Innovazioni gravose o voluttuarieFonte: Cod. Civ. Articolo 1121
21 Settembre 2017
Inquadramento
All'interno della categoria delle innovazioni, della quale conservano tutti i caratteristici connotati, sono comprese le innovazioni gravose o voluttuarie disciplinate dall'art. 1121 c.c. La norma testualmente stabilisce che: «1. Qualora l'innovazione importi una spesa molto gravosa o abbia carattere voluttuario rispetto alle particolari condizioni e all'importanza dell'edificio, e consista in opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata, i condomini che non intendono trarne vantaggio sono esonerati da qualsiasi contributo nella spesa. 2. Se l'utilizzazione separata non è possibile, l'innovazione non è consentita, salvo che la maggioranza dei condomini che l'ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa». Appare immediatamente evidente come tale tipo di innovazioni sia sottoposto ad una disciplina del tutto particolare che coinvolge sia il funzionamento dell'assemblea condominiale sia un peculiare assetto dei diritti esclusivi dei singoli condomini. A tale proposito, e prima di affrontare le caratteristiche della relativa disciplina, appare opportuno definire le due diverse fattispecie di innovazioni: a) per innovazione gravosa, si intende quell' «opera nuova» la quale comporti, per la sua realizzazione, una spesa gravosa, vale a dire un esborso pecuniario, a titolo di onere condominiale ed a carico dei condomini, di una certa entità; b) per innovazione voluttuaria, ci si riferisce a quell'opera nuova che, pur essendo destinata a servizio od ornamento di un preesistente bene comune, non comporta una rilevante utilità per la compagine condominiale ovvero non fornisce rilevabili vantaggi. La perimetrazione della fattispecie
Qualora un'innovazione rivesta una di tali due caratteristiche, la sua disciplina esula dall'àmbito dell'art. 1120 c.c. per essere inquadrata nel disposto dell'art. 1121 c.c. con ben differenti conseguenze giuridiche. Come può facilmente evincersi, tuttavia, sia la gravosità sia la voluttuarietà sono concetti, strutturati in modo sostanzialmente astratto, il cui senso reale non può essere compreso appieno, se non effettuando un'operazione di interpretazione della norma che ne integri e completi il significato, e di tale compito si è incaricata la giurisprudenza la quale, con una certa frequenza, è stata chiamata a definire l'incerto àmbito dell'art. 1121 c.c. Si è, innanzitutto, affermato che i concetti di gravosità e voluttuarietà debbano essere qualificati utilizzando un canone oggettivo: in altri termini, le pronunce costantemente individuano nella relazione con le caratteristiche oggettive dell'edificio, e non, quindi, con le condizioni o con le preferenze delle persone dei condomini, il criterio in base al quale riconoscere come gravosa o meno (voluttuaria o meno) una determinata innovazione. La dottrina precisa i contorni di tale criterio obiettivo affermando che, per la valutazione dell'innovazione (vale a dire della sua qualità, o meno, di innovazione gravosa o voluttuaria), si debba tener conto del carattere dell'edificio, del sistema di costruzione, dei materiali impiegati nonché della destinazione data dai proprietari agli appartamenti che compongono l'edificio. E' lo stesso art. 1121 c.c., peraltro, che espressamente afferma che la voluttuarietà e la gravosità debbano essere accertate con riferimento alle «particolari condizioni ed importanza dell'edificio» e non avendo riguardo alle persone dei condomini. Può dirsi che tale impostazione è del tutto pacifica in giurisprudenza, fatta salva una dottrina assai autorevole (Salis) la quale, per ragioni sia testuali sia sistematiche, ritiene che il criterio oggettivo sia utilizzabile esclusivamente con riferimento alla voluttuarietà, mentre per quanto riguarda la gravosità possano essere considerate anche le condizioni economiche personali dei singoli condomini: tale opinione non solo appare pienamente coerente con l'intero sistema normativo sul condominio - nel quale non è consentito alla maggioranza incidere sui diritti esclusivi dei singoli - ma consente anche una regolamentazione degli interessi più rispondente a criteri di solidarietà tra conviventi nel medesimo edificio. Come detto, tuttavia, la giurisprudenza appare ferma e costante nell'utilizzare un criterio oggettivo. Si afferma, infatti, che le innovazioni per le quali l'art. 1121 c.c. consente al condomino di sottrarsi alla quota di spese che gli compete, sono quelle che riguardano gli impianti suscettibili di utilizzazione separata e che hanno natura voluttuaria, cioè sono prive di utilità, oppure risultano molto gravose, ossia sono caratterizzate da una notevole onerosità, da intendersi in senso oggettivo, dato il testuale riferimento della norma alle particolari condizioni e all'importanza