Impugnazione per nullità del lodo rituale

Fabio Antezza
19 Agosto 2016

Il codice di rito del 1940 esclude l'esperibilità dell'appello, permanendo la possibilità di impugnare il lodo per nullità con riferimento a sette tipologie di vizi contemplate nell'art. 829 c.p.c.
Inquadramento

Nel codice di procedura civile del 1865 la «sentenza degli arbitri» era censurabile con appello, revocazione ed impugnazione per nullità.

Il codice di rito del 1940 esclude l'esperibilità dell'appello, permanendo la possibilità di impugnare il lodo per nullità con riferimento a sette tipologie di vizi contemplate nell'art. 829 c.p.c.. In particolare il detto art. 829 ripropone sostanzialmente i vizi di cui all'art. 32 c.p.c. del 1865 ed introduce la possibilità dell'impugnazione, per nullità, per errores in iudicando.

La l. n. 28 del 9 febbraio 1983, di riforma dell'arbitrato, apporta una variazione al motivo di cui all'art. 829, comma 1, n. 5, mentre la l. n. 25 del 5 gennaio 1994, sempre di riforma dell'arbitrato, aggiunge due nuovi motivi di impugnazione per nullità per errores in procedendo (i nn. 8 e 9).

In evidenza

Il d.lgs. n. 40 del 2 febbraio del 2006 modifica alcuni motivi di impugnazione per nullità del lodo per errores in procedendo, di cui al nuovo art. 829, comma 1, c.p.c., ne introduce altri e subordina, con l'art. 829, comma 3, c.p.c., l'impugnazione del lodo per errores in iudicando all'espressa volontà delle parti, oltre che a specifica previsione di legge, invertendo così il rapporto tra regola ed eccezione rispetto alla norma prevista dal previgente art. 829, comma 2, c.p.c..

La legge delega per l'ultima riforma della disciplina codicistica dell'arbitrato, cioè la l. n. 80 del 14 maggio 2005, sempre con riferimento all'impugnazione del lodo, tra i criteri direttivi dettati al legislatore delegato, contempla, all'art. 1, comma 3, lett. b), quello di «riformare in senso razionalizzatore la disciplina dell'arbitrato» prevedendo, tra l'altro, «una razionalizzazione delle ipotesi attualmente esistenti di impugnazione per nullità secondo» principi dalla stessa legge delega dettati ed in particolare «subordinare la controllabilità del lodo ai sensi del secondo comma dell'art. 829, comma 2, c.p.c. alla esplicita previsione delle parti, salva diversa previsione di legge e salvo il contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico, e disciplinare il procedimento, prevedendo le ipotesi di pronuncia rescissoria da parte del giudice dell'impugnazione per nullità».

Il d.lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006, in attuazione delle delega di cui innanzi, modifica alcuni motivi di impugnazione per nullità del lodo per errores in procedendo, di cui al nuovo art. 829, comma 1, c.p.c., ne introduce altri e subordina, con l'art. 829, comma 3, c.p.c., l'impugnazione del lodo per errores in iudicando all'espressa volontà delle parti, oltre che a specifica previsione di legge, invertendo così il rapporto tra regola ed eccezione rispetto alla norma prevista dal previgente art. 829, comma 2, c.p.c..

L'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversie è comunque ammessa, in ogni caso, per contrarietà delle decisioni all'ordine pubblico, ex art. 829, comma 3, c.p.c., oltre che nei casi specificamente contemplati dal comma 4 del citato art. 829, cioè nelle controversie previste dall'art. 409 c.p.c. e se la violazione delle regole di diritto concerne la soluzione di questione pregiudiziale su materia che non può essere oggetto di convenzione di arbitrato. In attuazione delle delega il d.lgs. n. 40 del 2006, sempre limitando i riferimenti all'impugnazione per nullità, modifica anche l'art. 830 c.p.c..

