PCT: la “prima sentenza” non si scorda mai (e la seconda è radicalmente nulla)

05 Settembre 2016

Quando alla redazione integrale della sentenza provvede direttamente il giudice estensore, dal momento in cui il documento, conforme al modello normativo, è consegnato ufficialmente in cancelleria – ovvero è trasmesso in formato elettronico per via telematica mediante PEC (d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 48) – il procedimento della decisione si completa e si esterna e dalla relativa data la sentenza diviene irretrattabile dal giudice che l'ha pronunziata.

La Suprema Corte, con le ordinanze “gemelle”, anzi “siamesi”, n. 17278/2016 e 17279/2016 (entrambe depositate il 23 agosto), ha trattato una questione decisamente particolare, inerente “gli scherzi” che il processo telematico può riservare: la medesima causa di appello decisa con due distinte sentenze, depositate a distanza di pochi giorni l'una dall'altra. “Inconvenienti tecnici”, si potrebbe dire, legati al processo telematico, che tuttavia non possono che essere esaminati e risolti alla luce delle consuete regole processuali, che del resto il menzionato “processo telematico” non ha certamente eliminato (anche se a volte sembra vero il contrario…).

Il caso: due sentenze per la stessa causa. È assolutamente peculiare la fattispecie, di fatto unitaria, decisa dalla Cassazione con due decisioni che si potrebbero definire, più che “gemelle”, “siamesi”, vale a dire riguardanti il medesimo caso e le medesime parti. Infatti, una controversia in materia di lavoro veniva decisa dalla Corte d'appello con due sentenze: la prima, nella quale mancava completamente la motivazione e non vi era corrispondenza tra le parti e la decisione; la seconda, con la quale la Corte d'appello entrava nel merito dei ricorsi (principale e incidentale), premettendo che l'invio e il deposito, avvenuti in via telematica, della precedente sentenza, era da ascriversi ad un malfunzionamento del Sistema Consolle PCT; per cui, in sostanza, la “prima” decisione doveva essere intesa come integralmente sostituita dalla “seconda”.

Da questo “pasticcio informatico” sono originati due distinti ricorsi per cassazione. Con il primo ricorso, l'interessato ha fatto valere la nullità della sentenza per violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e per omessa motivazione (totalmente mancante); con il secondo ricorso, il medesimo ricorrente ha fatto valere la nullità della “seconda” sentenza, proprio in ragione dell'avvenuto deposito della “prima”. La Cassazione accoglie entrambi i ricorsi, annullando (nel primo caso, con rinvio, nel secondo, senza) le sentenze gravate.

Quando la sentenza viene depositata diventa irretrattabile. Anzitutto, ribadisce la Suprema Corte, con riguardo all'ipotesi che alla redazione integrale della sentenza provveda direttamente il giudice estensore, dal momento in cui il documento, conforme al modello normativo, è consegnato ufficialmente in cancelleria – ovvero è trasmesso in formato elettronico per via telematica mediante PEC (art. 48, d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82) – il procedimento della decisione si completa e si esterna e dalla relativa data la sentenza diviene irretrattabile dal giudice che l'ha pronunziata; è legalmente nota a tutti; inizia a decorrere il termine lungo di decadenza per le impugnazioni di cui all'art. 327 c.p.c.; produce tutti i suoi effetti giuridici.

Il successivo invio di “altra” sentenza è irrilevante. Nel caso deciso dalla Suprema Corte il deposito in cancelleria era già avvenuto con la trasmissione (e contestuale deposito nel fascicolo informatico) della “prima” sentenza definitiva, munita della firma digitale del Presidente estensore. Di conseguenza, è irrilevante, ai fini della materiale esistenza di tale “primo” provvedimento, il successivo invio da parte del medesimo giudice estensore di altra sentenza relativa allo stesso fascicolo; invio avvenuto, sempre con modalità telematica, pochi giorni dopo. Infatti, prima di detto nuovo invio, la sentenza precedente, redatta in formato elettronico, regolarmente firmata e trasmessa a mezzo PEC dal Presidente estensore, era già da considerarsi depositata e pubblicata.

Certo, il problema rimane, ma i rimedi non mancano: l'actio nullitatis (o la tempestiva impugnazione). In questo problematico e peculiare contesto, la Cassazione non manca di considerare che, in effetti, qualora sia stato emesso nei confronti delle parti del giudizio un provvedimento giurisdizionale avente contenuto decisorio, ma con motivazione e dispositivo relativi a diversa causa concernente altri soggetti, tale provvedimento, affetto da radicale nullità (cosiddetta “inesistenza giuridica”), comporta un incompiuto esercizio della giurisdizione ed una inattitudine al giudicato, con la possibilità per lo stesso giudice di procedere alla sua rinnovazione, attraverso l'emanazione di un atto valido conclusivo del giudizio. Tuttavia ciò presuppone necessariamente un'autonoma azione di accertamento negativo (actio nullitatis), che può essere fatta valere in ogni tempo, e che comunque non esclude che tali vizi possano essere fatti valere tempestivamente con i normali mezzi di impugnazione, ove ricorra l'interesse della parte ad una espressa motivazione dell'atto processuale viziato.

In ogni caso non è possibile “integrare” una sentenza radicalmente nulla. Deve comunque essere escluso che alla suddetta nullità radicale possa ovviarsi, dopo il deposito in cancelleria, attraverso l'emanazione di una nuova sentenza “integrata” con appropriate motivazioni e dispositivo.

* Tratto da www.dirittoegiustizia.it

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