Intervento del curatore nell’espropriazione immobiliare

Pasqualina Farina
06 Aprile 2016

A differenza del regime stabilito dalla legge fallimentare del 1942, che consentiva la sostituzione del curatore al creditore procedente nelle sole espropriazioni immobiliari, l'attuale sesto comma dell'art. 107 l.fall., mediante un generico richiamo alle «procedure esecutive», ha eliminato ogni distinzione tra le diverse tipologie di mezzi di espropriazione: il subentro del curatore può essere attuato, infatti, anche nelle esecuzioni mobiliari dirette e presso terzi.
Inquadramento

A differenza del regime stabilito dalla

legge fallimentare

del 1942, che consentiva la sostituzione del curatore al creditore procedente nelle sole espropriazioni immobiliari, l'attuale sesto comma dell'

art. 107 l.fall

., mediante un generico richiamo alle "procedure esecutive", ha eliminato ogni distinzione tra le diverse tipologie di mezzi di espropriazione: il subentro del curatore può essere attuato, infatti, anche nelle esecuzioni mobiliari dirette e presso terzi.

Tra le modifiche introdotte dalla riforma del 2006/2007 va segnalata la facoltà attribuita al curatore di subentrare nella procedura individuale, in luogo della sostituzione ope legis prevista dal precedente regime. Ed infatti in passato buona parte della dottrina si era orientata nel senso che la vicenda processuale in esame fosse da ricostruire in termini di rigorosa automaticità, per consentire al curatore di compiere direttamente atti d'impulso della procedura esecutiva e, ad un tempo, di essere destinatario di tutti i provvedimenti pronunciati dal giudice dell'esecuzione, oltre che delle comunicazioni e delle notificazioni, in luogo del creditore procedente

Subentro del curatore

Oggi sembra potersi affermare che la scelta del curatore è vincolata al rispetto di criteri oggettivi, posto che deve valutare la convenienza per la massa al subentro o se non sia preferibile la dichiarazione di estinzione atipica o di «improcedibilità» dell'azione esecutiva come previsto dall'

art. 107 l. fall

.

La prima considerazione è che dall'espressione «improcedibilità dell'esecuzione» emerge l'approssimativa conoscenza del processo d'espropriazione forzata da parte del legislatore fallimentare: difatti, non solo nel Libro terzo del codice di rito non è dato rinvenire siffatta locuzione, ma il nuovo comma 6 dell'

art. 107 l.fall

. nulla dice sulla circostanza che, in caso di chiusura anticipata dell'espropriazione (ovvero di definizione per motivi di rito), l'aggiudicazione provvisoria è fatta salva dall'

art. 187-

bis

disp. att. c.p.c..


Si aggiunga che, trattandosi di una scelta che incide direttamente sulla concreta soddisfazione dei diritti della massa, il curatore è tenuto ad indicare la propria determinazione nel programma di cui all'art. 104-ter l.fall.

, specificando le motivazioni ad essa sottese, per consentire al comitato dei creditori di valutare le ragioni e gli effettivi vantaggi connessi alla prosecuzione o meno dell'azione esecutiva. Con l'ulteriore avvertimento che, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 104-ter, l'approvazione del comitato non è di per sé sufficiente, occorrendo anche l'autorizzazione del giudice delegato.

Va poi segnalato che, spesso, nella prassi il curatore viene a conoscenza dell'esecuzione pendente in un momento successivo all'approvazione del programma; si tratta di una delle possibili situazioni da annoverare tra quelle «sopravvenute esigenze» che gli consentono di elaborare un supplemento di programma, a norma del comma 5 dell'

art. 104-

ter

l.fall

.

Nella diversa ipotesi che la procedura esecutiva si trovi in una fase talmente avanzata da non potere rispettare i tempi necessari all'approvazione del programma, il curatore, per evitare che dal ritardo possa derivare pregiudizio alla massa, deve scegliere se subentrare nell'esecuzione senza attendere l'approvazione del programma. Anche siffatta scelta va condivisa dal comitato dei creditori ed autorizzata dal giudice delegato, ai sensi del comma 6 dell'

art. 104-

ter

l.fall

.

In definitiva, nell'attuale sistema delle vendite fallimentari il subentro nell'espropriazione pendente finisce per rappresentare una delle possibili modalità di liquidazione dell'attivo, attuata direttamente dal giudice dell'esecuzione, nel rispetto delle regole di cui agli

artt. 570 ss. c.p.c..