Il legislatore della riforma del 2006, in punto di impugnabilità per errores in iudicando, si rifà, dunque, sostanzialmente, alla disciplina dell'impugnabilità del lodo internazionale, di cui all'art. 838 c.p.c., come introdotto dall'art. 24 della l. n. 25 del 1994 e successivamente abrogato dall'art. 28 del d.lgs. n. 40 del 2006. La scelta legislativa, sempre in attuazione delle delega, mira quindi ad uniformare la disciplina dell'impugnazione delle nullità in questione e conferire maggiore stabilità al lodo rituale e, quindi, a garantire maggiore impulso all'arbitrato quale forma, giurisdizionale, di risoluzione delle controversie e sostitutiva della funzione del giudice ordinario.

Sicché, nell'attualità, ai sensi dell'art. 827 c.p.c. il lodo è censurabile con revocazione straordinaria, opposizione di terzo e con impugnazione per nullità, nei termini di cui innanzi e nei casi tassativi previsti dall'art. 829 c.p.c., al quale accoglimento segue una decisione della Corte d'Appello con pronuncia rescindente, con conseguente fase rescissoria nei limiti di cui al novellato art. 830 c.p.c..

Ulteriore conferma che l'ordinamento, con la riforma del 2006, si sia nuovamente mosso nel senso del favore per la stabilità del lodo deriva dall'inserimento nel riformato art. 829, comma 2, c.p.c. di una clausola generale di sanatoria dei vizi processuali del giudizio arbitrale e, quindi, del lodo, che non ne consente l'impugnazione alla parte che non abbia eccepito, nella prima istanza o difesa successiva, la violazione di una regola che disciplina lo svolgimento del detto procedimento. Sempre in forza del detto secondo comma del riformato art. 829 c.p.c. non può impugnare il lodo per taluni dei motivi di cui allo stesso primo comma la parte che ha dato causa al motivo di nullità o che vi ha rinunciato. Con la detta “clausola generale” deve difatti coordinarsi il principio dell'irrinunciabilità preventiva all'impugnazione per nullità per errores in procedendo, di cui al comma 1 del citato art. 829, il quale, difatti, anche dopo la riforma del 2006, continua a contemplarla.

Potrebbe ritenersi non in controtendenza con la detta ratio ispiratrice anche della riforma del 2006 l'aumento dei motivi di impugnazione per nullità, portati da nove a dodici, tassativamente elencati nel riformato art. 829, comma 1, c.p.c.. Esso potrebbe difatti essere considerato aumento solo formale in quanto non dipendente da aggiunte di sostanza ma da una razionalizzazione degli errores in procedendo, in attuazione di una delle direttive del legislatore delegante, mediante segmentazione in più motivi di fattispecie che prima erano raggruppate all'interno di un solo motivo.

Dall'evidenziata evoluzione normativa, a partire dal codice di rito del 1865, emerge l'esigenza sottesa alle varie modifiche della disciplina dell'arbitrato rituale, fatta propria anche dal legislatore delegante del 2005 e dal delegato del 2006. Si intende in particolare conferire maggiore stabilità al lodo rituale, rispetto alle sentenze dei giudici ordinari, con conseguente maggiore appetibilità dell'arbitrato, anche da parte di soggetti esteri, essendo il lodo non soggetto a censura con appello, quale mezzo ordinario di impugnazione a critica libera, ed in ragione delle nuove limitazioni all'impugnazione per nullità.

Lo scopo ultimo potrebbe dunque ritenersi quello di assicurare il massimo ricorso a tale strumento giurisdizionale di definizione delle controversie, quale alternativa al ricorso alla giustizia ordinaria, valida, celere e credibile, tanto da concorrere ad attuare il principio costituzionale e “convenzionale” della ragionevole durata del processo ordinario, che ne verrebbe deflazionato.

Il legislatore, quindi, se si condividesse tale ricostruzione, avrebbe portato avanti il disegno riformatore del quale, per certi versi, sono precursori i già citati precedenti interventi riformatori, oltre che il d.lgs. n. 5 del 17 gennaio 2003 con riferimento alla disciplina dell'arbitrato da clausole compromissorie statutarie (c.d. arbitrato societario).

