Espropriazione presso terzi

Aniello Merone
07 Giugno 2016

L'espropriazione mobiliare presso terzi ha ad oggetto crediti del debitore verso terzi (si pensi ai depositi di banca, o alla quota pignorabile, ex art. 545, commi 3 e 5 c.p.c., della retribuzione dovuta al lavoratore dal datore di lavoro), ovvero cose mobili di proprietà del debitore in possesso di terzi (ad esempio, il bene concesso dal debitore in comodato). La disciplina dell'istituto in oggetto è stata profondamente incisa attraverso ben tre interventi di riforma:

Inquadramento

IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

L'espropriazione mobiliare presso terzi ha ad oggetto crediti del debitore verso terzi (si pensi ai depositi di banca, o alla quota pignorabile, ex art. 545, commi 3 e 5 c.p.c., della retribuzione dovuta al lavoratore dal datore di lavoro), ovvero cose mobili di proprietà del debitore in possesso di terzi (ad esempio, il bene concesso dal debitore in comodato).

La disciplina dell'istituto in oggetto è stata profondamente incisa attraverso ben tre interventi di riforma:

  • il primo realizzato con l. n. 228/2012 che ha modificato gli artt. 543, 547, 548 e 549 c.p.c.;

  • il secondo con il d.l. n. 132/2014, convertito in legge 162/2014, che è nuovamente intervenuto sugli artt. 543, 547 e 548 c.p.c.;

  • il terzo con il d.l. n. 83/2015, convertito in legge 132/2015 che ha emendato gli artt. 545, 546 e 548 e 549 c.p.c. Tali interventi coniugano una legittima esigenza di adeguamento del pignoramento di crediti alla disciplina in materia di processo civile telematico, con una non meglio precisata necessità di ripensamento dell'istituto.

Infatti, fino alla riforma del 2012, l'espropriazione presso terzi era presidiata da una serie di cautele nei confronti del terzo, soggetto che, non essendo parte dell'esecuzione, non poteva essere direttamente aggredito con atti esecutivi, bensì chiamato a rendere una dichiarazione che, solo se positiva, consentiva l'identificazione certa dell'oggetto del pignoramento. In caso di diniego o contestazione, invece, diveniva necessaria l'instaurazione di un giudizio di cognizione per l'accertamento del credito vantato nei confronti del terzo, con contestuale sospensione delle attività esecutive.Della disciplina attuale, si darà conto analizzando in sequenza gli artt. 543 e ss. c.p.c., in modo da poter illustrare la misura in cui le diverse novelle hanno inciso su ciascuna disposizione.

Forma del pignoramento

Innanzitutto il

decreto-legge n. 132/2014

, ha modificato il criterio di competenza e introdotto l'

art. 26-

bis

c.p.c.

, in forza del quale la citazione, che prima doveva avvenire dinanzi al giudice dell'esecuzione del luogo di residenza del terzo, criterio che resiste qualora il terzo sia una pubblica amministrazione, ora avviene presso il foro del debitore, mentre il terzo è destinatario del solo invito a rendere la dichiarazione.

Pertanto, l'atto di pignoramento (

art. 543 c.p.c.

) continua a consistere in uno scritto proveniente dal creditore istante, e notificato dall'ufficiale giudiziario al debitore esecutato ed al terzo, contenente:

a) l'ingiunzione del debitore;

b) l'indicazione del titolo esecutivo e del precetto;

c) l'indicazione, almeno generica, del credito per cui si procede, e dei beni e crediti su cui si agisce;

d) la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il Tribunale competente, nonché l'indicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata del creditore procedente (introdotta con

l. 228/2012

e strumentale alla possibilità per il terzo di procedere alla dichiarazione ex 547 c.p.c. via PEC);

e)

l'intimazione al terzo di non disporre dei beni pignorati senza ordine del giudice.

