Michele Nardelli
09 Giugno 2016

Uno dei principi centrali del processo civile è quello del contraddittorio, disciplinato dall'art. 101 c.p.c. oltre che dai i canoni del giusto processo civile ai sensi dell'art. 111 Cost..
Inquadramento

Uno dei principi centrali del processo civile è quello del contraddittorio, disciplinato dall'

art. 101

c.p.c.

oltre che dai i canoni del giusto processo civile ai sensi dell'

art. 111 Cost.

.

Esso si compone in realtà di due diversi profili.

Il primo è quello generale

, in base al quale, e salvo che la legge preveda diversamente, al fine di pronunciare su una domanda, è necessario che la controparte sia stata citata in giudizio («il giudice, salvo che la legge disponga altrimenti, non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa»).

Il secondo è stato aggiunto nell'ambito della riforma del 2009

(

legge 18

giugno 2009 n

. 69, art. 45),

sulla scia di reiterate decisioni della giurisprudenza, e risponde alla necessità per la quale il contraddittorio deve essere garantito anche quando sia il giudice a rilevare una questione d'ufficio, che sia suscettibile di essere posta a fondamento della decisione.

Il contraddittorio tra le parti

Passando ad esaminare il primo profilo, deve subito evidenziarsi che in realtà la comparizione effettiva della controparte non sia necessaria, essendo sufficiente che essa sia stata posta nelle condizioni di contraddire, e che quindi sia stata regolarmente citata. Non vi è pertanto alcun obbligo di costituzione per chi riceva la notificazione di una domanda giudiziaria, né vi è alcun obbligo di comparizione personale, ben potendo la parte interessata decidere di accettare le implicazioni conseguenti alla propria contumacia.

Da un punto di vista processuale

, il rispetto della garanzia formale della citazione presuppone la regolarità dell'atto introduttivo, della sua notificazione, e in caso di costituzione della controparte, del relativo atto introduttivo. Si tratta di aspetti che devono rispondere alle regole dettate per la redazione dei rispettivi atti

(art

t

. 163,

167,

137

e ss.,

121 c.p.c.

, anche in riferimento in particolare all'art. 164 c.p.c., e in generale all'

art. 156 c.p.c.

).

Da un punto di vista sostanziale

, vale a dire in vista della individuazione dello scopo del contraddittorio, non può fare a meno di richiamarsi la dottrina (NASI) che ha spiegato come l'art. 101 c.p.c. sia «norma di portata fondamentale rispetto a quella funzione di garanzia della oggettiva attuazione della giustizia nella quale si riassume, con formula generalissima, lo scopo del processo», e che risponde in sintesi alla necessità della «certezza del diritto applicato», della «eguaglianza delle parti» e della «imparzialità del giudice».

I due profili devono essere ritenuti entrambi espressione del principio costituzionale del diritto di difesa, di cui all'

art. 24

Cost.

, sicché rileva che le parti siano poste nella condizione di prendere parte al processo, e di svolgervi le attività mediante le quali si perverrà alla decisione.

Attenendo ad un requisito centrale del processo, si è sostenuto in giurisprudenza (

Cass. civ.,

Sez.

I

,

21 maggio 1998

,

n. 5067

) che la sua violazione integri una ipotesi di nullità procedimentale rilevabile anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, salve le preclusioni derivanti dal giudicato esplicito o implicito formatosi sulla questione, senza che possa quindi parlarsi di vizio di ultrapetizione nella relativa pronuncia (

Cass. civ., Sez. I

,

2 aprile 1996

,

n.

3061

). E si è rilevata (

Cass. civ.,

Sez. lav.,

21 giugno 2004 n. 11496

) come la violazione del contraddittorio comporti la nullità dell'intero giudizio, con la conseguenza che la sentenza che lo conclude non è idonea a porre in essere statuizioni suscettibili di trasformarsi in cosa giudicata, ove non impugnate.

Si segnala che le

S

ezioni unite (

Cass. civ., 3 novembre 2008 n. 26373

) hanno chiarito, invocando il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall'

art. 111, comma

2,

Cost.

e dagli

artt. 6

e

13 della Conven

zione europea dei diritti dell'U

omo

e delle libertà fondamentali), che il giudice deve (ai sensi degli

artt. 175

e

127

c.p.c

.