L'esigenza di dare soluzione agli annosi problemi della giustizia ordinaria, in particolare quelli relativi allo smaltimento dell'arretrato in materia civile, si pone poi alla base del d.l. n. 132 del 12 settembre 2014 (conv. dalla l. n. 162 del 10 novembre 2014).

Con tale decretazione d'urgenza sono state in particolare dettate «misure urgenti di degiurisdizionalizzazione», tra le quali l'introduzione del c.d. arbitrato in corso di causa. La stessa relazione di accompagnamento allo schema di d.l. evidenzia che “l'attuale gravissimo contesto economico rende indilazionabile la soluzione del problema della giustizia civile ed impone l'adozione di misure finalizzate ad attuare un'inversione di tendenza nella durata dei procedimenti, così trasformando quello che attualmente è un fattore di appesantimento della crisi in un possibile volano per la crescita economica”.

Il detto d.l., limitando i riferimenti a quanto più rileva in questa sede, prevede, al primo capo (in particolare l'art. 1), misure relative all'eliminazione dell'arretrato mediante il trasferimento in sede arbitrale dei processi civili pendenti, anche quelli in grado d'appello, che abbiano ad oggetto diritti disponibili e che non riguardino materie di lavoro, previdenziali o di assistenza sociale ed a condizione che il giudizio non sia assunto in decisione alla data di entrata in vigore della nuova disposizione. È opportuno evidenziare, sempre ai limitati fini di cui alla presente relazione, che tra tutte le «misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile», adottate con il d.l. n. 132 del 2014, solo per quella costituita dal trasferimento alla sede arbitrale dei giudizi pendenti è stata prevista l'entrata in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione in G.U., per le altre, invece, è stata prevista l'entrata in vigore successivamente alla conversione in legge.

Per espressa previsione normativa di cui all'art. 1 d.l. n. 132 del 2014, il detto procedimento arbitrale “traslato” è disciplinato dalle norme del codice di procedura civile che disciplinano l'arbitrato rituale e si conclude con un lodo che, sempre per espressa previsione normativa, «ha gli stessi effetti di una sentenza».

Recenti interventi legislativi

È infine il caso di rilevare che l'evidenziata costante ratio ispiratrice degli interventi riformatori della disciplina dell'arbitrato, compresa quella sottesa al d.lgs. n. 40 del 2006, sembra permeare anche i più recenti disegni di legge delega per la riforma del processo civile. Il riferimento è, anche, al disegno di legge delega presentato alla Camera l'11 marzo 2015 (atto C-2953), recante disposizioni per l'efficienza del processo civile. Esso quale prevede, tra i criteri direttivi, il potenziamento dell'istituto dell'arbitrato, anche attraverso l'eventuale estensione del meccanismo della translatio iudiciiai rapporti tra processo ed arbitrato, nonché attraverso la razionalizzazione della disciplina dell'impugnativa del lodo arbitrale.

Il 10 marzo 2016, infine, è approvato alla Camera il disegno di legge «delega al Governo recante disposizioni per l'efficienza del processo civile» (n. 2953-A), il quale tra i principi e criteri direttivi e come oggetto specifico di delega, oltre a far riferimento ad interventi in ordine al processo ordinario di primo e secondo grado ed al giudizio in Cassazione, contempla il «potenziare l'istituto del'arbitrato, anche attraverso l'eventuale estensione del meccanismo della translatio iudicii ai rapporti tra processo e arbitrato e razionalizzare la disciplina dell'impugnativa del lodo arbitrale».

