Su talune recenti declinazioni del principio della domanda

21 Dicembre 2016

Il principio della domanda deve essere applicato in correlazione con il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, destinatario di diverse decisioni della Sezioni Unite, tali da caratterizzarne la sua applicazione in materia di rilevazione d'ufficio delle nullità contrattuali oltre che in ordine alla rilevazione del difetto di titolarità sostanziale del diritto controverso, non senza contrasti anche persistenti ed attuali.
Il quadro di riferimento

Il principio della domanda, corollario del principio dispositivo, permea si sé il sistema processual-civilistico italiano, caratterizzando la domanda giudiziale quale atto di esercizio del diritto di azione, cioè del diritto di adire l'autorità giurisdizionale per la tutela di un diritto prospettato come esistente e violato, così determinando l'oggetto del processo, caratterizzando la dinamica processuale, in ossequio al principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex art. 112 c.p.c., e segnando i limiti oggettivi e soggettivi del giudicato.

Circa la rilevanza del principio della domanda nella dinamica processuale è il caso di rilevare che in dottrina si è chiarita la duplicità di funzione della domanda giudiziale, la quale opera quale strumento iniziatore del processo, determinandone anche l'oggetto così concorrendo alla determinazione del thema decidendum e, quindi, del conseguente potere-dovere decisorio esercitabile dal giudice.

In tale prospettiva il principio della domanda deve essere applicato in correlazione non solo al principio del contraddittorio, di cui all'art. 101 c.p.c., ma soprattutto in uno con il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, destinatario di diverse decisioni della S.U., anche nel 2014 e nel 2016, tali da caratterizzarne la sua applicazione in materia di rilevazione d'ufficio delle nullità contrattuali oltre che in ordine alla rilevazione del difetto di titolarità sostanziale del diritto controverso. La successiva giurisprudenza di legittimità ha poi avuto l'arduo compito dell'applicazione concreta dei detti principi, anche in tema di collegamento negoziale, di rapporti tra domanda di simulazione e nullità negoziale e della loro estensione del sottosistema societario. Talvolta si è registrata perfino una non condivisione dei principi statuiti dalle Sez. Un., come accaduto con riferimento alla ritenuta rilevabilità ex officio del difetto della titolarità sostanziale del diritto controverso. Rilevanti sono state altresì le ricadute processuali dei detti principi con riferimento ai giudizi di appello e di cassazione oltre che con riferimento ai riti speciali.

Legitimatio ad causam, titolarità del rapporto controverso e rilevabilità d'ufficio

La titolarità sostanziale della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all'attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto.

Le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità sostanziale del rapporto controverso dedotte dall'attore hanno quindi natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l'eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l'allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti.

Quanto innanzi evidenziato in merito alla titolarità sostanziale della posizione soggettiva vantata in giudizio, come hanno precisato le Sezioni Unite, non osta alla rilevabilità di ufficio da parte del giudice dalla carenza della detta titolarità, purché risultante dagli atti di causa (Cfr., Cass., Sez. Un., sent., 16 febbraio 2016, n. 2951).

In applicazione degli enunciati principi Cass., sez. III, sent., 21 giugno 2016, n. 12729, ha precisato che in caso di sinistro causato da veicolo con targa straniera risultata rubata, non costituisce eccezione in senso stretto, ma mera difesa, proponibile anche nella comparsa conclusionale d'appello, l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sostanziale sollevata dal convenuto Fondo di Garanzia delle Vittime della Strada, ai sensi del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. 6 novembre 2007, n. 198, assumendo che il predetto veicolo debba considerarsi non già “sconosciuto”, bensì “abitualmente stazionante” nel territorio dello Stato membro dell'Unione europea che ha rilasciato la targa. Sicché il risarcimento dei danni derivanti dal sinistro compete all'Ufficio Centrale Italiano, ai sensi dell'art. 1 del d.m. 12 ottobre 1972.

Circa la rilevabilità d'ufficio del difetto di titolarità sostanziale del rapporto giuridico dedotto in giudizio la giurisprudenza di legittimità non sembra però essere concorde, nonostante il citato intervento delle Sez.Un. n. 2951/2016, fermo restando che il difetto della legitimatio ad causam, attiva e passiva, consistendo quest'ultima nella titolarità del potere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto, secondo la prospettazione della parte, è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, costituendo oggetto di eccezione in senso lato.