La novella del 2014 ha, inoltre, previsto che la citazione del terzo a comparire davanti al giudice competente debba contenere l'invito al terzo, e quindi non più l'«avviso» introdotto nel 2012, di provvedervi a mezzo raccomandata o anche posta elettronica certificata, con l'avvertimento (sempre rivolto al terzo) che:

  • in caso di mancata comunicazione della dichiarazione, la stessa dovrà essere resa comparendo in un'apposita udienza (laddove, in precedenza, la dichiarazione in udienza costituiva la regola);

  • che quando il terzo non compare o, sebbene comparso, non rende la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso di cose di appartenenza del debitore, nell'ammontare o nei termini indicati dal creditore, si considereranno non contestati ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione.

Analogamente a quanto previsto agli

artt. 518,

e

557 c.p.c.

, anche l'

art. 543 c.p.c.

introduce, per i procedimenti esecutivi iniziati a partire dall'11 dicembre 2014, il modello della nota di iscrizione il cui deposito, in uno con il titolo esecutivo, il precetto e la citazione, è affidato al creditore entro lo strettissimo termine di 30 giorni dalla consegna ad opera dell'ufficiale giudiziario, che vi provvede senza ritardo, della documentazione summenzionata. All'assenza o non tempestività del deposito segue l'inefficacia del pignoramento, con conseguente cessazione di ogni obbligo del debitore o del terzo.

Se il credito pignorato è garantito da pegno, s'intima a chi detiene la cosa data in pegno di non eseguirne la riconsegna senza ordine del giudice, mentre se è garantito da ipoteca, l'atto di pignoramento deve essere annotato nei libri fondiari (

art. 544

c.p.c.

).

Pignorabilitá dello stipendio o della pensione

Fino all'entrata in vigore del

d.l. n. 83/2015

, il creditore che, per soddisfare il proprio credito, avesse deciso di pignorare lo stipendio o la pensione, con atto notificato direttamente al datore di lavoro o all'ente previdenziale, poteva farlo nei limiti di un quinto. Se, invece, avesse deciso di pignorare direttamente il conto corrente bancario del debitore, notificando l'atto di pignoramento alla banca, quest'ultima avrebbe esteso il vincolo d'indisponibilità a tutte le somme depositate (

Cass.

civ.

, sez. III, 23 gennaio 2009,n. 1688

).

Il

d.l. n. 83/2015

interviene su entrambi i temi, facendo prima di tutto propria, seppur con qualche ritardo, l'indicazione della sentenza della

Corte costituzionale 4 dicembre 2002, n. 506

che ha sancito l'illegittimità costituzionale dell'

art. 128, r.d.l.

n.1827 del

1935

, nella parte in cui dichiarava non pignorabili per intero le pensioni erogate dall'Inps, invece di considerarle impignorabili nella sola parte necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati per sopperire alle sue esigenze di vita.

A tal uopo il decreto modifica l'

art. 545

c.p.c.

e prevede che le «somme dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono il luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza» siano impignorabili «per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà». Per la parte eccedente, invece, si applica il limite del quinto già previsto dal testo dell'

art. 545

c.p.c.

.

In tal modo viene meno l'incertezza nella determinazione del minimo vitale da garantire ai pensionati, che non è più lasciato alla discrezionalità del giudice dell'esecuzione (in tal senso, da ultimo

Cass. civ.,

sez. III, 26 agosto

2014

, n. 18225

).

Per quanto concerne, invece, le somme dovute a titolo di salario, stipendio ovvero pensione, accreditate su un conto corrente bancario, si introduce la necessità di distinguere:

  • se l'accredito in banca avviene prima del pignoramento, le somme possono essere pignorate per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale;

  • se invece l'accredito in banca avviene nella stessa data del pignoramento o dopo, le predette somme possono essere pignorate, secondo il regime pregresso, nella misura autorizzata dal giudice e, comunque, non oltre il quinto.

