ContumaciaFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 290
08 Giugno 2016
Inquadramento
In generale, si ha processo contumaciale ove una delle parti ometta di costituirsi in giudizio, ovvero si costituisca in modo irregolare o nullo. La contumacia può riguardare l'attore o il convenuto, ma non entrambe le parti contemporaneamente, perché, qualora dopo la notifica della citazione nessuna delle parti si costituisca, il processo, ex art. 307 c.p.c. , entra in una fase di “stasi” e deve riassunto nel termine di tre mesi (secondo la disciplina introdotta dallal . 18 giugno 2009, n. 69 , applicabile ai processi introdotti dopo la sua entrata in vigore) dalla scadenza del termine di costituzione del convenuto (art. 166 c.p.c. ), altrimenti il processo si estingue.La contumacia di una delle parti, invece, non stravolge l'iter di svolgimento del giudizio, il quale continua secondo le regole sue proprie, salvo alcuni “correttivi” dettati dall'esigenza di tutelare il diritto di difesa della parte non costituitasi. La disciplina della contumacia ex . c.p.c. non attribuisce a questo istituto alcun significato sul piano probatorio, salva previsione espressa, con la conseguenza che si deve escludere non solo che essa sollevi la controparte dall'onere della prova, ma anche che rappresenti un comportamento valutabile, ai sensi dell'art. 116, primo comma, c.p.c. , per trarne argomenti di prova in danno del contumace (Cass. civ. , s ez. III, 13 giugno 2013, n. 14860 in Giust. civ. Mass. 2013) ovvero per considerare realizzata una “non contestazione” rilevanteex art. 115, comma 1, c.p.c. .
La prima ipotesi di contumacia presa in considerazione dal codice di rito ( art. 290 c.p.c. ) è la contumacia dell'attore, che ricorre quando l'attore, dopo aver notificato l'atto di citazione al convenuto, ometta di costituirsi in giudizio nel termine fissato dall'art. 165 c.p.c. e si costituisca, invece, tempestivamente il convenuto, provvedendo altresì all'iscrizione della causa a ruolo. Trattasi, evidentemente, di ipotesi che può realizzarsi solo nel caso in cui il giudizio sia introdotto con citazione, in quanto nei procedimenti introdotti tramite ricorso la costituzione in giudizio si realizza automaticamente al deposito dell'atto contenente la domanda giudiziale, sicché non vi è scissione tra il momento della proposizione della domanda e quello della costituzione in giudizio della parte proponente. L'applicazione della norma, inoltre, come detto, presuppone anche la tempestiva costituzione del convenuto, che iscriva a ruolo del giudizio, consentendo così al giudice di venire a conoscenza della pendenza del processo. A quel punto, l'esito del procedimento dipenderà dalla volontà della parte costituita: ove, infatti, quest'ultima chieda che il giudizio prosegua nella contumacia dell'attore, il processo seguirà il suo corso, ferma restando la necessità di notificare all'attore contumace gli atti di cui all'art. 292 c.p.c. Ove, invece, il convenuto costituito non formuli la richiesta di prosecuzione del giudizio, il giudice deve ordinare la cancellazione della causa dal ruolo e il processo si estingue.La contumacia dell'attore, dovuta alla mancata o irregolare costituzione a seguito della notifica dell'atto di impugnazione, può verificarsi anche in grado di appello. In tal caso, però, trova applicazione la disciplina di cui all' art. 348, comma 1, c.p.c. , secondo cui il gravame, in caso di mancata o tardiva costituzione dell'appellante, deve, anche d'ufficio, essere dichiarato improcedibile, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza impugnata. Resta, quindi, tendenzialmente irrilevante la volontà dell'appellato, il quale può costituirsi in giudizio al solo fine di far dichiarare l'improcedibilità del gravame, in forza del principio del favor iudicati che caratterizza il nostro ordinamento (Cass. civ. , s ez. III, 21 gennaio 2010, n. 995 ).Qualora il convenuto non si costituisca in giudizio, la prima attività che deve essere compiuta dal giudice è la verifica della regolarità della notificazione dell'atto di citazione, al fine di stabilire se la mancata costituzione sia frutto di scelta volontaria (o colpevole) della parte oppure di un