) evitare ed impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo. In particolare, deve essere rispettato il principio del contraddittorio, espresso dall'

art. 101

c.p.c

.

, da effettive garanzie di difesa (

art. 24 Cost.

) e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (

art. 111, comma

2,

Cost.

), dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti (ad esempio, in un caso nel quale era stato valutato inammissibile il ricorso per Cassazione in mancanza dell'esposizione sommaria dei fatti, della specificità dei motivi e del rispetto del principio dell'autosufficienza, la Corte ha ritenuto superflua la concessione di un termine per la notifica, omessa, del ricorso alla parte totalmente vittoriosa in appello, poiché la concessione del termine richiesto avrebbe significato avallare un comportamento contrario al principio di lealtà e probità processuale -

art. 88

c.p.c.

-, atteso che gli stessi ricorrenti erano già in precedenza consapevoli della necessità della stessa).

Da un punto di vista procedimentale

, il contraddittorio si svolge mediante l'ordinata sequenza delle esplicitazioni difensive, e nel rispetto delle preclusioni.

In questo senso, la giurisprudenza (

Cass. civ.,

Sez.

III

,

27 settembre 2006

n. 20953

) ha rilevato, in ordine al giudizio ordinario, che in caso di proposizione di domande nuove, l'accettazione del contraddittorio su di queste è rilevante, ai fini dell'ammissibilità delle stesse, nelle sole cause instaurate anteriormente all'entrata in vigore della

legge

26 novembre 1990 n. 353

, poiché il divieto di domande nuove in primo grado, diversamente che in grado di appello, risponde ad un interesse di tipo privato e non di ordine pubblico, salvo poi stabilire le modalità dell'accettazione. Rimane invece irrilevante nelle cause instaurate successivamente, per le quali vige il principio che il regime di preclusioni introdotto nel rito civile ordinario riformato è da intendersi non solo alla tutela dell'interesse di parte, ma anche di quello pubblico al corretto e celere svolgimento del processo, di tal che la tardività della domanda - in tale secondo caso - deve essere rilevata di ufficio dal giudice indipendentemente dall'atteggiamento processuale della controparte. Ha chiarito poi

Cass. civ.,

Sez.

III

,

16 ottobre 2015

n. 20949

che nel regime normativo antecedente alla novella del codice di rito del 1990, la novità della domanda in primo grado non era eccezione riservata alla parte, ma rilevabile anche su iniziativa del giudice, in base tuttavia ad un potere officioso non illimitato, e tale da poter essere esercitato solo fin quando la parte, che potrebbe avere interesse ad impedire l'ingresso della domanda, abbia invece dichiarato di accettare il contraddittorio o tenuto un comportamento implicante accettazione (e per l'individuazione di tale comportamento non può valorizzarsi il mero silenzio o il difetto di reazione, anche prolungato nel tempo, alla domanda nuova, dovendo invece esso estrinsecarsi in un atteggiamento difensivo inequivoco, concretantesi in una contestazione specifica riferita al merito della pretesa e non semplicemente affidata a formule di stile).

Nel giudizio di appello

, il divieto di proporre domande nuove, ai sensi dell'

art. 345,

comma 1 c.p.c.

, integrando violazione del principio del doppio grado di giurisdizione, è di ordine pubblico, per cui la sua violazione va rilevata anche d'ufficio in sede di legittimità, senza che possa spiegare alcuna influenza l'accettazione del contraddittorio ad opera della controparte (

Cass. civ.,

Sez.

III

,

11 gennaio 2007 n. 383

).

Anche nel rito del lavoro

si è sostenuto che la disciplina della fase introduttiva del giudizio -e a maggior ragione quella del giudizio d'appello- risponda ad esigenze di ordine pubblico attinenti al funzionamento stesso del processo, in aderenza ai principi di immediatezza, oralità e concentrazione che lo informano, con la conseguenza che, ai sensi dell'

art. 437

c.p.c.

