Spese ed onorari degli arbitri ed il ricorso straordinario per Cassazione

02 Marzo 2017

Le Sez. Un., Cass. n. 25045 del 7 dicembre 2016, in contrasto con i propri precedenti in merito, ammettono la proponibilità del ricorso straordinario per cassazione avente ad oggetto l'ordinanza emessa in sede di reclamo avverso l'ordinanza emessa dal presidente del tribunale ex art. 814 c.c.p., in materia di spese ed onorari degli arbitri, anche in ragione della natura giurisdizionale del lodo rituale e, quindi, del relativo procedimento arbitrale oltre che della decisorietà e definitività del provvedimento in esame.
Questione controversa e primi interventi delle Sezioni Unite

Il contrasto interpretativo circa la ricorribilità in cassazione contro il provvedimento che statuisce in materia di spese ed onorari degli arbitri è più volte portato all'attenzione delle Sez. Un. della Suprema Corte ma risolto, nel senso dell'ammissibilità, solo con la citata sentenza n. 25045. Il Giudice di legittimità nella specie utilizza quale “grimaldello” per la rivisitazione dei suoi precedenti arresti il noto revirement attuato dalle Sez. Un., Cass. 25 ottobre 2013, n. 24153, circa la natura giurisdizionale e non negoziale del lodo rituale e, quindi, del relativo procedimento arbitrale.

Per l'originaria impostazione ermeneutica, in tema di determinazione del compenso e delle spese dovuti agli arbitri dai conferenti l'incarico, è inammissibile, anche nel regime previsto dall'art. 814 c.p.c. nella nuova formulazione introdotta dall'art. 21, d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 , il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., proposto avverso l'ordinanza resa dalla Corte di appello in sede di reclamo contro il provvedimento del competente presidente del tribunale e relativa alla quantificazione del compenso. Il provvedimento di cui innanzi è difatti adottato nell'ambito di una attività non giurisdizionale contenziosa ma sostanzialmente privatistica e, dunque, priva di natura decisoria ed attitudine al giudicato.

Con il principio di diritto di cui innanzi la Suprema Corte, Sez. Un., 8 febbraio 2013, n. 3069, si conforma al proprio orientamento, in particolare alle sentenze “gemelle” del 3 luglio 2009, Cass. n. 15586 e 15592, chiarendo che, in assenza di espressa rinunzia da parte degli aventi diritto, «il contratto di arbitrato», che non contenga la relativa quantificazione del compenso e delle spese, è automaticamente integrato, in base all'art. 814 c.p.c., con clausola devolutiva della pertinente determinazione al presidente del tribunale, il quale, una volta investito (con ricorso proponibile anche disgiuntamente da ciascun componente del collegio arbitrale) in alternativa all'arbitratore, svolge una funzione giurisdizionale non contenziosa, adottando un provvedimento di natura essenzialmente privatistica. Ne consegue che il provvedimento di cui innanzi è privo della vocazione al giudicato ed è, dunque, insuscettibile di impugnazione con

ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost.. Tale natura del procedimento, inoltre, esclude l'ipotizzabilità di una soccombenza ed osta, pertanto, all'applicazione del relativo principio ed all'adozione delle conseguenziali determinazioni in tema di spese.

Ulteriore rimessione alle Sezioni Unite

Il detto orientamento è nuovamente confermato della Suprema Corte, in assenza di «forti ed apprezzabili ragioni giustificative» per discostarsene. Cass., Sez. Un., 31 luglio 2012, n. 13620, difatti, conferma l'inammissibilità del ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., proposto avverso provvedimento del competente presidente del tribunale, relativo alla determinazione del compenso e delle spese dovuti agli arbitri, ex art. 814, comma 2, c.p.c., chiarendo che, pur non esistendo nel nostro sistema processuale una norma che imponga la regola dello stare decisis, essa costituisce, tuttavia, un valore o, comunque, una direttiva di tendenza immanente nell'ordinamento, stando alla quale non è consentito discostarsi da un'interpretazione del giudice di legittimità, investito istituzionalmente della funzione della nomofilachia, senza forti ed apprezzabili ragioni giustificative. Quanto detto, sempre per la citata Suprema Corte, rileva maggiormente in tema di norme processuali, per le quali l'esigenza di un adeguato grado di certezza si manifesta con maggiore evidenza, anche alla luce dell'art. 360-bis, comma 1, n. 1, c.p.c. (nella specie, non applicabile ratione temporis), ove siano compatibili con la lettera della legge due diverse interpretazioni, deve preferirsi quella sulla cui base si sia formata una sufficiente stabilità di applicazione nella giurisprudenza di legittimità.