vizio relativo all'instaurazione del contraddittorio, che abbia determinato la nullità della notificazione. In quest'ultimo caso, infatti, il giudice dovrà fissare all'attore un termine perentorio per il rinnovo della notificazione: il prosieguo del giudizio dipenderà, allora, dall'esito di tale operazione, perché ove l'ordine di rinnovazione non sia eseguito o sia eseguito tardivamente, il giudice ordinerà la cancellazione della causa dal ruolo con estinzione immediata del processo. Il rinnovo della notificazione impedisce, invece, il verificarsi di ogni decadenza (quantomeno di carattere processuale) e ha efficacia ex tunc. La notifica, ai sensi dell' art. 160 c.p.c. , è nulla quando non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia o se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data. Alla luce, inoltre, della generale regola posta dall'art. 156, comma 2, c.p.c. la notifica deve ritenersi nulla anche fuori dai casi tipizzati dall'art. 160 c.p.c. , ove la stessa sia priva di un requisito indispensabile al raggiungimento dello scopo suo proprio (vale a dire, portare l'atto nella sfera di conoscenza, effettiva o potenziale, del destinatario). Dall'ipotesi della notifica nulla (che legittima l'ordine di rinnovazione con possibilità di sanatoria ex tunc,ex art. 291, comma 1, c.p.c. ), bisogna, invece, distinguere l'ipotesi della notifica inesistente, che ricorre quando la notifica medesima sia stata effettuata in un luogo o con riguardo ad una persona che non presentino alcun riferimento con il destinatario dell'atto. In tal caso, infatti, non solo non è consentita la dichiarazione di contumacia del convenuto non costituitosi, ma il giudice dovrà definire in rito il giudizio, trattandosi di vizio non suscettibile di sanatoria.
Ove, invece, la notifica sia ab origine regolare o il convenuto continui a non costituirsi in giudizio anche all'esito della rinnovazione della notifica dell'atto introduttivo, il giudice ne dichiara la contumacia e il processo seguirà regolarmente il suo corso, salva la necessità di notificare al contumace gli atti di cui all' art. 292 c.p.c. .Gli atti da notificarsi al contumace
Ai sensi dell' art. 292 c.p.c. devono essere notificate al contumace entro il termine assegnato dal giudice l'ordinanza che ammette l'interrogatorio o il giuramento e le comparse contenenti domande nuove o ricovenzionali da chiunque proposte. Le altre comparse si considerano comunicate con il deposito in cancelleria, mentre tutti gli altri atti del processo non sono soggetti a notifica o comunicazione al contumace, ad eccezione della sentenza che andrà notificata alla parte personalmente. L' art. 292 c.p.c. è stato oggetto, nel tempo, di diversi interventi della Corte Costituzionale, alcuni tali da integrarne significativamente il contenuto.
In particolare, con la sentenza n. 250 del 28 novembre 1986 ( Corte Cost., 28 novembre 1986 n. 250 ), il giudice delle leggi ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 292, comma 1, in relazione al n. 1 dell' art. 215 c.p.c. - che impone di considerare come riconosciuta la scrittura privata rispetto alla quale l'autore non abbia tempestivamente disconosciuto la propria sottoscrizione – per violazione degli artt. 3 e 24 Cost. , nella parte in cui non prevedeva la notificazione personale al contumace dei verbali in cui si dà atto della produzione delle scritture private, non indicate in atti notificati in precedenza. In questo primo intervento, la Corte ha, invero, limitato l'effetto della propria pronuncia ai soli procedimenti di cognizione ordinaria pendenti dinanzi al pretore ed al conciliatore, rispetto ai quali non era contemplata una disposizione normativa che prevedesse che fossero indicati negli atti introduttivi i documenti prodotti in giudizio. Con la successiva sentenza n. 317 del 6 giugno 1989 ( Corte Cost., 6 giugno 1989 n. 317 ), l'illegittimità della norma è stata estesa anche ai giudizi pendenti dinanzi al Tribunale, questa volta, però, con la espressa precisazione che l'obbligo di notifica sussiste solo in relazione ai casi in cui la scrittura privata prodotta nei confronti del contumace non sia stata già indicata in atti notificati in precedenza.