., non sono ammesse domande nuove, né modificazioni della domanda già proposta, sia con riguardo al «petitum» che alla «causa petendi», neppure nell'ipotesi di accettazione del contraddittorio ad opera della controparte (

Cass. civ.,

Sez. L,

29 luglio 2014 n.17176

).

Nel giudizio camerale

(

Cass. civ.,

Sez.

I

,

27 maggio 2005 n. 11319

), nella specie del giudizio di divorzio in appello, si è sostenuto che l'acquisizione dei mezzi di prova, e segnatamente dei documenti, sia ammissibile sino all'udienza di discussione in camera di consiglio, sempre che sulla produzione si possa considerare instaurato un pieno e completo contraddittorio, che costituisce esigenza irrinunziabile anche in tale tipologia di procedimenti camerali. E d'altra parte si è anche rilevato (

Cass. civ.,

Sez.

VI, 4 marzo 2015 n. 4412

) nel procedimento camerale, il giudice, proprio al fine di garantire il contraddittorio, l'esercizio del diritto di difesa e l'effettività della tutela giurisdizionale, deve esercitare poteri ufficiosi anche mediante l'applicazione estensiva ed analogica delle disposizioni del processo di cognizione, sicché è tenuto a indicare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio richiedendo i necessari chiarimenti (

ex

art. 183, comma

4

,

c.p.c.

) e, se del caso, assumendo sommarie informazioni da soggetti terzi (

ex

art. 738, comma 3, c.p.c.), sempreché tale modalità di acquisizione di elementi di giudizio non sia impiegata per supplire all'onere probatorio o con finalità meramente esplorative.

In relazione alle procedure di arbitrato

, si è parimenti sostenuto (

Cass. civ.,

Sez.

I

,

2 dicembre 2015 n.

24558

) che sia operante il principio del contraddittorio, attesa la sua compatibilità con l'arbitrato libero e il necessario rispetto anche in quest'ultimo proprio di tale principio, in ragione dello stretto collegamento tra l'

art. 101 c.p.c.

e gli

artt. 2,

3

e

24 Cost.

ed in linea con l'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo. E non si è anzi mancato di rilevare (

Cass. civ.,

Sez.

II

,

26 maggio 2015

n. 10809

) come qualora le parti non abbiano determinato, nel compromesso o nella clausola compromissoria, le regole processuali da adottare, gli arbitri, pur liberi di regolare l'articolazione del procedimento nel modo che ritengano più opportuno, anche discostandosi dalle prescrizioni dettate dal codice di rito, siano comunque soggetti al rispetto dell'inderogabile principio del contraddittorio, posto dall'

art. 101

c.p.c.

.

In ordine allo svolgimento delle difese

, e nella specie del deposito delle comparse conclusionali, qualora il giudice depositi la sentenza prima della scadenza dei termini concessi alle parti, vi è contrasto tra una posizione (

Cass. civ.,

Sez.

II

,

24 marzo 2010

n. 7072

) secondo la quale la sentenza stessa sia nulla, risultando in tal modo impedito ai difensori delle parti di svolgere nella sua completezza il diritto di difesa, con conseguente violazione del principio del contraddittorio (che ovviamente non è riferibile solo all'atto introduttivo del giudizio, ma deve realizzarsi nella sua piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo), e altra posizione (

Cass. civ., Sez. III

,

9 aprile 2015

n. 7086

) che invece ritiene che la sentenza non sia automaticamente affetta da nullità, occorrendo dimostrare la lesione concretamente subita in conseguenza della denunciata violazione processuale, indicando le argomentazioni difensive -contenute nello scritto non esaminato dal giudice- la cui omessa considerazione avrebbe avuto, ragionevolmente, probabilità di determinare una decisione diversa da quella effettivamente assunta.

Quanto al processo esecutivo

, la giurisprudenza (

Cass. civ.,

Sez.

