La mediazione e i procedimenti bifasici
17 Febbraio 2017
Premessa
Secondo quanto espressamente disposto dall'art. 5, comma 4, d.lg. n. 28/2010, l'obbligo di presentare la domanda di mediazione non sussiste con riferimento ad una serie di procedimenti. La disposizione traccia una differenza tra quelli per i quali il legislatore ha stabilito la esenzione totale dall'obbligatorietà (opposizioni esecutive, procedimenti in camera di consiglio, azione civile esercitata in sede penale), e procedimenti con esonero dall'obbligatorietà solo iniziale, limitato alla fase a cognizione sommaria. In questi ultimi, l'obbligo di esperire il tentativo di mediazione sorge in un secondo momento, in caso di prosecuzione o conversione del giudizio nella fase a cognizione piena (come nel procedimento per decreto ingiuntivo, per convalida di sfratto, nonché nelle azioni possessorie). Si è voluto, in sostanza, evitare che la mediazione interferisse con l'urgenza legata alla pronuncia dei provvedimenti sulla provvisoria esecutività (nel giudizio monitorio), delle ordinanze di rilascio provvisorio o di pagamento delle somme non controverse (nel procedimento per convalida). Nella Relazione illustrativa del decreto legislativo tale scelta, con riferimento ai procedimenti di ingiunzione e di convalida di licenza o sfratto, risulta giustificata con l'osservazione che, in entrambi i casi, ci si trova di fronte «a forme di accertamento sommario con prevalente funzione esecutiva» in cui «il procedimento è caratterizzato da un contraddittorio differito o rudimentale, e mira a consentire al creditore di conseguire rapidamente un titolo esecutivo», sicché appare «illogico frustrare tale esigenza imponendo la mediazione o comunque il differimento del processo», anche se la mediazione può «trovare nuovamente spazio all'esito della fase sommaria, quando le esigenze di celerità sono cessate, la decisione sulla concessione dei provvedimenti esecutivi è stata già presa e la causa prosegue nelle forme ordinarie». La stessa Relazione illustrativa non chiarisce però su quale parte gravi l'obbligo di presentare istanza di mediazione, con la conseguenza che gli interpreti e i giudici di merito son stati spesso costretti ad una delicata opera di ricostruzione ermeneutica soprattutto in quelle procedure (in primis il procedimento d'ingiunzione, ma anche i procedimenti possessori e di sfratto) nelle quali l'iniziativa per l'apertura della fase di merito è (nel caso dell'opposizione a decreto ingiuntivo) o può essere (nel caso delle azioni possessorie) assunta dalla parte contro cui è fatta valere la pretesa sostanziale. La mediazione obbligatoria nei procedimenti di opposizione a decreto ingiuntivo
Mentre l'art.3, comma 3, d.l. 132/2014, convertito con modificazioni in L. n. 162/2014 , esclude totalmente l'obbligatorietà della negoziazione assistita con riferimento all'intero procedimento per ingiunzione, dalla lettura sistematica dell'art.5 d.lgs. n. 28/2010 emerge chiaramente che la mediazione non costituisce condizione di procedibilità per l'esercizio dell'azione monitoria e, successivamente, soltanto sino alla emissione dei provvedimenti di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c.. La previsione dell'esclusione, fino ad un certo momento processuale, dei procedimenti di ingiunzione dai casi di mediazione obbligatoria affonda le sue radici in alcune pronunce della Consulta (C. Cost., sent., n. 29/2001; C. Cost. sent. n. 276/2000) che, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell'art.412-bis c.p.c. ultimo comma e in particolare nella parte in cui escludeva l'assoggettamento del procedimento monitorio al tentativo (all'epoca ancora) obbligatorio di conciliazione aveva respinto il rilievo, con argomentazioni spendibili nella materia che ci occupa, ribadendo che «la logica che impone alle parti di "incontrarsi" in sede stragiudiziale prima di adire il giudice, è strutturalmente collegata ad un futuro processo destinato a svolgersi fin dall'inizio in contraddittorio tra le parti». Dalla relazione illustrativa al decreto sulla mediazione emerge che tale provvisoria esclusione della obbligatorietà risiede, da un parte, nella esigenza di consentire di ottenere una tutela celere, dall'altra nella opportunità che l'incontro con finalità compositive avvenga quando la posizione delle parti abbia assunto un assetto più chiaro. Senza contare, poi, che la formazione di un titolo esecutivo (con la pronuncia ex art. 648 c.p.c) o la sua sospensione (ex art. 649 c.p.c) potrebbe soddisfare le parti, rendendo superflua la procedura di mediazione. Il testo normativo non chiarisce, invece, se l'obbligo di avviare il procedimento gravi sull'opponente o sull'opposto. La questione è stata ampiamente dibattuta.