Il detto disegno di legge delega prevede, per quanto rileva ai presenti fini, anche di riordinare le disposizioni dell'arbitrato in materia societaria mediante: «l'estensione dei tipi di società che possono ricorrervi sempreché iscritte nel registro delle imprese; la specifica previsione dell'efficacia della clausola compromissoria anche per i componenti del consiglio di sorveglianza e del consiglio di gestione, per le controversie che abbiano ad oggetto diritti disponibili; la specifica previsione della compromettibilità delle liti aventi ad oggetto le decisioni dei soci e le deliberazioni di ogni organo della società purché abbiano ad oggetto diritti disponibili; il coordinamento con le disposizioni processuali e societarie e con la competenza territoriale del tribunale delle imprese, in particolare attribuendo il potere di nomina degli arbitri, nel caso previsto dall'articolo 34, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, al presidente della sezione specializzata in materia di impresa del tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale».

Integrazione del dispositivo e nullità

In tema di nullità del lodo, in particolare di integrazione del dispositivo ad opera della motivazione al fine dell'esclusione del vizio di omessa pronuncia, è intervenuta Cass. civ., sez. I, 25 settembre 2015 n. 19074.

Con la detta decisione la S.C. ha applicato all'arbitrato il principio di diritto per il quale la portata precettiva di una sentenza va individuata tenendo conto non solo del dispositivo ma anche della motivazione, quando il primo contenga comunque una decisione che, pur di contenuto incompleto e indeterminato, si presti ad essere integrata dalla seconda. Nella specie, ha trovato conferma la sentenza impugnata, la quale aveva escluso la ricorrenza del vizio in esame relativamente ad un lodo che, in motivazione, affrontava, ritenendola non meritevole di accoglimento, una domanda risarcitoria ed il cui dispositivo, tuttavia, non conteneva alcuna espressa statuizione di rigetto al riguardo.

Nomina degli arbitri, incompatibilità e nullità

Sempre in tema di impugnazione per nullità del lodo, con particolare riferimento ai limiti di deducibilità con il detto mezzo di gravame delle situazioni di incompatibilità degli arbitri, è intervenuta Cass. civ., sez. I, 13 ottobre 2015 n. 20558. La S.C. ha ricordato che l'esistenza dell'incompatibilità deve essere fatta valere mediante istanza di ricusazione da proporsi, a norma dell'art. 815 c.p.c., entro il termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione della nomina dell'arbitro o dalla sopravvenuta conoscenza della causa di ricusazione.

È stato altresì precisato che, ai fini della validità del lodo, sono invece irrilevanti le situazioni di incompatibilità delle quali la parte sia venuta a conoscenza dopo la decisione; le quali, ove non si traducano in una incapacità assoluta all'esercizio della funzione arbitrale e, in genere, della funzione giudiziaria, non possono essere fatte valere mediante l'impugnazione per nullità. Ciò in ragione dell'efficacia vincolante acquisita dal lodo e della lettera dell'art. 829, comma 1, n. 2, c.p.c., che circoscrive l'incapacità ad essere arbitro alle ipotesi tassativamente previste dall'art. 812 c.p.c., le quali fanno esclusivo riferimento all'incapacità legale di agire.

L'impugnazione del lodo per vizi attinenti al procedimento di nomina degli arbitri è ammessa dall'art. 829, comma 2, c.p.c., sempre che la relativa nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale.

Nel riaffermare il principio di diritto di cui innanzi anche con riferimento all'arbitrato in materia di contratti pubblici, Cass. civ., sez. I, 18 dicembre 2015 n. 25525, in CED Cass., ha precisato che esso opera anche successivamente alla dichiarazione di illegittimità dell'art. 150, comma 3, d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, nella parte in cui sottrae ai contraenti la facoltà di nomina del terzo arbitro (nel caso di specie con sentenza del G.A. successiva alla nomina del terzo arbitro ed antecedente alla discussione in sede arbitrale).

La sentenza in oggetto ha chiarito altresì che in senso contrario rispetto a quanto statuito non può invocarsi l'art. 5 c.p.c., in considerazione del completamento della nomina del terzo arbitro anteriormente alla detta dichiarazione di illegittimità, in quanto non viene in esame una questione di spostamento della competenza (dagli arbitri al giudice ordinario). La competenza arbitrale non è difatti esclusa in conseguenza della declaratoria di illegittimità della previsione regolamentare, permanendo essa pienamente, sia pure con una diversa regola relativa alla composizione dell'organo collegiale decidente, avendo l'art. 5 c.p.c. solo rilievo esterno e non con riferimento al procedimento di nomina dei giudici di un collegio.

