Provvedimenti cautelari, dall'attuazione ai rimedi
Paolo Vittoria
09 Dicembre 2016
Quello dell'attuazione dei provvedimenti cautelari è un fenomeno composito. L'art. 669-duodecies c.p.c., mentre fa salve le disposizioni sui sequestri, dichiara che l'attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto somme di denaro avviene nelle forme degli artt. 491 e ss. però in quanto compatibili. Quanto invece alle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare e non fare, l'attuazione avviene sotto il controllo del giudice che emana il provvedimento e che dà con ordinanza i provvedimenti opportuni a risolvere le difficoltà o contestazioni che al riguardo insorgano, mentre ogni altra questione va proposta nel giudizio di merito.
Uno sguardo d'assieme
Quello dell'attuazione dei provvedimenti cautelari è un fenomeno composito.
L'art. 669-duodecies c.p.c., che lo disciplina, mentre fa salve le disposizioni sui sequestri, dichiara che l'attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto somme di denaro avviene nelle forme degli artt. 491 e ss. però in quanto compatibili: dunque attraverso una serie procedimentale distinta da quella aperta dalla domanda di cautela e destinata a svolgersi davanti al giudice che ha competenza secondo le norme che regolano le diverse forme d'espropriazione forzata e però da queste se compatibili con la funzione propria della cautela, che è quella di assicurare protezione interinale al diritto controverso.
Quanto invece alle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare e non fare, dispone lo stesso art. 669-duodecies, che l'attuazione ne avviene sotto il controllo del giudice che emana il provvedimento e che, sentite le parti, dà con ordinanza i provvedimenti opportuni a risolvere le difficoltà o contestazioni che al riguardo insorgano, mentre ogni altra questione va proposta nel giudizio di merito.
La distinzione tra gli obblighi di pagamento di somme di denaro e gli altri si ripresenta a proposito della disciplina sulle misure di coercizione indiretta, introdotta nel 2009 attraverso l'art. 614-bis c.p.c. nel campo della disciplina dell'esecuzione forzata di obblighi di fare e non fare e rimodulata nel 2015.
Questa disciplina, formulata da ultimo nel senso di riguardare tutti gli obblighi diversi dal dover pagare somme di denaro e dunque non più solo quelli di fare e di non fare, ma anche quelli di consegna o rilascio, è interpretata in dottrina nel senso di riguardare sia i provvedimenti di condanna, sia quelli cautelari di corrispondente contenuto.
Le misure di coercizione indiretta vengono così a delineare una forma compulsiva d'attuazione della cautela affidata non all'esecuzione coattiva, ma alla soggezione della parte all'obbligo di tenere il comportamento stabilito dal giudice. Per il caso che l'obbligo possa non essere osservato, su richiesta di parte, il giudice della cautela, con lo stesso provvedimento che l'accorda, formula la condanna al pagamento della somma al cui pagamento l'altra parte sarà tenuta ed è di questo provvedimento, qualificato come titolo esecutivo, che la norma assicura l'attuazione coattiva nelle forme dell'esecuzione forzata per espropriazione. In questo modo, fermo restando per la durata del processo di cognizione l'obbligo di tenere il comportamento funzionale a che la cautela sia osservata, il soggetto passivo è per dir così esposto ad essere punito per non averlo fatto.
Esecuzione forzata e attuazione della cautela: un confronto
L'attuazionedei provvedimenti cautelari è dunque istituto processuale che se presenta analogie con quello dell'esecuzione forzata, se ne differenzia e vi si contrappone per più tratti. Fuori del caso delle misure cautelari aventi ad oggetto somme di denaro, non avvia un separato procedimento di esecuzione, ma costituisce una fase del procedimento cautelare in cui il giudice (da intendersi come ufficio giudiziario) che ha emanato il provvedimento ne determina anche le modalità di attuazione, risolvendo con ordinanza le difficoltà e le contestazioni insorte (Cass. 10 luglio 2014 n. 15761; Cass., 26 febbraio 2008, n. 5010). Questi provvedimenti non hanno natura decisoria e contro di essi non è dato ricorso per cassazione (Cass. 13 settembre 2013 n. 21034 - Cass.20 novembre 2009 n. 24543 – Cass. 26 luglio 2000 n. 9808).
Che l'attuazione della cautela presenti analogie con l'esecuzione forzata emerge già dal testo dell'art. 669-duodeciesc.p.c., dove, fatti salvi i sequestri, si distinguono i provvedimenti da attuare sulla base di contenuti e classificazioni proprie dell'esecuzione forzata.
A questa non può tuttavia essere ricondotta: intanto perché l'esecuzione forzata si può svolgere, in alcune sue forme, anche sulla base di titoli di formazione non giudiziale [art. 474, comma 2, nn. 2) e 3), c.p.c.]; poi perché presuppone un già avvenuto accertamento del diritto, in base a titolo di formazione giudiziale o convenzionale, di cui assicura in apposito processo, l'attuazione coattiva, mentre la cautela e la sua attuazione sono sempre concorrenti aspetti di un procedimento giudiziale, inteso ad assicurare protezione a un diritto non ancora accertato, e di cui è solo vagliata la probabilità che lo possa essere, nel giudizio di merito in corso o in un eventuale, cioè non necessario futuro giudizio di cognizione [art. 669-octies, c.p.c.].