Con riferimento al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l'eccezione o il rilievo d'ufficio della eventuale inosservanza della condizione di procedibilità potranno essere effettuati solo all'udienza immediatamente successiva alla decisione sulle richieste ai sensi degli artt. 648 e 649 c.p.c.. All'udienza predetta potrà accadere che il procedimento di mediazione sia stato già proposto, ma non si sia ancora concluso: in questo caso la condizione di procedibilità deve ritenersi verificata; ovvero che la mediazione non sia stata ancora proposta, e allora l'attività deve essere avviata ex novo nel termine che il giudice fisserà. In entrambi i casi dovrà essere fissata una nuova udienza dopo almeno tre mesi, termine stabilito ex lege quale durata della procedura di mediazione. La mediazione e i procedimenti di sfratto
Con riferimento ai procedimenti di sfratto l'interprete ha dovuto, nel silenzio della legge, risolvere due ordini di problematiche:
Su entrambi i profili si registrano opinioni divergenti. Coloro che escludono che l'obbligo di attivazione gravi sull'intimante (come Trib. Modena sent. n.21324/2015 est. dott. Matteucci) si basano su due considerazioni. In primo luogo ritengono non ammissibile far retroagire l'improcedibilità ex art. 5 all'azione esercitata con la domanda originaria, posto che detta improcedibilità si configura quale sanzione per il mancato adempimento di un obbligo che scatta in una fase successiva (nella specie dopo il mutamento del rito ex art.426 c.p.c); in secondo luogo viene valorizzata la circostanza che la fase sommaria è suscettibile di chiudersi con provvedimenti che diventano definitivi ove la successiva fase di merito non sia stata coltivata, da ciò ricavando che l'obbligo di attivare la mediazione non possa che gravare sulla parte interessata alla procedibilità della fase a cognizione piena. In sostanza l'eventuale improcedibilità per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione viene riferita al giudizio di merito a cognizione piena, traendo argomenti anche dai procedimenti possessori e dalla attitudine alla definitività e non alla mera ultrattività, del provvedimento interdittale possessorio in difetto di proposizione dell'istanza di prosecuzione del giudizio di merito nel termine di legge (secondo quanto stabilito in Cass. 26 marzo 2012 n.4845), con la conseguenza di porre a carico di colui che si oppone alla convalida , quale istante per la prosecuzione del giudizio, l'onere di intraprendere il procedimento di mediazione. In tal modo leggendo la lettera dell'art.5, comma 1, D.lgs. n. 28/2010, nella parte in cui pone l'obbligo di mediazione e in capo a «chi intende esercitare in giudizio» come espressione del principio di causalità, nel senso di onerare la parte dante causa al giudizio a cognizione piena, interessata a coltivarlo sino alla sua definizione nel merito. Un diverso orientamento - Trib. Roma, sez. VI, sent., n. 71947/2015 est. Nardone; Trib. Mantova, sent., 20 gennaio 2015 est. Bulgarelli; Trib. Napoli Nord, sent., 14 marzo 2016, n.325 - valorizza la posizione sostanziale assunta dalle parti nel giudizio di convalida nel quale l'intimante agisce per la risoluzione del contratto (per inadempimento della controparte), come tale onerato ad avviare la mediazione. Infatti, per i giudizi di convalida di sfratto per finita locazione o per morosità è stato stabilito che il tentativo di mediazione divenga condizione di procedibilità solo dopo l'esaurimento della fase c.d. sommaria. Tale scelta, dettata da ragioni di opportunità – evitare di decelerare la fase sommaria che potrebbe anche concludersi con la mera convalida in difetto di opposizione dell'intimato – non vale a mutare la natura del successivo giudizio di merito che altro non è che la prosecuzione dell'unico giudizio introdotto con l'intimazione e articolato in due fasi. La stessa locuzione utilizzata dal legislatore non appare casuale («il giudizio proseguenelle forme del rito