Alberto Crivelli
22 Marzo 2017

Il processo esecutivo è stato concepito dal legislatore del 1940 come rivolto solo ad attuare un comando e non ad accertare diritti. Per vero già allora non mancavano momenti di accertamento, come quelli inerenti la verifica della certezza, liquidità ed esigibilità dei crediti degli intervenuti senza titolo o la disamina delle questioni relative alle istanze di sospensione del processo. Ma con la riforma attuata attraverso il d.l. n. 35/2005, convertito con l. n. 80/2005 si è introdotto nel nostro processo una nuova rilevantissima ipotesi di accertamento, costituita dalle controversie distributive, che fin lì erano risolte al di fuori del processo esecutivo, e cioè in un apposito giudizio di cognizione.
Inquadramento

Il processo esecutivo è stato concepito dal legislatore del 1940 come rivolto solo ad attuare un comando e non ad accertare diritti. Per vero già allora non mancavano momenti di accertamento, come quelli inerenti la verifica della certezza, liquidità ed esigibilità dei crediti degli intervenuti senza titolo o la disamina delle questioni relative alle istanze di sospensione del processo. Ma con la riforma attuata attraverso il d.l. n. 35/2005, convertito con l. n. 80/2005 si è introdotto nel nostro processo una nuova rilevantissima ipotesi di accertamento, costituita dalle controversie distributive, che fin lì erano risolte al di fuori del processo esecutivo, e cioè in un apposito giudizio di cognizione.

Occorre però anzitutto domandarsi in cosa consista una controversia distributiva. Essa, come indica il disposto dell'art. 512 c.p.c. (in questo rimasto invariato) attiene alla sussistenza o all'ammontare di uno o più crediti, o alla sussistenza di diritti di prelazione.

Le questioni più gravi sorgono nello stabilire l'actio finium regundorum tra quest'azione, nell'ipotesi in cui sia promossa dal debitore, e quella prevista dall'art.615 c.p.c., discrimine divenuto oggi quanto mai rilevante dal momento che le opposizioni all'esecuzione sono ormai inammissibili nella fase successiva al provvedimento che dispone la vendita, salvo non siano fondate su fatti sopravvenuti successivamente all'udienza in cui è disposta la vendita, ovvero l'opponente non dimostri di non aver potuto proporre tempestivamente l'opposizione (cfr. art.615, comma 2, c.p.c., come modificato dalla l. n. 119/2016).

Allo scopo occorre preliminarmente inquadrare la fase processuale in cui s'inserisce l'eventuale incidente della controversia distributiva.

Come noto essa può intervenire nella terza ed ultima fase dell'espropriazione forzata (dopo quelle del pignoramento e della vendita), cioè della distribuzione del ricavato, allorché il g.e. abbia predisposto e depositato il progetto di distribuzione. Una particolarità si ha nell'espropriazione mobiliare, dove è previsto all'art. 541 c.p.c. il c.d. piano amichevole, che deve essere adottato con l'accordo dei creditori e sentito il debitore, sicché si procederà attraverso la discussione di un progetto predisposto dal g.e. solo nelle ipotesi di mancanza di un piano amichevole o se il g.e. abbia accolto le contestazioni del debitore nei confronti del piano stesso. In tali casi sarà il progetto giudiziale ad essere oggetto della controversia promossa dai creditori ex art. 512 c.p.c., mentre ove le osservazioni del debitore al piano amichevole non vengano accolte il debitore stesso sarà onerato di sollevare contestazione formale ex art.512 c.p.c. avverso il piano stesso.

Fatte queste precisazioni, appare evidente che l'oggetto della controversia non potrà che dipendere dal contesto in cui essa sorge, e quindi non potrà che avere ad oggetto il diritto alla collocazione e alla partecipazione alla distribuzione (Cass., 9 aprile 2015, n. 7107).