Per altro verso accumuna i due istituti il dato per cui l'accertamento degli elementi di fatto che giustificano la misura non realizza per sé l'effetto, perché la modificazione indotta dal provvedimento nello stato giuridico anteriore del rapporto non esaurisce l'istituto, giacché, almeno di norma, richiede una successiva corrispondente modificazione dello stato di fatto, quella che deriverà dalla sua attuazione.
All'attuazione dei provvedimenti cautelari è però estraneo l'istituto della sospensione degli effetti esecutivi di un precedente diverso provvedimento giurisdizionale (artt. 283,351 e 373 c.p.c.), come lo è la sospensione da un ufficio o da una carica o la sospensione dell'esecuzione d'un rapporto, che possano essere pronunziati dal giudice o da un'autorità amministrativa, quali ad esempio gli organi degli ordini professionali: e questo perché tali provvedimenti operano direttamente sul piano del diritto, non richiedono cioè attuazione, anche se per altro verso soddisfano una esigenza di cautela, per l'incertezza che una plausibile contestazione mossa al provvedimento giudiziale o amministrativo determina.
Per altro verso, dalla disciplina dell'attuazione e regolato dall'art. 669-novies, comma 2, c.p.c., nei modi d'uno specifico procedimento di cognizione, è il fenomeno processuale del ripristino della situazione anteriore per il caso che il provvedimento cautelare dopo la sua attuazione si estingua con conseguente inefficacia della misura cautelare (Cass. 16 gennaio 2006 n. 712 - Cass.29 maggio 2012 n. 8564).
D'altro canto ed infine è chiaro che la disciplina che si verrà commentando presuppone per la sua applicazione - nel provvedimento giudiziale di cui si tratti - la natura giuridica del provvedimento cautelare (per casi in cui tale natura è venuta in discussione, sotto lo specifico profilo di stabilirne l'impugnabilità con ricorso per cassazione, Cass. 30 marzo 2005 n. 6675 - Cass. 9 dicembre 2005 n. 27289 nonché Cass. 18 febbraio 2015 n. 3279, FI 2015, I, 3686 con annotazione di A. Palmieri, che riporta un'ampia casistica).
Le norme
L'art. 10 l. 11 maggio 1995, n. 218 stabilisce che, in materia cautelare, la giurisdizione italiana sussiste quando il provvedimento deve essere eseguito in Italia o quando il giudice italiano ha giurisdizione sul merito.
Dagli artt. 35 e ss. del Reg. UE 12 dicembre 2012, n. 1215/2012 - come già nei precedenti regolamenti sulla stessa materia - e dagli artt. 31 e ss. della Convenzione di Lugano 30 ottobre 2007 - è parimenti enunciata la regola che i provvedimenti cautelari [e quelli provvisori] previsti dalla legge di uno Stato membro possono essere richiesti all'autorità giudiziaria di detto Stato membro, anche se la competenza a conoscere del merito è riconosciuta all'autorità giurisdizionale di un altro Stato.
L'art. 54 del Reg. UE 1215/2012, stabilisce tra l'altro che «Se la decisione contiene un provvedimento ignoto alla legge dello Stato membro richiesto, tale provvedimento è adattato, nella misura del possibile, a un provvedimento previsto dalla legge di tale Stato membro che abbia efficacia equivalente e che persegua obiettivi ed interessi analoghi». Aggiunge che «Da tale adattamento non derivano effetti che vanno oltre quelli previsti dalla legge dello Stato membro di origine».
Nel capo III del libro quarto del c.p.c. sono poi presenti norme in tema di competenza all'emanazione ed attuazione dei provvedimenti cautelari.
L'art. 669-ter c.p.c., dispone ai co. 1 e 2 che prima dell'inizio della causa la domanda di provvedimenti cautelari si propone al giudice competente per il merito, ma al tribunale se per il merito è competente il giudice di pace; al comma 3 riprende la disposizione dettata dall'art. 10 l. n. 218/1995 stabilendo che «Se il giudice italiano non è competente a conoscere la causa di merito, la domanda si propone al giudice che sarebbe competente per materia o valore, del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare». Questa disposizione dall'art. 669-quater, comma 5, c.p.c., è poi dichiarata applicabile anche al caso che la causa penda davanti al giudice straniero e il giudice italiano non è competente a conoscere la causa di merito.
Dal canto suo, lo stesso art. 669-quater c.p.c., regolando le diverse situazioni processuali in cui la causa per il merito pende, dispone tra l'altro che la domanda deve essere proposta al giudice della stessa, ma al tribunale se pende davanti al giudice di pace.
Le disposizioni dettate dall'art. 669-quater, comma 5, e 669-quinquies, c.p.c., disciplinano ancora il caso che per il merito sia stata proposta azione civile davanti al giudice penale o la controversia sia possibile oggetto d'arbitrato.
Infine, l'art. 669-duodecies c.p.c. individua per l'attuazione del provvedimento cautelare una competenza solo in parte diversa da quella che vale per la sua emissione: se l'attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto somme di denaro avviene nelle forme degli artt. 491 e ss., cioè in quelle previste per l'espropriazione forzata, ma in quanto compatibili, l'attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare, avviene sotto il controllo dello stesso giudice che ha emanato il provvedimento.