III

,

17 luglio 2009 n. 16731

) ha sostenuto che esso abbia carattere tipicamente unilaterale e, quindi, la convocazione delle parti, che nel processo medesimo venga disposta dal giudice, quando la ritenga necessaria o quando la legge la prescriva, avviene non per costituire un formale contraddittorio, ma soltanto per il migliore esercizio della potestà ordinatoria, affidata al giudice stesso. D'altra parte, in tale ambito l'adozione di un provvedimento senza che sia stata previamente sentito il debitore, non comporta una violazione del principio del contraddittorio, poiché detta omissione, quando rifletta i suoi effetti su un successivo atto esecutivo, legittima la proposizione di una opposizione agli atti esecutivi, nei modi e nel termine di cui all'

art. 617

c.p.c.

, anche se non per il solo fatto dell'omessa audizione (

Cass. civ.,

Sez.

III

,

28 giugno 2005

n. 13914

, ha chiarito che nel processo esecutivo non è configurabile un formale contraddittorio con le caratteristiche proprie del processo di cognizione, in quanto le posizioni soggettive sono, rispettivamente, quella di chi agisce per la realizzazione concreta del suo diritto consacrato nel titolo esecutivo e quella di chi è assoggettato all'attività esecutiva, con diritto soltanto di essere sentito in ordine alle modalità dell'esecuzione).

Anche in riferimento alla integrazione del contraddittorio, nei casi di litisconsorzio, la giurisprudenza (

Cass. civ.,

Sez.

III

,

23 febbraio 2010 n. 4342

) ha chiarito che il rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo imponga al giudice di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso e si traducano in un inutile dispendio di energie processuali e di formalità non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dall'effettivo rispetto del principio del contraddittorio, espresso dall'

art. 101

c.p.c.

ad esempio, nel giudizio avente ad oggetto l'azione diretta proposta dal soggetto danneggiato in un sinistro stradale nei confronti dell'assicuratore del responsabile, ai sensi degli

artt. 18

e 23 l. n. 990/1969, qualora sia stata chiesta la condanna del solo assicuratore, la Cassazione ha escluso, in sede di legittimità, la necessità dell'integrazione del contraddittorio nei confronti del proprietario del veicolo, rimasto contumace in primo e secondo grado, atteso che tale integrazione del contraddittorio, pur prevista dalle norme, si risolverebbe esclusivamente in un pregiudizio per le parti costituite, senza produrre alcuna concreta contrazione dei diritti sostanziali e processuali della parte esclusa. E ciò pur dovendosi ritenere (

Cass. civ.,

Sez.

III

,

4 maggio 2015

n. 8891

) che in presenza di un litisconsorte necessario non evocato in giudizio, la sentenza sia «inutiliter data» e la conseguente nullità, se non precedentemente rilevata in sede di merito, deve essere rilevata d'ufficio dal giudice di legittimità con rimessione della causa al giudice di primo grado.

Casistica: contraddittorio dal punto di vista procedimentale

Nel giudizio ordinario

In caso di proposizione di domande nuove, l'accettazione del contraddittorio su di queste è rilevante, ai fini dell'ammissibilità delle stesse, nelle sole cause instaurate anteriormente all'entrata in vigore della

legge 26 novembre 1990 n. 353

, poiché il divieto di domande nuove in primo grado, diversamente che in grado di appello, risponde ad un interesse di tipo privato e non di ordine pubblico, salvo poi stabilire le modalità dell'accettazione. Rimane invece irrilevante nelle cause instaurate successivamente, per le quali vige il principio che il regime di preclusioni introdotto nel rito civile ordinario riformato è da intendersi non solo alla tutela dell'interesse di parte, ma anche di quello pubblico al corretto e celere svolgimento del processo, di tal che la tardività della domanda -in tale secondo caso- deve essere rilevata di ufficio dal giudice indipendentemente dall'atteggiamento processuale della controparte. (

Cass. civ., Sez. III, 27 settembre 2006 n. 20953

)

nel regime normativo antecedente alla novella del codice di rito del 1990, la novità della domanda in primo grado non era eccezione riservata alla parte, ma rilevabile anche su iniziativa del giudice, in base tuttavia ad un potere officioso non illimitato, e tale da poter essere esercitato solo fin quando la parte, che potrebbe avere interesse ad impedire l'ingresso della domanda, abbia invece dichiarato di accettare il contraddittorio o tenuto un comportamento implicante accettazione (e per l'individuazione di tale comportamento non può valorizzarsi il mero silenzio o il difetto di reazione, anche prolungato nel tempo, alla domanda nuova, dovendo invece esso estrinsecarsi in un atteggiamento difensivo inequivoco, concretantesi in una contestazione specifica riferita al merito della pretesa e non semplicemente affidata a formule di stile (

Cass. civ., Sez. III, 16 ottobre 2015 n. 20949

) .