Pertanto mentre l'opposizione all'esecuzione concerne la contestazione da parte del debitore circa l'esercizio dell'azione esecutiva e lo stesso processo esecutivo (Cass. 23 aprile 2001, n.5961, in GC, 2002, I, 177) , le controversie di cui all'art. 512 c.p.c. attengono al diritto alla consegna del ricavato a uno o più creditori, per cui nel relativo procedimento l'accertamento del diritto di credito o della causa di prelazione costituisce una questione solo pregiudiziale, conosciuta incidenter tantum proprio allo scopo di accertare il diritto alla partecipazione alla distribuzione (e materialmente la differenza tra le azioni può verificarsi nelle conclusioni in cui nel caso della controversia distributiva si chiede la modifica del progetto).

Certo nell'ipotesi dell'opposizione all'esecuzione successiva al provvedimento che dispone la vendita e segnatamente in quella spiegata nella fase della distribuzione, per le ipotesi in cui ciò sia ancora ammissibile, il debitore potrà solo pretendere il ricavato (tutto), perché a seguito della sentenza Cass., Sez.Un., 28 novembre 2012, n. 21110 non potrà tangere gli effetti della vendita frattanto perfezionatasi. Ma anche qui la differenza è evidente perché con la controversia distributiva il debitore reclamerà il diritto ad una parte, un residuo del ricavato, pur contestando il quantum o addirittura l'an di un credito, foss'anche quello del procedente (anche a seguito della sentenza Cass. Sez. Un., 7 gennaio 2014, n.61,in REF, 2014, 191 e purché permanga un altro creditore titolato). La controversia peraltro - e conseguentemente a quanto detto - sarà inammissibile, proprio a causa del suo oggetto, se in base al progetto al creditore contestato di fatto non spetterebbe alcuna parte del ricavato.

Nell'ipotesi di esecuzione in cui vi sia un unico creditore poi la contestazione del credito dello stesso finisce per porre inevitabilmente in discussione la stessa esecuzione. In questo caso quindi solo la contestazione che riguardi una parte del credito, se proposta in sede distributiva, avrà consistenza di controversia ex art. 512 c.p.c..

Proprio la segnalata differenza di petitum porta a concludere poi che la stessa questione proposta prima in sede di opposizione all'esecuzione possa esserlo dopo in sede di controversia distributiva, a differenza di quanto ritenuto da un orientamento del S.C. (Cass. 21 giugno 13, n. 15654) che può ritenersi superato

In evidenza

La previsione del rimedio dell'opposizione distributiva, ex art. 512 c.p.c., non esclude - anche anteriormente alla novella di cui al d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 maggio 2005, n. 80 - che il debitore esecutato, il quale contesti l'esistenza o anche solo l'ammontare del credito di un creditore intervenuto, di cui si presume l'ammissione alla distribuzione, possa tutelarsi anche prima della suddetta fase attraverso lo strumento dell'opposizione all'esecuzione, di cui all'art. 615, secondo comma, c.p.c., sussistendo in ogni momento dell'esecuzione il suo interesse a contestare l'an od il quantum di uno o più tra detti crediti, né rileva che, successivamente alla proposizione della relativa opposizione, il naturale sviluppo della procedura ne comporti il transito alla fase della distribuzione della somma ricavata, comprensiva anche di quanto ritualmente versato a seguito di ordinanza ammissiva di conversione (Cass. 9 aprile 2015, n.7108).

Oggetto della controversia

La controversia distributiva, che può essere promossa sia dal debitore che da uno dei creditori o dal terzo espropriato riguardo tanto al creditore procedente che ad altri creditori intervenuti, può avere ad oggetto sia aspetti formali che sostanziali.

Per quanto attiene ai vizi formali dell'intervento (disciplinato dall'art. 499 c.p.c., con particolare riguardo ai requisiti ed alle qualità del credito dell'interventore e agli incombenti previsti dalla norma) sebbene in linea di principio si tratti di questioni attinenti all'opposizione ex art. 617 c.p.c., con i connessi termini decadenziali, la loro rilevanza per gli altri creditori si avrà solo d'ordinario in sede distributiva (salvo infatti che il rilievo di tali crediti non avvenga in precedenza per attività endoprocessuali che lo impongano, es. in sede di conversione), sicché essi possono essere dedotti in sede di controversia distributiva senza osservanza del termine decadenziale suddetto.

