Mancata integrazione del contraddittorio in appello: effetti

Sergio Matteini Chiari
07 Maggio 2016

Nel litisconsorzio «processuale» la mancata integrazione del contraddittorio in appello determina la nullità dell'intero procedimento di secondo grado.
Massima

Nel caso di litisconsorzio cosiddetto «processuale», qualora l'impugnazione non risulti proposta nei confronti di tutti i partecipanti al giudizio di primo grado, la mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio di appello (sempre che si tratti di cause inscindibili o tra loro dipendenti) determina la nullità dell'intero procedimento di secondo grado, rilevabile (anche d'ufficio) in sede di legittimità, con la conseguenza che la Corte di cassazione è tenuta a rimettere, ai sensi del combinato disposto degli artt. 331 e 383 c.p.c., le parti dinanzi al giudice d'appello per un nuovo esame della controversia, previa integrazione del contraddittorio nei confronti della parte pretermessa.

Il caso

A. e B., nella veste di danneggiati da sinistro stradale, convenivano in giudizio, innanzi al Giudice di pace, C., conducente dell'auto che aveva tamponato l'auto condotta da A. (di cui era proprietaria la moglie D.), il proprietario E. nonché F., che figurava come assicurata per l'auto tamponante presso l'assicuratore G.

Gli attori chiedevano la condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni alle cose ed alla persona di A., che aveva riportato lesioni lievi.

Il Giudice adito accertava la responsabilità esclusiva di C., conducente tamponante, e liquidava i danni materiali e fisici, per questi ultimi considerando la sola inabilità fisica.

Avverso tale decisione proponeva appello A., chiedendone riforma unicamente in punto di danni derivati dalla lesione alla propria integrità fisica, oltre rivalutazione e interessi.

Nell'epigrafe della sentenza, tra le parti contumaci erano indicati C. ed E., rispettivamente conducente e proprietario del veicolo tamponante, mentre risultava pretermesso l'assicuratore G., il quale resisteva chiedendo il rigetto della domanda, ma nulla eccependo in ordine alla validità della copertura assicurativa.

Il Giudice del gravame dichiarava inammissibile l'appello e condannava l'appellante a rifondere a G. le spese del giudizio. L'inammissibilità veniva dichiarata sul rilievo della tardiva proposizione dell'appello, non correttamente notificato nei confronti di tutte le parti del giudizio di primo grado entro i termini perentori di cui agli artt.325 e 326 c.p.c.

A. proponeva ricorso per cassazione, deducendo un duplice error in procedendo: a) nullità della sentenza per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di F.; b) nullità della sentenza «per la violazione del principio del rilievo di ufficio del processo a contraddittorio integro anche nei confronti della parti che i soggetti abbiano omesso di chiamare in lite».

La Suprema Corte provvedeva, con ordinanza a disporre l'integrazione del contraddittorio nei confronti di C. L'ordinanza veniva puntualmente ottemperata.

La questione

La questione giuridica sottoposta alla Corte Suprema di Cassazione e che interessa in questa sede è stata quella di stabilire quale sorte dovesse avere la sentenza resa all'esito di un gravame cui non era stato chiamato a partecipare un litisconsorte necessario (fattispecie di litisconsorzio necessario c.d. processuale), senza che fosse stata disposta l'integrazione del contraddittorio.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha accolto il primo motivo del ricorso, con motivazione assorbente il secondo.

La S.C. ha rilevato che, avendo l'originario attore A. (ricorrente per cassazione) convenuto il giudizio anche F., per ciò divenuta litisconsorte necessaria processuale, il Giudice di appello avrebbe dovuto disporre di ufficio, ai sensi dell'art. 331 c.p.c. l'integrazione del contraddittorio. Doveva, pertanto essere dichiarata la nullità del procedimento di secondo grado e della sentenza conclusiva, con rimessione delle parti dinanzi al Giudice di appello per un nuovo esame della controversia, previa integrazione del contraddittorio nei confronti della parte pretermessa.