dell'edificio (Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 1984, n. 428). La conseguenza diretta dell'utilizzazione di un criterio oggettivo nella valutazione della gravosità o voluttuarietà di un'innovazione consiste nel fatto che le condizioni economiche o le preferenze personali dei singoli condomini sono del tutto irrilevanti in ordine a detta valutazione. Sono vere, quindi, due cose: a) un'innovazione va qualificata come gravosa se tale è il suo costo in relazione alle specifiche caratteristiche dell'edificio alla quale accede, a prescindere dalla capacità reddituale personale dei singoli condomini; b) un'innovazione va qualificata come voluttuaria se il suo rapporto di accessorietà con i beni comuni non comporta, per questi ultimi, una rilevabile utilità, a prescindere dall'effettivo utilizzo da parte delle persone dei condomini o delle loro individuali preferenze in ordine al godimento di tale nuova opera. Tale orientamento trova espresso riscontro in giurisprudenza, secondo la quale le condizioni economiche del singolo condomino non rivestono rilevanza in ordine alla qualificazione come gravosa o meno di una determinata innovazione. Si afferma, infatti, che, per la determinazione del carattere molto gravoso della spesa, cioè della sua notevole onerosità, la legge opera un testuale riferimento alle particolari condizioni e all'importanza dell'edificio; non è, invece, rilevante il riferimento alle condizioni soggettive di singoli condomini e non si riflette, dunque, sull'eventuale legittimità della delibera la circostanza che l'impugnante sia uno studente privo di reddito di lavoro proprio (Trib. Milano 4 maggio 1988). L'affermazione ribadisce il più risalente orientamento, secondo il quale, ai fini dell'applicazione dell'art. 1121 c.c., il carattere voluttuario o gravoso dell'innovazione deve essere determinato con riferimento agli elementi obiettivi relativi alle particolari condizioni ed all'importanza dell'edificio, e non in considerazione di elementi personali attinenti alla situazione economica dell'uno o dell'altro condomino (App. Roma 24 aprile 1959). La disciplina codicistica
Le innovazioni che rivestono il carattere della gravosità o voluttarietà trovano la loro disciplina nell'art. 1121 c.c. che ne pone una regolamentazione del tutto tipica. La norma pone due ben distinte ipotesi, diversamente regolate, che fondano la loro differenziazione sulla possibilità che l'opera nuova sia suscettibile, o meno, di un uso separato. Anche in questo caso, il criterio per valutare la possibilità di un'utilizzazione separata è del tutto oggettivo e fa riferimento alle caratteristiche strutturali del bene e non ai comportamenti (o alla volontà) dei singoli condomini; in altri termini, per aversi utilizzazione separata, occorre che il bene (realizzato con l'innovazione) sia strutturalmente idoneo a servire una parte dei condomini, a prescindere dalla loro volontà o dal loro comportamento, e senza che ciò comporti una limitazione dell'utilizzo dei restanti beni. Le ipotesi possono essere schematizzate come segue: a) nel caso di innovazione gravosa o voluttuaria il cui utilizzo possa essere separato (vale a dire effettuato da una parte soltanto dei condomini), i condomini non utilizzatori non partecipano ad alcuna spesa per la realizzazione; b) nel caso, invece, che l'innovazione gravosa o voluttuaria non sia suscettibile di utilizzazione separata, bensì sia oggettivamente - vale a dire per caratteristiche funzionali o strutturali - posta a servizio e godimento dell'intera compagine condominiale, la relativa spesa di realizzazione è posta a carico dei soli condomini che intendono realizzarla. Da un'analisi di tale disciplina appare con evidenza che, nel caso delle innovazioni gravose o voluttuarie, viene superato il sistema ordinario di gestione dei beni comuni condominiali il quale - com'è noto - si fonda sul sistema maggioritario in base al quale la volontà della maggioranza vincola la minoranza dissenziente (fatte salve, ovviamente, le garanzie previste dalla legge a favore di quest'ultima). In tal senso, si afferma che, quando l'innovazione importi una spesa molto gravosa o quando la sua esecuzione abbia carattere voluttuario, viene meno il principio generale secondo cui la delibera, che, con la maggioranza prevista dalla legge, dispone un'innovazione, vincola tutti i partecipanti al condominio, i quali sono obbligati a contribuire alla relativa spesa (Trib. Milano 19 settembre 1960). La suddetta impostazione è stata confermata dalla più recente giurisprudenza di legittimità secondo la quale la norma di cui all'art. 1120 c.c., nel prescrivere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con determinate maggioranze, tende a disciplinare l'approvazione di quelle innovazioni che comportano oneri di spesa per tutti i condomini, tuttavia, ove