In evidenza

In materia di espropriazione forzata, la contestazione da parte del creditore procedente - o di quello intervenuto in base a titolo esecutivo, ovvero in forza dei presupposti processuali speciali di cui alla seconda parte del primo comma dell'art. 499, c.p.c.- circa la ritualità, per carenza dei presupposti di ammissibilità, dell'intervento di altro creditore, non rientrante nelle categorie testé indicate, dà luogo, sempre che una lite siffatta non sia insorta in precedenza ad impulso di altri tra i soggetti del processo esecutivo, ad una controversia in sede distributiva non soggetta al termine ex art. 617 c.p.c., potendo, pertanto, essere instaurata dalla data del dispiegamento dell'intervento o da quella di conoscenza dello stesso (Cass. 9 aprile 2015, n.7107)

A tali ipotesi può poi aggiungersi la controversia inerente la natura tardiva dell'intervento. (Cass. 1 aprile 2011, n.7556, in RDP, 2012, n.789).

Le contestazioni di merito, che costituiscono invece il nucleo delle controversie distributive, possono attenere ai diritti di prelazione od al credito in sé. Nel primo caso esse possono essere sollevate solo da altri creditori, posto che il debitore sotto tale profilo è indifferente in quanto tali diritti regolano solo la preferenza nella soddisfazione tra soggetti tutti suoi creditori. Nel secondo caso le questioni attengono appunto al diritto di credito vantato, alla sua sussistenza ed entità come già detto.

Circa il creditore senza titolo che abbia ottenuto il riconoscimento dal debitore ai sensi dell'art. 499, 6° co., c.p.c., mentre gli altri creditori potranno contestarne il credito senza limiti e anche sotto i profili formali che si sono visti sopra, il debitore è vincolato dal riconoscimento esplicito od implicito, e pertanto potrà sollevare solo questioni attinenti fatti sopravvenuti o errori di calcolo del creditore stesso nella precisazione del proprio credito in rapporto a quanto riconosciuto.

In caso di contestazione del credito ex art. 499, 6° comma, c.p.c. ci si domanda se nei suoi confronti possa procedersi immediatamente alla contestazione da parte degli altri creditori o debba attendersi l'esito del giudizio di merito volto alla formazione del titolo esecutivo. Ritengo che la controversia possa essere differita al momento in cui s'è formato il titolo, o più precisamente in sede di secondo riparto, in cui i creditori potranno liberamente contestare (e così il debitore ma naturalmente non con riferimento a quanto accertato dal titolo giudiziale); se poi nel triennio il titolo non si sia formato, allora il creditore sarà escluso e non v'è luogo nei suoi riguardi ad alcuna contestazione; e con ciò si risolvono le complesse questioni che si pongono volendo ritenere sollevabili fin dal primo riparto le contestazioni nei suoi riguardi, da un lato fomentando un'attività forse inutile (se il titolo non si formerà o non si formerà in tempo); dall'altro provocando alla lunga un provvedimento ex art. 295 c.p.c. in sede di opposizione agli atti avverso il provvedimento ex art. 512 c.p.c., che di fatto procrastina altrettanto la definizione del processo esecutivo.

Procedimento

Sotto il profilo procedimentale la struttura è piuttosto semplice. Una volta che il progetto di distribuzione (che oggi viene normalmente predisposto dal delegato) è depositato, possono essere sollevate le controversie ex art. 512 c.p.c. fino all'udienza fissata ex artt. 542-596 c.p.c., e ciò sia oralmente che a mezzo di ricorso e anche senza il patrocinio legale (Cass. 20 luglio 2011, n. 15903). L'atto con cui si solleva la controversia deve poi specificare il credito contestato e le relative ragioni. Poiché il meccanismo del deposito preventivo del progetto non onera le parti di presentarsi all'udienza di approvazione, se solo nel corso della stessa venisse proposta la controversia il relativo verbale andrà notificato alle parti interessate, con fissazione di una nuova udienza.

Come detto il procedimento ha ad oggetto un accertamento, e quindi presuppone una pur minima attività istruttoria.