Nel giudizio di appello

Il divieto di proporre domande nuove, ai sensi dell'

art. 345, comma 1 c.p.c.

, integrando violazione del principio del doppio grado di giurisdizione, è di ordine pubblico, per cui la sua violazione va rilevata anche d'ufficio in sede di legittimità, senza che possa spiegare alcuna influenza l'accettazione del contraddittorio ad opera della controparte (

Cass. civ., Sez. III, 11 gennaio 2007 n. 383

).

Nel rito del lavoro

La disciplina della fase introduttiva del giudizio -e a maggior ragione quella del giudizio d'appello- risponda ad esigenze di ordine pubblico attinenti al funzionamento stesso del processo, in aderenza ai principi di immediatezza, oralità e concentrazione che lo informano, con la conseguenza che, ai sensi dell'

art. 437 c.p.c.

., non sono ammesse domande nuove, né modificazioni della domanda già proposta, sia con riguardo al «petitum» che alla «causa petendi», neppure nell'ipotesi di accettazione del contraddittorio ad opera della controparte (

Cass. civ., Sez. L, 29 luglio 2014 n.17176

).

Nel giudizio camerale

Nella specie del giudizio di divorzio in appello, si è sostenuto che l'acquisizione dei mezzi di prova, e segnatamente dei documenti, sia ammissibile sino all'udienza di discussione in camera di consiglio, sempre che sulla produzione si possa considerare instaurato un pieno e completo contraddittorio, che costituisce esigenza irrinunziabile anche in tale tipologia di procedimenti camerali. (

Cass. civ., Sez. I, 27 maggio 2005 n. 11319

)

Nel procedimento camerale, il giudice, proprio al fine di garantire il contraddittorio, l'esercizio del diritto di difesa e l'effettività della tutela giurisdizionale, deve esercitare poteri ufficiosi anche mediante l'applicazione estensiva ed analogica delle disposizioni del processo di cognizione, sicché è tenuto a indicare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio richiedendo i necessari chiarimenti (

ex

art. 183, comma 4, c.p.c.) e, se del caso, assumendo sommarie informazioni da soggetti terzi (

ex

art. 738, comma 3, c.p.c.), sempreché tale modalità di acquisizione di elementi di giudizio non sia impiegata per supplire all'onere probatorio o con finalità meramente esplorative (

Cass. civ., Sez. VI, 4 marzo 2015 n. 4412

).

Nelle procedure di arbitrato

É operante il principio del contraddittorio, attesa la sua compatibilità con l'arbitrato libero e il necessario rispetto anche in quest'ultimo proprio di tale principio, in ragione dello stretto collegamento tra l'

art. 101 c.p.c.

e gli

artt. 2,

3

e

24 Cost.

ed in linea con l'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo. (

Cass. civ., Sez. I, 2 dicembre 2015 n. 24558

)

Qualora le parti non abbiano determinato, nel compromesso o nella clausola compromissoria, le regole processuali da adottare, gli arbitri, pur liberi di regolare l'articolazione del procedimento nel modo che ritengano più opportuno, anche discostandosi dalle prescrizioni dettate dal codice di rito, siano comunque soggetti al rispetto dell'inderogabile principio del contraddittorio, posto dall'

art. 101 c.p.c.

(

Cass. civ., Sez. II, 26 maggio 2015 n. 10809

).

