Dichiarazione del terzo pignorato

Rosaria Giordano
12 Giugno 2017

Il procedimento di espropriazione presso terzi si caratterizza perché il pignoramento ha ad oggetto beni o somme di denaro appartenenti al debitore esecutato che si trovano in possesso di un terzo, sicché tutto il meccanismo processuale ruota intorno alla dichiarazione dello stesso.
Inquadramento

Il procedimento di espropriazione presso terzi si caratterizza perché il pignoramento ha ad oggetto beni o somme di denaro appartenenti al debitore esecutato che si trovano in possesso di un terzo, sicché tutto il meccanismo processuale ruota intorno alla dichiarazione dello stesso.

Di conseguenza, il pignoramento viene notificato anche al debitor debitoris, che è chiamato a rendere una dichiarazione specificando di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna al debitore esecutato.

Il pignoramento prezzo terzi costituisce quindi una fattispecie complessa a formazione progressiva i cui elementi costitutivi sono rappresentati non solo dall'ingiunzione al debitore di astenersi da qualunque disposizione volta a sottrarre alla garanzia del credito esattamente indicato i beni che si assoggettano all'espropriazione ed i frutti di essi ma, altresì, dall'atto di pignoramento rivolto al debitor debitoris mediante il quale lo stesso è invitato a dichiarare, nelle forme di legge, di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso e dall'atto di collaborazione del terzo tramite il quale lo stesso rende la prescritta dichiarazione.

Modalità della dichiarazione

Nel sistema tradizionale, il terzo pignorato era tenuto in ogni caso, ossia a prescindere dalla natura del credito del debitore oggetto di pignoramento, a rendere all'udienza indicata all'atto della notifica del pignoramento la dichiarazione in ordine alla sussistenza del proprio debito nei confronti del debitore esecutato. Al fine di agevolare la posizione del terzo, evitando allo stesso inutili disagi, e di snellire le procedure di espropriazione ex artt. 543 e ss. c.p.c., la legge n. 52/2006 aveva modificato l'art. 543, primo comma, n. 4, c.p.c. nel senso che la dichiarazione doveva essere resa in udienza soltanto qualora il pignoramento riguardi crediti di cui all'art. 545, commi terzo e quarto c.p.c., potendo negli altri casi la dichiarazione essere comunicata entro dieci giorni al creditore procedente mediante lettera raccomandata (nonché, come previsto dalla legge n. 228/2012, attraverso posta elettronica certificata (cfr. BOVE (-BALENA), Le riforme più recenti del processo civile, Bari 2006, 158 ss.).

In sostanza, la dichiarazione in udienza rimaneva obbligatoria soltanto qualora il pignoramento aveva ad oggetto somme dovute dal terzo datore di lavoro al debitore a titolo di stipendio, salario o di altre indennità dovute in ragione del rapporto di lavoro nonché a causa del licenziamento.

Nella prospettiva di semplificazione del processo di espropriazione presso terzi e di riduzione degli oneri del terzo debitore, la riforma in esame realizzata dall'art. 19 d.l. 132/2014 elimina quindi siffatta distinzione, prevedendo che, a prescindere dalla natura del credito del debitore nei confronti del terzo, quest'ultimo sia chiamato a rendere la dichiarazione sempre a mezzo raccomandata o pec, salva l'ipotesi nella quale non renda in questa forma la dichiarazione e quindi venga fissata un'udienza a tal fine, udienza nella quale, come detto, se il terzo non compare si produrrà l'effetto implicito del riconoscimento del credito.

Contenuto dell'atto di pignoramento

In ordine al contenuto dell'atto di pignoramento, l'art. 543, comma secondo, n. 3, c.p.c. è stato già modificato dalla legge n. 228/2012 nel senso di prevedere che ilcreditore procedente deve indicare nell'atto di pignoramento il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, in modo da consentire al terzo di inviare allo stesso, in alternativa alla raccomandata, la dichiarazione mediante posta elettronica certificata.

Sorgono alcuni interrogativi.