L'orientamento di cui innanzi è poi ribadito, a fortiori, con riferimento all'arbitrato irrituale, in quanto la decisione che conclude il procedimento è sfornita pure dell'attitudine a divenire “sentenza” ed il compenso dovuto agli arbitri irrituali si connota come debito ex mandato, per l'adempimento del quale è attivabile un ordinario giudizio di cognizione (Cfr., Cass., sez. I, 10 ottobre 2013, n. 23086).

Nuova ordinanza interlocutoria ed attuale intervento della Suprema Corte

Le argomentazioni della tesi contraria a quella di cui innanzi, infine, si pongono alle base dell'ordinanza interlocutoria di Cass., sez I, 8 marzo 2016, n. 4517, di rimessione al Primo Presidente della Suprema Corte, ritenendola di massima di particolare importanza, la questione inerente la natura del procedimento ex art. 814 c.p.c. innanzi al presidente del tribunale e del conseguente reclamo innanzi alla Corte d'appello e, quindi, della ricorribilità straordinaria per cassazione, ritenendo oggi sussistenti forti ed apprezzabili ragioni giustificative per discostarsi dal precedente orientamento delle Sez. Un., anche, come detto, in virtù dell'intervenuto revirement circa la natura dell'arbitrato rituale.

Le conseguenti Sez. Un., Cass. n. 25045 del 7 dicembre 2016, in contrasto con i propri precedenti in merito, ammettono la proponibilità del ricorso straordinario per cassazione avente ad oggetto l'ordinanza emessa in sede di reclamo avverso l'ordinanza emessa dal presidente del tribunale ex art. 814 c.p.c.,in materia di spese ed onorari degli arbitri, anche in ragione della natura giurisdizionale del lodo rituale e, quindi, del relativo procedimento arbitrale, oltre che della decisorietà e definitività del provvedimento in esame.

La Suprema Corte, in particolare, muove dalla giurisdizionalizzazione dell'arbitrato rituale per riconsiderare il proprio precedente orientamento, evidentemente ritenendo considerandola “forte ed apprezzabile ragione giustificativa”, oltre che argomento tale da riconoscere natura giurisdizionale all'ordinanza emessa in sede di riesame del provvedimento del presidente del Tribunale in materia di spese e di onorari degli arbitri rituali, alla quale riconosce altresì efficacia di giudicato.

Considerazioni critiche (adesive)

Il descritto intervento delle Sez. Un. convince, tanto quanto a soluzione del quesito di diritto quanto in merito al relativo iter logico-giuridico.

Già antecedentemente alla citata Cass. Sez. Un., n. 25045, all'alba dell'ordinanza di rimessione, si è in dottrina ritenuto che le adite S.U. avrebbero dovuto affrontare la questione di diritto di cui innanzi, «non potendo più “opporre” l'assenza di forti ed apprezzabili ragioni giustificative»(F. Antezza, Spese ed onorari degli arbitri e ricorribilità per cassazione dell'ordinanza presidenziale o conclusiva del reclamo). Questo può difatti ritenersi essere il portato delle argomentazioni poste dalle citate S.U. del 2013 a sostegno della natura giurisdizionale dell'arbitrato rituale e della funzione sostitutiva degli arbitri rispetto a quella del giudice ordinario, tale da giustificare conseguenti rilevanti ripercussioni in termini processuali non solo sul giudizio arbitrale ma anche in ordine al procedimento ex art. 814 c.p.c. (si veda, per le ripercussioni circa il procedimento arbitrale, Id).

Le citate S.U. del 2013, in particolare, ritengono che l'attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla legge 5 gennaio 1994, n. 5 e dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, abbia natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, dà luogo ad una questione di giurisdizione.

Successivamente al “revirement” del 2013, anche argomentando dalla natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario propria degli arbitri rituali, sono difatti emesse dalla Suprema Corte numerose decisioni in ordine all'interpretazione del patto compromissorio ed alla conseguente distinzione tra arbitri rituali (ed arbitrato rituale) ed arbitri irrituali (ed arbitrato irrituale) ed in merito ai rapporti tra arbitri ed Autorità giudiziaria, con particolare riferimento all'eccezione di compromesso (ritenuta avente natura processuale ed inerentequestione di competenza non rilevabile d'ufficio, in quanto di natura non funzionale e non attinente a diritti indisponibili). Altre pronunce argomentano dalla detta natura giurisdizionale per considerazioni in merito all'impugnazione del lodo ed alle norme applicabili al relativo giudizio. Il riferimento è, in particolare, a: Cass., sez. II, 26 maggio 2015, n. 10809, in tema di rispetto del principio del contraddittorio; Cass., sez. I, 18 giugno 2014, n. 13898, in ordine alla fase innanzi al giudice ordinario in sede di impugnazione, ed a Cass., sez. I, 13 ottobre 2015, n. 20558, con particolare riferimento ai limiti di deducibilità, con l'impugnazione del lodo per nullità, della situazionei di incompatibilità degli arbitri.