Il rapporto tra curatela e merito
Come s'è visto, l'esigenza di cautela del diritto, a protezione del quale è richiesta, si può manifestare prima [art. 669-ter c.p.c.] o nel corso del giudizio in cui del diritto è chiesto l'accertamento [art. 669-quater c.p.c.]; d'altro canto e del resto come accade per l'esecuzione forzata, è possibile che gli esiti della sua attuazione vadano incontro all'esigenza di ripristino dello stato di fatto anteriore ed a restituzioni, una volta che i provvedimenti attuati perdano l'originaria efficacia o restino superati da un successivo contrario giudizio circa il diritto che sin lì aveva ricevuto temporanea attuazione [artt. 669-novies e decies c.p.c.].
E' l'art. 669-duodecies c.p.c. che, nel quadro della più ampia disciplina dei procedimenti cautelari dettata dal c.p.c., regola la fase dell'attuazione.
Questa disposizione opera, secondo l'art. 669-quaterdecies c.p.c., nel limite della compatibilità, anche per i provvedimenti cautelari previsti dal codice civile e da altre leggi speciali.
Il legislatore ha peraltro inteso escludere che tale richiamo valesse ad estendere in modo generalizzato la disciplina propria dei provvedimenti cautelari a quelli di istruzione preventiva previsti dagli artt. 692 a 698 c.p.c.: in questo caso l'ha ammessa solo a proposito della disposizione dell'art. 669-septies c.p.c., sulla disciplina del provvedimento negativo.
Di questa disposizione la Corte costituzionale ha però dichiarato l'illegittimità nella parte in cui non prevede che contro il provvedimento di rigetto dell'istanza per l'assunzione preventiva dei mezzi di prova previsti dagli artt. 692 e 696 possa proporsi reclamo (Corte cost.sent. n. 144/2008) e poi con la sentenza Corte cost. 26/2010 ne ha dichiarato la illegittimità nella parte in cui, escludendo l'applicabilità dell'art. 669-quinquies, impedisce l'intervento del giudice ordinario sul piano cautelare, per disporre un accertamento tecnico preventivo, in caso di clausola compromissoria o di pendenza di giudizio arbitrale.
Da queste disposizioni e dalle altre già richiamate si traggono le seguenti regole di principio.
Quanto alla tutela cautelare, dove la legge non distingue, cognizione e attuazione vanno di pari passo, costituiscono cioè aspetti d'un unico procedimento.
Venendo in considerazione la funzione della cautela, di anticipare la protezione del diritto controverso, fuori del caso dei provvedimenti aventi ad oggetto somme di denaro, non è il luogo dell'attuazione a fungere da criterio di collegamento quanto alla competenza territoriale, ma pur sempre quello in cui si radica la competenza del giudice di merito.
Se poi la cognizione sulla domanda di merito, in materie che rientrano nella giurisdizione del giudice civile, non gli spetta in concreto per la presenza di fattori d'estraneità e però l'attuazione della cautela è possibile nel territorio dello Stato, sarà il luogo dell'attuazione a fungere da criterio di collegamento per l'esercizio della giurisdizione, e la cautela andrà chiesta al giudice che sarebbe stato competente per materia o valore [art. 669-ter, comma 3, c.p.c.].
Giurisdizione e competenza all'attuazione
Si è appena visto come, in base agli artt. 669-ter, co. 1, e 669-quater, comma 1, c.p.c., e però con le eccezioni e specificazioni previste nei commi successivi degli stessi articoli, regola generale è che la domanda di provvedimenti cautelari va rivolta, prima dell'inizio della causa, al giudice competente per la domanda di merito e, una volta che questa sia proposta, al giudice davanti al quale la causa pende.
All'attuazione della cautela provvederà lo stesso giudice, salvo che si tratti di misure cautelari aventi ad oggetto somme di denaro, caso per il quale l'art. 669-duodecies rimanda agli artt. 491 e ss. in quanto compatibili.
Aggiunge però l'art. 669-ter, co. 3, che se il giudice italiano non è competente a conoscere la causa di merito, la domanda si propone al giudice che sarebbe competente per materia e valore, del luogo in cui il provvedimento cautelare deve essere eseguito: disposizione, questa, che in forza del richiamo che ne è operato dall'art. 669-quater, co. 5, opera, oltre che nel caso che la domanda di merito davanti al giudice straniero non sia stata ancora proposta, in quello che il giudizio di merito già penda, tuttavia alla condizione che il giudice italiano non sia egli competente per il merito.
Posto che la giurisdizione sulla domanda di merito spetti al giudice ordinario italiano, nel sistema del Regolamento UE 1215/2012 i provvedimenti cautelari previsti dalla legge processuale italiana gli potranno essere richiesti, anche se per la loro attuazione dovesse essere rivolta domanda al giudice dello Stato del luogo.
Per converso, se i provvedimenti cautelari siano adottati dal giudice del diverso Stato competente per il merito, ricorrendo l'aspetto che vale a radicarla presso il giudice italiano, a questi ne potrà essere chiesta la attuazione.
La giurisdizione all'attuazione dipenderà dal fatto che la misura cautelare possa trovare esecuzione in Italia e, trattandosi delle misure cautelari aventi ad oggetto somme di denaro, è in base alle norme del c.p.c. che individuano la competenza per la forma d'esecuzione forzata prescelta dalla parte per la sua attuazione, che questa potrà avvenire.