Occorre chiedersi, in primo luogo, se dal disposto in parte qua dell'art. 543 c.p.c. deve ritenersi che il creditore sia tenuto ad indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata nell'atto di pignoramento anche qualora lo stesso non sia un soggetto obbligato ad avere tale indirizzo, ossia, in sostanza, un professionista, un'impresa o una pubblica amministrazione.

Riteniamo che in tale ipotesi non possa ritenersi operante la disposizione normativa la cui portata non può spingersi al punto di obbligare un soggetto non tenuto ad avere un indirizzo di posta elettronica certificata a dotarsene per poter effettuare un pignoramento presso terzi.

Più in generale, sorge il problema di individuare le conseguenze dell'omessa indicazione da parte del creditore, che ne sia munito, del proprio indirizzo di posta elettronica certificata nell'atto di pignoramento.

Avendo riguardo al disposto dell'art. 156 c.p.c., norma di carattere generale sulle nullità processuali, si è correttamente osservato che non potrà predicarsi in tale ipotesi alcun vizio dell'atto di pignoramento, in quanto non previsto dal legislatore e non potendosi ritenere che l'indicazione in questione sia indispensabile ai fini del raggiungimento dello scopo processuale dell'atto (TRAPUZZANO, L'espropriazione presso terzi: dichiarazione e mancata comparizione, in Giustciv.com, § 3).

Come autorevolmente osservato, seppure non vi sia indicazione del proprio indirizzo di posta elettronica certificata da parte del creditore, il terzo, previa individuazione in via autonoma di tale indirizzo, potrà comunque inviarvi la stessa (SALETTI, Le novità dell'espropriazione presso terzi, in Riv. esec. forz., 2013, I, 10).

Sebbene la norma preveda che la dichiarazione debba essere resa mediante raccomandata o posta elettronica certificata può ritenersi valida per raggiungimento dello scopo concreto dell'atto processuale una dichiarazione fornita in forme diverse come, ad esempio, fax e mail purché non vi siano dubbi su provenienza ed autenticità (TRAPUZZANO, L'espropriazione presso terzi: dichiarazione e mancata comparizione, cit., § 3).

E' inoltre previsto che la dichiarazione venga inviata dal terzo pignorato al creditore entro 10 giorni dalla notifica del pignoramento ma tale termine non è indicato come perentorio ed appare peraltro opportuno tener conto di una dichiarazione, specie se positiva, inviata tardivamente, piuttosto che dare luogo ad un accertamento incidentale sull'esistenza dell'obbligo del terzo ed avuto riguardo altresì alla circostanza che la richiamata modifica dei criteri di collegamento della competenza territoriale potrebbe rendere per il terzo oltremodo impegnativa la partecipazione all'udienza (D'ALESSANDRO, L'espropriazione presso terzi, cit., 84).

"Cristallizzazione" della dichiarazione

Restano ferme, nonostante tale intervento normativo, talune non secondarie questioni problematiche già evidenziate all'indomani della riforma del 2006.

Sotto un primo profilo, occorre ricordare che, almeno in giurisprudenza, era tradizionalmente dominante la tesi per la quale il pignoramento presso terzi costituisce una fattispecie complessa che si perfeziona non già con la sola notificazione dell'atto di intimazione di cui all'art. 543 c.p.c., ma con la dichiarazione positiva del terzo o con l'accertamento giudiziale del credito di cui all'art. 549 c.p.c., di talché il credito pignorato può essere individuato e determinato nel suo preciso ammontare in data anche di molto successiva a quella della notificazione dell'atto, senza che lo si possa considerare sorto dopo il pignoramento, poiché l'indisponibilità delle somme dovute dal terzo pignorato al debitore e l'inefficacia dei fatti estintivi si producono fin dalla data della notificazione, ai sensi dell'art. 543 c.p.c. (v., tra le molte, Cass. 9 marzo 2011, n. 5529, in Giust. Civ., 2013, n. 5-6, 1226).