Ritengo che si tratti di un'attività avente natura analoga agli «atti d'istruzione rilevanti» di cui all'art.702-bis c.p.c.; o agli «atti d'istruzione indispensabili» di cui all'art.669-sexies c.p.c.; e senz'altro a quelli riassunti nell'identica espressione di «accertamenti necessari» di cui al novellato art.549 c.p.c., tutte ipotesi in cui è pacifica la natura sommaria dell'istruzione, la quale certamente non ha natura officiosa, ma ha indubbi riflessi sulla valutazione e soprattutto sui modi di assunzione e sulle relative forme dei mezzi di prova. Così si avrà, per le prove costituende, l'assunzione di sommarie informazioni, una minor rigidità nella capitolazione ex art.244 c.p.c., maggior libertà del giudice nell'interrogare aldilà dei limiti di cui all'art.253 c.p.c.. Sarà indubbia la possibilità di libero interrogatorio, e non si vede perché escludere quella di interrogatorio formale. Altrettanto non può escludersi il ricorso ad una consulenza, specie di natura contabile, magari deformalizzata, e saranno anche ammissibili gli strumenti di cui agli artt.210 e 213 c.p.c.. Certo però che molto spesso saranno i documenti l'oggetto principale dell'istruttoria.

L'onere probatorio incomberà di regola su chi proporrà la controversia, ma sarà influenzato dalle regole tipiche dei titoli (se esistenti) in cui è portato il credito contestato. Così vale per i titoli di credito, per i riconoscimenti di debito portati in scritture autenticate. La contestazione poi del credito risultante da titolo giudiziale risulterà soggetta ai soliti limiti. Interessante però è l'aspetto relativo a quelle contestazioni che attengano a crediti il cui importo non sia direttamente risultante dal titolo stragiudiziale (es. nel caso del mutuo ipotecario) ma dipende dallo svolgimento del rapporto. Qui infatti incombe sul creditore la prova dei fatti che giustificano la concreta determinazione della pretesa, sulla base del principio che spetta a chi vanta una posizione vantaggiosa dare dimostrazione dei fatti che la giustificano di fronte alla contestazione del soggetto contro il quale il vanto è rivolto (Cass. 25 maggio 2016 n.10752).

In evidenza

In caso di controversia insorta in sede di distribuzione della somma ricavata all'esito di procedura esecutiva, ai sensi del vigente testo dell'art. 512 c.p.c. (ma non diversamente in quello anteriore), la cognizione sommaria del giudice dell'esecuzione è regolata, sul piano della ripartizione degli oneri probatori, dal principio per cui chi contesta la posizione di vantaggio altrui coinvolta nella distribuzione - in quanto non sorretta, per la parte contestata, da elementi certi risultanti dal titolo - non è tenuto a fornire la prova, negativa, dell'insussistenza di quegli elementi, spettando a colui che rivendica la posizione di vantaggio dimostrarne l'esistenza (Cass. 25 maggio 2016, n. 10752)

Esaurita l'istruttoria, il g.e. emetterà l'ordinanza che risolve la controversia, che costituisce un normale atto del processo esecutivo.

Tale ordinanza quindi potrà confermare il progetto già depositato, ordinando i relativi pagamenti.

Ove invece l'ordinanza accogliesse in tutto od in parte le contestazioni, essa dovrebbe modificare il riparto.

Si pone qui il problema se il g.e. debba emettere direttamente il provvedimento contenente il piano modificato (oltre alla soluzione della controversia) o debba fissare una nuova udienza per l'approvazione del progetto modificato.

Fermo restando che ovviamente i due provvedimenti (di risoluzione della controversia e di approvazione del piano modificato) sono concettualmente distinti, non si vede quale ragione imponga di fissare una nuova udienza: le controversie ormai sono state proposte, e le modifiche al progetto non possono che essere conseguenza dell'accoglimento delle stesse. Per errori di calcolo si provvederà con la correzione dell'errore materiale, mentre per irregolarità formali del piano di riparto resta possibile ricorrere all'opposizione ex art. 617 c.p.c..

Circa invece l'ordinanza (o la parte dell'ordinanza) che risolve la controversia, la stessa è espressamente assoggettata all'opposizione ex art. 617 c.p.c. come recita l'ultima parte dell'art. 512, comma 1, c.p.c..