Osservazioni

È incontroverso, in giurisprudenza e in dottrina, che, laddove la sentenza sia stata pronunciata tra più parti in cause inscindibili o tra loro dipendenti e l'impugnazione non sia stata proposta nei confronti di tutte, il giudice deve ordinare, anche d'ufficio, l'integrazione del contraddittorio (art. 331, comma 1, c.p.c.).

La ratio della disposizione deve rinvenirsi nell'esigenza di garantire l'unitarietà della decisione, mantenendo unitario il giudizio di impugnazione contro la sentenza che disciplina posizioni giuridiche interdipendenti, onde evitare giudicati contrastanti nella stessa materia e tra soggetti già parti del giudizio.

Deve essere, a tal punto, annotato che, al fine di evitare la formazione del giudicato è sufficiente che l'impugnazione sia stata proposta nei termini di legge nei confronti di almeno una delle controparti.

In altri termini, l'omessa notifica dell'impugnazione a un litisconsorte necessario non si riflette sull'ammissibilità o tempestività del gravame, che conserva così l'effetto di impedire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, ma determina l'obbligo dell'integrazione del contraddittorio iussu iudicis. Con la conseguenza che soltanto a contraddittorio integro il devolutum in appello potrà essere esaminato e deciso, con il riesame del merito (Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2014, n. 4278; Cass. civ., sez. L, 31 luglio 2013, n. 18364).

La mancata emanazione, da parte del giudice, dell'ordine di integrazione (vizio rilevabile anche d'ufficio in sede di legittimità), determina la nullità dell'intero procedimento e della sentenza che lo ha concluso, ma non l'inammissibilità dell'appello.

La sentenza impugnata dovrà essere cassata con rinvio al giudice di appello, in diversa composizione, affinché, previa integrazione del contraddittorio, provveda al riesame del merito (ex multis, oltre alla sentenza in commento, Cass. civ., sez. L, 13 ottobre 2015, n. 20501; Cass. civ., sez. V, 27 maggio 2015, n. 10934).

Tutto quanto sin qui detto vale sia per l'ipotesi, esaminata, di litisconsorzio c.d. processuale (fenomeno che ricorre allorché la presenza di più parti nel giudizio di primo grado debba necessariamente persistere in sede di impugnazione, al fine evitare giudicati contrastanti nella stessa materia e tra soggetti già parti del giudizio), sia per l'ipotesi di litisconsorzio c.d. sostanziale (che ricorre, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, quando si deduca in giudizio un rapporto giuridico plurisoggettivo concettualmente unico ed inscindibile) – per maggiori dettagli sulle relative nozioni, si fa rinvio alla «bussola» denominata «Cause inscindibili»).

Per ciò che attiene alla seconda delle suddette ipotesi, può, invero, occorrere che la violazione delle norme sul litisconsorzio necessario non sia rilevata né dal giudice di primo grado né da quello di appello. In tal caso, restando viziato l'intero processo, si impone, in sede di giudizio di cassazione, l'annullamento, anche d'ufficio delle pronunce emesse ed il conseguente rinvio al giudice di prima istanza, ex art. 383, comma 3, c.p.c. (Cass. civ., sez. VI, ord. 1 dicembre 2015, n. 24472; Cass. civ., sez. I, 26 luglio 2013, n. 18127; Cass. civ., sez. III, 3 marzo 2010, n. 5063; Cass. civ., sez. un., 16 febbraio 2009, n. 3678).

Va rammentato che la Suprema Corte, in presenza di ricorsi inammissibili relativi a cause nei cui ambiti si sarebbe dovuta disporre l'integrazione del contraddittorio, ha ritenuto di procedere direttamente alla pronuncia di inammissibilità, senza dare preventivamente corso all'integrazione del contraddittorio o disporre al riguardo. Ciò nel rispetto del principio della ragionevole durata del processo, che impone, in presenza di un'evidente ragione di inammissibilità del ricorso, di definire con immediatezza il procedimento, senza dare corso ad attività processuali del tutto ininfluenti sull'esito del giudizio (Cass. civ., sez. III, 24 maggio 2013, n. 12995; Cass. civ., sez. un., 22 marzo 2010, n. 6826).

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