Nell'assetto attuale si pone allora la questione se la fattispecie complessa possa perfezionarsi alla data dell'invio della raccomandata o del messaggio di posta elettronica certificata contenente dichiarazione positiva del terzo ovvero al momento della ricezione da parte del creditore procedente ovvero, ancora, sino alla data dell'udienza. In quest'ultimo senso è la posizione di autorevole dottrina la quale ritiene che, anche nel sistema attuale, nell'ipotesi di sopravvenienza del credito il pignoramento si specifichi nel suo oggetto con la dichiarazione in rapporto alla data d'udienza, con conseguente onere a carico del terzo, in detta situazione, di inviare altra raccomandata integrativa della precedente dichiarazione ovvero di comparire in udienza per rettificare la portata di quella precedentemente inviata al creditore (CAPPONI, Manuale di diritto dell'esecuzione civile, 2a ed., Torino 2012, 147).

In secondo luogo, la possibilità per il terzo di rendere la dichiarazione mediante raccomandata indirizzata al creditore procedente determina una serie di questioni interpretative di difficile soluzione, tra le quali possono evidenziarsi la mancata garanzia circa la provenienza dal terzo debitore o dal legale rappresentante dello stesso della lettera raccomandata. Peraltro, proprio al fine di attenuare la portata della problematica, la riforma di cui alla legge n. 228 del 2012, che ha inciso su molti profili del procedimento di espropriazione presso terzi, ha previsto che il creditore procedente debba indicare nell'atto di pignoramento il proprio indirizzo di posta elettronica certificata al fine di consentire al terzo non onerato di comparire all'udienza di inviare comunque una dichiarazione di provenienza certa mediante posta elettronica certificata (possibile anche presso l'indirizzo pec del difensore del creditore).

Onere di contestazione del terzo pignorato

Sotto un distinto profilo la legge n. 228 del 2012 ha rafforzato significativamente gli oneri a carico del terzo pignorato, con una disciplina che non era scevra, nella formulazione originaria, da alcune problematiche sotto il profilo della compatibilità con l'assetto costituzionale.

In particolare, infatti, è stato introdotto un innovativo onere di contestazione del terzo pignorato, stabilendo, l'art. 548 c.p.c., nella versione originaria novellata dalla predetta legge, che:

-qualora il terzo chiamato a rendere la propria dichiarazione in udienza non si fosse presentato, ferma la necessità evidente di un controllo in ordine alla regolarità della notifica effettuata con conseguente previo ordine di rinnovo della stessa, il credito pignorato o il possesso di cose di appartenenza del debitore, nell'ammontare o nei termini indicati dal creditore, sarebbero stati considerati come non contestati ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione;

-se il terzo non era tra quelli tenuti a rendere la dichiarazione in udienza, in caso di omessa ricezione della dichiarazione da parte del creditore, il giudice avrebbe dovuto disporre un rinvio dell'udienza, da comunicarsi al terzo pignorato entro dieci giorni prima dell'udienza, e soltanto nell'ipotesi di omessa comparizione del terzo anche a tale ultima udienza, si sarebbe prodotto l'effetto della non contestazione del credito.

E' evidente l'innovazione rispetto al sistema tradizionale, per certi versi antitetico, nel quale la mancata dichiarazione del terzo è sempre stata, invece, circostanza tale da impedire il perfezionamento del pignoramento per difetto di oggetto, ferma la possibilità di introdurre il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo, mentre attualmente il silenzio del terzo finisce per valere come riconoscimento implicito della debenza delle somme indicate dal creditore (D'ALESSANDRO, L'espropriazione presso terzi, cit., 76).

La differenza di trattamento tra le due ipotesi non era priva di una ragionevole giustificazione, essendo l'apparentemente più favorevole regime previsto dal secondo comma dell'art. 548 c.p.c. correlato all'esigenza di evitare che l'effetto di riconoscimento implicito del credito derivasse da dichiarazioni mendaci del difensore.

In sostanza, a partire dalla riforma realizzata dalla legge n. 228/2012 è stato introdotto un sistema in virtù del quale, per il perfezionamento del pignoramento, è necessario che le affermazioni del creditore contenute in tale atto siano confermate dal terzo:

  • espressamentemediante lettera raccomandata ovvero posta elettronica certificata inviata al creditore (rectius, sino alla riforma di cui al d.l. 132/2014 con dichiarazione resa in udienza per i crediti derivanti da un rapporto di lavoro);
  • tacitamente, mediante il comportamento inerte del debitor debitoris.