Il giudizio di opposizione

Il giudizio di opposizione avverso l'ordinanza che ha deciso la controversia non si distingue da un'ordinaria opposizione ai sensi dell'art. 617 c.p.c. Vanno solo fatte in proposito alcune precisazioni.

In particolare va ricordato che il giudizio in parola ha ad oggetto solo il provvedimento che risolve le controversie, di talché nell'ipotesi in cui, com'è prassi presso alcuni uffici giudiziari, si provveda a fissare un'apposita udienza per l'approvazione del progetto modificato, il termine di cui all'art. 617 c.p.c. va riferito alla data di comunicazione dell'ordinanza di definizione della controversia, e non certo alla nuova udienza. Qui anche se il creditore o il debitore ribadiranno la loro contestazione, il termine decorrerà solo con riferimento a eventuali vizi formali del piano di distribuzione.

L'opposizione in parola ha poi natura di mero giudizio impugnatorio rescindente, per cui spetterà pur sempre al g.e. la fase rescissoria nell'ambito del processo esecutivo e quindi egli, in conformità alla decisione, dovrà provvedere alla modifica del progetto di distribuzione.

Trattandosi poi di giudizio di impugnazione, l'estinzione del giudizio di opposizione comporterà la definitività dell'ordinanza impugnata.

Da notare ancora che, anche ove alcuni creditori non siano stati coinvolti nella controversia distributiva davanti al g.e., invece nel giudizio di opposizione tutti sono litisconsorti necessari se subiscono effetti dalla decisione (Cass. 30 gennaio 2012, n.1316).

Quanto alla competenza, more solito quella relativa alla fase disciplinata dall'art. 618 c.p.c. appartiene al g.e. La competenza per la fase di merito invece appartiene al medesimo Tribunale davanti cui pende l'esecuzione (con esclusione quindi della competenza del giudice di pace), dovendosi ritenere tacitamente abrogato per incompatibilità col nuovo testo dell'art. 512 c.p.c. l'art.17, comma 3, c.p.c., ma non allo stesso magistrato che riveste l'ufficio di g.e., in base al disposto di cui all'art.186-bis disp. att. c.p.c..

Rimane infine da stabilire l'efficacia della sentenza che definisce il giudizio in parola.

Non è questo il luogo per affrontare il tema della stabilità dell'ordinanza che approva il progetto di distribuzione, ma è pacifico che la stessa abbia efficacia solo endoprocessuale.

E sicuramente la medesima efficacia endoprocessuale ha l'ordinanza che risolve le controversie, anche ove le stesse abbiano ad oggetto l'an del credito. Ciò discende dalla già ricostruita natura della controversia distributiva come rimedio relativo ad una questione di diritto alla collocazione ed al ricavato, che non tange il diritto ad eseguire.

Così stando le cose, la decisione che definirà l'opposizione, la quale fatalmente investirà (ma solo incidenter tantum) l'accertamento dell'an o del quantum del credito, ancorché avente veste di sentenza ripeterà i medesimi limiti oggettivi dell'ordinanza: anch'essa cioè non potrà incidere che sul diritto al ricavato, nella ristretta accezione che s'è vista, senza estendersi al diritto di credito, e solo su ciò avrà efficacia di giudicato.

La sospensione

L'art. 512, comma 3, c.p.c., attribuisce al g.e. il potere di sospendere la distribuzione “anche” con l'ordinanza di cui al primo comma.

Ciò significa che egli può provvedere alla sospensione in vista del procedimento endoesecutivo volto alla soluzione della controversia, e ciò non implica alcuna difficoltà interpretativa, salvo sottolineare la facoltatività di tale potestà.

Ma è evidente che se la sospensione venisse disposta col provvedimento che la controversia ha risolto, essa non potrà che costituire un provvedimento temporaneo in attesa di un'eventuale opposizione agli atti esecutivi e per non comprometterne il risultato.

Altro però tale sospensione non potrà significare, perché dal momento della proposta opposizione agli atti, i poteri sospensivi non possono che competere sì al g.e., ma ai sensi dell'art. 618 c.p.c..