Quanto alle situazioni che dovrebbero suggerire al curatore di optare per il «subentro», va innanzitutto considerata l'ipotesi che la procedura esecutiva sia ormai in una fase avanzata. Il fallimento, proprio grazie al «subentro», beneficerebbe di un notevole risparmio in termini di tempo e di costi: si pensi a procedure con documentazione ipocatastale e/o perizia già depositate agli atti o addirittura con la pubblicità già eseguita. Va pure avvertito che questa soluzione consente alla curatela di giovarsi delle spese già anticipate in quella sede dal creditore procedente, fermo restando che si tratta di spese di massa comunque prededucibili ai sensi del n. 1) dell'

art. 111 l.fall

.

Laddove, poi, l'espropriazione sia stata sospesa

ex

art. 624 c.p.c.

, si rende egualmente necessario il subentro del curatore per sollecitare al giudice dell'esecuzione gli opportuni provvedimenti diretti al compimento degli ulteriori atti esecutivi. Un limite a questa interpretazione è costituito dalle ipotesi di opposizione

ex

art. 615 c.p.c.

per impignorabilità assoluta del bene ovvero di opposizione di terzo, ai sensi dell'

art. 619 c.p.c.

Di contro la cessazione automatica della sospensione a causa del sopravvenuto fallimento si verifica ogni volta che il provvedimento di sospensione è stato emesso a fronte della proposizione di un'istanza di conversione

ex

art. 495 c.p.c.

, ovvero di limitazione del cumulo dei mezzi di espropriazione ai sensi dell'

art. 483 c.p.c..

Non può trascurarsi, infine, che oggi le vendite forzate del codice di rito come quelle fallimentari sono intrinsecamente competitive; tant'è che i criteri imposti al giudice dell'esecuzione

coincidono con quanto prescritto dall'

art. 107 l.fall

. (preventiva stima, necessaria pubblicità a norma dell'

art. 490 c.p.c.

e collaborazione di soggetti specializzati). Non si vede, pertanto, quale motivo dovrebbe indurre il curatore ad optare per la chiusura anticipata della procedura singolare anziché per il subentro.

La scelta dell'improcedibilità potrebbe, invece, risultare conveniente quando l'espropriazione sia ancora in una fase iniziale, ovvero le valutazioni dello stimatore non sembrino corrispondere all'effettivo valore di mercato del bene. Ad esempio, l'ipotesi in cui la relazione di stima sia risalente e, quindi, non aggiornata, oppure presenti lacune e/o contraddizioni; e ciò anche alla luce di quanto stabilito dal nuovissimo

art. 173

bis

disp. att

.

c.p.c.

che individua in maniera esaustiva il contenuto della relazione di stima ed i compiti del perito. Non solo; il curatore dovrebbe optare per l'improcedibilità laddove la l'azione esecutiva singolare abbia colpito un bene fondamentale per la cessione dell'intero complesso aziendale, in contrasto col dichiarato scopo conservativo attribuito alla liquidazione concorsuale; così pure quando il subentro costituisca un effettivo impedimento per l'esercizio provvisorio o l'affitto di azienda. Medesimo discorso va fatto qualora la vendita davanti al giudice dell'esecuzione dovesse finire per pregiudicare la concreta possibilità di un concordato fallimentare.

In evidenza

La previsione del subentro che risponde all'incontestabile opportunità di mettere a profitto le attività processuali complesse e dispendiose già attuate per l'esecuzione individuale non esclude la discrezionalità dell'ufficio fallimentare in ordine alla convenienza di continuare l'esecuzione davanti agli organi fallimentari, ovvero di non darvi più seguito, quando il fallimento possa chiudersi altrimenti, come per pagamento integrale al di fuori della liquidazione dell'attivo, o per concordato. È solo in una tale ultima evenienza che l'azione esecutiva immobiliare pendente all'atto della dichiarazione di fallimento diviene improcedibile e che gli atti del relativo processo rimangono privi di effetti giuridici, non producendosi la conservazione degli effetti sostanziali del pignoramento

(

Cass.

civ.

, sez. III, 29 maggio 1997, n. 4743

, in DF, 1998, II, 39 ss.).