Pertanto, il sistema è attualmente congegnato nel senso che il terzo deve rendere la prescritta dichiarazione a mezzo lettera raccomandata o posta elettronica certificata trasmessa al creditore procedente e, laddove la dichiarazione non sia stata resa, il Giudice disporrà un rinvio dell'udienza, da comunicarsi al terzo entro dieci giorni prima della nuova udienza fissata, nella quale, ove il terzo non compaia, il credito pignorato “nell'ammontare o nei termini indicati dal creditore” dovrà considerarsi non contestato.

E' stato chiarito, tuttavia, con la riforma di cui al d.l. n. 83/2015, che in quest'ultima ipotesi l'effetto della non contestazione si determina esclusivamente nel caso in cui nell'atto di pignoramento l'allegazione del creditore consente l'identificazione del credito o dei beni di appartenenza del debitore in possesso del terzo e il giudice provvede a norma degli articoli 552 o 553 c.p.c.

Tale innovazione si correla alla circostanza che, come noto, spesso il credito vantato dal debitore nei confronti del terzo o le somme o cose di pertinenza dello stesso che si trovano presso il terzo sono indicati soltanto genericamente nell'atto di pignoramento (D'ALESSANDRO, L'espropriazione presso terzi, cit., 77). Ciò è conforme al disposto dello stesso art. 543 c.p.c. che, nell'individuare il contenuto dell'atto di pignoramento presso terzi, stabilisce che lo stesso deve contenere “l'indicazione, almeno generica, delle cose o delle somme dovute”. Sulla questione, è costante nellagiurisprudenza di legittimitàl'affermazione del principio per il quale in tema di espropriazione presso terzi, la domanda di accertamento del credito, nel contenere, ai sensi dell'art. 543, secondo comma n. 2, c.p.c., "l'indicazione, almeno generica, delle cose e delle somme dovute", si estende, potenzialmente, all'intero importo che si accerti dovuto dal debitore esecutato sulla base dei fatti e del titolo dedotti in giudizio, non potendosi esigere dal creditore procedente,estraneo ai rapporti tra debitore e terzo, la conoscenza dei dati esatti concernenti tali somme o cose, prevedendo il sistema che tale genericità venga eliminata mediante la dichiarazione che il terzo è chiamato a rendere ai sensi dell'art. 547 c.p.c. (v., tra le altre, Cass. 20 marzo 2014, n. 6518; Cass. 24 maggio 2003, n. 8239).

Effetti della non contestazione e rimedi esperibili da parte del terzo pignorato

Altra questione problematica attiene, specie nell'ipotesi in cui la stessa si fondi su un riconoscimento implicito del credito da parte del terzo pignorato mediante condotta processualmente inerte, alla valenza preclusiva dell'ordinanza di assegnazione al di fuori del processo esecutivo (D'ALESSANDRO, L'espropriazione presso terzi, cit., 80).

E' espressamente previsto, a riguardo, che il credito del debitore verso il terzo si considererà non contestato limitatamente al procedimento in corso ed all'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione.

Dalle precise locuzioni utilizzate a tal fine dal legislatore sembra doversi inferire che il riconoscimento implicito del credito abbia non soltanto efficacia endoprocessuale ma che detta efficacia sia limitata a quella singola procedura esecutiva, anche in ragione della precisazione sull'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione.

L'unico rimediooppositivo a fronte dell'operare del meccanismo della non contestazione espressamente previsto dal legislatore è quello dell'opposizione agli atti esecutivi avverso l'ordinanza di assegnazione, riservata, tuttavia, dall'ultimo comma dell'art. 548 c.p.c. all'ipotesi nella quale il terzo deduca di non aver avuto tempestiva conoscenza, per irregolarità della notifica, caso fortuito e forza maggiore.