La preferibile interpretazione dell'attuale art. 26-bis, c.p.c. appare quella per cui, in linea generale, per l'attuazione della cautela, come per l'espropriazione, competente è ora il giudice del luogo dove il debitore diretto ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede (co. 2); il criterio di competenza già fissato dall' co. 2 dell'art. 26 c.p.c., modificato nel 2014, quello del luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del terzo debitore è operante per il caso che l'attuazione cada su credito da questi vantato contro una delle pubbliche amministrazioni considerate nell'art. 413, comma 5, c.p.c., credito derivante dal relativo rapporto di lavoro.
Se la posizione di debitore diretto sia d'una pubblica amministrazione, la si farà valere citando il terzo debitore davanti al giudice d'uno dei luoghi indicati dall'art. 26-bis, comma 1, c.p.c. dove il terzo stesso si trova; negli altri casi davanti al giudice del luogo dove risiede il debitore diretto (art. 26-bis, comma 2, c.p.c.).
Se invece si tratta di assoggettarvi beni mobili o immobili in vista d'una eventuale espropriazione forzata o di attuare ingiunzioni di fare o di astenersi dal fare, varrà la competenza rispettivamente fissata ai commi primo e terzo dell'art. 26 c.p.c..
Ciò detto, vanno pur sempre tenuti distinti i profili della giurisdizione da quelli della competenza.
Perciò, quando l'attuazione della cautela non può avvenire se non in uno Stato diverso da quello che ha la giurisdizione sulla domanda di merito, il giudice di questo Stato può disporre la cautela, ma non avendo lui il potere per attuarla, la parte che vi ha interesse dovrà rivolgere la relativa domanda a giudice dello Stato in cui può trovare attuazione.
Il giudice dello Stato in cui la misura cautelare può ricevere attuazione potrà così essere richiesto sia di dare attuazione alla cautela disposta dal giudice straniero, sia di disporla egli stesso.
Se sia dato rimedio contro il rifiuto d'attuazione della cautela motivato da difetto di giurisdizione
La giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione esclude che nel procedimento cautelare davanti al giudice ordinario, possano trovare applicazione gli istituti processuali del regolamento preventivo di giurisdizione [Cass., Sez. Un., n. 24657/1996, FI 1999, I, 1636, nota CIPRIANI] e dei regolamenti di competenza [Cass., Sez. Un., 18189/2013 - Cass., Sez. Un., 16091/2009, RDProc, 2010, 931, nota GUARNIERI - ma in senso parzialmente contrario, Cass. 2008/17299 per il caso che la competenza sia declinata anche dal giudice adito per secondo].
Sicché, esaurito il rimedio del reclamo, mediante il quale è possibile chiedere nell'ambito del procedimento cautelare una diversa decisione, affermativa o negativa, la questione si troverà a poter essere affrontata solo in un eventuale successivo giudizio di merito, iniziato sul presupposto che il giudice italiano abbia invece la giurisdizione negata.
L'orientamento si espone a riflessioni critiche.
La critica può essere mossa per queste ragioni:
l'ordinamento non può non apprestare tutela giurisdizionale alle posizioni sostanziali riconoscibili come diritti od interessi legittimi (art. 24 Cost.) e ciò non solo sul piano della cognizione, ma anche su quello della cautela, diversamente la situazione soggettiva tutelata correrebbe il rischio di rimanere sacrificata prima di poter essere accertata;
la disciplina processuale della tutela cautelare non può perciò essere costruita in modo da consentire che risulti di fatto impedita dal non prevedere l'ordinamento rimedi alle situazioni in cui si determini un ostacolo alla presa in esame del fondamento della domanda di cautela, come nel caso che essa sia rifiutata per ragioni che attengono alla concreta individuazione del giudice cui secondo l'ordinamento spetterebbe erogarla;
l'ordinamento processuale - nel campo della giurisdizione di cognizione - è venuto evolvendo nel senso di dotarsi di strumenti che allocano nella corte di cassazione - giudice della corretta applicazione delle norme sostanziali e processuali - il potere di superare situazioni di stasi: assoggettando le ordinanze di sospensione allo strumento del regolamento di competenza [art. 42 c.p.c., nel testo introdotto dall'art. 6 l. 26.11.1990, n.353] e la decisione che declina la giurisdizione ad un regime ricalcato su quello della competenza, così obbligando il giudice adito ad indicare il giudice diverso da sé che avrebbe giurisdizione e consentendo a questo non di declinarla a sua volta, ma soltanto di chiedere alla Cassazione di stabilire chi abbia giurisdizione [art. 59, l. 69 del 2009];
se l'ordinamento riconosce come forma di tutela cautelare quella autonoma ed anzi tende in certi casi a favorirla [art. 669-octies, comma 6 e 8, c.p.c.] deve permettere che essa sia perseguita come tale e dunque già in linea di principio non è ammissibile che i mezzi di superamento della stasi processuale non siano esperibili all'interno del procedimento cautelare e la parte debba aggirare l'ostacolo rifugiandosi nell'espediente di dare inizio al giudizio di cognizione, per lì allocare il regolamento preventivo di giurisdizione;