Con alcune pronunce successive, la Corte ha ulteriormente perfezionato il regime della produzione delle scritture private nel processo contumaciale, dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'ormai abrogato art. 314, comma 1, c.p.c. (relativo alla disciplina dei giudizi pendenti dinanzi al pretore), dell' art. 318, comma 1, c.p.c. (relativo alla vigente disciplina dei giudizi di competenza del giudice di pace) nella parte in cui tali disposizioni non prevedevano che l'atto introduttivo del giudizio dovesse contenere, tra l'altro, l'indicazione della scrittura privata offerta in comunicazione all'attore, sancendo, così, definitivamente un principio di necessaria conoscibilità da parte del contumace della produzione in giudizio di scritture private, come fondamento della presunzione di riconoscimento stabilita nell' art. 215, comma 1, c.p.c. ( Corte Cost. 24 maggio 1991, n. 214 e Corte Cost. 22 aprile 1997, n. 110 ).
Con la sentenza n. 14 del 14 gennaio 1997 ( Corte Cost., 14 gennaio 1997 n. 14 ) poi, il giudice delle leggi ha dichiarato illegittimo l' art. 426 c.p.c. (in combinato disposto con l' art. 20 della l. 11 agosto 1973 n. 533 , per le cause pendenti al momento dell'entrata in vigore di quest'ultima legge) nella parte in cui non prevede la comunicazione al contumace dell'ordinanza che dispone il mutamento del rito da ordinario a speciale con assegnazione di termine perentorio per l'integrazione degli atti introduttivi.
Infine deve ricordarsi la sentenza del 22 aprile 2002 n. 130 ( Corte Cost., 22 aprile 2002 n. 130 ) con cui la Corte Costituzionale ha ravvisato una ulteriore ipotesi di notificazione al contumace nel provvedimento con cui, nei giudizi assegnati alle sezioni stralcio, il giudice, ai sensi dell' art. 13, comma 2, l. 22 luglio 1997, n. 276 , convoca le parti dinanzi a sé per il tentativo di conciliazione, fissando all'uopo la data dell'udienza superando la tassatività dell'elencazione contenuta nell' art. 292 c.p.c. in virtù della considerazione che tale norma è preesistente e, pertanto, in essa non poteva essere contemplata la notificazione personale al contumace del provvedimento di cui al più recente art. 13, l. n. 276/1997 .
La ratio delle prescrizioni di cui all' art. 292 c.p.c. viene comunemente individuata dalla giurisprudenza di legittimità nell'esigenza di rendere edotto il contumace di possibili successivi mutamenti del thema decidendum suscettibili di condizionare la sua originaria valutazione circa l'opportunità di non costituirsi in giudizio ovvero nella volontà del legislatore di equilibrare la tutela riconosciuta ad entrambe le parti del giudizio, prevedendo che siano portati a conoscenza della parte non costituita solo gli atti che rivestono maggiore rilevanza ai fini della decisione e, al contempo, evitando che la parte costituita sia eccessivamente sovraccaricata dall'onere di rendere edotto il contumace di tutte le proprie istanze e dei provvedimenti del giudice. La giurisprudenza è, comunque, pacificamente orientata nel senso di considerare la disciplina di cui all' art. 292 c.p.c. come posta ad esclusiva tutela del contumace il quale solo, pertanto, potrà censurarne la violazione ( Cass. civ. , s ez. III, 17 gennaio 2011, n. 574 ). La costituzione del contumace
La parte dichiarata contumace, ai sensi dell' art. 293 c.p.c. , può costituirsi in ogni momento del procedimento, fino all'udienza di precisazione delle conclusioni. L'attuale formulazione della norma è il frutto delle modifiche apportate dall' art. 2 della legge 28 dicembre 2005, n. 263 . In precedenza, invece, si individuava la preclusione temporale alla costituzione tardiva nell'udienza in cui la causa era rimessa al collegio a norma dell' art. 189 c.p.c. . Trattasi, evidentemente, di modifica normativa dettata dalla necessità di coordinare la disciplina con la riforma del giudice unico ( d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 ), che ha assoggettato a rito monocratico la gran parte dei procedimenti civili. La precisazione delle conclusioni o la rimessione al collegio, in ogni caso, sono suscettibili di determinare lo sbarramento alla costituzione del contumace solo ove effettivamente intervenuti, mentre nessuna efficacia preclusiva può riconoscersi all'invito del giudice alle parti a precisare le conclusioni ed alla fissazione di un'udienza per tale incombenza. Trattasi di disposizione che risponde ad esigenze di ordine pubblico, consistenti in un