Se il pignoramento viene eseguito «in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti», vale a dire su somme maggiori rispetto a quelle stabilite dalla novella, è considerato parzialmente inefficace, con rilevabilità d'ufficio dell'inefficacia. Ciò significa che il pignoramento effettuato rimane efficace nei limiti della soglia prevista, mentre per la parte eccedente il debitore potrà tornare nella disponibilità delle proprie somme.

Ai sensi dell'

art. 546

c.p.c.

il terzo, dal giorno in cui gli è notificato l'atto di pignoramento, è soggetto agli obblighi del custode, relativamente alle cose e alle somme da lui dovute e nei limiti dell'importo del credito precettato, aumentato della metà. Tuttavia tale obbligo è ora mitigato dalle previsioni d'impignorabilità appena illustrate.

La dichiarazione del terzo

La dichiarazione del terzo,

ex

art. 547

c.p.c.

, è volta ad ottenere specifica indicazione di quali cose o di quali somme il terzo è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna. Tale dichiarazione, ad esito della novella del 2014, dovrà essere inviata a mezzo raccomandata o trasmessa a mezzo PEC al creditore procedente. Qualora venga dichiarata dal terzo l'esistenza di sequestri precedentemente eseguiti presso di lui, il creditore pignorante deve chiamare nel processo il sequestrante entro un termine perentorio fissato dal giudice.

Venendo, invece, alla mancata o contestata dichiarazione del terzo, l'integrale riformulazione degli

artt. 548

e

549 c.p.c.

— il primo emendato in tutti e tre gli interventi normativi — ha determinato un sostanziale stravolgimento della posizione del terzo nel quadro della presente procedura.

Tale stravolgimento prende forma già con la modifica operata dalla

legge

n.221 del

2012

, a seguito della quale non è più necessaria una dichiarazione positiva del terzo per identificare l'oggetto del pignoramento, prevedendosi che la mancata dichiarazione equivalga a non contestazione sia pure soltanto «ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione» (

art. 548, comma 1, c.p.c.

).

Tale scelta di attribuire all'assenza di dichiarazione del terzo il valore di non contestazione della debenza delle somme indicate dal creditore o della sussistenza delle cose pignorate — e non più quello di circostanza tale da impedire il perfezionamento del pignoramento per difetto di oggetto — è stata, da subito, molto criticata. Si contestava tanto la possibilità di estendere al terzo, che non è parte del processo di esecuzione, il modello della «non contestazione», quanto l'opportunità della scelta, atteso che la non contestazione non potrà operare indiscriminatamente ma solo con riferimento a quei crediti che risultino sufficientemente definiti.

Di fatto, s'introduceva nel sistema dell'espropriazione presso terzi un requisito di specificità del tutto ignoto alla disciplina pregressa, ponendo in capo al creditore procedente un onere gravoso e dissonante

, laddove l'

art. 543 c.p.c.

continua a prevedere che l'indicazione delle cose o delle somme dovute debba essere «almeno generica».

Peraltro, la possibilità di procedere comunque all'esecuzione, fondata sul provvedimento di assegnazione del giudice pur in assenza della dichiarazione del terzo, certifica una ulteriore ipotesi di trasferimento all'interno del processo esecutivo di accertamenti cognitivi,

nella prospettiva della ragionevole durata del processo. Se tale scelta segue quelle analoghe già operate per gli

interventi non titolati (

art. 499

c.p.c.

) e

le controversie in sede di distribuzione (

art. 512

c.p.c.

), non si può non osservare che, dal punto di vista sistematico, mentre la controversia in sede di distribuzione attiene alla fase conclusiva di un processo esecutivo, la cui legittimità ha avuto modo di essere vagliata nelle forme previste dagli

artt. 615,

616

e

619 c.p.c.

, l'accertamento dell'obbligo del terzo (così come del credito vantato dall'interveniente non titolato) attiene alla sussistenza dell'oggetto del processo esecutivo, che dovrebbe rimanere — e dagli stessi

artt. 616

e

619 c.p.c.

continua ad essere — riservata al giudice della cognizione.