Secondo alcuni il secondo comma dell'art. 548 c.p.c. dovrebbe intendersi nel senso di consentire al terzo pignorato la proposizione di questa opposizione tardiva, cioè anche oltre il termine di venti giorni dall'emissione dell'ordinanza di assegnazione, in presenza di detti presupposti con l'ulteriore conseguenza che, anche a prescindere dagli stessi, sarebbe sempre consentita al terzo, a fronte della mancata contestazione, la proposizione del rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi (MONTELEONE, Semplificazioni e complicazioni nell'espropriazione presso terzi, cit., 7).

Siffatta tesi, sebbene autorevolmente sostenuta, non convince la maggior parte dei commentatori.

Invero, per non svilire di ogni significato pratico la valenza della riforma, il riferimento alla mancata conoscenza deve intendersi, piuttosto, non già all'ordinanza di assegnazione (sebbene possa inferirsi tale conclusione dalla formulazione letterale della norma), quanto al pignoramento per irregolarità della notifica, per caso fortuito o forza maggioreovvero al provvedimento di rinvio dell'udienza disposto ex art. 548 c.p.c. a fronte del mancato invio della dichiarazione al creditore precedente (SALETTI, Le novità dell'espropriazione presso terzi, cit., 10 ss.).

Ciò premesso, la circostanza che venga concesso al terzo avverso l'ordinanza di assegnazione fondata su un riconoscimento implicito del proprio debito nei confronti dell'esecutato soltanto il rimedio dell'opposizione ex art. 617 c.p.c. e che venga limitato agli indicati presupposti ha dato luogo ad un vivace dibattitocon varietà di soluzioni proposte.

Secondo una prima tesi, poiché l'opposizione agli atti esecutivi ha un oggetto di rito, dovrebbe ritenersi che l'ordinanza di assegnazione non abbia alcuna valenza preclusiva al di fuori del processo esecutivo con riferimento all'esistenza ed all'ammontare del credito, non essendosi formato in sede esecutiva alcun accertamento incontrovertibile.

Pertanto, il terzo potrebbe:

a)agire in ripetizione dell'indebito nei confronti del creditore procedente;

b)incardinare un giudizio di accertamento negativo del credito nei confronti dell'esecutato.

Alcuni tra i fautori di tale orientamento ritengono esperibile, inoltre, ad opera del terzo pignorato anche l'opposizione all'esecuzione nell'ambito della procedura esecutiva incardinata sulla scorta dell'ordinanza di assegnazione dal creditore procedente nei propri confronti: tale tesi è stata efficacemente argomentata anche evidenziando che, come avviene per l'art. 115 c.p.c. nell'ambito del processo di cognizione, alla non contestazione deve attribuirsi un mero effetto di inversione dell'onere della prova a carico della parte che è rimasta inerte.

In altri termini, in accordo con la riferita ed arguta prospettazione interpretativa, invero, la non contestazione cui fa riferimento l'art. 548 c.p.c. dovrebbe essere letta in modo sistematico ed armonico rispetto all'art. 115, primo co., c.p.c. che nella vicina riforma del 2009ha introdotto un onere di specifica contestazione nel processo civile: pertanto, poiché è pacifico che la mancata contestazione dei fatti costitutivi ex art. 115, primo comma, c.p.c. comporta non la prova legale dei fatti, ma solo un inversione dell'onere della prova sicché è sempre possibile che il fatto, pur non contestato, sia smentito da altre evidenze probatorie o sia provato il contrario agli atti del giudizio tale regola così anche nel nostro caso (BRIGUGLIO, Note brevissime sull'onere di contestazione per il terzo pignorato (nuovo art. 548 c.p.c.), cit., 31 ss.).

Ritengono, invece, altri Autori che all'ordinanza di assegnazione emessa per effetto della non contestazione del terzo andrebbe tributata una tendenziale stabilità che, pur non essendo conseguenza di un accertamento incontrovertibile, che non potrebbe invero formarsi in sede esecutiva, dipende da un concetto di preclusione più ampio rispetto al giudicato sostanziale, ossia una preclusione conseguente all'attività processuale svoltasi in sede esecutiva. In sostanza, se il pignoramento si è perfezionato per la condotta inerte del terzo, la circostanza che lo stesso lasci decorrere il termine di venti giorni senza proporre opposizione agli atti esecutivi avverso l'ordinanza di assegnazione, implica che non sia più consentito allo stesso di contestare l'ammontare e la natura del credito (TOTA, Note sull'art. 548, 2° co., c.p.c. (dopo il d.l. 12-9-2014, n. 132), cit., 750 ss.).