Subentro ed effetti sostanziali del pignoramento

Tra le ragioni che impongono al curatore di subentrare nell'espropriazione in corso, assume particolare rilievo l'esigenza del fallimento di giovarsi degli effetti sostanziali del pignoramento

ex

art. 2913 c.c.

; ciò al fine di rendere inopponibili alla massa dei creditori tutte le eventuali trascrizioni e/o iscrizioni successive al pignoramento ed annotate prima della sentenza di fallimento.

Sotto il precedente regime si era affermato il principio che la caducazione dell'esecuzione pendente non travolgesse gli effetti sostanziali del pignoramento. La giurisprudenza riteneva, infatti, che di tali effetti il curatore avesse già tratto beneficio «automaticamente e senza condizioni», indipendentemente dal suo intervento nella procedura singolare. Così avrebbe lasciato intendere la formulazione del vecchio

art. 107 l.fall

. (

Cass.

civ.

, sez. III, 16 luglio 2005, n. 15103

, in Il fall., 2006, 218;

Cass.

civ.

, sez. III, 24 settembre 2002, n.13865

;

Cass.

civ.

, sez. III, 15 aprile 1999, n. 3729

).

Dopo le riforme, considerato che il subentro non si verifica ope legis (in quanto subordinato ad un'esplicita dichiarazione in tal senso) e che la procedura di liquidazione dell'attivo risulta, sia pure in parte, «degiurisdizionalizzata», la sentenza di fallimento non consente alla curatela di avvalersi ipso iure degli effetti protettivi del pignoramento. In altri termini solo in mancanza di soluzione di continuità tra l'azione esecutiva individuale e quella concorsuale, gli effetti della sentenza dichiarativa retroagiscono al momento del pignoramento. Sicché la curatela può beneficiare degli effetti sostanziali del pignoramento se ed in quanto venga proseguita l'azione individuale.

Seppure la dichiarazione d'improcedibilità non rientra tra le tipiche ipotesi di estinzione previste dal codice di rito, essa costituisce, in concreto, una fattispecie che comporta la «chiusura anticipata» della procedura singolare. E, se così è, sembra potersi affermare che:

a

) gli effetti della «chiusura anticipata» corrispondono a quelli dell'estinzione regolati dall'

art. 632 c.p.c.

;

b

) la scelta del curatore di non proseguire l'espropriazione in corso va ricondotta, nella sostanza, ad una vera e propria rinuncia agli atti esecutivi, ai sensi dell'

art. 629 c.p.c..

La conferma che gli effetti dell'improcedibilità (rectius: della chiusura anticipata) dell'esecuzione coincidono con quelli propri dell'estinzione

ex

art. 632 c.p.c.

è data, poi, dal principio enunciato dall'

art. 187-

bis

disp att. c.p.c.

In evidenza

L'improcedibilità costituisce un'ipotesi di estinzione atipica del processo esecutivo ed il relativo provvedimento va contestato con l'opposizione agli atti esecutivi.

(

Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 1985, n. 291, in GC,

1985, I, 1685

).

Questa norma, nel comminare l'inefficacia degli atti compiuti, ad eccezione dell'aggiudicazione o dell'assegnazione del bene, «in ogni caso di estinzione o di chiusura anticipata del processo esecutivo», richiama espressamente il comma 2 dell'

art. 632 c.p.c.

, laddove si stabilisce che all'estinzione successiva all'aggiudicazione consegue la restituzione delle somme al debitore, senza incidere sul trasferimento del bene.

Il parallelismo tra le ipotesi di improcedibilità e quelle di estinzione della procedura singolare comporta, inoltre, che quando il giudice dell'esecuzione, su istanza del curatore, dichiara l'improcedibilità, deve altresì ordinare la cancellazione della trascrizione del pignoramento, come stabilito dal primo comma dell'

art. 632 c.p.c.

. Con la precisazione che,

fatta eccezione per il rimedio impugnatorio (l'opposizione agli atti esecutivi e il non reclamo ex art. 630 c.p.c.), le conseguenze della chiusura anticipata della procedura (inefficacia ex tunc degli atti compiuti, intangibilità dell'aggiudicazione anche provvisoria, ordine di cancellazione del pignoramento) coincidono con quelle previste in caso di estinzione

(

Cass.

civ.

, sez. III, 23 dicembre 2008, n. 30201

;

Cass.

civ.