una cosa è che decisione di merito e decisione cautelare abbiano regimi di impugnazione diversificati, perché ciò è giustificato dalla relativa ripetibilità della domanda cautelare e anche da quella che l'accertamento sommario positivo possa essere superato dall'emergere di nuovi fatti, che consentano alla controparte di sollecitarne la modifica o la revoca [art. 669-decies, c.p.c.]; altra cosa è chiedersi se questi fattori possano avere rilievo in rapporto agli strumenti processuali ordinati a superare le situazioni di stasi, cui pongono rimedio nel processo di cognizione i conflitti;
è ragionevole dire alla parte, che ha sbagliato a proporre la domanda cautelare ad un certo giudice, vai da un altro e indicarglielo, non altrettanto giustificabile è rifiutargli un diretto strumento di superamento dell'ostacolo, quando è il sistema processuale a dimostrarsi in difficoltà nello stabilire quale sia il giusto giudice. Una delle considerazioni che sono alla base della sentenza 77 del 2007 della Corte costituzionale (FI 2007, I, 1009) può essere esplicitata in questi termini: se la tutela giurisdizionale deve essere effettiva e tanto più riesce ad esserlo in quanto siano messe a frutto le distinte competenze dei vari ordini di giudici; una volta che la domanda di giustizia sia formulata, le norme processuali, che sono destinate ad assicurare il rispetto della garanzia costituzionale del giudice naturale in funzione della migliore decisione, debbono prevedere i congegni che consentono di riparare all'errore compiuto dalla parte nella scelta del giudice, ma anche di superare l'errore del giudice nel denegare la giurisdizione, perché altrimenti il diritto alla tutela giurisdizionale risulterebbe frustrato dalle stesse norme che sono ordinate al suo miglior soddisfacimento;
dà luogo ad un uso strumentale dei mezzi processuali imporre alla parte che ha visto rigettata la domanda cautelare per difetto di giurisdizione, di dare inizio alla causa di merito, per lì allocare il regolamento preventivo di giurisdizione, anziché di far conto su un'ammessa operatività del sistema del regolamento di ufficio ad evitare che il secondo giudice si faccia a rifiutare l'indicazione fatta dal giudice adito per primo;
e peraltro, se la questione di giurisdizione interessi la cautela in sé, com'è nel caso che il giudice adito la rifiuti per il motivo che ad erogarla non spetti a lui, ma a giudice straniero, potrebbe venire a mancare affatto sul punto una tutela invece dovuta da parte del giudice italiano.
L'art. 669-duodecies c.p.c.
L'attuazione delle misure cautelari che hanno ad oggetto somme di denaro avviene nelle forme degli artt. 491 e seguenti in quanto compatibili: dispone in questo senso e nella sua prima parte l'art. 669-duodecies c.p.c..
Qui l'attuazione dà luogo ad un procedimento la cui disciplina ricade, a seconda dei beni attaccati, sotto le corrispondenti regole delle correlative forme dell'espropriazione forzata: applicate queste al procedimento di attuazione della cautela, quante volte nel processo di espropriazione che ne segue si determina una situazione di concorso tra creditori, si pone il tema se la posizione di chi fa valere la cautela risenta del concorso, e dunque se per questa parte le norme sul processo di espropriazione forzata siano compatibili con la funzione della cautela.
Quanto alle forme di cautela aventi ad oggetto obblighi di consegna o rilascio, fare o non fare - dispone ancora l'art. 669-duodecies, che l'attuazione ne avviene sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare: questa disposizione riprende il tenore degli artt. 610 e 613 c.p.c., dettate per le corrispondenti forme di esecuzione forzata.
In particolare, nell'ambito dell'esecuzione forzata di obblighi di consegna o rilascio, l'art. 610 c.p.c. demanda al giudice dell'esecuzione del tribunale (artt. 484 e 9 c.p.c.) l'adozione dei provvedimenti necessari a superare le difficoltà che sorgono nel corso delle operazioni.
Si tratta di difficoltà di ordine materiale che debbono essere superate perché l'esecuzione possa proseguire.
Per questa parte dunque, l'art. 669-duodecies ricalca gli articoli appena richiamati. In questo modo sono superate difficoltà che riguardano il modo dell'attuazione, non si fondano cioè sull'affermazione che il provvedimento è già stato completamento eseguito o per converso ha cessato di poterlo essere, come può essere perché è stato intanto revocato o modificato o l'esecuzione ne è stata sospesa.
Restano dunque le contestazioni: conviene soffermarsi sul loro possibile contenuto avendo riguardo all'analogo fenomeno delle opposizioni esecutive ed alle diverse fasi del procedere dell'attuazione.
L'attuazione della misura cautelare non deve essere preceduta dalla notificazione del provvedimento che ha disposto la cautela, a differenza quindi della necessaria previa notificazione del titolo esecutivo, che deve invece precedere l'inizio all'esecuzione forzata; perciò, trattandosi di provvedimento che ordina di rilasciare, non si applica la disposizione sul preavviso dettata dall'art. 608 c.p.c..
Tuttavia, le concrete modalità di attuazione possono dar luogo a contestazioni e saranno risolte dal giudice dettando i provvedimenti opportuni.
La parte che non si appaghi della soluzione data alla contestazione, perché vi ravvisa tuttavia uno scarto rispetto al contenuto del provvedimento o comunque ne prospetti una più opportuna modalità di attuazione potrà proporre reclamo, ovvero, quante volte penda o sia iniziato il giudizio di merito potrà tornare a sollecitarne una modificazione da parte del giudice della cognizione.