Cass. civ., sez. IV, sent., 12 agosto 2016, n. 17092,ha difatti contrariamente ritenuto che il difetto dell'effettiva titolarità del rapporto controverso, proprio perché quest'ultimo attiene al merito, rientrando nel potere dispositivo e nell'onere deduttivo e probatorio dei soggetti in lite, non può essere rilevato d'ufficio dal giudice ma deve essere sollevato nei tempi e modi previsti dalla scansioni processuali e, quindi, non per la prima volta in sede di legittimità.

Principio della domanda e nullità contrattuale

Il particolare atteggiarsi del principio della domanda in materia di nullità contrattuale, anche c.d. di protezione, è stato oggetto di un duplice intervento chiarificatore da parte delle S.U. nel 2014, seguito dalla successiva giurisprudenza di legittimità. Il riferimento, in particolare, è a Cass., Sez. Un., sent., 12 dicembre 2014, n. 26242, ed alla conforme Cass., Sez. Un., sent., 12 dicembre 2014, n. 26243, che però si riferisce in maniera specifica al giudizio d'appello.

Il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale deve rilevare di ufficio l'esistenza di una causa di quest'ultima diversa da quella allegata dall'istante, essendo quella domanda individuata indipendentemente dallo specifico vizio dedotto in giudizio, in quanto pertinente ad un diritto autodeterminato. Il rilievo d'ufficio di una nullità negoziale, anzi, anche nel caso di nullità speciali o “di protezione”, è consentito, sempreché la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata “ragione più liquida”, in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale (adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione), nonostante la diversità strutturale di queste ultime sul piano sostanziale, poiché tali azioni sono disciplinate da un complesso normativo autonomo ed omogeneo, affatto incompatibile, strutturalmente e funzionalmente, con la diversa dimensione della nullità contrattuale.

Medesime argomentazioni operano nel caso in cui sia proposta domanda di nullità solo parziale del contratto ed il giudice ne rilevi una totale e, viceversa, nel caso di domanda di nullità totale e di rilievo officioso di una causa di nullità solo parziale, ma con le precisazioni che seguono.

Il giudice, nel caso di domanda di nullità parziale, qualora rilevi una causa di nullità totale, integrando su di essa il contraddittorio, se le parti omettono un'espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l'originaria pretesa non potendo attribuire efficacia, neppure parziale (fatto salvo il diverso fenomeno della conversione sostanziale), ad un negozio radicalmente nullo. A medesime conclusioni si perviene anche nel caso inverso di domanda di nullità integrale del contratto e rilevazione ex officio della mera nullità parziale con integrazione del contraddittorio in merito. Qualora le parti all'esito del rilievo officioso difatti omettano un'espressa istanza di accertamento della mera nullità parziale deve essere rigettata l'originaria pretesa, non potendo il giudice sovrapporsi alla loro valutazione ed alle loro determinazioni espresse nel processo.

Da quanto innanzi se ne ricava, in sintesi, che la “rilevazione” d'ufficio delle nullità negoziali, ancorché speciali o di protezione, è sempre obbligatoria, purché la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata "ragione più liquida".

Tale obbligatorietà deve essere però intesa in termini di obbligatoria indicazione alle parti del vizio.

La “dichiarazione” della detta nullità, invece, nel caso di mancanza di espressa domanda di parte nonostante l'integrazione del contraddittorio in merito, costituisce statuizione facoltativa del medesimo vizio, salvo per le nullità speciali in quanto presupponesti una manifestazione di interesse della parte, previo suo accertamento, nella motivazione e/o nel dispositivo della pronuncia, con efficacia, peraltro, di giudicato in assenza di sua impugnazione.

I detti poteri officiosi del giudice non possono però estendersi alla rilevazione di una possibile conversione del contratto nullo, ostandovi il dettato dell'art. 1424 c.c., secondo il quale il contratto nullo può, non deve, produrre gli effetti di un contratto diverso, in quanto si determinerebbe un'inammissibile rilevazione di una diversa efficacia, sia pur ridotta, di quella convenzione negoziale.