, sez. III, 12 febbraio 2008, n. 3276

;

Cass.

civ., 01

aprile 2004, n. 6391

).

La riprova dell'esattezza di quanto appena detto è fornita, infine, dal comma 6 dell'

art. 107 l.fall

., ove si legge che solo nel caso di subentro del curatore «si applicano le disposizioni del codice di procedura civile» in materia di esecuzione forzata. Siffatto richiamo ha implicitamente ad oggetto anche gli

artt. 2913 ss. c.c.

dedicati proprio agli «effetti del pignoramento»; del resto è alquanto significativo che tale disposizione sia collocata nel capo secondo, sull'esecuzione forzata singolare, del titolo quarto dell'ultimo libro del codice civile.

Di qui la convinzione che gli organi della procedura siano chiamati ad un'attenta valutazione delle conseguenze prodotte dalla declaratoria di improcedibilità ogni volta che, dopo il pignoramento e prima della dichiarazione di fallimento, risultino trascritti atti di disposizione (o domande giudiziali) idonei a sottrarre il bene pignorato dal patrimonio responsabile dell'imprenditore, divenuto poi insolvente. Tale assunto sembra implicitamente sostenuto anche dalla giurisprudenza più recente della Suprema Corte

In evidenza

La dichiarazione positiva resa dall'istituto bancario nell'espropriazione presso terzi, dichiarata improcedibile per il sopravvenuto fallimento del debitore, non preclude alla stessa banca, convenuta in un giudizio ordinario intrapreso dalla curatela fallimentare, di eccepire in compensazione, ai sensi dell'

art. 56 l.fall

., un proprio controcredito vantato verso il fallimento in forza di un distinto rapporto di conto corrente

.

(

Cass.

civ.

, sez. III, 4 marzo 2015, n. 4380

).

La soluzione proposta dalla Corte riposa su due diversi assunti. Preliminarmente il Collegio riconosce che l'espropriazione presso terzi si conclude solo con la pronuncia dell'ordinanza di assegnazione del credito che determina il trasferimento delle somme al creditore (ex multis

Cass. civ.,

26 agosto 1997, n. 8013

). Al contempo, la dichiarazione d'improcedibilità per sopravvenuto fallimento costituisce un'ipotesi di estinzione atipica dell'esecuzione e, pertanto, determina l'inefficacia di tutti gli atti esecutivi

ex art. 632 c.p.c. . Di qui la conferma che la curatela può beneficiare degli effetti sostanziali del pignoramento solo se il curatore ha proseguito l'azione esecutiva individuale, a norma dell'art. 107 l. fall., subentrando nel ruolo del creditore procedente.

(Tuttavia, in senso contrario, sembrerebbe pervenire

Cass.

civ.

,

sez. I, 22 dicembre 2015, n. 25802

).

Da ultimo va avvertito che il richiamo espresso alle norme del codice di rito, contenuto nel comma 6 dell'

art. 107 l.fall

., impone altresì al curatore, che intenda subentrare nell'espropriazione, di proporre ricorso al giudice dell'esecuzione con il patrocinio di un difensore ex

artt. 82 s. c.p.c.

, sulla falsariga di quanto stabilito dal comma 2 dell'

art. 499 c.p.c.

per l'atto d'intervento. Per contro, l'istanza con la quale viene chiesta la dichiarazione di improcedibilità dell'espropriazione può essere sottoscritta soltanto dal curatore.

Istanza di improcedibilità

Come anticipato, il curatore che intenda liquidare in sede concorsuale il bene pignorato è tenuto a chiedere al giudice dell'esecuzione la declaratoria d'improcedibilità a norma del sesto comma del nuovo

art. 107 l.fall

. Il giudice, se accoglie l'istanza, ordina la cancellazione del pignoramento dopo aver sentito le parti, nel rispetto dell'art. 172-bis disp. att. c.p.c.; con la medesima ordinanza liquida, altresì, il compenso a favore del perito, del custode e/o del professionista delegato, ai sensi del primo comma dell'

art. 632 c.p.c..

In evidenza

La dichiarazione di fallimento non comporta la cessazione automatica del processo esecutivo, occorrendo, in ogni caso, un provvedimento del giudice dell'esecuzione che, dato atto del sopraggiunto fallimento, ne dichiari l'improseguibilità, su istanza di parte. Anche nell'ipotesi di esecuzione forzata dichiarata improseguibile, non viene meno la competenza funzionale del giudice dell'esecuzione, di liquidare il compenso del commissionario (

art. 533, ult. comma c.p.c.