Il che porta la conseguenza anche del diverso regime impugnatorio dei due provvedimenti (nel senso che la sospensione disposta ex art. 512, 3° comma, c.p.c., è espressamente soggetta a reclamo; mentre come noto non lo è quella prevista dall'art. 618 c.p.c.; evidente qui l'iniquità perché nel primo caso si tratta di una sospensione almeno tendenzialmente di più breve durata).

Altra questione si pone a seguito dell'eventuale mancata sospensione ex art. 618 c.p.c. della distribuzione ove l'opposizione venisse però accolta. In particolare si deve ritenere che la stessa sentenza dovrebbe condannare il creditore che non ha titolo al ricavato (o non lo ha nella misura di cui all'ordinanza distributiva) alla restituzione della somma alla procedura (se v'è domanda; altrimenti si procederà separatamente anche con procedimento monitorio). Per alcuni però il g.e. dovrebbe, riformando il progetto, emettere ordine di restituzione della somma a carico del creditore soccombente, e ciò in considerazione della prevalenza dell'effetto retroattivo della sentenza, con conseguente rinnovo della fase distributiva quale effetto rescissorio della sentenza stessa. Tale ultima soluzione però a mio parere non può accettarsi perché presuppone che il creditore sia soggetto all'esecuzione, il che non è.

Ma la questione più complessa sta nell'applicazione del meccanismo di cui all'art. 624, comma 3, c.p.c., che per la previsione di cui al 4° co. è applicabile anche alle ipotesi di sospensione ex art.618 cpc. Infatti risulta difficile immaginare che una mancata introduzione del giudizio di merito possa comportare l'estinzione del processo esecutivo giunto alla fase della distribuzione, dove magari la contestazione riguardava solo una parte del credito (e sempre ammesso che si sia disposta la sospensione solo con riferimento a quel solo credito).

Si è suggerito di conferire al creditore soccombente il potere di riassumere il processo esecutivo ai sensi dell'art. 627 c.p.c.. La soluzione potrebbe essere accettata, conferendo il ridetto potere anche ad altre parti del processo esecutivo, compreso il debitore, e ritenendo che l'effetto di cui all'art.624, 3° co. sia da escludersi per incompatibilità, come ammette espressamente il disposto del comma 4. La soluzione potrebbe essere agevolata da espresse indicazioni contenute nel provvedimento reso ex art. 618 c.p.c. per il caso di mancata introduzione del giudizio di merito.

Riferimenti
  • ARIETA, DE SANTIS, L'esecuzione forzata, in Trattato Montesano, III, Padova, 2007;
  • BARRECA, Le nuove norme sulle controversie distributive, RTDPC, 2008, 270;
  • BOVE, La distribuzione in Balena, Bove, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006;
  • CAPPONI, L'opposizione distributiva dopo la riforma dell'espropriazione forzata, in CorG, 2006, 1760;
  • CIRULLI, La distribuzione del ricavato, artt. 509-512, in Codice Commentato delle Esecuzioni civili, Torino, 2016;
  • CORRADO, La contestazione dei crediti riconosciuti e non riconosciuti ex art.499, commi 5° e 6°, cpc, in REF, 2008, 469;
  • MERLIN, Le controversie distributive, in AAVV, Il processo civile di riforma in riforma, II, Milano, 2006;
  • MONTELEONE, sub art. 512 cpc, in AAVV La riforma del processo civile, a cura di Cipriani, Monteleone, Padova, 2007;
  • PERAGO, La distribuzione del ricavato, in AAVV L'esecuzione forzata riformata, a cura di Miccolis, Perago, Torino 2009;
  • ROMANO, Espropriazione forzata e contestazione del credito, Napoli, 2008;
  • SOLDI, Manuale dell'esecuzione forzata, Padova, 2016, cap. IX;
  • TOTA, sub art.512 cpc, in AAVV, Commentario alle riforme del processo civile, a cura di Briguglio, Capponi, II, Padova, 2007;
  • VINCRE, Profili delle controversie sulla distribuzione del ricavato, Padova, 2010.

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