non debba procedersi a tale ripartizione per essere stata la spesa relativa alle innovazioni di cui si tratta assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova applicazione la norma generale di cui all'art. 1102 c.c., che contempla anche le innovazioni, ed in forza della quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, a condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne uguale uso secondo il loro diritto, e, pertanto, può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune; ne consegue che, ricorrendo dette condizioni, il condomino ha facoltà di installare a proprie spese nella tromba delle scale dell'edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione degli altri condomini, e può far valere il relativo diritto con azione di accertamento, in contraddittorio degli altri condomini che contestino il diritto stesso, indipendentemente dalla mancata impugnazione della delibera assembleare che abbia respinto la sua proposta al riguardo (Cass. civ., sez. II, 10 aprile 1999, n. 3508). A ben vedere, nel caso di tale tipo di innovazioni, non ci si trova di fronte ad una delibera assembleare vera e propria in quanto non esiste una minoranza dissenziente la quale subisce gli effetti (giuridici ed economici) di una decisione avversa. In realtà, la fattispecie può essere ricostruita come segue: a) nel caso di innovazione gravosa o voluttuaria il cui utilizzo possa essere separato, i condomini che intendono realizzare l'opera nuova ne decidono (all'unanimità) la realizzazione, sopportandone integralmente la spesa, e ricevendone la facoltà di godimento esclusivo; b) nel caso, invece, che l'innovazione gravosa o voluttuaria non sia suscettibile di utilizzazione separata, i condomini che intendono realizzare l'opera nuova ne decidono (all'unanimità) la realizzazione, sopportandone integralmente la spesa, ma consentendone il relativo godimento a tutta la compagine condominiale. Può, dunque, ritenersi che una ricostruzione in tali termini, piuttosto che inquadrarsi nell'àmbito della disciplina delle innovazioni - e, quindi, dell'art. 1120 c.c. il quale presuppone la presenza di una delibera assembleare vincolante per la minoranza - possa essere più agevolmente ricondotta nell'alveo della disciplina dell'art. 1102 c.c. in base al quale «ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto (e) a tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa». Di ciò, costituisce indiretta conferma il collegamento tra le due norme operato dalla giurisprudenza, allorquando si incarica di individuare gli esatti limiti previsti dall'art. 1102 c.c. per l'attività migliorativa effettuata dal singolo condomino, includendo in quelli previsti da tale norma anche quelli ulteriori prescritti dall'art. 1120 c.c. Si afferma, infatti, che, alle modificazioni consentite al singolo condomino ex art. 1102, comma 1, c.c. si applica anche, in via analogica, per l'identità di ratio, il divieto di alterare il decoro architettonico del fabbricato previsto in materia di innovazioni dall'art. 1120, ultimo comma, c.c. (Cass. civ., sez. II, 22 agosto 2003, n. 12343). Da conto di tale impostazione un'altra pronuncia, questa volta di merito, in base alla quale la norma dell'art. 1120 c.c., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione di innovazioni che comportino per tutti i condomini delle spese, ripartite su base millesimale; ove non si faccia questione di spese, torna applicabile la norma generale dell'art. 1102 c.c. - che contempla anche le innovazioni - secondo cui ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, e, a tal fine, può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune (App. Milano 7 marzo 1980). E' necessario precisare, tuttavia, che tale ricostruzione deve essere accordata con la facoltà, concessa dalla legge - e non derivante, quindi, dalla volontà dei singoli - ai condomini estranei all'innovazione, di partecipare successivamente alla stessa, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 1121 c.c. A prescindere, comunque, dalla corretta ricostruzione della fattispecie in termini giuridici, le conseguenze più direttamente operative dell'art. 1121 c.c. sono da individuarsi nella suddetta ripartizione in base alla quale, in ogni caso, le spese di realizzazione dell'innovazione gravosa o voluttuaria devono essere poste ad esclusivo carico dei condomini che (liberamente) intendono realizzarla, mentre il relativo godimento può essere esercitato solo da questi ultimi o da tutti i condomini, a seconda che sia possibile un'utilizzazione separata. In accordo a tale impostazione, infatti, si sostiene che, se l'opera è suscettibile di utilizzazione separata, il condomino ha la facoltà di non trarne vantaggio, rimanendo esonerato da qualsiasi contributo nella spesa (Cass. civ., sez. II, 18 novembre 1971, n. 3314).