); competenza che non potrebbe essere attribuita al giudice delegato nominato per il fallimento, giacché, con tale provvedimento, non viene data vita ad un credito nei confronti del fallito, bensì ad un credito nei confronti del creditore del fallito, il quale, avendo promosso l'esecuzione forzata, è tenuto ad anticipare le spese del processo

(

Cass.

civ.

, sez. I, 29 maggio 1997, n. 4742

, in DF, 1998, I, e in GC, 1997, I, 3086).

Tuttavia occorre considerare che l'istanza non può trovare accoglimento se:

a

) l'esecuzione sia stata intrapresa da un creditore ipotecario fondiario;

b

) il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, abbia in precedenza raggiunto la determinazione di non acquisire all'attivo o di rinunciare a vendere il bene oggetto dell'esecuzione, in quanto l'attività di liquidazione appariva manifestamente non conveniente, a norma del penultimo comma dell'

art. 104-

ter

l.fall

.;

e se c) il giudice dell'esecuzione abbia aggiudicato, anche provvisoriamente, il bene pignorato. Con la precisazione che laddove ricorra l'ipotesi sub b) il curatore ne dà comunicazione ai creditori i quali, in deroga a quanto previsto nell'

art. 51 l.

fall

., possono iniziare azioni esecutive o cautelari sui beni rimessi nella disponibilità del debitore. Conseguentemente al medesimo curatore è precluso intervenire in tali procedimenti.

Avverso il provvedimento che dichiara la chiusura anticipata della procedura esecutiva, ovvero rigetta l'istanza del curatore, qualsiasi interessato può proporre opposizione

ex

art. 617 c.p.c

.

e non invece con il reclamo di cui al comma 3 dell'

art. 630 c.p.c.

, sul presupposto che non si tratta di estinzione tipica di cui agli

artt. 629 ss. c.p.c.

, ma di chiusura non satisfattiva del processo di espropriazione forzata (

Cass.

civ.

, 23 dicembre 2008, n. 30201

;

Cass.

civ.

, 12 febbraio 2008, n. 3276

)

Il comma 6 dell'

art. 107 l.fall

. nulla dispone in relazione al termine per proporre l'istanza per la declaratoria d'improcedibilità o, in alternativa, al termine per subentrare nella procedura singolare; né è previsto uno specifico strumento perché gli interessati possano reclamare (al giudice delegato) ingiustificati ritardi del curatore nel domandare (al giudice dell'esecuzione) l'improcedibilità.

Per vero, dalla lettera della norma («su istanza del curatore il giudice dell'esecuzione dichiara l'improcedibilità dell'esecuzione, salvi i casi di cui all'art. 51») sembra che il legislatore abbia inteso rimettere in capo al solo curatore, sia pure di concerto con gli altri organi della procedura, la determinazione se subentrare nella espropriazione o piuttosto impedirne la prosecuzione: il giudice dell'esecuzione rimane così privato del potere di disporre d'ufficio la chiusura anticipata dell'espropriazione. Né tale conclusione è contraddetta dall'

art. 51 l.fall

., che continua a sancire il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive sui beni compresi nel fallimento. La dichiarazione d'ufficio dell'improcedibilità finirebbe con il frustrare proprio quelle ragioni di economia processuale che consentono il subentro nell'espropriazione, per beneficiare delle attività in essa compiute. È, dunque, evidente il difetto di coordinamento tra l'attuale formulazione dell'

art. 107 l.fall

. (e, più in generale, l'attuale regime della liquidazione dell'attivo) e l'art. 51 della medesima legge. Del resto il legislatore, se avesse voluto effettivamente attribuire al giudice il potere di chiudere d'ufficio l'espropriazione, si sarebbe limitato – proprio in virtù di quest'ultima norma – a riconoscere la mera facoltà del curatore di subentrarvi, senza disporre alcunché in ordine all'improcedibilità.