Nonostante quanto innanzi evidenziato la decisione delle Sez. un. non poteva però ritenersi scontata con riferimento ai suoi esiti, avendo esse recentemente escluso rilevanza al revirement con riferimento alla natura dell'arbitrato rituale ai fini della risoluzione della questione di diritto circa l'applicabilità del regime impugnatorio di cui al nuovo art. 829, comma 3, c.p.c. agli arbitrati azionati successivamente alla riforma del 2006 ma fondati su convenzioni arbitrali antecedenti a tale data (Cfr., Cass., Sez. Un, 9 maggio 2016, n. 9284; Cass., Sez. Un., 9 maggio 2016, n. 9285; Cass., Sez. Un., 9 maggio 2016, n. 9342).

In ragione di ciò le Sez. Un. ritengono difatti imprescindibile, per la risoluzione della questione di diritto in oggetto, un raffronto tra procedura ex art. 814 c.p.c. ed altre procedure, quali quella per la liquidazione dei diritti e degli onorari degli Avvocati, ritenuta dalla S.C. avente natura contenziosa in quanto incidente su diritti soggettivi di credito, quella inerente l'opposizione in materia di liquidazione dei compensi previsti per gli ausiliari del giudice, ritenuta idonea ad approdare in ricorso straordinario per cassazione, oltre che in tema di liquidazione dei compensi in materia fallimentare (in merito si veda anche Id).

Riconosciuta la giurisdizionalità del provvedimento, la Suprema Corte in particolare prosegue evidenziando che la controversia in esame incide su diritti soggettivi, nella specie di compenso degli arbitri rituali per l'espletamento di attività professionale, al pari di quanto la giurisprudenza di legittimità ha statuito con riferimento agli altri citati procedimenti, per i quali ammette la ricorribilità ex art. 111, comma 7, Cost, trattandosi di procedimenti atti, tutti, a culminare in provvedimenti aventi anche il carattere della definitività, perché non diversamente impugnabili (si vedano, ex plurimis, con riferimento agli onorari di avvocato, Cass., Sez. Un., 23 marzo 1999, n. 182, Cass., sez. II, 13 ottobre 2014, n. 21554, con riferimento ai compensi degli ausiliari del giudice, Cass. sez. I, 25 novembre 2011, n. 24959, e con riferimento alla materia fallimentare, Cass., sez. I, 22 luglio 2011, n. 16136 e Cass., sez. I, 17 luglio 2011, n. 15941).

L'intervento giurisdizionale di cui all'art. 814 c.p.c. peraltro, non è inquadrabile sotto gli artt. 1339 e 1349 c.c., in quanto non intervengono atti di natura negoziale nella fattispecie in esame, non sussistendo alcun preventivo accordo tra le parti del rapporto in merito alle spese ed agli onorari. Questi, difatti, precisano le Sez. Un., sono determinati unilateralmente dal professionista, salvo poi, in caso di mancata accettazione, ricorrere all'autorità giurisdizionale per la determinazione, tanto con le forme speciali di cui all'art. 814 tanto con un procedimento ordinario di cognizione o con procedimento monitorio.

Il provvedimento in esame, cioè l'ordinanza emessa in sede di reclamo, non solo ha il carattere della decisorietà, incidendo su situazioni soggettive di diritto sostanziale (nella specie di diritto soggettivo) ma anche quello della definitività, comportando efficacia del giudicato, non essendo soggetto a diverso rimedio impugnatorio. Nel precisare tale ultimo assunto la Suprema Corte, infine, acutamente esclude che si possa argomentare diversamente dalla forma semplificata del procedimento, in quanto, come detto, giurisdizionale, oltre che dall'evidenzaita possibilità di agire per le vie ordinarie. Rivestendo il procedimento ex art. 814 c.p.c. anche esso natura giurisdizionale, infatti, il rapporto tra i due diversi procedimenti giudiziari, eventualmente instaurati con riferimento al medesimo preteso diritti, resta regolato dal principio del giudicato, per cui, una volta formatosi quest'ultimo in uno dei due giudizi, resta preclusa all'altro la possibilità di emanare pronuncia sulla stessa controversia.

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