Gli eventuali provvedimenti di modifica o revoca che richiedano modificazioni dello stato di fatto saranno attuati secondo le istruzioni del giudice che li ha adottati, rientrando il caso nel possibile ambito d'applicazione dell'art. 669-decies, co. 2 e 3, c.p.c.
Quanto alla cautela attinente ad obblighi di fare e non fare, dalle corrispondenti norme dettate in tema di esecuzione forzata si trae che il giudice da un lato, nel suo provvedimento, determina le modalità dell'esecuzione, designa l'ufficiale giudiziario che vi deve procedere e le persone che debbono provvedere all'esecuzione dell'opera, dall'altro, per eliminare le difficoltà che possano insorgere e sollecitatone dà all'ufficiale giudiziario le opportune disposizioni.
In particolare sull'attuazione delle misure aventi ad oggetto somme di denaro.
Si è già detto chel'attuazione dei provvedimenti cautelari che ordinano il pagamento di somme di denaro avviene nelle forme degli artt. 491 e ss. c.p.c. in quanto compatibili: così la prima parte dell'art. 669-duodecies c.p.c.
La disciplina di questo fenomeno processuale oscilla dunque tra due poli, costituiti, da un lato, in base al richiamo degli artt. 491 e ss., dalle norme che regolano il processo di espropriazione nei suoi vari aspetti, dall'altro dall'individuazione del possibile limite alla loro integrale applicazione costituito dall'esigenza che la cautela non ne risulti paralizzata.
Indagando su questo aspetto, si è considerato in dottrina [Delle Donne, op. cit., 1294 e ss. che «Trovando l'intervento dei creditori (non privilegiati né sequestranti una fonte solo processuale (l'art. 499 c.p.c.in parte qua) e rivelandosi inconciliabile sia con la ratio cautelare dell'ordine di pagamento che con le regole processuali che lo assistono, il limite di compatibilità posto da un'altra disposizione processuale per di più speciale, l'art. 669-duodecies c.p.c., appare sufficiente ad inibirne l'applicazione nel contesto di un'espropriazione intrapresa dal beneficiario della cautela»).
La specialità dell'atto che funge da titolo esecutivo rileva dunque nel senso per cui il procedimento per l'attuazione della misura cautelare, se inizia con il pignoramento, non richiede però che questo sia preceduto dalla notifica del provvedimento cautelare e del precetto. Tale notifica dovrà invece essere eseguita, ma per l'annessa condanna alle spese, se si intende cioè agire esecutivamente per la riscossione delle relative somme, come può essere nei casi in cui è previsto che al provvedimento cautelare non debba necessariamente esser fatto seguire dalla parte istante il giudizio sul merito (art. 669-octies, co. 6 e 7, c.p.c.); però a tale scopo è possibile spiegare intervento nel procedimento di attuazione della cautela.
Con una copia del provvedimento cautelare, l'atto di pignoramento deve essere depositato nella cancelleria del giudice competente per l'esecuzione forzata.
Si avrà quindi la formazione del fascicolo di ufficio da parte del cancelliere e la nomina del giudice dell'esecuzione (art. 484 c.p.c.).
Hanno inoltre modo di trovare applicazione le norme sulle controversie relative alla distribuzione del ricavato (art. 512 c.p.c.), opposizione all'esecuzione per impignorabilità (art. 615, comma 2, c.p.c.) e opposizione di terzo (art. 619 c.p.c.).
Le opposizioni agli atti esecutivi possono anch'esse essere proposte, con l'eccezione di quelle relative alla regolarità degli atti che precedono il pignoramento (art. 617, comma 1, c.p.c.).
Il complesso dei rimedi esperibili contro il provvedimento cautelare restringe invece il campo d'applicazione dell'opposizione all'esecuzione.
La parte obbligata secondo il provvedimento cautelare ad eseguire il pagamento, se si può valere del reclamo (art. 669-terdecies c.p.c.), non può mettere le stesse ragioni a base di un'opposizione all'esecuzione e d'altro canto proponendo reclamo può ottenere che l'esecuzione ne sia sospesa (art. 669-terdecies, comma 6, c.p.c.).
L'opposizione all'esecuzione non può quindi essere proposta per far valere ragioni che avrebbero potuto essere dedotte davanti al giudice della cautela e non lo sono state. Quanto a quelle sopravvenute si prospetta l'alternativa tra opposizione all'esecuzione e il rimedio della modifica o revoca (art. 669-decies c.p.c.).
L'art. 669-decies, peraltro, non prevede che, in attesa della decisione, il giudice competente sull'istanza sospenda l'eseguibilità della misura cautelare, ma nel campo dell'attuazione dei provvedimenti che hanno ad oggetto obblighi di consegna, rilascio fare o non fare tale funzione può essere svolta dai provvedimenti opportuni (art. 669-duodecies c.p.c.).Non si tratta allora di ammettere la possibilità di esperire un'opposizione all'esecuzione dove può operare il rimedio della modifica o revoca, ma di ammettere che il giudice competente a provvedere su tale istanza possa sospendere l'eseguibilità della misura cautelare, con effetti sia sull'inizio sia sul corso dell'esecuzione già iniziata ed il risultato può essere raggiunto adottando il meccanismo procedurale previsto dall'art. 669-sexies, co. 2, pronunciando sull'istanza con decreto soggetto a conferma (Cass. 22 marzo 2001 n. 4107, FI 2002, I, 3451 con osserv. Fabiani, ha affermato essere possibile far uso del meccanismo della cautela per sospendere l'eseguibilità d'un provvedimento giurisdizionale esecutorio, se manca lo spazio per applicare figure tipiche di sospensione).