Nello svolgimento delle difese

Nella specie del deposito delle comparse conclusionali, qualora il giudice depositi la sentenza prima della scadenza dei termini concessi alle parti, vi è contrasto tra una posizione secondo la quale la sentenza stessa sia nulla, risultando in tal modo impedito ai difensori delle parti di svolgere nella sua completezza il diritto di difesa, con conseguente violazione del principio del contraddittorio (che ovviamente non è riferibile solo all'atto introduttivo del giudizio, ma deve realizzarsi nella sua piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo) (

Cass. civ., Sez. II, 24 marzo 2010 n. 7072

)

Altra posizione che invece ritiene che la sentenza non sia automaticamente affetta da nullità, occorrendo dimostrare la lesione concretamente subita in conseguenza della denunciata violazione processuale, indicando le argomentazioni difensive -contenute nello scritto non esaminato dal giudice- la cui omessa considerazione avrebbe avuto, ragionevolmente, probabilità di determinare una decisione diversa da quella effettivamente assunta (

Cass. civ., Sez. III, 9 aprile 2015 n. 7086

) .

Nel processo esecutivo

Il processo esecutivo ha carattere tipicamente unilaterale e, quindi, la convocazione delle parti, che nel processo medesimo venga disposta dal giudice, quando la ritenga necessaria o quando la legge la prescriva, avviene non per costituire un formale contraddittorio, ma soltanto per il migliore esercizio della potestà ordinatoria, affidata al giudice stesso. D'altra parte, in tale ambito l'adozione di un provvedimento senza che sia stata previamente sentito il debitore, non comporta una violazione del principio del contraddittorio, poiché detta omissione, quando rifletta i suoi effetti su un successivo atto esecutivo, legittima la proposizione di una opposizione agli atti esecutivi, nei modi e nel termine di cui all'

art. 617 c.p.c.

(

Cass. civ., Sez. III, 17 luglio 2009 n. 16731

).

Nel processo esecutivo non è configurabile un formale contraddittorio con le caratteristiche proprie del processo di cognizione, in quanto le posizioni soggettive sono, rispettivamente, quella di chi agisce per la realizzazione concreta del suo diritto consacrato nel titolo esecutivo e quella di chi è assoggettato all'attività esecutiva, con diritto soltanto di essere sentito in ordine alle modalità dell'esecuzione (

Cass. civ., Sez. III, 28 giugno 2005 n. 13914

) .

Nel litisconsorzio

Il rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo imponga al giudice di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso e si traducano in un inutile dispendio di energie processuali e di formalità non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dall'effettivo rispetto del principio del contraddittorio, espresso dall'

art. 101 c.p.c.

ad esempio, nel giudizio avente ad oggetto l'azione diretta proposta dal soggetto danneggiato in un sinistro stradale nei confronti dell'assicuratore del responsabile, ai sensi degli

artt. 18

e

23 l. n. 990/1969

, qualora sia stata chiesta la condanna del solo assicuratore, la Cassazione ha escluso, in sede di legittimità, la necessità dell'integrazione del contraddittorio nei confronti del proprietario del veicolo, rimasto contumace in primo e secondo grado, atteso che tale integrazione del contraddittorio, pur prevista dalle norme, si risolverebbe esclusivamente in un pregiudizio per le parti costituite, senza produrre alcuna concreta contrazione dei diritti sostanziali e processuali della parte esclusa (

Cass. civ., Sez. III, 23 febbraio 2010 n. 4342

).

Ciò pur dovendosi ritenere che in presenza di un litisconsorte necessario non evocato in giudizio, la sentenza sia «inutiliter data» e la conseguente nullità, se non precedentemente rilevata in sede di merito, deve essere rilevata d'ufficio dal giudice di legittimità con rimessione della causa al giudice di primo grado (

Cass. civ., Sez. III, 4 maggio 2015 n. 8891

).

La sentenza della terza via

Come si è rilevato già in precedenza, la riforma del 2009 ha inserito nell'

art. 101 c.p.c.

il comma 2, che attiene alla esigenza di garantire la necessità del rispetto del contraddittorio, anche quando sia il giudice a rilevare una questione suscettibile di essere posta a fondamento della decisione. La norma prevede che in casi della specie, il giudice debba assegnare alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti giorni e non superiore a quaranta giorni, perché depositino in cancelleria memorie, contenenti osservazioni sulla questione loro sottoposta.

