alcuna autorizzazione, a meno che non si volesse far riferimento a quelle clausole regolamentari in forza delle quali l'esecuzione delle opere de quibus doveva ottenere il previo placet dell'assemblea o dell'amministratore, così ribadendo l'inefficacia sopravvenuta di queste limitazioni.

A ben vedere, se gli impianti de quibus vengono realizzati esclusivamente all'interno dell'unità immobiliare di chi è titolare dell'appartamento al cui servizio sono rivolti questi impianti, non occorre alcuna autorizzazione assembleare, poiché, non essendovi alcuna invasione delle parti comuni, il diritto di proprietà di tale appartamento consente al singolo di eseguire i lavori in piena libertà (salvi i limiti generali di cui al novellato art. 1122 c.c., soprattutto correlati al pregiudizio alla stabilità/sicurezza/decoro dell'edificio condominiale).

A contrariis, dall'ultimo capoverso dell'art. 1122-bis c.c., si evince che il placet assembleare è necessario se l'intervento del singolo vada a toccare le parti comuni, nel senso che c'è bisogno di tale «autorizzazione» specie se l'impianto comporti una modificazione delle parti condominiali come delineata nel comma precedente; per offrire un significato logico a tale disposto (altrimenti oscuro), si può opinare che l'assemblea come prescrive le modalità alternative dell'intervento, così autorizza la realizzazione dell'impianto nei termini con cui la stessa assemblea indica che i lavori debbano essere eseguiti.

In questa prospettiva, il termine «destinati», usato dal legislatore per identificare gli impianti soggetti ad eventuale autorizzazione non sembra corretto, perché l'intero disposto dell'art. 1122-bis c.c. si preoccupa di disciplinare gli impianti che sono sì a servizio di un singolo appartamento ma che invadono altre parti non di proprietà esclusiva dell'interessato, sicché è ragionevole ritenere che il termine «destinazione» debba sostituirsi con quello di «collocazione».

Resta, comunque, incomprensibile il riferimento alle sole unità «abitative», lasciando intendere possibile, invece, l'autorizzazione per quelle destinate ad uso commerciale, ufficio, ecc.

Guida all'approfondimento

Nicola, Gli impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili, in Immob. & proprietà, 2013, 351;

Celeste, Gli impianti fotovoltaici sulle “idonee superfici comuni”, in La proprietà edilizia, 2013, fasc. 9, 42 ss.;

Iacono, Natura economica dell'attività di gestione di un impianto fotovoltaico installato sul tetto di una casa privata, in Fisco 1, 2013, 2705;

Busani, Impianto fotovoltaico costruito su fondo condotto in locazione e principio di accessione, in Notariato, 2012, 315;

Agnello, L'integrazione architettonica dell'impianto fotovoltaico, in Ambiente, 2009, suppl. al n. 10, 27;

Montesanto, Verso il superamento della “realità” del diritto di installazione dell'antenna di ricezione televisiva, in Rass. equo canone, 1991, 370.

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