L'intervento del 2012 non regolava il caso del rifiuto del terzo a rendere la dichiarazione, che il vecchio testo dell'

art. 548

c.p.c.

assimilava alla contestazione. Il

d.l. 132/2014

interviene sul punto e sceglie di assimilare il rifiuto alla non contestazione, prevedendo, attraverso l'abrogazione del primo e la riscrittura del comma 2, oggi 1, dell'

art. 548 c.p.c

.

, che, se all'udienza fissata per la sola comparizione del creditore procedente, questi dichiara di non aver ricevuto la dichiarazione del terzo, il giudice dell'esecuzione fisserà con ordinanza una nuova udienza che sarà direttamente notificata al terzo, stavolta chiamato a comparire. Se il terzo non compare all'udienza o rifiuta di rendere la dichiarazione «il credito pignorato o il possesso del bene di appartenenza del debitore, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione».

In tale occasione, il legislatore non ha ritenuto d'intervenire in merito all'applicabilità del meccanismo di non contestazione in rapporto ai diritti di credito o beni mobili individuati genericamente, posticipando la modifica al successivo

d.l. n. 83/2015

. Con esso il legislatore ha, di fatto, ammesso l'incongruenza del modello introdotto, prevedendo che la non contestazione potrà operare solo «se l'allegazione del creditore consente l'identificazione del credito e dei beni di appartenenza del debitore in possesso del terzo» (art. 548, comma 1).

Questo vuol dire che il giudice dell'esecuzione, «prima di provvedere (all'assegnazione o alla vendita) ex

artt. 552

o

553 c.p.c.

», deve verificare se il processo esecutivo abbia un oggetto concreto ovvero se l'applicazione del meccanismo di non contestazione abbia consentito l'identificazione del bene oggetto dell'esecuzione (esito incerto, in tutti quei casi in cui il creditore procedente opti per una generica indicazione iniziale del credito, che si rammenti è diritto etero-determinato e se privo di tutti gli elementi costitutivi non consente l'individuazione dell'oggetto del pignoramento).

L'ultimo comma dell'

art. 548 c.p.c.

consente al terzo d'impugnare l'ordinanza di assegnazione dei crediti, che sia adottata muovendo dalla sua mancata dichiarazione o dal suo rifiuto di renderla, nelle forme e nei termini dell'opposizione agli atti esecutivi

ex

art. 617 c.p.c.

, a condizione che provi di non averne avuto tempestiva conoscenza, per irregolarità della notificazione dell'atto di citazione iniziale, in cui il terzo è invitato a rendere la dichiarazione (

ex

art. 543, comma 2, n. 4), c.p.c.

), ovvero dell'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione fissa la nuova udienza di comparizione all'esito della mancata acquisizione della dichiarazione scritta (

ex

art. 548, comma 2, c.p.c.

), oltre che per caso fortuito o forza maggiore.

La preclusione introdotta rende gli esiti della procedura esecutiva contestabili dal terzo solo se costui provi di non aver avuto tempestiva conoscenza del procedimento per causa a lui non imputabile, ma, è bene precisarlo, non riguarda la questione di merito circa la spettanza del credito, che resta del tutto impregiudicata e potrà essere contestata dal terzo in primo luogo, ma non solo, con l'opposizione all'esecuzione.

Contestata o mancata dichiarazione

Il

nuovo

art. 549 c.p.c.

,

ora

rubricato «contestata dichiarazione del terzo», è stato sottoposto a modifica sin dalla

l

.

n.

228/2012

, che ha eliminato l'esigenza di procedere, a seguito della contestazione, all'instaurazione di un giudizio cognitivo per l'accertamento dell'obbligo del terzo.