In precedenza la Cassazione (

Cass. civ.,

Sez. III

,

5 agosto 2005 n. 16577

) aveva sostenuto che la mancata segnalazione, da parte del giudice, di una questione sollevata d'ufficio che comporti nuovi sviluppi della lite non presi in considerazione dalle parti, modificando il quadro fattuale, determinasse nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa delle parti, private dell'esercizio del contraddittorio, con le connesse facoltà di modificare domande ed eccezioni, allegare fatti nuovi e formulare richieste istruttorie sulla questione che ha condotto alla decisione solitaria.

Le Sezioni unite (

Cass. civ.,

Sez. U,

30 settembre 2009

n. 20935

) hanno poi spiegato che quando il giudice esamini d'ufficio una questione di puro diritto, senza procedere alla sua segnalazione alle parti onde consentire su di essa l'apertura della discussione (c.d. terza via), non sussiste la nullità della sentenza, in quanto (indiscussa la violazione deontologica da parte del giudicante) da tale omissione non deriva la consumazione di altro vizio processuale diverso dall' «error iuris in iudicando» ovvero dall' «error in iudicando de iure procedendi», la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza solo se tale errore sia in concreto consumato. Solo qualora invece si tratti di questioni di fatto, ovvero miste di fatto e di diritto, la parte soccombente può dolersi della decisione, sostenendo che la violazione di quel dovere di indicazione abbia vulnerato la facoltà di chiedere prove o, in ipotesi, di ottenere una eventuale rimessione in termini (e questo principio è stato anche da ultimo ribadito da

Cass.

civ.

,

Sez.

I

,

16 febbraio 2016

n. 2984

).

Contraddittorio differito

L'

art. 101 c.p.c.

fa salva la possibilità che il giudice pronunci dei provvedimenti, senza la previa instaurazione del contraddittorio, nei casi nei quali la legge disponga altrimenti.

Le ipotesi della specie sono determinate, e fanno sostanzialmente riferimento a situazioni a contraddittorio successivo eventuale, o a situazioni caratterizzate dall'urgenza di provvedere, e a contraddittorio differito.

Nel primo caso viene all'attenzione la tutela sommaria non cautelare nella forma del decreto ingiuntivo. La legittimità di tale forma di procedura, sotto il profilo del rispetto dei principi costituzionali, è sostenuta proprio in virtù della previsione della possibilità, per il debitore ingiunto, di attivare un ordinario processo di cognizione. Certo, vi è la possibilità che il decreto ingiuntivo venga fin dall'origine munito della clausola di provvisoria esecuzione, tale da incidere sulla posizione del debitore ancor prima della regolare instaurazione del contraddittorio, e comunque in assenza della possibilità di pervenire a revoca della clausola stessa, suscettibile solo di sospensione da parte del giudice dell'opposizione. E tuttavia la Corte Costituzionale (

Corte cost.,

1

7

giugno

1996, n. 200

) ha ritenuto l'infondatezza della relativa questione, sul piano della ragionevolezza, laddove le norme consentono al giudice istruttore dell'opposizione al decreto ingiuntivo soltanto di sospendere e non di revocare la provvisoria esecuzione del decreto stesso, essendo stato rilevato come il sistema costruito dal legislatore sia frutto coerente e ragionevole di un bilanciamento dei contrapposti interessi dedotti in giudizio, che - a fronte di un titolo già formatosi all'esito del procedimento monitorio - prevede la possibilità di quiescenza della sua attitudine a far iniziare od a sostenere il processo esecutivo, con conservazione degli atti già compiuti (e si veda altresì

Corte Cost., 19

gennaio 1988 n

. 37

e

Corte Cost.

15

maggio 2001 n

. 134

). D'altra parte non sono mancate decisioni che hanno proceduto a revoca della clausola di provvisoria esecuzione, quando fin dall'origine fossero state assenti le condizioni per la concessione (Trib. Messina, 15 febbraio 2005, in FI, 2005, 1, 1228).

Nel secondo caso vengono all'attenzione varie ipotesi, tutte accomunate dall'urgenza di provvedere.

  • In primo luogo la decisione sulla istanza di sospensione del processo esecutivo, ai sensi dell'

    art. 624 c.p.c.