Sopravvenuta un'ordinanza di revoca del provvedimento cautelare (in base agli artt. 669-sexies, co. 2; 669-decies ovvero 669-terdecies, co. 4) il giudice della esecuzione, senza necessità d'opposizione, sempre che nel frattempo non siano intervenuti creditori muniti di titolo esecutivo, su istanza della parte interessata, dichiara con ordinanza che il processo di espropriazione non può procedere oltre; in caso di modifica del provvedimento cautelare, si applicherà la regola dettata dall'art. 653, co. 2, c.p.c., per il caso che ad essere parzialmente accolta è l'opposizione a decreto d'ingiunzione.
Attuazione della cautela e misure di coercizione indiretta (l'art. 614-bis c.p.c.)
Nel contesto del titolo IV del libro III dedicato all'esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, con l'art. 49, comma 1, l. n. 69/2009 venne inserito un art. 614-bis avente come rubrica «Attuazione degli obblighi di fare infungibile e di non fare». Il primo comma aveva previsto che «Con il provvedimento di condanna .. e su richiesta della parte» il giudice potesse fissare la somma di danaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento>. Aveva inoltre stabilito che «il provvedimento di condanna» costituisse «titolo esecutivo» per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza».
Già di questa disposizione era stata prospettata in dottrina [così Tommaseo, L'esecuzione indiretta e l'art. 614-bis c.p.c., RDProc 2014, 267 e 276] l'applicabilità nel campo dei provvedimenti cautelari, si da poter dar luogo, nel caso d'inosservanza del comportamento di fare od astenersi dal fare, all'attuazione prevista dall'art. 669-duodecies c.p.c. e dunque a partire dal pignoramento. Veniva peraltro segnalata la difficoltà rappresentata dal fatto che in questo contesto la previa notificazione del precetto sarebbe stata essenziale per individuare l'ammontare della somma dovuta in concreto.
Sotto il titolo IV-bis del Libro III - a sua volta intitolato «Delle misure di coercizione indiretta» - con la l. 6 agosto 2015, n. 132 di conversione del d.l. 27 giugno 2015, n. 83 l'art. 614-bis c.p.c. prevede ora, tra l'altro, che «Con il provvedimento di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro, il giudice, salvo che sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza».
Prevale quindi in dottrina ed ha in tal senso trovato applicazione in giurisprudenza la tesi per cui identico contenuto possa anche avere il provvedimento cautelare [in FI 2016, I, 1047 e ss. ampia annotazione di richiami a commento di T. Genova 16 novembre 2015, e nota di A. MONDINI, Note su rimedi e controllo della misura coercitiva ex art. 614-bis c.p.c. concessa con ordinanza cautelare].
A questo riguardo appare doversi ritenere che - siccome si tratta di eseguire un'obbligazione pecuniaria sostitutiva del comportamento dovuto - per l'esecuzione del provvedimento di condanna, sul presupposto che si siano verificate le condizioni per l'applicazione della misura coercitiva, debbano essere osservate le norme che regolano l'espropriazione forzata, mentre l'obbligato, se intende contestare il provvedimento con cui è stata fissata la misura, abbia l'alternativa tra proporre reclamo o sollecitarne modifiche da parte del giudice della cautela, ed invece disponga dell'opposizione all'esecuzione, se voglia contestare d'aver tenuto il comportamento che giustifica l'applicazione della misura coercitiva [in argomento, tra gli altri, ed in riferimento al precedente testo dell'articolo, Consolo e Godio, Commento all'art. 614 bis, in Commentario del Codice di procedura civile, diretto da Comoglio, Consolo, Sassani e Vaccarella, Milano, 2014, 138 e 190 e ss.]
Diverso problema è quello che concerne la posizione di chi, conseguito il provvedimento cautelare avente ad oggetto l'ordine rivolto alla controparte di tenere un dato comportamento o di astenersi dal tenerlo, agisce in base al titolo esecutivo costituito dal provvedimento per ottenere il pagamento della somma fissata dal giudice della cautela, come sanzione per la violazione dell'ordine.
Anche qui, mancato il pagamento spontaneo, dovrà dall'avente diritto farsi luogo ad esecuzione forzata per espropriazione in una delle diverse forme ovvero, spendendo il titolo, intervenire nell'espropriazione da altri già promossa; si ripresenta qui il problema del se ed in che limiti poi la parte debba subire il concorso degli altri creditori nell'esecuzione da lui promossa.
Rimedi contro l'attuazione
Dai rimedi volti a mettere in discussione la concessione del provvedimento cautelare vanno tenuti distinti quelli esperibili contro il modo della sua attuazione.
Il tema riguarda le cautele diverse da quelle aventi ad oggetto somme di denaro, che come si è visto si attuano nei modi previsti dall'esecuzione forzata e a fronte dei quali vanno esperiti i pertinenti rimedi.