L'applicazione dei detti principi con riferimento al giudizio d'appello ed a quello di cassazione portano a ritenere che il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo.

A quanto appena detto deve altresì aggiungersi, come ha precisato la citata Cass., Sez. Un, n. 26243/2014, che la domanda di accertamento della nullità di un negozio proposta, per la prima volta, in appello è inammissibile ex art. 345, comma 1, salva la possibilità per il giudice del gravame, in quanto obbligato comunque a rilevare di ufficio ogni possibile causa di nullità, ferma la sua necessaria indicazione alle parti ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.c., di convertirla ed esaminarla come eccezione di nullità legittimamente formulata dall'appellante, giusta il secondo comma del citato art. 345 c.p.c..

Come detto, i principi di cui innanzi sono stati seguiti dalla successiva giurisprudenza di legittimità, con ulteriori specificazioni nonché estensione alla materia societaria ed ai rapporti tra domanda di simulazione e rilevazione ex officio delle nullità, con particolare riferimento anche alle ipotesi di collegamenti negoziali ed al “sale end lease back”.

Cass. sez. I, sentenza n. 2910 del 15 febbraio 2016, invero depositata il giorno antecedente il deposito delle due citate S.U., pur ammettendo che il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità integrale del contratto debba rilevarne di ufficio, anche in sede di gravame, la sua nullità solo parziale, ha precisato che tale non può dichiararla in sentenza ove le parti, all'esito di tale indicazione, omettano di proporre, anche, per la prima volta, con l'appello, un'espressa, corrispondente domanda di verificazione, mancando la quale, l'accertamento contenuto nella sentenza che rigetta la domanda di nullità totale è idoneo a produrre l'effetto di un giudicato preclusivo anche con riguardo alla nullità parziale. In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la decisione impugnata, la quale, a fronte di un'originaria domanda di nullità del contratto di conto corrente bancario, per difetto di forma ed illiceità delle clausole di determinazione degli interessi passivi e di capitalizzazione trimestrale, aveva ritenuto inammissibile, stante il divieto dei nova, la domanda, proposta per la prima volta in appello, di nullità parziale del medesimo contratto in relazione alla clausola di commissione di massimo scoperto.

I principi di cui innanzi circa la rilevabilità d'ufficio di una diversa causa di nullità, in quanto generali ed in ragione della loro naturale forza espansiva, sono suscettibili di applicazione anche nel sottosistema societario, nell'ambito delle azioni di impugnazione delle deliberazioni assembleari, benché non assimilabili ai contratti.

È stato difatti riconosciuto al giudice il potere di rilevare d'ufficio la nullità di una delibera, anche in difetto di un'espressa deduzione di parte o per profili diversi da quelli enunciati, purché desumibili dagli atti ritualmente acquisiti al processo e previa provocazione del contraddittorio sul punto, trattandosi di potere volto alla tutela di interessi generali dell'ordinamento, afferenti a valori di rango fondamentale per l'organizzazione sociale, che trascendono gli interessi particolari del singolo.

In materia di collegamento negoziale, infine, non è viziata da ultrapetizione la decisione del giudice che, in caso di domanda di accertamento della simulazione di un contratto di compravendita, abbia dichiarato la nullità (nella specie, per violazione del divieto di patto commissorio) della più ampia operazione negoziale cui tale contratto appartiene (nella specie, riconducibile allo schema del “sale and lease back”), essendo tale decisione giustificata dall'obbligo di rilevare di ufficio ogni possibile causa di nullità, ferma la previa necessaria indicazione alle parti del thema decidendum, ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.c..

In conclusione

Dalla disamina di cui innanzi, per quanto rileva circa le conseguenze della mancata correlazione tra i detti principi, è violato il principio della domanda, implicante nullità della statuizione, nel caso in cui il giudice non rapporti il contenuto del provvedimento alle richieste delle parti, ovviamente nei limiti in cui le stesse siano in grado di condizionarlo con le precisazioni che precedono.

Quello che si registra, peraltro, nella più recente evoluzione della giurisprudenza di legittimità, è una tendenza ad attribuire maggiore rilevanza, anche per “correggere” le rigide preclusioni a carico delle parti, ai poteri esercitabili dal giudice d'ufficio.

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