Gli effetti della nomina dell'arbitro nel caso di cui innanzi, come ha precisato la citata Cass. civ., sez. I, 18 dicembre 2015 n. 25525, non possono comunque dirsi sanati dall'art. 253, comma 34, lett. b), d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (c.d. «Codice degli appalti»). La norma transitoria da ultimo citata, che salvaguardia i pronunciati arbitrali già resi, esige difatti che siano state rispettate le disposizioni relative all'arbitrato contenute nel c.p.c., vale a dire anche quelle che hanno consentito alla volontà concorde delle parti la scelta del terzo arbitro.

Errores in iudicando

Con particolare riferimento ai rapporti tra la decisione secondo diritto, laddove le parti non abbiano espressamente attribuito agli arbitri il potere di decidere secondo equità, e la possibilità di far valere errores in iudicando con l'impugnazione del lodo per nullità è intervenuta Cass. civ., sez. I, 25 settembre 2015 n. 19075.

La S.C., muovendo dal disposto di cui all'art. 829, comma 3, c.p.c., ha evidenziato che la violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia può essere fatta valere, quale causa di nullità del lodo, solo laddove tale possibilità sia espressamente disposta dalla legge ovvero contemplata dalle parti, in maniera chiara ed inequivocabile, nella clausola compromissoria o in altri atti anteriori all'instaurazione del procedimento arbitrale. A tali fini non è sufficiente la mera previsione, contenuta nel citato art. 829, di una decisione secondo diritto sostanzialmente riproduttiva dell'art. 822 c.p.c. ed astrattamente riconducibile, pertanto, alla volontà di escludere il potere degli arbitri di decidere secondo equità.

Regime transitorio e rimessione alle S.U.

Con tre ordinanze interlocutorie, depositate a dicembre 2015, la Sez. I della S.C. ha rimesso i rispettivi ricorsi al Primo Presidente affinché sia valutata l'eventuale assegnazione alle S.U. della questione di diritto di seguito evidenziata, in quanto oggetto di contrastanti decisioni delle sezioni semplici (Cfr., Cass. civ., sez. I, 11 dicembre 2015 n. 25039; Cass. civ., sez. I, 11 dicembre 2015 n. 25040 Cass. civ., sez. I, 21 dicembre 2015 n. 25662).

Trattasi, in particolare, della questione relativa alla possibilità, o meno, di applicare l'art. 829, comma 3, c.p.c., nel testo introdotto dal d.lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006, laddove sancisce che l'impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge, ai procedimenti arbitrali promossi successivamente alla sua entrata in vigore (2 marzo 2006) ma la cui convenzione arbitrale sia stata stipulata in data anteriore.

Il contrasto verte, dunque, sull'interpretazione e sulla portata della disciplina transitoria esplicitamente prevista dall'art. 27, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 40 del 2006 (di riforma dell'arbitrato) la quale distingue le norme introdotte dall'art. 20 del medesimo decreto, relative alla convenzione di arbitrato, da quella di cui agli artt. 21, 22, 23, 24 e 25, inerenti il giudizio arbitrale ed in particolare anche il novellato art. 829 c.p.c..

Le norme appartenenti al primo gruppo, ai sensi del detto art. 27, comma 3, in particolare, si applicano alle convenzioni di arbitrato stipulate dopo l'entrata in vigore della riforma della disciplina dell'arbitrato del 2006, mente le norme appartenenti al secondo gruppo si applicano, come recita al quarto comma il medesimo articolo, «ai procedimenti arbitrali nei quali la domanda di arbitrato è stata promossa successivamente alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 40 del 2006».