    , e che ai sensi dell'

    art. 625

    c.p.c.

    deve essere assunta dal giudice dell'esecuzione con ordinanza, sentite le parti, ma che nei casi urgenti può essere disposta con decreto, nel quale deve anche essere fissata l'udienza di comparizione delle parti. A tale udienza il giudice dell'esecuzione provvede poi con ordinanza.

  • In secondo luogo la decisione da assumere nei procedimenti cautelari. In questa ipotesi, la norma di cui all'

    art. 669-

    sexies

    c.p.c.

    prevede che il giudice, sentite le parti, ed omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto, e provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto della domanda. Sennonché, quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l'attuazione del provvedimento, è previsto che il giudice designato possa provvedere con decreto motivato, assunte ove occorra sommarie informazioni, in tal caso fissando, con lo stesso decreto, l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine non superiore a quindici giorni, con assegnazione all'istante di un termine perentorio non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. A tale udienza il giudice, con ordinanza, procederà poi a confermare, modificare o revocare i provvedimenti emanati con decreto. Come si vede, e premesso che in tale procedura le uniche formalità ammesse sono proprio quelle funzionali al contraddittorio, il criterio dell'urgenza, in vista dell'esigenza di non vanificare l'attuazione del provvedimento, consente di posticipare il contraddittorio. A differenza però che nel caso del decreto ingiuntivo, nel quale è il debitore, se lo voglia, ad attivare il giudizio di merito, in questa ipotesi il contraddittorio cautelare è invece sempre necessario, ancorché differito. E sarà lo stesso ricorrente, dopo aver ottenuto il provvedimento favorevole, a dover procedere ad instaurarlo, mediante la notifica del ricorso e del decreto, in vista dell'udienza nella quale il giudice designato, come detto, dovrà confermare, modificare o revocare il decreto stesso.

  • In terzo luogo il caso nel quale, in presenza di un fondato motivo di temere che siano per mancare uno o più testimoni, le cui deposizioni possano essere necessarie in una causa da proporre, la parte interessata chieda che ne sia ordinata l'audizione a futura memoria. In questa eventualità, il Presidente del tribunale, o il Giudice di pace, fissano con decreto l'udienza di comparizione e stabiliscono il termine perentorio per la notificazione del decreto. Assunte, quando occorre, sommarie informazioni, essi provvedono poi con ordinanza non impugnabile con la quale, quando venga ammesso l'esame testimoniale, viene anche fissata l'udienza per l'assunzione, con la designazione del giudice che deve procedervi. Ai sensi dell'

    art. 697 c.p.c.

    , in questa ipotesi è previsto che in caso di eccezionale urgenza, il presidente del tribunale o il giudice di pace possano pronunciare i provvedimenti indicati negli

    art

    t.

    694

    e

    695

    c.p.c.

    con decreto, dispensando il ricorrente dalla notificazione alle altre parti. È poi previsto che possa essere nominato un procuratore, che intervenga per le parti non presenti all'assunzione della prova; ed è previsto, qualora ciò avvenga, che non oltre il giorno successivo, a cura del cancelliere, debba essere fatta notificazione immediata del decreto alle parti non presenti all'assunzione. Peraltro, e proprio in ragione della peculiarità del caso, quando ricorra una eccezionale urgenza, l'istanza può anche proporsi al tribunale del luogo in cui la prova deve essere assunta (

    art. 693,

    comma 2

    , c.p.c.

    ).

Riferimenti

BUONCRISTIANI, Il nuovo art. 101, comma 2, c.p.c. sul contraddittorio e sui rapporti tra parti e giudice, in Riv. Dir. Proc., 2010, 2, 399;

COMOGLIO, voce Contraddittorio, in Digesto Civile, Torino, 1989;

FABIANI, Contraddittorio e questioni rilevabili d'ufficio, in Foro it., 2009, V, 266;

NASI, voce Contraddittorio (principio del) (dir. proc. civ.), in Enciclopedia del Diritto, Milano, [IX, 1961];

PAGNI, La "riforma" del processo civile: la dialettica tra il giudice e le parti (e i loro difensori) nel nuovo processo di primo grado, in Corriere Giur., 2009, 10, 1309.