Sopravvenienza del fallimento all'aggiudicazione provvisoria

Il comma 6 del vigente

art. 107 l.fall

. non prevede - come detto - un termine entro il quale il curatore è tenuto a domandare al giudice dell'esecuzione la dichiarazione d'improcedibilità. Tuttavia, posto che per l'

art. 187-

bis

disp. att. c.p.c.

la chiusura anticipata non può invalidare l'aggiudicazione (seppure provvisoria), deve ritenersi che l'improcedibilità possa essere dichiarata solo prima di tale momento. L'introduzione di tale norma ha inevitabilmente inciso quell'orientamento che non riconosceva all'aggiudicatario, in pendenza di fallimento, il diritto al trasferimento del bene, che poteva essere nuovamente venduto in sede concorsuale.

Ora se è vero che la ratio dell'art. 187-bis risiede nella tutela del terzo di buona fede, occorre pure prendere atto che laddove il fallimento

sia stato dichiarato (come pure il deposito per l'ammissione al concordato preventivo) dopo l'aggiudicazione provvisoria, al curatore rimane soltanto di chiedere che il ricavato venga devoluto alla massa. Ciò sul presupposto che l'art. 51 continua a stabilire il divieto di iniziare e proseguire azioni esecutive in costanza di fallimento e che i creditori che hanno preso parte all'espropriazione, anche se privilegiati, vanno soddisfatti esclusivamente in sede fallimentare, non potendosi sottrarre alle regole del concorso ex

art. 52 l.fall

.

Nel nuovo sistema dell'esecuzione forzata le ragioni dell'aggiudicatario prevalgono, dunque, rispetto all'esigenza della curatela di trasferire le operazioni di liquidazione del bene pignorato in sede concorsuale. Sicché il giudice dell'esecuzione, nel pronunciare il decreto di trasferimento, ordina la cancellazione di tutti i vincoli pregiudizievoli, compresa l'annotazione della sentenza dichiarativa di fallimento. Alla medesima conclusione deve giungersi ogni volta che l'esecuzione individuale sui beni del fallito sia stata iniziata o proseguita dal creditore fondiario, con l'avvertimento che il giudice dell'esecuzione che ordina la cancellazione della sentenza dichiarativa è tenuto a darne tempestiva comunicazione al giudice delegato al fine di evitare un'inutile duplicazione di attività e possibili conflitti tra titoli.

Sul punto si impone ancora una riflessione. Quid iuris in caso di inadempimento dell'aggiudicatario? La soluzione più ragionevole sembra che operi per la curatela una sorta di rimessione in termini. Il curatore potrebbe:

a

) subentrare nell'espropriazione, che proseguirebbe regolarmente con un nuovo esperimento di vendita ai sensi del comma 2 dell'

art. 587 c.p.c.

;

b

) optare per l'improcedibilità dell'esecuzione, in modo che le operazioni di liquidazione del bene si compiano in sede fallimentare. Tuttavia, le conseguenze di quest'ultima scelta non sempre risultano convenienti per il fallimento poiché non potrà incamerare, a titolo di multa, la cauzione già versata dall'aggiudicatario inadempiente, né pretendere da quest'ultimo il pagamento della (eventuale) differenza rispetto a quanto avrebbe potuto ricavarsi dalla successiva vendita forzata

ex

art. 587 c.p.c.

(posto che la successiva vendita in danno davanti al giudice dell'esecuzione non può avere luogo; e che il decreto di condanna ai sensi dell'

art. 177 disp. att. c.p.c.

viene pronunciato dal medesimo giudice solo dopo l'approvazione del progetto di distribuzione (e/o la risoluzione delle controversie insorte

ex

art. 512 c.p.c.

), in quanto deve contenere le generalità del creditore a favore del quale è stato emesso e la specificazione dell'importo da versare).

Riferimenti

ARIETA - DE SANTIS, L'esecuzione forzata, in Trattato di diritto processuale civile, a cura di Montesano e Arieta, Padova 2007, 1578;

BONGIORNO, Sulla «conversione» dell'azione esecutiva individuale nella procedura concorsuale, in RTDPC, 2004, 547;

BUONCRISTIANI, Effetti conservativi del pignoramento e procedura concorsuale, con particolare riferimento al concordato preventivo, in RTDPC, 1996, 941 ss.;

FARINA, L'aggiudicazione nel sistema delle vendite forzate, Napoli 2012, 439 ss.;

PICARDI, La successione del curatore nell'esecuzione immobiliare, in RTDPC, 1965, 522;

E.F. RICCI, Espropriazione forzata e fallimento (art. 51 l.f.), in RDP, 2000, 458 ss.

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