Rileva la questione in esame in quanto, con riferimento all'arbitrato rituale, ante d.lgs. n. 40 del 2006, valeva la regola, stabilita dall'art. 829, comma 2, c.p.c., per la quale l'impugnazione per nullità del lodo, per violazione di norme di diritto, fosse sempre ammissibile a condizione che le parti non avessero autorizzato gli arbitri a pronunciare secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile. Il novellato testo dell'articolo citato dispone, ora, al comma 3, che l'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa solo se espressamente disposta dalle parti o dalla legge, così invertendo il precedente rapporto tra regola ed eccezione.

In forza del rinvio all'art. 829, comma 2, c.p.c., operato dall'art. 36 del d.lgs. n. 5 del 17 gennaio 2003, la questione di cui innanzi rileva anche con riferimento ai procedimenti arbitrali da clausole compromissorie statutarie (c.d. arbitrati societari), costituendo oggetto di una delle tre citate ordinanze interlocutorie (Cfr., Cass. civ., sez. I,'11 dicembre 2015 n. 25040).

Detta questione è stata risolta dalle S.U. con sentenza n. 9284 del 2016, la quale ha stabilito che, in tema di arbitrato, l'art. 829, comma 3, c.p.c., come riformulato dall'art. 24 del d.lgs. n. 40 del 2006, si applica, ai sensi della disposizione transitoria di cui all'art. 27 del d.lgs. n. 40 cit., a tutti i giudizi arbitrali promossi dopo l'entrata in vigore della novella, ma, per stabilire se sia ammissibile l'impugnazione per violazione delle regole di diritto sul merito della controversia, la legge - cui l'art. 829, comma 3, c.p.c., rinvia - va identificata in quella vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato.

Lodo parziale (o su domande), lodo definitivo (o su questioni) e rimessione alle S.U.

Sempre nel dicembre 2015 è stata rimessa alle S.U. la risoluzione di altra questione di diritto, allo stato non definita, inerente l'impugnazione del lodo essendosi creato un contrasto nella giurisprudenza di legittimità in merito al se il lodo che, senza definire il giudizio, pronunci sull'esistenza, validità o efficacia della convenzione d'arbitrato, debba essere immediatamente impugnato, poiché decide parzialmente il merito, secondo quanto previsto dall'art. 827, comma 3, primo periodo, c.p.c., ovvero se esso possa essere impugnato solo unitamente al lodo definitivo, ai sensi dell'ultimo periodo del citato comma 3 (Cfr., Cass. civ., sez. I, 21 gennaio 2016 n. 1082).

Termine lungo per l'impugnazione

Circa il rispetto del termine annuale per l'impugnazione per nullità del lodo collegiale, nel caso di mancanza di notificazione ed ai sensi dell'art. 828, comma 2, c.p.c., Cass. civ., sez. I, 28 settembre 2015 n. 19163 , ha precisato che esso decorre dalla data della sottoscrizione apposta sul lodo dall'arbitro dissenziente. Nel caso di specie, in applicazione dell'enunciato principio di diritto, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva fatto decorrere il termine di impugnazione dalla data della sottoscrizione degli arbitri di maggioranza, considerando irrilevante la circostanza che lo spazio riservato alla sottoscrizione dell'ultimo arbitro fosse stato riempito con un rinvio ad una relazione ed accompagnato dalla sigla del suo autore.

Fasi rescindente e rescissoria

In tema di impugnazione del lodo per nullità parziale o totale, Cass. civ., sez. I, 13 ottobre 2015 n. 20557, ha chiarito i rapporti tra fase rescindente e fase rescissoria, con riferimento al disposto di cui all'art. 830, comma 1, c.p.c., nel testo introdotto dalla l. 1 maggio 1994, n. 25, il cui ultimo inciso è sostanzialmente immutato a seguito della modifica del detto articolo ad opera del d.lgs. n. 40 del 2006.