L'accertamento è rimesso al giudice dell'esecuzione che risolve la questione con ordinanza, «compiuti i necessari accertamenti nel contraddittorio tra le parti e con il terzo». Si tratta di un accertamento sommario, che ancora una volta vede il giudice dell'esecuzione investito di compiti cognitivi, e che da luogo ad un provvedimento esecutivo che «produce effetti ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione ed è impugnabile nelle forme e nei termini di cui all'

articolo 617

c.p.c.

».

Ciò vuol dire che, da un lato, l'ordinanza con cui il giudice dell'esecuzione risolve le contestazioni circa l'esistenza del credito del debitore esecutato nei confronti del terzo, produce effetti oltre che nell'esecuzione presso terzi anche nell'eventuale giudizio di esecuzione che potrebbe instaurarsi, in seguito al mancato pagamento del terzo. Dall'altro lato, se il terzo intenderà contestare tale ordinanza (di assegnazione), dovrà impugnarla entro venti giorni nelle forme dell'opposizione agli atti esecutivi. Si discute se l'indicazione normativa precluda al terzo la possibilità di esperire opposizione all'esecuzione contro l'azione del creditore che agisca in base all'ordinanza di assegnazione, ma sembra da preferirsi l'orientamento negativo, anche perché la preclusione potrebbe interessare solo i fatti anteriori alla formazione del titolo, non anche quelli successivi.

La successiva riforma operata dal

d.l. n. 83/2015

, è intervenuta al fine di circoscrivere l'operatività del meccanismo di non contestazione in merito ai diritti di credito o beni mobili solo genericamente indicati, anche se l'intervento appare poco chiarificatrice.

Vi si afferma che la cognizione sommaria e incidentale del giudice dell'esecuzione potrà anche essere sollecitata dal creditore procedente «se a seguito della mancata dichiarazione del terzo non è possibile l'esatta identificazione del credito o dei beni del debitore in possesso del terzo». In tale ipotesi il giudice dovrebbe emettere la propria ordinanza al fine di identificare l'oggetto del pignoramento, e quindi dell'esecuzione, così sopperendo all'assenza della dichiarazione.

Tuttavia, oltre alla intrinseca difficoltà per il giudice dell'esecuzione di procedere ad un tale sommario accertamento, nella misura in cui è chiamato a compiere i «necessari accertamenti nel contraddittorio tra le parti e con il terzo», non si comprende come potrà instaurare il contraddittorio con un terzo che si rifiuti di partecipare alla procedura esecutiva.

Il terzo infatti, rimane parte necessaria del giudizio d'accertamento, pur non essendolo del procedimento di espropriazione previsto dall'

art. 543 ss. c.p.c.

In conclusione, la chiara volontà di accelerare lo svolgimento dell'espropriazione ha finito per sacrificare il principio secondo cui

per procedere al pignoramento di crediti occorre un pieno accertamento, con tutti gli strumenti e le garanzie della cognizione

ordinaria, dell'effettiva esistenza in capo al debitore del credito o della proprietà del bene mobile. Eppure, la scelta di rimettere tale accertamento al giudice dell'esecuzione, che non è un giudice della cognizione, non convince ed espone al rischio di trasferire al creditore, con eccessiva solerzia, crediti che non possono dirsi «certi», così contravvenendo anche a quanto richiesto dall'

art. 474 c.p.c.

Riferimenti

AULETTA, a cura di, Le espropriazioni presso terzi, Bologna, 2011;

CAPPONI, Manuale di diritto dell'esecuzione civile, IV ed., Torino, 2016;

DE VITA, Onere di contestazione e modelli processuali, Roma, 2012;

SALETTI, Le novità dell'espropriazione presso terzi, in Rivista dell'esecuzione forzata, 2013, 12 ss.;

SOLDI, Manuale dell'esecuzione forzata, V ed., Padova, 2015;

SATTA, L'esecuzione forzata, IV ed., Torino, 1962;

VACCARELLA, Espropriazione presso terzi, in Dig. dis. priv., Sez. civ., VIII, Torino 1992, 110 e ss.

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