Con riguardoalle controversie distributive avallo a tale orientamento si ritrova nella giurisprudenza di legittimità per la quale in tema di esecuzione forzata, il provvedimento che chiude il procedimento esecutivo, pur non avendo, per la mancanza di contenuto decisorio, efficacia di giudicato, è, tuttavia, caratterizzato da una definitività insita nella chiusura di un procedimento esplicato col rispetto delle forme atte a salvaguardare gli interessi delle parti, incompatibile con qualsiasi sua revocabilità, sussistendo un sistema di garanzie di legalità per la soluzione di eventuali contrasti, all'interno del processo esecutivo, di talché il soggetto espropriato non può esperire, dopo la chiusura del procedimento di esecuzione forzata, l'azione di ripetizione di indebito contro il creditore procedente (o intervenuto) per ottenere la restituzione di quanto costui abbia riscosso, sul presupposto dell'illegittimità per motivi sostanziali dell'esecuzione forzata (cfr., tra le altre, Cass. 18 agosto 2011, n. 17371, in Riv. esec. forzata, 2012, 189; Cass. 30 novembre 2005, n. 26078, in Giust. Civ., 2006, I, 1778).

Per affermare una tesi siffatta, tuttavia, dovrebbe ritenersi, peraltro in conformità al tradizionale orientamento della S.C. per il quale il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi è l'unico esperibile avverso l'ordinanza di assegnazione del credito ex art. 553 c.p.c., non solo quando si contestino vizi formali suoi, o degli atti che l'hanno preceduta, ma pure quando si intenda confutare l'interpretazione che il giudice dell'esecuzione ha dato alla dichiarazione del terzo, anche quanto alla entità ed alla esigibilità del credito, con la conseguenza che, qualora il creditore assegnatario si avvalga, come titolo esecutivo nei confronti del terzo assegnato, dell'ordinanza predetta, sarà preclusa a quest'ultimo, assoggettato a tale esecuzione, la deduzione, mediante l'opposizione di cui all'art. 615 c.p.c., di quei medesimi vizi della menzionata ordinanza che, nel procedimento di espropriazione presso terzi, abbia già fatto valere con opposizione agli atti esecutivi definitivamente respinta (cfr. Cass. 20 novembre 2012, n. 20310), che mediante l'opposizione agli atti, superando l'infelice formulazione del terzo co. dell'art. 548 c.p.c., il terzo pignorato possa far valere anche questioni di merito afferenti il diritto a procedere ad esecuzione forzata una volta superata la fase c.d. rescindente, ossia dopo aver dimostrato di non aver avuto conoscenza per caso fortuito o forza maggiore dell'atto di pignoramento e del successivo provvedimento di rinvio dell'udienza.

Riferimenti
  • BRIGUGLIO, Note brevissime sull'onere di contestazione per il terzo pignorato (nuovo art. 548 c.p.c.), in Riv. esec. forz., 2013, I, 30;
  • COLESANTI, Novità non liete per il terzo debitore (cinquant'anni dopo), in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, n. 4, 1255;
  • GIORDANO – TRAPUZZANO, La riforma del processo civile, Milano 2015;
  • MONTELEONE, Semplificazioni e complicazioni nell'espropriazione presso terzi, in Riv. esec. forz., 2013, I, 1;
  • SALETTI, Le novità dell'espropriazione presso terzi, in Riv. dir. proc., 2013, I, 8;
  • TRAPUZZANO, L'espropriazione presso terzi: dichiarazione e mancata comparizione, in Giustiziacivile.com, 2004, n. 3;
  • VINCRE, Brevi osservazioni sulle novità introdotte dalla l. 228/2012 nell'espropriazione presso terzi: la mancata dichiarazione del terzo (art. 548 c.p.c.) e la contestazione della dichiarazione (art. 549 c.p.c.), in Riv. esec. forz., 2013, I, 53.
Sommario