Considerato, quindi, che, nel caso delle innovazioni gravose o voluttuarie - a prescindere dalla ripartizione delle spese di realizzazione che è posta sempre a carico dei condomini che hanno deciso l'opera - si verificano due distinte ipotesi dipendenti dalla possibilità (o meno) di un godimento separato dell'opera, occorre, a questo punto, analizzare quali sono le conseguenze giuridiche in ordine alla proprietà dell'opera nuova. A tale proposito, appare quasi scontato affermare che i condomini che hanno realizzato (e sostenuto economicamente) l'opera nuova ne divengono i soli proprietari nella misura in cui, però, la destinazione del bene realizzato sia quella di essere a servizio od ornamento esclusivo delle porzioni immobiliari di loro proprietà; qualora, invece, la destinazione della nuova opera realizzata con l'innovazione sia a servizio dell'intero stabile - o anche di una parte di esso la quale, comunque, comprenda porzioni di piano i cui titolari hanno preferito non partecipare all'innovazione e non sostenerne le spese di realizzazione - la relativa proprietà spetterà in capo ai titolari delle porzioni immobiliari esclusive servite. Tale affermazione ben può definirsi pacifica e corrisponde all'applicazione del principio in base al quale la destinazione del bene è in grado di determinarne la proprietà in deroga all'art. 1117 c.c. (vale a dire allo stesso modo del titolo contrario ivi previsto). Per tale impostazione si veda la pronuncia in base alla quale il diritto di condominio sulle parti comuni dell'edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessarie per l'esistenza oppure che siano permanentemente destinate all'uso o al godimento comune - nella specie, spazio esterno al fabbricato assimilato al cortile - e di tali parti, l'art. 1117 c.c. fa un'elencazione non tassativa ma meramente esemplificativa, per cui la disposizione può essere superata se la cosa, per obbiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una parte dell'immobile, venendo meno in questi casi il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene vince l'attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario (Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2000, n. 7889). Per quanto riguarda le innovazioni gravose o voluttuarie, è confermato un identico principio con l'affermarsi che, con particolare riferimento alla comproprietà dell'ascensore, è stato deciso che quest'ultimo, quando non sia installato originariamente nell'edificio all'atto della sua costruzione e vi venga installato successivamente per iniziativa di tutti o parte dei condomini, non costituisce proprietà comune di tutti i condomini, bensì appartiene in proprietà a quei condomini che l'hanno impiantato a loro spese, salva la facoltà degli altri condomini prevista dall'art. 1121, ultimo comma, c.c., di partecipare successivamente alla innovazione (Cass. civ., sez. II, 18 novembre 1971, n. 3314). Se è vero che la realizzazione di un'innovazione gravosa o voluttuaria viene stabilita dai soli condomini interessati (e solo da questi economicamente sostenuta), tanto che difficilmente, a tale proposito, si può parlare di delibera basata sul principio maggioritario, una volta compiuta l'opera nuova, la gestione (ordinaria e straordinaria) della stessa deve essere ricondotta nel normale alveo della disciplina condominiale. In altri termini, una volta concretizzato il nuovo bene, la sua gestione torna ad essere decisa in sede assembleare, nel rispetto del procedimento previsto dal codice civile, ed in attuazione del principio maggioritario in base al quale la formazione della volontà dell'ente condominiale corrisponde alla volontà della maggioranza dei partecipanti (a volte, secondo quorum qualificati).
E' espressione di tale impostazione la pronuncia secondo la quale i presupposti per l'attribuzione della proprietà comune a vantaggio di tutti i partecipanti vengono meno se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali e funzionali, sono necessari per l'esistenza e per l'uso, oppure sono destinati all'uso o al servizio, non di tutto l'edificio, ma di una sola parte, o di alcune parti di esso, ricavandosi dall'art. 1123, comma 3, c.c. che le cose, i servizi, gli impianti, non appartengono necessariamente a tutti i partecipanti; ne consegue che, dalle situazioni di c.d. condominio parziale, derivano implicazioni inerenti la gestione e l'imputazione delle spese, in particolare non sussistendo il diritto di partecipare all'assemblea relativamente alle cose, ai servizi, agli impianti, da parte di coloro che non ne hanno la titolarità, ragion per cui la composizione del collegio e delle maggioranze si modificano in relazione alla titolarità delle parti comuni che della delibera formano oggetto (Cass. civ., sez. II, 27 settembre 1994, n. 7885). Casistica
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