speciale») . Come si legge nella sentenza del Trib. di Roma sez. VI, 30 settembre 2010, n.20529 «… il giudizio, che è unico e inizia con l'esercizio da parte del locatore di un'azione di condanna nella forma speciale della citazione per la convalida, prosegue (…) con la facoltà per le parti di depositare memorie integrative, che non possono contenere domande nuove…». Coerentemente con detta impostazione (unitarietà del giudizio) la Suprema Corte ha sempre ritenuto la inammissibilità della introduzione di domande nuove nelle memorie ex art.426 c.p.c. (Cass. 12247/2013; Cass. 16635/2008). Se pertanto l'incipit del procedimento unico di sfratto, articolato in una duplice fase, deve individuarsi nell'atto introduttivo della fase sommaria (non già nelle memorie introduttive autorizzate ai sensi dell'art.426 c.p.c.), l'onere di attivare la procedura di mediazione spetterà all'originario intimante e le conseguenze dell'inerzia non potranno che colpire – in primo luogo – la domanda principale dell'attore (di risoluzione contrattuale) e con essa la pronuncia di rilascio emessa ex art. 665 c.p.c. sarà travolta dalla sentenza conclusiva del giudizio che accerterà la inesistenza di uno dei presupposti della domanda (condizione di procedibilità) in linea con l'orientamento della Suprema Corte secondo cui l'efficacia del provvedimento interinale ex art. 665 c.p.c. permane finché non sia contraddetta da altra pronuncia conclusiva del giudizio. Anche la tematica relativa agli effetti della pronuncia di improcedibilità sul provvedimento di rilascio emesso ex art. 665 c.p.c. non ha mancato di esitare in pronunzie di segno opposto. La questione è strettamente collegata a quella, relativa alla natura giuridica dell'ordinanza provvisoria di rilascio ex art. 665 c.p.c., con particolare riferimento alla problematica della ultrattività e dell'attitudine ad acquisire effetti di cosa giudicata. Secondo l'opinione prevalente l'ordinanza in parola costituirebbe, infatti, provvedimento interinale, avente natura ordinatoria ed effetti anticipatori rispetto al corrispondente accertamento positivo compiuto nel giudizio a cognizione piena, dal quale risulterebbe travolta o assorbita. I due provvedimenti (ordinanza ex art. 665 c.p.c. e sentenza definitiva) sarebbero, dunque, resi all'esito di accertamenti posti in successione temporale ed aventi diverso oggetto e grado di approfondimento. Si legge in Cass. n. 8221/2004 : «… in tema di locazioni l'ordinanza di rilascio emessa ai sensi dell'art. 665 c.p.c può produrre effetti anticipatori del corrispondente accertamento positivo compiuto in sede di giudizio a cognizione piena, ma non anche effetti a questo contrari, giacchè la circostanza che ne legittima l'adozione (da ravvisarsi nel risultare nel procedimento sommario già fornita la prova da parte del locatore, a fronte di quella viceversa costituenda in giudizio in ordine alle eccezioni sollevate dal conduttore) rimane superata all'esito dell'emissione della sentenza a chiusura del giudizio da cui, nel medesimo grado e all'esito del compiuto vaglio anche di dette eccezioni, emerga l'insussistenza del diritto vantato dal locatore, secondo uno sviluppo non già equiparabile a quello del procedimento per gradi bensì sostanziantesi in una successione di accertamenti con l'esito del venir meno del titolo in precedenza attribuito alla parte per l'anticipata realizzazione della sua pretesa». Secondo altra impostazione, sostenuta anche in dottrina, l'ordinanza di rilascio apparterebbe al genus dei provvedimenti di condanna con riserva delle eccezioni del destinatario e avrebbe, pertanto, natura decisoria, sia pure all'esito della cognizione sommaria (in questo senso Cass., 14 febbraio 1997, n. 1382). La scelta tra la tesi della natura interinale anticipatoria e quella di condanna con riserva delle eccezioni importa conseguenze in ordine al regime giuridico (della ultrattività e dell'attitudine al giudicato) e in questi termini la problematica è stata studiata ed