coordinamento tra l'attività difensiva delle parti e l'esercizio della funzione decisoria, per cui, come chiarito dalla stessa giurisprudenza di legittimità, essa non può essere superata da un eventuale assenso della parte già costituita né da un provvedimento del giudice, che non può riaprire il contraddittorio al fine consentire al contumace di costituirsi dopo che si sia svolta l'udienza di precisazione delle conclusioni, a meno che non vi sia una generale rimessione in istruttoria del giudizio ( Cass. civ. , s ez. III, 27 luglio 2002, n. 11136 ). Nessuna rilevanza ha, invece, ai fini dell'applicazione del primo comma dell' art. 293 c.p.c. , la circostanza che abbia o meno avuto luogo una formale dichiarazione di contumacia della parte non costituitasi fino alla prima udienza, avendo tale dichiarazione una funzione di mero accertamento di una situazione processuale, senza alcuna efficacia costitutiva ( Cass. civ. , s ez. III, 9 febbraio 2005 n. 2657 ). La rimessione in termini
Al contumace che si costituisca in giudizio tardivamente sono precluse quelle attività processuali per il cui compimento siano già spirati i termini processuali al momento della sua costituzione in giudizio. La parte, tuttavia, ai sensi dell' art. 294 c.p.c. , può chiedere al giudice di essere rimesso in termini ai fini del compimento delle predette attività, se dimostri che la costituzione gli sia stata preclusa dalla nullità della citazione o della sua notifica ovvero sia stata impedita da altra causa a lui non imputabile. Quanto alla casistica, la giurisprudenza ha escluso che possa costituire valido motivo di rimessione in termini la malattia della parte, tendenzialmente non ostativa al rilascio di procura al difensore ( Cass. civ. , s ez. I, 29 maggio 1999, n. 5249 ) ovvero l'invalida costituzione a mezzo di difensore privo di ius postulandi, non potendo la parte, a seguito di regolarizzazione della costituzione, ripetere le attività compiute dal difensore non legittimato (Cass. civ., sez. III, 1 ottobre 2004, n. 16952). Si è escluso, altresì, che possano rientrare in tale categoria le scelte discrezionali della parte, quale quella di non eccepire la prescrizione di un diritto finché sono in corso trattative con la controparte ( Cass. civ., s ez. Lav., 25 marzo 2011, n. 7033 ). Si è esclusa, nella medesima prospettiva, la rilevanza dell'infedeltà del legale che non abbia dato esecuzione al mandato difensivo, trattandosi di vizio afferente esclusivamente alla patologia del rapporto intercorrente tra la parte sostanziale e il professionista incaricato ai sensi dell' art. 83 c.p.c. che può assumere rilevanza soltanto ai fini di un'azione di responsabilità promossa contro quest'ultimo ( Cass. civ. , s ez. II, 4 marzo 2011, n. 4260 ).
La disciplina di cui all' art. 294 c.p.c. (così come quella dettata dall' art. 153 c.p.c. e prima ancora dall' art. 184- bis c.p.c. , abrogato dalla l. 18 giugno 2009, n. 69 ) mira, in generale, a tutelare la parte che sia incorsa in una decadenza processuale per causa non imputabile, consentendo al soggetto rimasto contumace senza colpa di compiere tutte quelle attività che sarebbero, per contro, precluse nella fase in cui il processo si trova.
A fronte dell'istanza di rimessione in termini presentata dal contumace, il giudice deve compiere un giudizio di verosimiglianza dei fatti allegati dall'istante: se tale giudizio si conclude con esito positivo, il contumace può essere ammesso alla prova dell'impedimento, evidentemente ove lo stesso non emerga già in maniera sufficiente dalle altre risultanze di causa. Ove, poi, il contumace venga rimesso in termini per il compimento di una determinata attività processuale la controparte deve avere a sua volta facoltà di replicare; pertanto, sempre in attuazione del principio del contraddittorio, la rimessione in termini avrà effetto sia nei confronti della parte che espressamente l'ha richiesta, sia per la controparte, riaprendo la vicenda di contrapposizione degli interessi in causa, ma solo con riguardo ai poteri nei quali la parte sia stata restituita in termini e ai poteri della controparte che siano diretta conseguenza dell'esercizio dei primi. Riferimenti
CENDON (a cura di), Commentario al codice di procedura civile. Artt. 163-322, 1a ed., Milano 2012, 1731 e ss.;
CASSANO - CALVANESE, Giudizio in contumacia e restituzione nel termine,Milano, 2008, 1 e ss.;
LUISO , Diritto processuale civile, II, Milano, 2015, 219 e ss.. |