L'art. 830, comma 1, c.p.c. impone alla corte di appello, nel caso di accoglimento dell'impugnazione per nullità del lodo per un vizio che incida soltanto su una parte di esso, di accertare se detta parte sia scindibile dalle altre, evidenziando i rapporti di logica e giuridica connessione, dipendenza e pregiudizialità tra le varie parti della pronuncia arbitrale; all'esito di tale accertamento, di dichiarare la nullità parziale del lodo, così limitando la cognizione del giudizio rescissorio al capo o ai capi ritenuti viziati ed a quelli ad essi inscindibilmente legati, con la conferma del lodo nel resto, ovvero di pronunciarne la nullità totale.

Ciò premesso, la menzionata sentenza, ha chiarito che oggetto dell'indagine del giudice dell'impugnazione del lodo (indifferentemente proposta in via principale o incidentale) non è il collegamento astratto tra i rapporti sostanziali delle parti, né tra i vari negozi che da questi sono derivati, bensì quello esistente in concreto tra le varie statuizioni in cui il lodo è articolato; collegamento da accertare valutando se la parte o le parti da dichiarare nulle siano caratterizzate da petitum autonomo e indipendente da quello di una o di alcune delle altre, ovvero se fra esse sussista un vincolo di subordinazione o di connessione logica o giuridica (nel senso che la decisione relativa ad un rapporto giuridico sia virtualmente influente sulla decisione avente ad oggetto altro rapporto giuridico).

Orientamenti a confronto

Regime transitorio: orientamenti a confronto

Le modifiche apportate all'art. 829 cod. proc. civ. dalla legge di riforma di cui al d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 sono volte a delimitare l'ambito d'impugnazione del lodo arbitrale, laddove le convenzioni concluse prima della sua entrata in vigore continuano ad essere regolate dalla legge previgente, che disponeva l'impugnabilità del lodo per violazione della legge sostanziale, a meno che le parti non avessero stabilito diversamente; ne consegue che, in difetto di una disposizione che ne sancisca la nullità o che obblighi le parti ad adeguarle al nuovo modello, la salvezza di tali convenzioni deve ritenersi insita nel sistema, pur in difetto di un'esplicita previsione della norma transitoria.

Cass. civ., sez. I, 19 aprile 2012, n. 6148, (in senso conforme si vedano: Cass. civ., sez. I, 30 giugno 2014, n. 12379; Cass. civ., sez. I, 18 giugno 2014, n. 13898; Cass. civ., sez I, 19 gennaio 2015, n. 745, ; Cass. civ., sez. I, 19 gennaio 2015, n. 748)

L'art. 829 c.p.c. nel suo nuovo testo, si applica a norma dell'art. 27, comma 4, d.lgs. del 2 febbraio 2006, n. 40, ai procedimenti arbitrali nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del predetto decreto, pur se riferita a clausola compromissoria stipulata in epoca anteriore.

Cass. civ., sez. VI – I, 17 settembre 2013, n. 22585, (in senso conforme si vedano: Cass. civ., sez. I, 20 febbraio 2012, n. 2400; Cass. civ., sez. I, 25 settembre 2015, n. 19075)

In tema di arbitrato, l'art. 829, comma 3, c.p.c., come riformulato dall'art. 24 del d.lgs. n. 40 del 2006, si applica, ai sensi della disposizione transitoria di cui all'art. 27 del d.lgs. n. 40 cit., a tutti i giudizi arbitrali promossi dopo l'entrata in vigore della novella, ma, per stabilire se sia ammissibile l'impugnazione per violazione delle regole di diritto sul merito della controversia, la legge - cui l'art. 829, comma 3, c.p.c., rinvia - va identificata in quella vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato

Cass. civ., sez. un., 9 maggio 2016 n. 9284

Riferimenti

LA CHINA, L'arbitrato: il sistema e l'esperienza, 4ª ed., Milano, 2011;

LUISO, Diritto processuale civile. V. La risoluzione non giurisdizionale delle controversie, 8ª ed., Milano, 2015;

MANDRIOLI, Diritto processuale civile, III, 20ª ed., Torino, 2009

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