L'attuazione, se il provvedimento cautelare è stato adottato dal giudice davanti al quale pende la causa di merito [art. 669-quater, c.p.c.], avviene sotto il suo controllo e, se dà luogo a contestazioni circa il modo in cui è in corso, tali contestazioni saranno risolte dallo stesso giudice [art. 669-duodecies, c.p.c.]; il modo in cui lo sono state si presta a reclamo, davanti al diverso giudice indicato dall'art. 669-terdecies, co. 2, c.p.c., giacché la postulata modifica si risolve in un potenziale diverso provvedimento [più ampiamente sul punto, cfr, ancora Delle Donne, op. cit., 1312 e ss., che pone tra l'altro in evidenza come, risolte le contestazioni, la concreta attuazione torni al giudice che ha emesso il provvedimento cautelare].
L'allegazione di sopravvenuti mutamenti delle circostanze di fatto o di preesistenti ignorate circostanze che le giustifichino può poi condurre a modifica o revoca del precedente provvedimento, se non siano state già dedotte come motivo di reclamo [art. 669-decies, comma 1, c.p.c.].
Quando la cautela è disposta prima ancora che sia avviato il giudizio sul merito [art. 669-ter, c.p.c.], parimenti l'attuazione può originare contestazioni, che analogamente si prestano a reclamo davanti al diverso giudice indicato dall'art. 669-terdecies, comma 2, c.p.c., una volta che in prima battuta siano state decise in modo che le parti giudichino insoddisfacente.
Le questioni attinenti al merito del diritto per cui la cautela è stata accordata sono invece destinate a trovare decisione nel giudizio di cognizione, che a pena d'inefficacia della misura andrà provocato nel termine previsto dall'art. 669-octies, c.p.c.: ciò, con l'eccezione dei provvedimenti previsti dal sesto comma dello stesso articolo, destinati da soli a regolare il rapporto sino a quando non sopravvenga sul diritto cautelato una diversa decisione di merito, che ciascuna parte può provocare iniziando il relativo giudizio.
La cautela può essere stata però disposta da giudice straniero e solo si tratti di attuarla, ovvero essere chiesta al giudice italiano, ma per la protezione interinale d'un diritto del quale la cognizione spetta alla giurisdizione d'un giudice straniero.
L'attuazione di tali misure ed il sistema dei rimedi attinenti a questa fase non è diverso: difficoltà e contestazioni saranno risolte dal giudice con ordinanza, soggetta a reclamo; ogni altra questione dovrà essere risolta dal giudice estero.
Quanto all'efficacia della cautela accordata dal giudice italiano dispone l'art. 669-novies, al comma 4 ed ai comma 1 e 3 in esso richiamati.
Il ripristino della situazione originaria, cui da occasione il rigetto della domanda di merito o la sopravvenuta inefficacia del provvedimento, se non disposto dal giudice della cognizione, interno o estero, lo può essere con ordinanza dal giudice che ha emesso il provvedimento.
Riferimenti
Bove, La misura coercitiva di cui all'art. 614-bis c.p.c., <www.judicium.it>
Calamandrei, Introduzione allo studio dei provvedimenti cautelari, Padova, 1936
Consolo e Godio, Commento all'art. 614 bis, in Commentario del Codice di procedura civile, diretto da Comoglio, Consolo, Sassani e Vaccarella, Milano, 2014, 138 e 190 e ss.;
Delle Donne, Art. 669-duodecies Attuazione, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da Comoglio-Consolo-Sassani-Vaccarella, Vol. VII, Tomo I,Torino, 2014, 1265 e ss.
Guarnieri, Reclamo cautelare in controversia di lavoro e doppio rigetto per incompetenza, RDProc 2010, 931
Liebmann, Unità del procedimento cautelare, RDProc, 1954, 252
Mondini, L'attuazione degli obblighi infungibili, Milano, 2014 - Id, Note sui rimedi e controllo della misura coercitiva ex art. 614 bis c.p.c. concessa con ordinanza cautelare, FI 2016, 1053
Montesano, I provvedimenti d'urgenza nel processo civile, Napoli, 1955
Recchioni, L'attuazione delle misure cautelari, in I processi cautelari e speciali, a cura di Chiarloni e Consolo, Torino, 2005, 720 e ss. - Id, L'attuazione forzata indiretta dei comandi cautelari, RTDPC 2014, 1477 e ss.
Tommaseo, L'esecuzione indiretta e l'art. 614-bis c.p.c., RDProc 2014, 267
Vallone, Le misure coercitive prima e dopo la riforma dell'art. 614-bis c.p.c. (legge 6 agosto 2015, n. 132 di conversione del d.l. 27 giugno 2015, n. 83), REF 1/2016, 34 e ss.
Vullo, L'attuazione dei provvedimenti cautelari, Torino, 2000.
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Sommario
Uno sguardo d'assieme
Giurisdizione e competenza all'attuazione
Se sia dato rimedio contro il rifiuto d'attuazione della cautela motivato da difetto di giurisdizione
L'art. 669-duodecies c.p.c.
In particolare sull'attuazione delle misure aventi ad oggetto somme di denaro.
Attuazione della cautela e misure di coercizione indiretta (l'art. 614-bis c.p.c.)