approfondita. Non a caso la giurisprudenza, esaminando la “sorte” di detta ordinanza in caso di “estinzione” del giudizio di merito, alla luce del carattere «condannatorio con riserva di esame delle eccezioni» ha ritenuto applicabile l'art.310, comma 2,c.p.c a mente del quale «L'estinzione rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo e le pronunce che regolano la competenza». È stato, quindi, ritenuto che l'estinzione del giudizio (di merito) non comporti l'inefficacia dell'ordinanza insorgendo a carico del conduttore l'onere di far valere, in un autonomo processo, mediante azione di accertamento negativo, e nei termini di prescrizione ordinaria, le ragioni non fatte valere nel processo estinto nel corso del quale l'ordinanza ex art.665 c.p.c. è stata adottata (in questi precisi termini Cass., 14 febbraio 1997, n.1382). Le argomentazioni e le conclusioni di detto ultimo orientamento sono state riprodotte e condivise da alcuni tribunali di merito che, chiamati a pronunciarsi sulla sorte dell'ordinanza di rilascio in caso di dichiarazione di improcedibilità del giudizio instaurato ai sensi degli artt. 657 e ss. c.p.c., hanno ritenuto la ultrattività del provvedimento interinale (Trib. Modena sent. n. 21324/2015 est. Matteucci; Trib. Rimini, sent., 24.5.2016 est. Capodaglio). Recentemente il Trib. Busto Arsizio sez. Distaccata di Gallarate (sent. 15 giugno 2012, est. Di Lorenzo) ha statuito : «…dichiarata l'improcedibilità della domanda, va precisato che non viene meno l'efficacia dell'ordinanza non impugnabile di rilascio ex art. 665 c.p.c. emessa all'esito della fase sommaria del procedimento di convalida; è principio recepito in giurisprudenza quello secondo cui l'ordinanza di rilascio di cui all'art. 665 c.p.c., eventualmente emessa nei confronti del conduttore che si sia opposto alla convalida dell'intimazione di sfratto, rientra nella categoria dei provvedimenti di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto, e quindi l'estinzione del giudizio di merito o la sua improcedibilità non ne determina l'inefficacia, salva restando la facoltà del conduttore di far valere, nel termine di prescrizione, le sue eccezioni in un nuovo autonomo processo«. Le conclusioni cui è giunto il Tribunale di Busto Arsizio appaiono condivisibili solo in caso di estinzione del giudizio : giacchè in questo caso non vi sarà una sentenza definitiva. Laddove, invece, come nel caso di improcedibilità per mancata attivazione della mediazione obbligatoria, il giudizio si concluda con una sentenza, sia pure in punto di rito, non può che valere quanto da sempre ribadito dalla giurisprudenza ovvero che «la sentenza conclusiva del giudizio di merito previsto dall'art. 667 c.p.c per la sua stessa natura di provvedimento giurisdizionale emesso a seguito di cognitio plena, sostituisce ed assorbe la precedente ordinanza di rilascio ex art.665 stesso codice e le fa perdere “ipso iure” ogni efficacia» (Pretura Napoli 18 ottobre 1990; Cass. n. 2619/1990). In conclusione
Il procedimento di mediazione introdotto dal d.lgs. n. 28/2010 ha dato vita a polemiche e contestazioni molto forti mentre in fase applicativa continuano a registrarsi soluzioni diverse e spesso contrastanti, diversificate da un ufficio giudiziario all'altro e spesso legate più alle convinzioni dell'interprete in merito al valore e al ruolo della mediazione come strumento per la soluzione delle liti che ad un approccio giuridico delle questioni esaminate. In presenza di un testo legislativo che facendo affidamento sulla natura “deformalizzata” del procedimento di mediazione non si è curato di approfondire alcune ricadute processuali dello stesso si rischia di assistere alla nascita di un “contenzioso della mediazione” incentivato da un diritto processuale c.d. domestico con buona pace del principio della certezza del diritto e con il rischio che risulti definitivamente frustrato l'intento deflattivo ispiratore della intera normativa in materia. In dottrina sul tema:
|